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TELECOM-MEDIA - PERCHÉ BERNABE’ HA CONCESSO A CAIRO CONDIZIONI STRAORDINARIAMENTE FAVOREVOLI PER CIRCA 200 MILIONI

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Osvaldo De Paolini per il Messaggero

bernabe cairo la sette

C'è chi manifesta sorpresa per la decisione del consiglio di amministrazione di Telecom Italia di cedere La7 a pochi giorni dalle elezioni: tanto valeva aspettare l'insediamento del nuovo Parlamento, precisano costoro nel mentre gettano ombre sul perché di una decisione tanto affrettata.

URBANO CAIRO

La verità è l'esatto opposto: bene ha fatto invece il vertice Telecom a deliberare la vendita in questo particolare momento, e non solo perché era una vicenda che si trascinava malamente da almeno otto mesi; l'aver deciso prima di conoscere l'esito delle elezioni, cioè prima che una qualunque forza politica potesse incidere sull'orientamento dei consiglieri, è infatti un segno di autonomia che fa onore al vertice del gruppo telefonico.

Altro è invece il discorso sul perché cedere solo l'emittente tv a Urbano Cairo e non invece l'intera TiMedia al fondo Clessidra. E altra ancora è la questione relativa alle condizioni straordinariamente favorevoli concesse a Cairo - che probabilmente si vedrà riconosciuti da Telecom benefici complessivi per circa 200 milioni ancor prima di mettere piede a La7 - quando un anno fa a Carlo De Benedetti, l'editore del gruppo Espresso-Repubblica, veniva chiesto di sborsare una cifra pressoché analoga per avere la stessa azienda con qualche accessorio in più (Mtv).

Le protagoniste con Urbano Cairo - Copyright Pizzi

Sulla prima questione la spiegazione fornita dal presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè, secondo cui cedere l'intera TiMedia con i suoi multiplex in questa fase significherebbe rinunciare a potenziali profitti, convince fino a un certo punto. Il perché è presto detto.

Anzitutto concedere a Cairo uno sconto di 10 milioni l'anno sui 15 milioni pattuiti per l'affitto delle frequenze, oltre a ridurre i ricavi di TiMedia provocherà sicuramente una richiesta di pari riduzione da parte di altri grandi clienti (per esempio Discovery e Switchover).

bernab

In secondo luogo Mediaset, cui in questo momento avanzano le frequenze non utilizzate, si prepara ad aggredire il portafoglio clienti di TiMedia con possibilità di successo non modeste. Infine, probabilmente entro l'anno si avrà l'assegnazione da parte del governo di ben tre multiplex che a loro volta invaderanno l'etere con 24 nuovi canali.

Di fronte a tali prospettive viene difficile condividere l'ottimismo manifestato da Bernabè sulla profittabilità futura di TiMedia. E resta misteriosa la ragione per la quale nel pacchetto che verrà ceduto a Cairo non rientra Mtv, troppo piccola per risultare utile a TiMedia e fonte di perdite pressoché certe se allontanata dalla sorella maggiore.

A proposito delle condizioni proposte da Cairo (una dote di partenza di circa 90 milioni, il citato sconto sull'affitto delle frequenze, la cancellazione di 40 milioni di debiti verso la capogruppo, l'assorbimento da parte di TiMedia di un centinaio di dipendenti giudicati in esubero e altro ancora) qualche perplessità suscita la richiesta di aumentare da 6 milioni a 16 milioni il monte-pubblicità annuale accordato da Telecom Italia a La7.

CARLO DE BENEDETTI DA FABIO FAZIO

D'accordo che mai crisi più grave aveva colpito i media tradizionali soprattutto nella raccolta pubblicitaria - e ciò in parte giustifica il rovesciamento delle condizioni alla vendita rispetto a quando De Benedetti corteggiava La7 e Bernabè rifiutò di cedere - ma un incremento tanto importante per lo stesso media non sarà facilmente giustificabile.

q dip27 banfi urbano cairo

Questa considerazione introduce la questione finale: vista la grave crisi perdurante, riuscirà la Cairo Communication con le sue sole forze a sostenere il peso di una tv che negli ultimi dieci anni ha perso la bellezza di 1 miliardo al ritmo di circa 100 milioni l'anno?

Per quante economie e per quanti tagli riesca a realizzare, difficilmente riuscirà a reggere la sfida oltre il triennio se la base sono i ricavi e l'utile 2012 (rispettivamente 319 milioni e 18 milioni) e se alla qualità dell'offerta non verranno inferte, come ha assicurato lo stesso Cairo, alterazioni significative. Dunque, di uno o più alleati avrà certamente bisogno. Dove cercare?

Diego Della Valle si era offerto di formare una cordata per rilevare la maggioranza de La7 ma, giunto troppo tardi per partecipare alla gara, non avrebbe disdegnato un'alleanza con Clessidra (qualora la sua proposta fosse risultata vincente) in virtù soprattutto delle spalle robuste che vanta il fondo di Claudio Sposito.

5tod05 bernardinidepace d dellavalleCLAUDIO SPOSITO

Sarà, Della Valle, egualmente disponibile qualora Cairo dovesse bussare alla sua porta? Difficile dire, ma vista l'oculatezza con la quale l'imprenditore amministra le sue finanze è più facile propendere per il no. Dunque? Non sia mai che si giunga a considerare buono ciò che l'abbondanza fece scartare.

E poiché De Benedetti non ha mai davvero cessato di guardare con interesse all'emittente di Enrico Mentana, chi può escludere che di qui a qualche tempo il gruppo Espresso-Repubblica e La7 siedano allo stesso desco?

 

 


LA “LOTTA ALLA CORRUZIONE” DEL PROSSIMO PRESIDENTE DELLA CINA INIZIA A COLPI DI ARTICOLI…

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Ilaria Maria Sala per "La Stampa"

ZHAO HAIBIN

Xi Jinping, il prossimo Presidente cinese, lancia l'ennesima campagna «anti-corruzione», dichiarando solennemente che tutti, «mosche o tigri», se corrotti saranno indagati e puniti. Non è il primo: il Partito comunista stesso arrivò al potere dopo una guerra civile che doveva il suo sostegno popolare anche alla promessa di debellare la corruzione del Kuomintang, i nazionalisti al governo prima del 1949. Da allora queste campagne sono periodiche, ma la corruzione continua imperterrita a crescere.

XI JINPING

Nelle settimane che precedono l'insediamento del nuovo governo, che assumerà pieni poteri il mese prossimo, la stampa nazionale ha ricevuto l'ordine di dare maggiori dettagli sui casi già smascherati. Una lettura appassionante. S'impara così di Zhao Haibin, capo della polizia di Lufeng, nel Guangdong, che avrebbe comprato 192 case grazie a carte d'identità false.

XI JINPING jpeg

Le autorità infatti, nel tentativo di sgonfiare la bolla immobiliare prima che scoppi, hanno introdotto limiti al numero di immobili acquistabili: di solito, non più di due, e spesso si deve essere residenti della località dove si desidera acquistare. Per ovviare a quest'ostacolo, Zhao ha forgiato diverse carte d'identità e permessi di residenza e utilizzato documenti aziendali del fratello. Interrogato, avrebbe detto che era solo l'amministratore degli immobili per conto del fratello, legittimamente arricchitosi tramite gli affari.

Come sempre, in assenza di metodi per vagliare l'opinione pubblica cinese, si ricorre a quanto detto online, dove Zhao è stato soprannominato «il funzionario più corrotto della Cina». Essendo però membro del Pc, non può essere indagato dalla polizia ma solo dal suo Comitato disciplinare. Le carte d'identità false sono state ritirate, Zhao è stato ammonito. Ma non è stato espulso dal partito, tantomeno incarcerato.

Chissà se è davvero lui il più corrotto del Paese: qualche settimana fa è venuto fuori il caso di Huang Sheng, vice-governatore della provincia dello Shandong, finito nelle maglie della campagna anticorruzione con 47 amanti (chi lo difende dice che sono 46, pari al numero dei suoi appartamenti e villette), che ha accettato nel corso degli anni bustarelle per 9 miliardi di dollari. Indagato dal partito per «violazione della disciplina», è stato rimosso da vice-governatore. Ed è finita lì.

WEN JABAO

E che dire di Gong Aiai, 49 anni, dello Shanxi (Cina centrale), soprannominata sul web «Signorina Appartamenti», che grazie a carte d'identità di fantasia ha potuto acquistare 40 immobili, per un valore di 159 milioni di dollari.

Gong era la vice-presidente della Banca commerciale rurale di Shenmu, ma non trattandosi di un membro del Pc, è stata arrestata, insieme ad altri quattro, e rischia dai due ai sette anni di prigione. Lei si è difesa dicendo che voleva «scacciare la cattiva sorte» acquistando un totale di 9666.6 metri quadri (cifra considerata porta fortuna) con fondi provenienti dalle miniere di carbone dei suoi familiari.

A Guangzhou c'è anche «Zio appartamenti», funzionario del catasto che con finte carte d'identità di case se ne è acquistate 20. Una carta d'identità falsa costa intorno ai 10,000 euro, poca roba per funzionari corrotti a suon di milioni.

La campagna anti-corruzione e le sue ripercussioni sul mercato delle case fanno breccia anche nelle pubblicità degli agenti immobiliari: l'ultima moda è dire che le case in vendita sono di ufficiali corrotti ansiosi di disfarsene per non finire nella retata, ed hanno prezzi stracciati. Impossibile stabilire se sia vero, ma la dice lunga sul clima - e anche sullo scarso timore che l'ennesima campagna anticorruzione sta davvero suscitando.

 

ONORATA SOCIETA’ - ANGELA BRUNO PUBBLICA GLI SMS TRA LEI E I RESPONSABILI DELLA GREEN POWER…

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Tommaso Ciriaco per "la Repubblica"

SMS DI ANGELA BRUNO

Angela Bruno passa al contrattacco. La dipendente della Green Power, offesa giorni fa sul palco da Silvio Berlusconi, sceglie di postare su Facebook tutti gli sms scambiati con i superiori dopo l'incidente con il Cavaliere. Emerge tutto il disagio della donna e nessuna partecipazione divertita, come invece lasciato intendere dall'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, che aveva minacciato di rendere pubblici alcuni sms.

SMS DI ANGELA BRUNO

Nomi non ne fa, ma i messaggini svelati da Angela Bruno - scambiati a partire dal 10 febbraio - raccontano una realtà completamente diversa. La dipendente reclama pubbliche scuse e scrive: «Mi offendono!». L'interlocutore la invita però a cambiare prospettiva: «Da questa situazione, se gestita bene, possiamo trarne tutti grandi vantaggi, anche tu stessa, e non parlo di mostrine o applausi ». E ancora: «Oggi sei tutta la rete, sei l'azienda e guai a chi la tocca!».

SMS DI ANGELA BRUNO

Passano le ore e i giorni, messaggio dopo messaggio la fiducia di Angela Bruno sembra venire meno. I toni sono lontani da quelli entusiastici contenuti in alcuni sms scritti a caldo e riportati ieri da alcuni siti. Il superiore chiede alla donna di non «isolarsi», ma l'amarezza per le pubbliche offese ricevute dall'ex premier ha il sopravvento: «Mi spiace Ruggero, ma non sto bene. Mi stanno massacrando. Non me lo aspettavo. Come ti ho detto ieri: no comment ». Per il suo interlocutore, però, il no comment sembra non bastare: «Non va bene».

SMS DI ANGELA BRUNO

Il confronto precipita, la dipendente evita di rispondere al telefono. Il pressing su di lei diventa insistente: «Angela non va bene così, hai voluto salire sul palco, ora devi assumertene assieme a noi la responsabilità. Ti chiamo un'ultima volta». E ancora: «Se la gestisci è una grande opportunità, diversamente è un casino e a questo punto per tutti. Non fare pazzie».

IL MESSAGGIO DI ANGELA BRUNO SU WHATSAPP AL SUO CAPO

Altri brandelli di conversazione. La tensione cresce perché sui media emerge un primo commento di Angela Bruno: sarebbe "onorata" per quanto accaduto su quel palco. La venditrice non ci sta, è infuriata: «Onorata? Ma se c'era tua figlia lì era onorata?? Pesatele le parole! Pronta a smentirla - scrive - voglio la faccia pulita! Non sono per niente onorata, mi spiace».

La replica dell'interlocutore - «non abbiamo fatto nessuna comunicazione per tuo conto, noi comunichiamo per GGP non per te» - sembra riportare la calma: «Scusa, sono molto arrabbiata». Ora la donna è pronta ad andare fino in fondo: «Sto vivendo un inferno. Sono pronta a tutto».

ANGELA BRUNO berlusconi ragazza

 

NEI PRIMI NOVE MESI DEL 2012, 640.000 LICENZIAMENTI CON UN AUMENTO DELL'11% SULLO STESSO PERIODO DEL 2011

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(ANSA) - Nei primi nove mesi del 2012 si sono registrati 640.000 licenziamenti con un aumento dell'11% sullo stesso periodo del 2011. E' quanto emerge dal sistema della comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro secondo il quale nel periodo sono stati attivati 7,9 milioni di contratti a fronte di 7 milioni di rapporti di lavoro cessati.

ELSA FORNERO IN LACRIME Elsa Fornero

Lo studio del ministero suddivide le cessazioni dei rapporti di lavoro tra quelle a richiesta del lavoratore (dimissioni o pensionamento), quelle 'promosse dal datore di lavoro (cessazione dell'attività, licenziamento, altro), cessazione al termine e 'altre cause. I 640.000 licenziamenti registrati nel periodo riguardano sia quelli individuali (per giustificato motivo oggettivo, soggettivo, giusta causa) che quelli collettivi.

Solo nel terzo trimestre 2012 i licenziamenti sono stati 225.868 con un aumento dell'8,7% sullo stesso periodo del 2011. Nei primi 9 mesi del 2012 sono diminuite le dimissioni a 1,1 milioni dai 1,22 milioni del 2011 (-8,7%). Nel terzo trimestre si conferma la tendenza ad assumere con contratti non stabili. Su 2.462.314 rapporti di lavoro attivati nel periodo solo 430.912 risultano a tempo indeterminato (appena il 17,5% del totale).

Risultano invece a tempo determinato 1.652.765 rapporti di lavoro attivati (il 67,1% del totale) mentre i contratti di apprendistato sono stati 61.868, i contratti di collaborazione 156.845 e gli "altri" 159.924. I contratti di collaborazione sono diminuiti del 22,5% rispetto al terzo trimestre 2011 mentre un calo del 24,3% si registra anche per gli "altri" contratti. Diminuiscono del 5,7% i contratti a tempo indeterminato, dell'1,9% quelli a termine e del 13,7% i contratti di apprendistato.

DISOCCUPATIDISOCCUPATI

 

PROIEZIONI SENATO, NAZIONALE (24% DEL CAMPIONE): IL CENTRODESTRA AL 31,6%, CENTROSINISTRA AL 29,4%

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1- SI ALLARGA IL DIVARIO: CENTRODESTRA 31,6%, CENTROSINISTRA 29,4%
(TMNews) - La seconda proiezione dell'istituto Pipepoli per la Rai conferma il vantaggio del centrodestra al Senato. La copertura del campione è del 24,3%.
Il centrodestra è accreditato del 31,6, il centrosinistra del 29,4, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo del 24,9%, Con Monti per l'Italia del 9,2, Rivoluzione Civile dell'1,8.

BERLU

2- PROIEZIONI LA7: IN SICILIA CENTRODESTRA AL 32,1%
(ANSA) - Secondo i dati Emg per La7, in Sicilia il centrodestra e' in vantaggio con il 32,1%. Il centrosinistra e' al 28,6%, M5S al 27,8%, la Lista Monti al 6,1%. Rivoluzione civile ottiene il 2,8%, Fare lo 0,7% e gli altri partiti l'1,9%. (ANSA).

3- CENTRODESTRA AVANTI IN CAMPANIA AL SENATO(PROIEZIONE)
(TMNews) - In base alle prime proiezioni Ipr Marketing per Tgcom24 in Campania al Senato il centrodestra è accreditato del 37,1%, seguito dal centrosinistra al 27,8%, Ms5 al 23,9%, lista Monti al 6,9%, Rivoluzione Civile al 2,3% e Fare allo 0,2%.

BERLUSCONI BERSANI MONTI GRILLO E LA PREGHIERA DELLE URNE

4- ELEZIONI/CENTRODESTRA DAVANTI IN LOMBARDIA AL SENATO(PROIEZIONE)
(TMNews) - In base alle prime proiezioni Ipr Marketing per Tgcom24, in Lombardia il centrodestra al Senato sarebbe il primo partito con il 37,4%, seguito da centrosinistra con il 29,7%, Monti con il 10,8%, M5s con il 17,8%, Rivoluzione Civile all'1,1% e Fare all'1,3%.

BERSANI, BERLUSCONI, MONTI, AL VOTO

5- SENATO: PROIEZIONI LA7/EMG, IN LOMBARDIA VANTAGGIO CD (34,6%)
(AGI) - Vantaggio del centrodestra in Lombardia per il Senato con il 34,6%. E' quanto emerge dalle prime proiezioni Emg per La7, che danno il centrosinistra al 31%, la Lista Monti al 11,8%, M5S al 17,6%. Solo l'1,1% per Rivoluzione civile, 2,4% per fare.

monti berlu bersani voto

6. BORSA: MILANO ONDEGGIA SULLA PARITA', FTSE MIB -0,1%
(ANSA) - Prosegue il forte nervosismo di Piazza Affari, con l'Ftse Mib che a circa due ore dalla chiusura dei seggi cede lo 0,1%. Tutti i titoli principali sono in normale contrattazione, con Unicredit e Mediaset ancora in crescita, mentre Terna e Tenaris cedono circa un punto percentuale.

ROBERTO MARONI CON LA SCOPA PADANA

7. MEDIASET: SULLE MONTAGNE RUSSE IN BORSA, TITOLO SOSPESO
(ANSA) - Mediaset in asta di volatilità a Piazza Affari mentre arrivano le prime proiezioni sulle elezioni al Senato. Il titolo, che a ridosso dei primi instant poll era arrivato a guadagnare il 10%, ha perso progressivamente terreno mantenendosi poco sopra la parità prima di essere fermato per eccesso di volatilità con un rialzo teorico dello 0,77%.

 

 

FERMATE QUEL CAVALLO - LA RAI (ATTRAVERSO LA SIPRA) STA VENDENDO SPAZI CON SCONTI DELL’80-90%, UCCIDENDO I GIORNALI

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Roberto Sommella per "Milano Finanza"

GUBITOSI E TARANTOLA jpeg

Come accaduto con la tempesta finanziaria del 2009, che ha aperto le porte a investimenti di dubbia provenienza, il crollo della pubblicità nel settore dell'editoria fa paura. E non solo per gli inevitabili scossoni occupazionali che colpiranno tutti indistintamente, a cominciare dai grandi giornali di Rcs e Gruppo L'Espresso, ma anche per possibili contaminazioni criminali. A MF-Milano Finanza sono arrivate alcune segnalazioni che è giusto rivelare, anche se con la dovuta cautela.

Proprio nei giorni in cui Alessandro Proto presentava una manifestazione d'interesse, prima per una quota de Il Fatto Quotidiano (subito respinta) e poi per l'intero capitale di Pubblico (non andata a buon fine), è stata svelata la notizia che imprenditori dal pedigree non immacolato si sono fatti sotto per rilevare alcune testate giornalistiche. La prima sarebbe una voce storica del Nord, la seconda diffonde nel profondo Sud (ma sembra che ce ne siano anche altre nel Mezzogiorno).

LOGO SIPRAgubitosi-tarantola

In entrambi i casi le avance sono state decisamente rispedite al mittente. Ma il problema resta: senza capitali e pubblicità il vecchio adagio «pecunia non olet» può essere affascinante come l'acqua nel deserto. Sulla necessità di preservare i presidi democratici di chi pubblica quotidiani e settimanali non si scherza e il tema sarà sottoposto presto alle alte cariche dello Stato. Alcune risposte vanno però fornite subito. Tutti si interrogano su come arginare il crollo di spot e advertising.

Nei giorni in cui la Fieg, la Federazione italiana degli editori, ha lanciato la sua campagna per sensibilizzare la politica sulle sorti della carta stampata, molti editori hanno segnalato un dato preoccupante: la Rai, il colosso pubblico di Stato, guidato da Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, sta facendo man bassa di pubblicità attraverso la Sipra, vendendo gli spazi con sconti che vanno dall'80 al 90%.

Offerte imbattibili che, seppur lecite, rischiano di uccidere la concorrenza. E non quella di Mediaset, che al massimo arriva a uno sconto per gli spot sulle sue reti del 30%, bensì dei giornali, che con questi prezzi rischiano di restare completamente fuori dalla partita.

Google

Uno tsunami silenzioso. Viale Mazzini fa la sua battaglia per la sopravvivenza. Il Biscione si difende, forte anche del fatto che non ha tetti pubblicitari. In tutto questo la carta stampata è un vaso di coccio.

I dati sono d'altronde impietosi. Il mercato della pubblicità in Italia l'anno scorso si è fermato a 7,44 miliardi con un calo del 14,3% rispetto al 2011. Un valore che scende per la prima volta dal 2003 sotto gli 8 miliardi. Nessun mezzo di comunicazione, tranne il web (664,5 milioni, +5,3%), ha registrato un saldo positivo rispetto all'anno precedente. Le difficoltà del mercato si sono avvertite di più nella seconda parte del 2012.

viale mazzini

La débâcle è partita a luglio, accentuatasi in agosto (-20,4%) nonostante le Olimpiadi di Londra, e precipitata nel profondo rosso nei mesi seguenti fino a toccare il fondo a novembre (-23%). Solo a dicembre, in concomitanza che le vacanze natalizie, il trend è leggermente migliorato: -18%. Il terzo trimestre si è chiuso con un saldo negativo del 20,5% e il quarto del 21,1%. E il calo, è strutturale, avvertono gli esperti. Certe cifre non si vedranno mai più.

Ecco perché sta prendendo corpo una proposta che comincia a filtrare tra tutti gli editori: presentare al prossimo governo una precisa norma sulla detassazione degli investimenti pubblicitari sulla carta stampata (si pensa a un credito d'imposta del 50%, analogo a quello concesso nel settore del cinema con il Tax Credit) a patto che essi siano superiori all'anno precedente, coprendone i costi per l'Erario magari con una Google Tax. All'esecutivo andrà detto: se non ora, quando? L'alternativa è una guerra senza quartiere per gli ultimi spazi disponibili in un'Italia fiaccata dalla recessione e dal malaffare.

 

 

NON E’ UN NUOVO 25 APRILE MA SOLO L’8 SETTEMBRE DELLA STAMPA ITALIANA IN “FUGA” DALLA REALTA’ DEL BEL PAESE

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DAGOANALISI

NAPOLITANO

A proposito di date storiche e di paralleli (emotivi) inimmaginabili con il passato.
Non è un nuovo 25 aprile (elettorale) quello che stiamo vivendo sotto la neve e la pioggia. Il tutto per (dis)grazia ricevuta dal Quirinale. E senza che qualcuno degli osservatori dalla virgola accigliata mettesse bocca sulla data anticipata (e improponibile) del voto, imposta disgraziatamente in pieno inverno da Re Giorgio Napolitano.

ROBERTO SAVIANO EZIO MAURO

Un presidente della Repubblica che, tra "atti d'imperio" (nomina di Monti prima a senatore a vita e poi alla guida del governo) e "atti mancati" (la sfiducia parlamentare al premier dopo le sue dimissioni), da sette anni gode dell'immunità quasi assoluta da parte dei media.

Quanto alla scelta del "suo" miracolato presidente del Consiglio, Bella Napoli è stato ricambiato poi, come si sa, dal tradimento dell'ineffabile Rigor Mortis,un tipino che è riuscito a infinocchiare perfino l'ottuagenario Eu-genio Scalfari con un'intervista presa in giro.

FERRUCCIO DE BORTOLI

E' solo il G(rillo) Day, dunque, quello stiamo celebrando in queste ore. Forse, in futuro, sarà un giorno altrettanto memorabile da segnare sul calendario della storia. Con l'ex comico genovese che sbarca irridente a Montecitorio col le sue truppe fresche (e volenterose). Non prima, però, di aver intimato (provocatoriamente) agli assediati nel Palazzo di arrendersi.

Al più, per stare alle ricorrenze, stiamo assistendo al caotico 8 settembre della stampa italiana da tempo divisa tra "repubblichini" di destra e "partigiani" di sinistra. Ma soprattutto in "fuga" dalla realtà del Paese. Una Casta di carta (straccia) che dalla "rivoluzione italiana" del '92 (Tangentopoli) in avanti si è illusa di svolgere quel ruolo "di vigilanza attenta e quotidiana" assunto dal Club dei Cordiglieri negli anni del Terrore in Francia.

MARIO MONTI CON IL CANE ALLE INVASIONI BARBARICHE

Ma era impossibile (e ridicolo) soltanto immaginare che Mieli, Mauro, De Bortoli, i Gabibbo alle vongole Stella&Rizzo e compagnia bella potessero svolgere quest'opera (moralizzatrice) di sorveglianza restando al servizio dei ricchi e viziosi sovrani dell'informazione.

BERLUSCONI BERSANI MONTI GRILLO E LA PREGHIERA DELLE URNE

Non sgorga davvero acqua pura dalle tipografie dei giornaloni dei Poteri marci con cui, per dirla con le parole di un direttore americano d'inizio Novecento, si dovevano "sanare le cloache dei corrotti". E qualcuno se ne è accorto.

Così, ben presto i giornali sono stati abbandonati in massa dai propri lettori sia per la loro scarsa credibilità sia per la perduta indipendenza e autorevolezza.
Quante migliaia di copie (oltre al primato di vendite nazionale) ha perso a Milano il Corrierone giocando liberamente (e cinicamente) sull'erosione della fiducia dei cittadini nei confronti dei partiti e delle istituzioni?

Perché, si sono chiesti gli affezionati lettori del quotidiano popolar-borghese, alzarsi la mattina e comprare la copia per poi vedersi iscritti d'ufficio - politico o impiegato comunale che sia, senza distinzione di classe -, in una delle tante spregevoli Caste compilate di notte in via Solferino?

LUCA DI MONTEZEMOLO MARIO CALABRESI E DAVID THORNE ALLA MESSA PER AGNELLI FOTO ANSA Berlusconi e Mario Monti cda dcf bfcde f ea c

Alla fine, i quotidiani si sono fatti nemici pure la Casta degli edicolanti. Stanchi di vendere un prodotto (taroccato) che non tira più e rende solo qualche spicciolo di euro. E hanno minacciato di non smerciarlo più in futuro. Anche questa scelta, però, non è quel "libero mercato" beatificato ogni dì in prima pagina dagli editorialisti à la carte! O no?
Un'editoria "marcia", che si mangia pure quel che resta degli utili di bilancio ed è sempre più impantanata nei debiti che rischiano di mettere a repentaglio la sopravvivenza delle loro aziende.

EDOARDO BARALDI MONTI E BERLUSCONI CANE GATTO TIGRE

E che fanno nel mentre le nostre penne genuflesse in attesa del calcio in culo padronale?
Invece di rialzare la testa (in redazione) insorgono se in piazza San Giovanni a Roma Beppe Grillo li tiene lontani dal palco. Facendo così finta di non aver subito in passato, tra le tante altre, l'umiliazione di pubblicare (o mandare in onda) le interviste realizzate ad Arcore dal Cavalier Berlusconi e i suoi cari.

GRILLO E CASALEGGIO

O di aver fatto da "trombettiere" agli "ordini di servizio" che arrivavano dal Colle più alto.
Per non dire delle cronache finanziarie (e giudiziarie) riguardanti i Poteri marci.
"Un giornalista di economia descrive sempre una fabbrica di automobili come fosse sua proprietà privata", osservava tanti anni fa Hans Magnus Enzensberger. Ignorando così che alla Fiat o alla Mercedes oltre ai grassi azionisti partecipano qualche migliaio tra lavoratori e impiegati.

Già, i giornaloni dei Poteri marci.
Per non sbagliare, ancora una volta avevano puntato le proprie carte (truccate) sul premier uscente, l'ineffabile professor Mario Monti. Dando ascolto più al portafoglio dei propri azionisti (di riferimento) che ai dolori di maldipancia che provenivano dai tartassati dall'Imu; dalla nuova ondata di povertà e disoccupazione; dagli Sos disperati lanciati pure dai professionisti e dai piccoli (e grandi) imprenditori.

DALEMA - OCCHETTO - BERSANI - LA GIOIOSA MACCHINA DA GUERRA napolitano mario calabresi elkann

Tutti, invece, insieme appassionatamente. Nel tentativo disperato (e ottuso) di preservare gli interessi dell'unica Casta davvero indistruttibile e intoccabile nei secoli: la loro. E solo per servilismo sciocco, quella dei propri editori (impuri). Che al momento di contro cambiare li mette brutalmente in pensione anzitempo.

Dal "Corriere della Sera" di Flebuccio de Bortoli alla "Repubblica" di Ezio Mauro, dalla "Stampa" di Mariopio Calabresi al "Sole24Ore" di Roberto Napoletano, il nuovo Messia da incensare "a prescindere" (Totò) era quel Rigor Mortis che andava con il cappello in mano a Bruxelles a prendere ordini e direttive dagli altri leader europei.

MONTI-MAURO-

Il novello Scilipoti della Bocconi. Alla pari del grottesco onorevole traslocato dal giorno alla notte da Di Pietro a Berlusconi, anche Rigor Mortis farà il salto della quaglia per mutarsi d'incanto da "tecnico puro" in candidato-premier di un centrino (biancofiore) senza speranze e senza futuro. Il Messia super partes che in nome dei sacrifici (altrui) della spending review (altrui) e dello spread (altrui) porterà il debito pubblico a livelli mai raggiunti sotto gli occhi chiusi dei media. Un record.

MARIO MONTI E FABIO FAZIO MONTI-MAURO-SCALFARI

Un professore bocciato agli esami di governo che, per dirla ancora con Hans Magnus Enzensberg, può fregiarsi meritatamente del titolo del vero "perdente" di successo.
Un "perdente" di successo insomma, convinto ciecamente della propria superiorità e superbia cui per oltre un anno i media hanno garantito un bonus aggiuntivo di popolarità. Non immaginando che grazie all'incenso profuso la sua autodistruzione nelle urne fosse visibile al mondo intero. E al tempo stesso assicurandosi anche loro in questa tormentata competizione elettorale il titolo ad honorem di perdenti (impenitenti).

 

 

 

IL PD FINALMENTE SCOPRE L’ACQUA CALDA PER BOCCA DI PISAPIA: “BERLUSCONI È STATO SOTTOVALUTATO”

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Da "Corriere.it"

«Avevo il sorriso fino a mezzora fa, ora mi è scomparso. Sono dati che rendono impossibile formare un governo stabile, che faccia riforme». Così Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, ospite della diretta elettorale di Corriere Tv moderata da Daniele Manca, vicedirettore del Corriere della Sera, e da Massimo Rebotti, commenta i dati delle proiezioni, che vedono il centrodestra avanti di oltre un punto al Senato rispetto al centrosinistra.

GIULIANO PISAPIA

«Questi risultati sono preoccupanti per il Paese» ha affermato il sindaco di Milano. Per quanto riguarda la campagna elettorale del centrosinistra, Pisapia ammette che ci può essere una stata «una sottovalutazione degli avversari, in particolare di Berlusconi». Pisapia si dice invece moderatamente ottimista sui risultati delle regionali in Lombardia, dove si assiste a un testa a testa tra Umberto Ambrosoli e Roberto Maroni, ma i risultati definitivi si conosceranno solo martedì.

SILVIO BERLUSCONI E DIETRO LA SCRITTA TASSE jpeg

«EREDE DI FANFANI» - Soddisfazione invece nel quartier generale del Pdl a Roma, dove l'inviato del Corriere.it Alfio Sciacca ha intervistato l'ex ministro Gianfranco Rotondi, candidato in Campania, secondo cui il merito va a Berlusconi: «Fanfani veniva chiamato "il rieccolo": Berlusconi è il suo erede». Rotondi esprime un apprezzamento anche verso il Movimento 5 Stelle: «Grillo ha fatto sì che tante persone andassero a votare, Il suo movimento ha conquistato una dignità».

SILVIO BERLUSCONI

CIVATI - Altro ospite della diretta è stato Pippo Civati, membro della Direzione nazionale del Pd e candidato alla segreteria del partito, che sceglie la cautela: «Il finale di partita si vedrà con i dati del Senato in Lombardia e quelli delle Regionali, sempre in Lombardia». E sul testa a testa tra Ambrosoli e Maroni alla guida del Pirellone: «Il paradosso è Bossi in Parlamento e Maroni che rischia di perdere le elezioni» dice Civati.

UMBERTO AMBROSOLI

GOVERNABILITÀ - «La governabilità è possibile». Così Emanuele Fiano, deputato e responsabile Sicurezza del Pd, aveva commentato i primi dati di queste elezioni, che davano il partito di Bersani avanti di 6-8 punti al Senato, poi superati dalle proiezioni. Dal quartier generale romano del Partito Democratico l'inviato di Corriere.it Nino Luca ha testato gli umori dei candidati. «I punti più in dubbio sono quelli del Senato in Lombardia e Sicilia e la guida della regione Lombardia», ha detto Fiano, aggiungendo che Bersani, anche nel caso (ormai difficile) di maggioranza assoluta alla Camera e al Senato, avvierà un colloquio con le formazioni europeiste e democratiche presenti in Parlamento.

«POSSIBILE SORPRESA» - Dalla sede del Pdl parla Donato Bruno, presidente della Commissione Affari costituzionali di Montecitorio e candidato al Senato in Puglia: «Un mese fa non potevamo pensare al risultato che oggi ci viene detto, lo sforzo di Berlusconi è di tutta evidenza. Penso che al Senato potrebbe esserci una sorpresa a favore del Pdl, me lo auguro» dice Bruno.

Roberto Maroni

Cosa che in effetti pare stia avvenendo. E sul Movimento 5 Stelle: «Credevo che Grillo avesse un risultato più favorevole, soprattutto alla luce di quanto è accaduto nelle ultime settimane». Il candidato del Pdl sottolinea anche il dato dell'astensione (affluenza in calo di circa 6 punti rispetto al 2008), dovuta secondo lui, anche al cattivo tempo.

pippo-civati

SCELTA CIVICA - Dalla sede di Scelta Civica, l'inviato Antonio Castaldo ha intervistato Lelio Alfonso, portavoce del partito che sostiene Mario Monti, che secondo i primi dati avrebbe riportato un risultato "negativo" (sotto il 10%, come previsto da Berlusconi) e non sarebbe riuscito nell'intento di "rompere" il bipolarismo. «Aspettiamo numeri più definitivi» ha detto il portavoce, facendo intendere di avere ancora speranze di raggiungere il 10%.

 


GRILLINI CHE SALTELLANO (DI GIOIA!) - ALLE 16 E 10 LA PROIEZIONE DEL TRIONFO: 25,1%, M5S PRIMO AL SENATO…

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Marta Serafini per Corriere.it

Sono le 16.10 quando arrivano le proiezioni per il Senato, il M5S è il primo partito con il 25.1%. E la rete esplode. Su Twitter e su Facebook. E' un grido che gli attivisti del movimento hanno trattenuto per un'ora. «Ci prendiamo Roma», scrive qualcuno. Ma l'incertezza è grande. Alle 15.03, i primi dati degli instant poll davano il Movimento Cinque Stelle tra il 16 e il 19% Durante la diretta sul sito di Beppe Grillo, i sostenitori invitano alla calma, «aspettiamo, i metodi con cui vengono condotti gli instant poll non sono certo ortodossi».

BEPPE GRILLO VOTA

Su Twitter e su Facebook i grillini esultano a ondate. Tanti anche quelli che non vedono bene una vittoria del M5s. «Se vince Grillo scappo all'estero». Sulla chat del sito di Grillo è atteso un suo intervento. Poi compare un post «L'onestà andrà di moda» è il titolo, firmato da marcello p, un piccolo imprenditore. Mentre lui, il comico, il leader, colui che ha riempito le piazze con lo Tsunami Tour, per il momento tace.

Beppe Grillo

DALLA SICILIA A ROMA
A parlare a La7 è invece Giancarlo Cancelleri, portavoce del Movimento di Grillo in Sicilia: «Il Movimento 5 Stelle a livello nazionale si muoverà come in Sicilia: dirà sì alle proposte positive per i cittadini e boccerà le negative». E ancora: «Crocetta e il centrosinistra in Sicilia hanno vinto e sono il punto di riferimento - afferma -, noi non facciamo opposizione per partito preso. Valutiamo le proposte nel merito e nella loro qualità e se vanno nella direzione del bene per i cittadini hanno i nostri voti, altrimenti votiamo contro e denunciamo quello che avviene».

Poi Cancelleri accredita il M5s come primo partito in Sicilia. «Dai primi dati che ci arrivano viene confermato che il M5S è il primo movimento politico dell'isola e abbiamo rafforzato ancora». Certo si tratta di «dati frammentati che ci arrivano da blog e radio e non sono attendibili al 100 per cento, ma noi abbiamo lavorato per quello».

Giancarlo Cancelleri Beppe Grillo logo cinque stelle

IL COMITATO A ROMA
«Sono contentissimo perché stiamo respirando di nuovo la democrazia in Italia». Ad affermarlo è Alessandro Di Battista, candidato alla Camera del Movimento 5 Stelle, al comitato elettorale situato in un albergo a pochi metri da Piazza San Giovanni dove Beppe Grillo venerdì ha concluso la campagna elettorale. Nel comitato elettorale si respira ottimismo e si guarda al futuro.

«In questo momento -sottolinea Domenico Falconieri, candidato al Senato per M5S- stiamo vivendo un momento fantastico. Si respira una voglia di cambiamento, di rinnovamento. Io parlo di rinascimento per il Paese». Ora, rileva, «entreremo nelle istituzioni, con tutti i cittadini, e inizieremo a lavorare mantenendo tutti gli impresi presi: rendere trasparenti le istituzioni e fare una legge sul conflitto di interesse».

 

PARTY SLAVES - COME NELLA MIGLIORE TRADIZIONE COLONIALE, I MIDDLETON SCHIAVIZZANO I BAMBINI MESSICANI

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Enrico Franceschini per "la Repubblica"

KATE MIDDLETON CON LA PANCETTA

Finora erano stati accusati di sfruttare le immagini della famiglia reale per vendere gli accessori per party e feste di compleanno con cui sono diventati milionari, un peccato veniale, in fondo, tenuto conto che la loro figlia ha sposato il principe William e un giorno diventerà regina. Ma adesso l'azienda di vettovaglie online dei genitori di Kate Middleton è coinvolta in uno scandalo eticamente più grave: lo sfruttamento di lavoro minorile, pagato con salari da schiavi, nei ghetti dei Paesi in via di sviluppo.

kate carole michael middleton

Un quotidiano inglese ha infatti scoperto a Tijuana, la città del Messico al confine con gli Stati Uniti nota per il traffico di droga, un laboratorio in cui perfino una bambina di cinque anni viene impiegata insieme al fratello più grande e alla madre per fabbricare "pinatas", le tipiche pignatte piene di dolciumi del folklore messicano da spaccare in mille pezzi per impossessarsi del contenuto, che poi vengono vendute a ditte in Occidente che le rivendono a prezzo ben più alto.

E tra queste c'è anche Party Pieces, la società fondata dai coniugi Middleton, a cui contribuisce anche Pippa, la sorella minore di Kate, con la quale la famiglia della principessa ha guadagnato una fortuna oggi stimata in 30 milioni di sterline (34 milioni di euro).

I PRODOTTI PER I PARTY DEI MIDDLETON

Sul sito dell'azienda di Michael e Carol Middleton compaiono più di 40 pignatte del tipo manufatto a Tijuana da Monica Villegas e sua figlia Stephanie, una bambina che non va ancora nemmeno a scuola: il prodotto viene confezionato nella cucina di casa, lavorando sette giorni alla settimana, dieci ore al giorno, per una paga equivalente ad appena 10 pence all'ora (pari a circa 12 centesimi di euro), un salario ben al di sotto degli standard minimi.

PIPPA MIDDLETON PROMUOVE I PRODOTTI DI FAMIGLIA

Le più popolari, nel catalogo di Party Pieces, si chiamano "Little Prince" (di colore blu, per i maschietti) e "Little Princess" (rosa, per le femmine), forse un altro modo per ricordare il legame della famiglia con i Windsor: il prezzo è di 12 sterline e 99 pence ciascuna, più o meno 15 euro.

Il Daily Mail, autore dello scoop, pubblica anche le foto di Monica e dei suoi figli nella cucina trasformata in bottega, piena zeppa materiali e scatole per la spedizione in Occidente. «Non siamo altro che schiavi», afferma la donna, informata dal giornale di Londra della cifra a cui viene venduto il risultato del suo lavoro. Messo al corrente della cosa, un portavoce di Party Pieces replica: «Prenderemo queste rivelazioni molto seriamente e collaboreremo con i nostri fornitori per indagare su simili accuse».

 

MONTE DEI PASCHI D’ITALIA? - IL RIMBORSO DEI MONTI BOND LEGATO A IPOTESI OTTIMISTICHE…

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Alessandro Penati per "la Repubblica"

monte-paschi

Sembrerebbe che il problema di Mps sia solo quello di accertare le responsabilità per i disastri del passato. La Banca avrebbe già voltato pagina. E' guidata da un vertice capace, con un presidente e amministratore delegato che di fatto agiscono da commissari, in quanto l'azionista di maggioranza Fondazione è praticamente esautorato; tutte le perdite sui derivati sono state fatte emergere e adeguatamente contabilizzate;

L'iceberg della Monte dei Paschi di Siena

lo Stato ha messo in sicurezza i ratio patrimoniali coi Monti bond; il vertice ha varato un piano triennale che dovrebbe riportare livelli di redditività accettabili, permettere di raccogliere capitali sul mercato, e quindi rimborsare i Monti bond nel 2016. A quel punto il salvataggio non sarà costato nulla al contribuente, e la Fondazione, grazie all'aumento di valore della partecipazione nella banca, sopravviverà, seppur ridimensionata. E vissero felici e contenti.

MPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA

Di problemi, però, ne rimangono. Anche se il programma triennale raggiungesse l'obiettivo stimato di 700 milioni di utili in tre anni, Mps riuscirebbe a pagare gli interessi sui Monti bond, ma non a rimborsarli alla fine del 2015. Avrebbe comunque difficoltà a rimborsarli, e rispettare al tempo stesso i coefficienti di Basilea III, se pure raccogliesse 1 miliardo sul mercato, come annunciato. In più, il piano si poggia su ipotesi ottimistiche.

Si ipotizza che le perdite sul portafoglio di titoli (ben 25 miliardi che la banca non intende smobilitare), si stabilizzino grazie alla discesa dello spread a 200 punti, il livello che Banca d'Italia ritiene coerente coi fondamentali (ma la realtà può essere peggiore); che tutte le perdite sui derivati siano veramente emerse, e che i 2,4 miliardi di strumenti immobilizzati a bilancio nel 2008 recuperino il loro valore.

ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA

Si ipotizza inoltre che la banca riesca a spingere i ricavi soprattutto grazie al collocamento di polizze assicurative, aumentando così le commissioni per dipendente (ma non si fanno i conti col crollo del risparmio degli italiani). Si prevede una riduzione del rischio delle attività attraverso una contrazione dei prestiti, che a sua volta ridurrebbe le sofferenze; sperando però che il tasso di insolvenza non peggiori con la recessione.

In un periodo di instabilità politica come questo, nel mezzo di una recessione, e alle prese con una grave crisi del debito pubblico, conviene a tutti rimandare il problema al 2016 e credere nel lieto fine: i Monti bond pagheranno la cedola, verranno rimborsati e Mps non costerà nulla al contribuente.

La verità è che anche nello scenario roseo del piano, si porrà il problema dello Stato azionista in Mps fra tre anni. A maggior ragione se le ipotesi del piano sono ottimistiche Di fatto lo Stato è già azionista, anche se giuridicamente il suo è un credito. Senza i bond, la banca avrebbe una patrimonializzazione insufficiente a operare: quindi i bond sono capitale a tutti gli effetti.

I Monti bond coprono il rischio imprenditoriale della ristrutturazione (garantiscono il funzionamento della banca nel caso il piano non abbia successo) che è la funzione del capitale azionario. E se fossero veramente debito, con quella cedola astronomica, la banca l'avrebbe facilmente collocato sul mercato. Ma non lo ha fatto perché nessuno crede che possa rimborsarlo; quindi è rischioso come il capitale. In questo modo però lo Stato paga un sussidio alla Fondazione e agli obbligazionisti di Mps: si accolla il rischio se le cose vanno male, ma lascia alla Fondazione tutti i benefici se vanno bene; e garantisce che non ci saranno sacrifici per gli obbligazionisti, che pure ricevono un interesse elevato per un rischio che non sopportano.

Nessun dubbio sulla professionalità di Viola e Profumo: ma a quale azionista rispondono? Visto che lo Stato si sta accollando il rischio della ristrutturazione, come un'azionista, sarebbe più efficiente e trasparente se convertisse subito i suoi bond in capitale. Non per gestire la banca, ma per assicurarsi che la ristrutturazione avvenga sempre nel suo interesse; ovvero che si massimizzi il valore delle azioni, per poi ricollocarle il prima possibile sul mercato. Invece di sfogliare la margherita fino al 2016.

 

TWEET PARADE: ELEZIONI - MONTI RESTERÀ ALLA STORIA PER AVER FATTO FUORI FINI E CASINI?

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Dago-selection di tweet elettorali

ROBERTO SAVIANO

Roberto Saviano
Per ora prevale la certezza: Berlusconi è stato sconfitto. E voglio godermela per un po'.

Francesco de Marco ‏@Francesco_cipi
#elezioni2013:Ingroia in Guatemala, Di Pietro in Molise da Tecnocasa, Fini a Montecarlo, Casini usciere al Messaggero!Fuga dei cervelli!

paolo madron ‏@paolomadron
#elezioni2013 Chissà se #Ingroia avrà conservato un biglietto per il Guatemala

Alessandro Da Rold ‏@ARoldering
Monti resterà alla storia per aver fatto fuori Fini e Casini? #elezioni2013 #meriti

bechis

VigapediaTM ‏@MarcoVigano65
Tracce di carne di cavallo negli exit-poll #elezioni2013

Martin Bishop ‏@_MartinBishop_
Tra poco, tutti i politici ci comunicheranno di aver vinto.

MONTI CASINI E FINI

ErPucce ‏@ErPucce
Ora Rete4: Forum, Canale5: Uomini e Donne, Italia1:Lupin III..praticamente la vita di Silvio divisa x categorie. #elezioni2013

Mariastella Gelmini ‏@msgelmini
Grazie Presidente Berlusconi comunque finisca gli italiani premiano il suo coraggio Orgogliosi del nostro Presidente!

Stefano Feltri ‏@StefanoFeltri
#Monti può ancora salvare il #Pase: finché è premier chieda di sottoporre l'Italia al programma #OMT. Meglio far governare #Draghi

Gad Lerner ‏@gadlernertweet
Ricevuto da un amico: nel segreto della cabina Bersani non ti vede, l'Imu invece si'

BERSANI, BERLUSCONI, MONTI, AL VOTO

Laura Ravetto ‏@lauraravetto
Be? Nessun sinistro che ride piu' di tanto ora eh? Dov'e' la vs usuale spavalderia nello scrivermi? :)

Mario Adinolfi ‏@marioadinolfi
Se non vi è chiaro: Grillo ha preso tre milioni di voti dal Pd. Io sono tra questi. Perché Bersani è un vecchio conservatore. Oggi rottamato

Luca Sofri ‏@lucasofri
Ragazzi, il PD non poteva scegliere Renzi di forza. Renzi ha perso, le primarie. Questa sconfitta è di Bersani, dei suoi e dei suoi elettori

FULVIO ABBATE

Luca Telese ‏@lucatelese
#elezioni con questi numeri Celentano sul Colle con i voti di Grillo e Berlusconi?

Roberto Formigoni ‏@r_formigoni
Già nel 2008 e poi nel 2011 avevo consigliato di cancellare la professione di sondaggista. Rinnovo l'umile suggerimento...

Fulvio Abbate ‏@fulvioabbate
Berlusconi sconfigge il #Pd: Nanni Moretti si dimette da se stesso #elezionipolitiche2013

Claudio Cerasa ‏@claudiocerasa
(Nel caso, comunque, vi ricordo che il candidato premier del centrodestra è Angelino Alfano) #elezioni2013

Luca Sofri ‏@lucasofri
Ragazzi, il PD non poteva scegliere Renzi di forza. Renzi ha perso, le primarie. Questa sconfitta è di Bersani, dei suoi e dei suoi elettori

Sora Cesira ‏@SoraCesira
Pare che al senato #Giannino sia ingegnere. #Elezioni2013

Michele Dalai ‏@micheledalai
@christianrocca @matteorenzi non siamo mica qui a vincere le elezioni

Christian Rocca ‏@christianrocca
Finisse così, ma non credo, Berlusconi merita di diventare Papa.

Christian Rocca ‏@christianrocca
Overbooking sui voli per il Guatemala. #24elezioni

Franco Bechis ‏@FrancoBechis
Altra certezza: dovrebbero cambiare mestiere tutti i sondaggisti meno Alessandra Ghisleri. Erano tutti sbagliati i sondaggi

Arnaldo Greco ‏@Arnaldogreco
E adesso proiettateci tutti

 

“PERCHÉ LEGGERE IL LIBRO QUANDO PUOI AVERE TUTTO NELLA COPERTINA?” - È MORTA TERESKA TORRES, LA DONNA DEL LESBO-PULP

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Anna Lagorio per "Il Sole 24 Ore"

TERESKA TORRES jpeg

Lo scorso settembre è scomparsa Tereska Torres. Aveva 92 anni ed era considerata la madre del romanzo popolare di tematica lesbica. Il «New York Times» le ha dedicato un lungo articolo, riaccendendo i riflettori su questo fenomeno letterario.

Ma andiamo con ordine: la storia inizia nel 1949, quando la casa editrice Fawcett di New York lancia una nuova collana. Si chiama «Gold Medal Books» ed è un omaggio alle vecchie riviste pulp. Il catalogo propone storie di mostri, supereroi, gangster e detective. Gli americani si innamorano di questi romanzi economici, ricchi di scazzottate e colpi di scena. In men che non si dica, i libri iniziano a circolare nei drugstore, nelle edicole e nelle stazioni degli autobus da una parte all'altra degli Stati Uniti.

Incoraggiata dai risultati, l'anno successivo Fawcett decide di fare un passo ulteriore e pubblica Women's Barracks appunto di Tereska Torres. Sa di avere fra le mani un tema scottante (il romanzo racconta le vicende erotico-sentimentali di un gruppo di soldatesse durante la Seconda guerra mondiale), ma è pronta a rischiare.

TERESKA TORRES jpeg

E i risultati le danno ragione: in pochi mesi, il libro vende quattro milioni di copie e apre la strada a un genere nuovo, il pulp lesbico. Il comitato nazionale per la pornografia lo mette all'indice come esempio di degenerazione morale, ma questo non fa che accrescerne la popolarità (in Italia uscirà nel 1954 per le edizioni Ape. con il titolo Caserme di donne). Fra il 1950 e il 1965, arrivano sul mercato centinaia di titoli: la Fawcett ingaggia una squadra di scrittori, uomini e donne, e la mette al lavoro sotto pseudonimi femminili (una mossa di marketing necessaria per conferire una garanzia di autenticità al racconto).

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Nascoste sotto nomi qualunque, ci sono anche personalità come Theodora Keogh (nipote del presidente Theodore Roosevelt), Patricia Highsmith, Marion Zimmer Bradley. I romanzi affrontano apertamente tabù e segreti borghesi: il linguaggio è esplicito e descrive con dovizia di particolari triangoli amorosi, orge e sadomasochismo.

Per sfuggire alla censura (siamo negli anni 50, in pieno maccartismo), le case editrici invitano gli scrittori a utilizzare una voce narrante per dare vita a dei veri e propri "inserti morali".

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L'obiettivo è di prendere le distanze da questo stile di vita e sottolinearne la depravazione. L'escamotage funziona e offre la possibilità di indugiare su scene altrimenti impensabili. L'unico happy end consentito è quello di riparazione eterosessuale. Chi percorre un'altra strada è destinato a una fine tragica, come la follia o il suicidio. Ma sono le copertine - veri e propri gioielli di grafica e illustrazione - a sancire il successo del genere e attirare l'attenzione dei collezionisti.

TERESKA TORRES jpeg

Gli illustratori mettono in scena mondi di carne e profumi, pantofole e lingerie di seta. Spesso in primo piano ci sono due donne (il riferimento iconografico va alle commedie di Billy Wilder, ma in chiave saffica) mentre sullo sfondo è raffigurato un uomo impegnato a guardare da dietro una porta, una finestra o dal buco della serratura.

La rappresentazione del voyeurismo maschile diventa ben presto un cliché. In questo modo, infatti, il lettore si sente legittimato a comprare il libro e spiare le avventure delle protagoniste. Ma, a completare questo dispositivo del piacere, ci pensano titoli come
Adam and Two Eves, Games of Sin, Nylon Jungle, Strange Sisters.

IL LIBRO DI TERESKA TORRES jpeg

Oggi questi testi sono oggetto di analisi per antropologi, sociologi e studiosi di teorie di genere, e le collezioni più pregevoli si trovano presso la Beinecke Library dell'Università di Yale e la Duke University.

Ma il collezionismo privato è in fermento, come dimostrano le quotazioni di un classico come Satan Was a Lesbian, in vendita su Abebooks con quotazioni che oscillano fra i 350 e i 500 dollari, a seconda dello stato di conservazione. Per dirla con le parole di Ryan Richardson, collezionista di Austin, Texas, «perché leggere il libro quando puoi avere tutto nella copertina?».

 

COSTA CROCE - IL NAUFRAGIO CONTINUA: IL PROCESSO PER L’INCIDENTE DELLA CONCORDIA RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN MASSACRO

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Da "Il Fatto Quotidiano.it"

Un milione di euro. A tanto ammonta la cifra che Costa crociere rischia di pagare al termine del processo sul naufragio della Concordia avvenuto il 13 gennaio 2012 al largo dell'isola del Giglio. Una tragedia costata la vita a trenta persone. Ora la compagnia navale ha deciso di patteggiare davanti al tribunale di Grosseto. Gravissime le accuse: illecito amministrativo dipendente dai reati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime, aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche.

L INSTALLAZIONE CONCORDIA CONCORDIA DI HIRSCHHORN turismo concordia ansa

Sempre oggi, la procura di Grosseto ha chiesto al gup Pietro Molino il rinvio a giudizio per il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio, abbandono di nave. Chiesto il processo anche per due ufficiali in plancia, il timoniere, l'hotel director e Roberto Ferrarini. Al termine dell'udienza preliminare i giudici hanno definito "smisurate le responsabilità di Schettino e la impressionante serie di errori commessi in tutte le fasi della vicenda, a partire dalla manovra scellerata e fino alla criminale gestione dell'emergenza, conclusasi con l'abbandono della nave e delle persone, inermi e terrorizzate a bordo".

Oltre a Schettino viene chiesto il processo, sotto vari profili di reato, per gli ufficiali in plancia Ciro Ambrosio e Silvia Coronica, per il timoniere Jacob Rusli Bin, per l'hotel director Manrico Giampedroni e per il capo dell'unità di crisi di Costa Crociere Roberto Ferrarini. Schettino deve anche rispondere dei reati di abbandono di persone incapaci e mancata collaborazione con l'autorità marittima. Con lui rispondono: di naufragio colposo, Ciro Ambrosio, Jacob Rusli Bin e Silvia Coronica; di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime gli stessi Coronica, Rusli Bin, Ambrosio (tutti in plancia con lui al momento dell'urto con gli scogli del Giglio) più Giampedroni e Ferrarini; di mancata collaborazione con l'autorità marittima, Ambrosio e Ferrarini.

Roberto FerrariniSCHETTINO

Sempre la procura di Grosseto ieri ha dato notizia che avviserà le parti offese del naufragio della Costa Concordia con un video su YouTube informando di aver chiesto l'archiviazione al gip per alcuni ufficiali a bordo. Chiesto anche di archiviare a Schettino l'accusa di distruzione dell'habitat naturale.

 

LA VITA DEL VATE D’ANNUNZIO NEL TEMPIO DELL’ARTE, FRA LUSSO, SESSO E POESIA - LE INFINITE CONQUISTE DI D’ANNUNZIO

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Giuseppe Scaraffia per "Il Sole 24 Ore"

«D'Annunzio è stato presentato come un pazzo, come un istrione, come un nemico della patria, come un seminatore di guerra civile, come un nemico di ogni legge umana e civile», scriveva Antonio Gramsci nel 1921.

Gabriele D'ANNUNZIO

In quegli anni torbidi, molti, da destra e da sinistra, si rivolgevano a lui alla ricerca di una guida in grado di salvare l'Italia. Ancora nel 1923, Ernest Hemingway s'illudeva: «In Italia sorgerà una nuova opposizione e sarà guidata da quel rodomonte vecchio e calvo, forse un po' matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso, che è Gabriele d'Annunzio».

Fu una delusione. Il Vate si era limitato a rifiutarsi di ricevere Gramsci o i gerarchi fascisti, «demagoghi che credono di aderire alla realtà e non aderiscono se non alla loro camicia sordida». Si era divertito a flirtare con l'inviato dei Soviet, Cicerin, o a umiliare Mussolini, in visita al Vittoriale. «Secondo te - gli aveva chiesto - qual è l'equivalente italiano della parola bidet?».

dannunzio brooksR

Poi aveva elencato al demagogo imbarazzato una serie di possibili versioni italiane, da "bidetto" o "bagnarola", consultandolo continuamente, prima del l'affondo finale, quando aveva chiesto a Benito come lo chiamavano in Romagna e l'altro, arrossendo, era stato costretto a rispondere che da loro il bidet non c'era.

Troppo assorbito dai suoi piaceri, il Vate si oppose sempre a «quel pagliaccio feroce» di Hitler, ma non si impegnò mai. Stava componendo il suo capolavoro a Gardone. Il Vittoriale è veramente un «libro di pietre vive», sfondo minuziosamente costruito «dell'uomo eccezionale che non seppe e non volle essere comune neanche nelle minime, solitamente ordinarie e prosaiche, necessità dell'esistenza» scrive l'esperto Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale in un libro rigoroso e appassionato, basato su nuove testimonianze.

mussolini dannunzio

Ben più di Wilde, D'Annunzio aveva messo il suo ingegno nelle sue opere e il suo genio nella vita. Nel mondo del Vate un ninnolo era più importante di un proclama urgente. «L'espressione è il mio unico modo di vivere. Esprimermi, esprimere è vivere».

Nel fastoso arredamento del Vittoriale, il valore degli oggetti non dipende dal prezzo o dalla rarità, ma dal loro ruolo nella coreografia del padrone di casa. Ognuno degli oggetti, dai vetri iridescenti di Murano ai calchi dei capolavori, è equidistante, al di là del suo valore dall'ego che l'ha scelto per il proprio esclusivo piacere. Nell'horror vacui che domina il Vittoriale, persino l'aeroplano del volo di Vienna si tramuta in bibelot.

mussolini dannunzio01

La maestosa tartaruga che troneggia nella sontuosa sala da pranzo detta della Cheli, tartaruga in greco, gli era stata donata dalla marchesa Casati ed era morta, si diceva, per un'indigestione di tuberose. Ma quel guscio, completato dalla scultura in bronzo di Renato Brozzi, oggi replicata in piccolo da Buccellati, era anche una citazione della tartaruga incastonata di pietre preziose della bibbia del decadentismo, À rebours di Joris-Karl Huysmans. Del resto già allora Buccellati aveva creato la tartarughina d'oro, regalata dal Vate al leggendario pilota da corsa Tazio Nuvolari, «all'uomo più veloce, l'animale più lento».

ANTONIO GRAMSCI

D'Annunzio non era bello, ma come resistere a quello che Duncan definiva «un amante così grande da trasformare la donna più ordinaria e darle per un momento l'apparenza di un essere celeste?» Per colui che si definiva «un animale di lusso» era sempre pronto uno sfarzoso guardaroba: duecento camicie di seta da giorno, quasi cinquanta cappelli, circa duecento paia di scarpe e di stivali, almeno trecento paia di calzini, una cinquantina di pigiami di seta e altrettante vestaglie a saio, come quelle di Balzac.

Chi, come le sue amanti, entrava in quel teatro decadente doveva assumere i panni adatti alla scena. Per quelle deliziose comparse erano previsti abiti provocantemente evanescenti, disegnati dal Vate, che le tramutavano in falene dorate, pronte a bruciarsi devotamente le ali alla sua fiamma. Solo la sinuosa, fatale pittrice Tamara de Lempicka riuscì a sgusciare dalle braccia del celebre satiro.

hitler

Al primo incontro il Vate la coprì di doni, ma lei accettò solo delle calze di seta. D'Annunzio si proponeva di non precipitare le cose, anche perché non voleva farsi sfuggire l'occasione di farsi fare un ritratto. Seguirono dieci giorni di schermaglie e concessioni parziali. Il poeta gustava «i suoi baci profondi, il modo in cui si faceva baciare sotto le ascelle».

Ma, dopo averlo coperto di impronte rosse di rossetto, l'artista lo respinse con la scusa di temere la sifilide. Malgrado la pioggia di regali, Tamara rimaneva sfuggente. Prima si protestava casta, poi ammetteva il contrario. Quando il poeta disorientato aveva tentato l'ultima carta, spogliandosi davanti a lei, si era voltata disgustata. «Lei non è altro che una perfetta cocotte e non una signora» aveva replicato l'altro, esasperato indignato.

TAZIO NUVOLARI

Era sempre lui a stancarsi delle donne più belle e ardenti. Come nel caso, racconta Guerri, dell'incantevole Consuelo, futura moglie di Saint-Exupéry, «una giovane barbara che co' suoi balzi di lupa cerviera mette in continuo pericolo le mie cose preziose che amo tanto». In realtà il seduttore voleva rimanere non solo protagonista, ma anche regista della sua vita. Amava i rapporti a tre, ma non sopportava che Consuelo corteggiasse sfacciatamente le sue donne, arrivando a mordere le labbra della devota Aelis, indispensabile amante, cameriera e ruffiana.

Gabriele aveva l'abitudine di cambiare loro perfino il nome e a volte il cognome come nel caso della bellissima attrice abruzzese da lui ribattezzata Elena Sangro, dal nome del principale fiume della regione. Per lei Gabriele scrisse i suoi ultimi versi - «Elena, il tuo madore è una rugiada / stillante sopra uno stillante miele» - salvo poi accusarla di praticare «sempre gli stessi inginocchiamenti» e di essere solo avida di denaro.

Machiavelli

La sola di cui parlava con un riguardo pieno di meraviglia era «l'unica donna che mi ha sbalordito», la marchesa Casati. Luisa si concesse a D'Annunzio, ma non ne fu mai succube, piuttosto una collega nell'arte di affascinare la propria epoca.

La «piccola amica dorata» era la pittrice, la scultrice e la commediografa di se stessa, nell'intento di abbagliare i contemporanei che, da Boldini a Van Dongen, da Bakst a Man Ray, da Cocteau e Beaton si inchinavano a quell'opera d'arte capace di usare un boa come una sciarpa o di stare nuda in giardino, replicando severamente ai detrattori: «La verità è nuda!»

Con lei Gabriele condivideva il gusto della "mattonella di Persia", come chiamava la cocaina che illuminava i loro incontri. Il seduttore non si separava mai dalla scatolina d'oro «dove brilla la polvere» bianca che esaltava la sua sensualità regalandogli l'illusione di un'effimera gioventù. A settantanni, «dopo ventiquattrore di orgia possente e perversa», dormiva come un bambino e, dopo uno spuntino e un «bicchierino di menta Get», fumava soddisfatto una delle sue sigarette Abdulla n.11.

pec 02 DUSE Eleonora

D'Annunzio esigeva che i corpi fossero avvolti di profumi. «I profumi rischiarano l'orgia come in antico la rischiaravano le fiaccole». Munificamente omaggiato da Coty, il celebre fabbricante di profumi, se ne faceva preparare espressamente su sua indicazione. Agli eletti il Vate mostrava, estraendola da un cofano scolpito, la sua collezione di essenze, dall'olio di rose di Lucrezia Borgia alla boccetta di profumo di Machiavelli. Eppure l'Aqua Nuntia, da lui inventata su ricette del Quattrocento, chiusa in flaconi medievaleggianti, sigillati con ceralacca, fu un fallimento commerciale.

Matilde Serao Eleonora Duse PAolo Tosti e Adolfo De Bosis Roma Dal PIacere alla Dolce Vita Mondadori

L'algida Ida Rubinstein rimase totalmente soggiogata dall'artista che, volendo quel corpo emaciato ed androgino per il suo San Sebastiano, si era avventato su di lei dopo uno spettacolo. «Con la solita temerarietà, vedendo da vicino le meravigliose gambe nude, mi getto a terra e bacio i piedi, salgo su pel fasolo alle ginocchia, e su per la coscia fino all'inguine, con il labbro abile e fuggevole dell'aulete che scorre sul doppio flauto. Alzo gli occhi, vedo il volto di Cleopatra, sotto la grande capigliatura azzurra, chino verso di me con una bocca abbagliante».

Vittoriale Italia

Ma fu pronto a tradirla, non solo nella vita, cosa che a Ida non importava, ma anche sul palcoscenico. Come fece del resto con l'amatissima e traditissima Eleonora Duse, cui aveva a volte preferito la più celebre Sarah Bernhardt, malgrado avesse rifiutato le sue avances. Quattro anni prima che D'Annunzio morisse, Enrichetta, la figlia della Duse, venne a trovarlo. Era una delle rare donne che cedevano a un invito e non alla vanità di incontrarsi con quella celebrità. Il poeta voleva vederla perché una sera aveva incontrato lo spettro dell'attrice e ne era rimasto profondamente turbato.

Enrichetta traversò quella fuga di stanze che «a Lucifero sarebbe piaciuto avere sulla terra» dietro la duplice protezione di un messale e di una bottiglia di acqua benedetta. Bigotta, ma concreta, vedendo «la camera dell'apparizione» pensò subito che, con la vista precaria dell'unico occhio rimasto al poeta, «certe luci avessero dato vita a forme spettrali». Poi, con la sua abitudine a compiacere gli ospiti, D'Annunzio la portò nella camera «spoglia e imbiancata a calce» dove scriveva. Lì, tra due rose, c'erano due fotografie, quella della madre di Gabriele e quella della Duse.

 


GRILLOLOGY - ESTRATTI DEL LIBRO CON DARIO FO E CASALEGGIO: “MONTI SERVE SOLO A FAR INCASSARE FRANCIA E GERMANIA”

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A cura di Giorgio Dell'Arti per http://cinquantamila.corriere.it

Appunti dal libro "Il grillo canta sempre al tramonto", conversazione tra Dario Fo, Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo - Chiarelettere, € 13,90

COPERTINA DEL LIBRO IL GRILLO CANTA SEMPRE AL TRAMONTO

EURO

«Beppe Grillo - La Polonia non ha l'euro e non rischia nessun default. La Grecia, la Spagna, il Portogallo, l'Italia con l'euro invece sì. Se l'anno scorso l'Italia di Berlusconi fosse fallita, con un debito di 1900 miliardi, di cui metà circa (almeno 900 miliardi) in mani straniere, allora Germania e Francia, le nostre maggiori creditrici, sarebbero fallite insieme a noi, portandosi dietro tutta l'Europa. Così ecco arrivare Monti, praticamente un curatore fallimentare, che ha il compito di far recuperare a quelle nazioni almeno una parte dei soldi impegnati in Italia, con la garanzia di costruire sette centrali nucleari, privatizzare l'acqua, l'elettricità, i rifiuti, di spossessarci della nostra sovranità. Se io posseggo il tuo debito, tu diventi mio schiavo, ti posso dettare le mie condizioni.

BEPPE GRILLO VOTA

«Poi arriva Fukushima, il nucleare non si fa più, il referendum sull'acqua non permette l'avvio della privatizzazione verso la multinazionale francese Veolia, e così la Francia, con un'esposizione di circa 400 miliardi di Bot e Cct ormai deprezzati del 30-40 per cento, consente, d'accordo con la Germania, che Mario Draghi eroghi prestiti alle banche europee all'inizio del 2012 per almeno 1000 miliardi, finanziati ovviamente dai governi europei.

«Centinaia di miliardi arrivano così dalla Bce alle nostre banche con un interesse dell'uno per cento, le banche li usano solo per comprare titoli di nuova emissione e ricomprare i titoli dalle banche tedesche e francesi in modo da fermare o ridurre la speculazione sull'Italia. Non un euro viene più prestato alle imprese che sono in asfissia di liquidità. La sola cosa importante per la Francia e la Germania è non perdere quanto investito, gli italiani in pratica si stanno dissanguando per ricomprare il loro debito.

grillo beppe

«Quando Francia e Germania avranno ripreso la maggior parte del credito maturato (in poco più di un anno hanno già recuperato il 35 per cento del totale), si disinteresseranno di noi e non ci sarà più la minaccia dello spread. Intanto diventeremo sempre più poveri e meno competitivi.

«Dario Fo - Questa è la ragione per cui Monti è molto rispettato all'estero.

«BG - Certo, perché dà fiducia ai nostri creditori. Quando si è insediato ha affermato che il nostro problema è l'enorme debito pubblico, con lui è arrivato a 2000 miliardi, in un anno ha accumulato altri 100 miliardi di debito su cui pagheremo nuovi interessi, belin. Possiamo fare tutte le manovre del mondo, ma non abbiamo speranza se non riduciamo il debito e congeliamo gli interessi. Nel 2013 pagheremo circa 90 miliardi di interessi sul debito, le nostre tasse vanno a finire nelle banche. E ogni anno sarà peggio, è una spirale che non si può arrestare con le logiche attuali di aumento della fiscalità»

GRILLO E CASALEGGIO

TIPPING POINT

«DF - Tu dici che non ci sarà un moto, cioè che non ci sarà un'esplosione?

«Gianroberto Casaleggio - Sì, ci sarà quando finiranno i soldi per pagare chi dipende dallo Stato, allora comincerà l'assalto ai forni. Penso a disordini sociali e forse alla stessa messa in discussione dell'Unità d'Italia. Prima si cambierà il sistema, prima i responsabili si faranno da parte, più possibilità ci saranno per contenere lo sfascio e ripartire con un paese unito. Comunque è possibile che ci aspetti un tipping point, un punto di non ritorno dagli esiti imprevedibili».

GIANROBERTO CASALEGGIO

MACERIE

«GC - Il cambiamento di sistema condiziona il voto. Nel '48 vinse la Democrazia cristiana non per il programma, ma perché votarla significava scegliere un campo preciso.
«BG - Belin, ma allora c'era un paese in macerie! Noi abbiamo macerie ammassate in gran numero ma invisibili, che sono peggiori di quelle della guerra».

CINA

«BG - Il sistema capitalista è imploso, ha vinto il comunismo cinese, che è una sorta di capitalismo rivisitato in chiave centralista. È pazzesca questa cosa. L'unico capitalismo che gode di buona salute è quello dei cinesi».

TELECOM

dario fo

«GC - Telecom ha svenduto tutta l'informatica. Quando Telecom fu venduta a debito da D'Alema...

«DF - Dio non perdoni per l'imbecillità che ha fatto!

«GC - Telecom Italia nel 1999, con la sua cessione a debito, si è fermata, ha avuto un infarto dal quale non si è più ripresa. Se vendi un'azienda e lo fai indebitandola per circa 35 miliardi di euro, l'azienda non potrà più fare investimenti, ma dovrà solo pensare a ripagare il debito, gli interessi sul debito. Il valore azionario di Telecom Italia nel 1999 era molto più alto della spagnola Telefónica, l'avrebbe potuta comprare.

Oggi è vero l'opposto e Telefónica è azionista di Telecom. La cosa straordinaria è che nessuno sembra essere responsabile di quanto accaduto, di una distruzione di risorse da far impallidire le leggende su Attila. Se una ragazza ruba una maglietta all'Oviesse finisce in carcere (è successo), se viene viceversa distrutta un'azienda con decine di migliaia di dipendenti, informatici, ingegneri, progettisti, non si rischia nulla».

BOSCIMANI

MARIO DRAGHI

«GC - La vita non è lavorare 40 ore alla settimana in un ufficio per 45 anni. È disumano. Stavano meglio gli irochesi e i boscimani che dovevano lavorare un'ora al giorno per nutrirsi».

METÀ

«BG - Se produci metà materia con metà energia hai bisogno anche di metà lavoro».

Logo "Telecom"

PAPA

«GC - Non deve essere un caso che non esista un papa che si sia fatto chiamare Francesco».

CASSA INTEGRAZIONE

«BG - Bisogna cassintegrare le persone, non le automobili».

 

SI APRE IL PROCESSO DEL SECOLO PER LA MAREA NERA: SUL BANCO DEGLI IMPUTATI C’È LA MULTINAZIONALE BP

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Federico Rampini per "la Repubblica"

È già stato definito "il processo ambientalista del secolo". Si apre oggi a New Orleans la causa contro la Bp per la marea nera nel Golfo del Messico. È una battaglia che può valere 16 miliardi di dollari: l'ultima "offerta" messa sul tavolo dall'Amministrazione Obama per un patteggiamento. È materia per un romanzo alla John Grisham o per un film-denuncia stile "Erin Brockovich".

british petroleum Logo

Perfino i mass media americani, allenati a seguire maxi-processi ad alto contenuto spettacolare, sembrano presi dalle vertigini di fronte a questo: 300 super-avvocati mobilitati solo dall'accusa, cioè il Department of Justice di Obama, che ha letteralmente "costruito" l'equivalente di una nuova Law Firm, un maxistudio legale, solo per questo processo. «Il più grande circo legale della terra», lo definisce il Washington Postelencando statistiche da capogiro: 400 minuti di deposizioni iniziali, migliaia di pagine di trascrizioni dei testi a carico.

Sul fronte opposto, la Bp per la propria difesa ha messo insieme quattro fra i più potenti studi legali del pianeta, nomi della stazza di Kirkland & Ellis che sono a loro volta delle multinazionali: 3 milioni di profitto netto annuo per ciascuno degli avvocati-partner. Fatto salvo un colpo di scena dell'ultima ora, cioè un patteggiamento nottetempo o nelle prime ore dell'alba (pareva improbabile fino a ieri: Bp considera la richiesta di 16 miliardi «molto più alta di qualunque cifra mai discussa») oggi i riflettori saranno puntati sul giudice Carl Barbier, che gestirà il processo senza giuria popolare: così vuole il diritto marittimo che sarà applicato in questo caso.

obama-BP

Al centro c'è la tragedia del 20 aprile 2010: quel giorno un'esplosione distrusse la piattaforma Deepwater Horizon per l'esplorazione petrolifera del giacimento sottomarino chiamato "pozzo di Macondo". Undici morti tra i tecnici che lavoravano sulla piattaforma, milioni di barili di petrolio greggio sparsi nel Golfo del Messico, danni immensi alla fauna marina, alle spiagge, all'economia degli Stati come Louisiana e Alabama (pesca, turismo). Tutti gli esperti concordano sull'eccezionalità di questo processo.

«Non ha eguali nella storia dei disastri ambientali - ha dichiarato David Uhlmann, giurista esperto di leggi sull'ambiente alla University of Michigan - perché il Dipartimento di Giustizia non ha mai dovuto portare in tribunale un caso di queste dimensioni, con un impatto così enorme: dalla tragedia umana alle perdite economiche ai danni per l'ecosistema». La Bp ha già speso risorse considerevoli per indennizzi alle parti lese e operazioni di pulizia, restauro delle zone costiere, ma è solo l'inizio di quel che l'aspetta.

PETROLIO NORVEGIA

La strategia legale adottata dalla multinazionale petrolifera britannica è chiara: vuole scaricare buona parte delle responsabilità dell'incidente sui due partner più piccoli. Cioè la Transocean, che era proprietaria della piattaforma off-shore, e la Halliburton specializzata nei servizi di esplorazione dei giacimenti (Halliburton è un nome noto al grande pubblico perché ai suoi vertici ebbe Dick Cheney, vicepresidente con George W. Bush).

Il Dipartimento di Giustizia ha tutto l'interesse a dimostrare la colpa di Bp perché quest'ultima ha le "spalle larghe" dal punto di vista finanziario, che consentono di colpirla con multe e indennizzi record. La normativa più importante che verrà applicata dal giudice Barbier, è il Clean Water Act, una legislazione pionieristica in materia di tutela delle acque. Ai sensi di questa legge la battaglia tra gli avvocati dell'accusa e della difesa si concentrerà su una "sottigliezza".

L'onda nera di petrolio è arrivata in Lousiana

Si tratta di decidere se la Bp prima della tragedia si rese colpevole di "negligenza" o di "negligenza aggravata" per avere trascurato importanti precauzioni e controlli di sicurezza. Quel semplice aggettivo, "aggravata", può valere una fortuna. Il Clean Water Act impone multe fino a 1.100 dollari per ogni barile di greggio versato, in caso di negligenza semplice. La multa balza invece fino a 4.300 dollari se la negligenza è " aggravata" ("gross" è l'aggettivo inglese usato nel testo della legge, che può tradursi anche in grossolano, madornale).

Sempre secondo il giurista Uhlmann, questo processo potrà considerarsi una vittoria storica per l'Amministrazione Obama, se il giudice assegnerà una multa civile dai 10 miliardi di dollari in su. Inoltre, «comunque vada il bottino del governo, la Bp sarà costretta a pagare i risarcimenti civili più alti della storia». Sul fronte dell'accusa ci sono le class-action che rappresentano migliaia di parti lese: cittadini delle aree colpite, soprattutto piccoli imprenditori della pesca, piscicoltura e turismo. A rappresentarli c'è un altro personaggio da film di Hollywood.

È il leggendario Jim Roy, divenuto celebre per avere vinto una cifra record (43 milioni) di risarcimento per un suo cliente che aveva subito una doppia amputazione per un incidente. Altra figura mitica schierata nella class-action delle vittime è Bobo Cunningham, protagonista di una vittoria da 11,9 miliardi di dollari in un processo dello Stato dell'Alabama contro Exxon.

 

NEL SUO ROMANZONE, PANSA SPIEGA CHE IL PRODIGIO DI REP. è FINITO ANNIENTATO DALLA FILOSOFIA DEL GIORNALE-PARTITO…

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DAGOREPORT


1. NEL LIBRO DI PANSA, SCALFARI DOMINA OGNI PAGINA, E SOPRATTUTTO IL CUORE DELL'AUTORE

Protagonista fin dal titolo del nuovo libro di Giampaolo Pansa, "La Repubblica di Barbapapà", Eugenio Scalfari domina ogni pagina e soprattutto il cuore dell'autore.

GIAMPAOLO PANSA LA REPUBBLICA DI BARBAPAPA

Come tra padri e figli, la differenza d'età non conta e non contano nemmeno gli anni di lontananza: da parecchio tempo, rivela, si sono "persi di vista". E così Pansa, che ha 77 anni, conserva per Scalfari, che sta per compierne 89, lo stesso affetto, entusiasta e devoto, che lo sovrastava quando ne avevano 30 di meno.

Anche nelle pagine in cui non compare, nella storia della vita professionale di Pansa prima del suo ingresso a Repubblica, Scalfari è presente, in una specie di annunciazione continua.

giampaolo pansa - copyright Pizzi

Pansa ha avuto grandi direttori, come Giulio De Benedetti e Alberto Ronchey alla "Stampa", come Piero Ottone e Franco Di Bella al "Corriere della Sera" o Claudio Rinaldi a "Panorama" e all' "Espresso", dove ha lavorato anche con Giovanni Valentini (curiosamente non nomina il suo attuale direttore, Maurizio Belpietro, a "Libero", come fosse una variabile accidentale della sua vita professionale). Ma Scalfari, e non serve certo Pansa a scoprirlo, è un'altra cosa.

Scalfari è il "Costruttore", quello che ha fatto, "con il suo gemello Caracciolo", "Repubblica" dal nulla. E l'ha fatta grande: "Un'impresa titanica".

"La sorte gli ha permesso di conservare il carattere che ha sempre messo in mostra. Un primo della classe geniale, testardo, autoritario, con un'autostima enorme, convinto di avere sempre ragione al punto di non sopportare chi si azzarda a mettere in dubbio la sua assoluta perspicacia. E quando commette un errore, e sbaglia una previsione, come è accaduto in più di un caso, rimuove tutto senza spiegare nulla.

giampaolo pansa - copyright Pizzi

La stessa marmorea noncuranza mostra nel piegare i fatti, e la loro memoria, a vantaggio di se stesso. Sino al punto di alterare la verità. Gli capita di farlo spesso, confidando sulla smemoratezza di chi lo ascolta pontificare in tv con lentezza regale o legge il suo vangelo domenicale su Repubblica".

Però, avverte Pansa, "quel prodigio oggi è finito" e lo annuncia fin dal primo capitolo, a pagina 11.

cisnetto enrico-giampaolo angelucci alessandro pansa - copyright Pizzi


"Però quel prodigio oggi è finito, annientato dalla filosofia del giornale-caserma che pervade la "Repubblica" di questi ultimi anni. Diventata una fortezza inchiodata a un pensiero unico. Dove non vengono ammessi dubbi, dissensi, deviazioni. Le opinioni pubblicate sono tutte uguali e dettate ai lettori senza mai essere messe in discussione. Un errore al quale Scalfari non soltanto non si è opposto, ma che ha contribuito a provocare.

Il risultato è una falange compatta e guerrigliera: il giornale-partito. Questa accusa viene rivolta da anni a "Repubblica". Accadeva già con la direzione di Scalfari e accade oggi sotto la regia di Mauro. Di questa etichetta a Eugenio non è mai importato nulla. Anzi l'ha rivendicata in un editoriale dell'agosto 2007 nel quale spiegava che le grandi testate sono tali proprio perché sposano una causa politica. Era accaduto così anche nei primi anni del Novecento con il "Corriere della Sera" di Luigi Albertini.

La domanda è se nella temperie attuale, dove nessuno è più certo di nulla, un giornale-partito sia utile al pubblico al quale si rivolge e, più in generale, alla società italiana. Se osserviamo la crisi profonda che investe anche "Repubblica", la risposta è no. Ma questo è un problema del direttore di oggi e dell'editore. Non di Scalfari.

GIAMPAOLO PANSA SECONDO ETTORE VIOLA

Barbapapà non si pone questo interrogativo. E non si macera nell'incertezza quando deve spiegare chi siano i lettori di "Repubblica". Per lui sono una comunità di militanti, cresciuta lottando contro i nemici che, via via, Scalfari indicava: per primo Bettino Craxi e infine Silvio Berlusconi".

giampaolo pansa 001


Il libro è una storia di Repubblica, ma anche di un pezzo di giornalismo italiano, senza pretese di cura maniacale del dettaglio o di organicità, è il racconto del principe dei cronisti italiani, dove la vicenda personale di Pansa si intreccia con quella del giornale, del giornalismo e anche dell'Italia contemporanea. Ma sempre da testimone oculare: ove non ha visto con i suoi occhi o sentito con le sue orecchie non riporta, e forse per questo la tormentata vicenda della vendita a Rizzoli da parte dei tre soci del Corriere, Crespi, Agnelli, Moratti, è piuttosto sintetica.

Il racconto è fatto da un cronista che riesce a uscire dal particolare dei singoli episodi e ricucendoli ne trae un grande affresco. Qui forse è la differenza tra Pansa, che è di Casale Monferrato, e Mauro, che è di Dronero (Cuneo). Mauro non ha fatto il salto da grande cronista a storico, ma è diventato direttore e questo è il cruccio latente che serpeggia nel libro.

C'è poi un terzo grande del giornalismo italiano, Giorgio Bocca, di Cuneo, e questo passo dà un'idea dello spirito piemontese che domina.

ca21 giampaolo pansa


"Un giorno Bocca mi disse, con il suo stile ruvido: "Pansa, non capisci un cazzo. Scalfari e De Mita sono due terroni, pronti a darsi un a mano!". Gli replicai: "Giorgio, tu dei cuneese e io monferrino, eppure non andiamo d'accordo quasi su niente!". Lui alzò le spalle: "Noi piemontesi siamo diversi dai meridionali. La nostra specialità è litigare sempre".


Scalfari no, lui non è piemontese, anche se ha sposato una piemontese, Simonetta, figlia di Giulio De Benedetti, però, dal punto di vista professionale, è le due cose assieme: grande scrittore e grande direttore. E anche grande stratega editoriale.

Ci fu qualcosa di messianico nel primo incontro di Pansa con Scalfari:

Giampaolo Pansa


«Non verresti a lavorare con me a "Repubblica"?» mi domandò Eugenio Scalfari.
La mia risposta fu senza esitazioni: «Ti ringrazio per l'invito, ma devo dirti di no».
«Perché no?» chiese ancora Eugenio.
Questa seconda domanda mi creò un po' d'imbarazzo. Avrei dovuto ribattergli con una spiegazione che non avevo voglia di offrire. E mi nascosi dicendo: «Ho un patto di lealtà con Piero Ottone. Gli ho promesso che resterò con lui al "Corriere della Sera". Me ne andrò soltanto quando Piero si dimetterà».
Era il 2 giugno 1975".

"Mi trovavo di fronte al padreterno di via Po, la storica sede dell'"Espresso" a Roma. Scalfari aveva 51 anni, undici più di me. E mi fece un'impressione eccellente, per usare un aggettivo che per Eugenio riassumeva il massimo del giudizio positivo. Ieratico, fervido, sicuro di sé, assolutamente tranquillo nella riuscita dell'impresa che stava progettando.

antonio galdo Giampaolo pansa cisnetto - copyright Pizzi

Chissà perché, mi obbligò a pensare a un nuovo Cristoforo Colombo impegnato ad arruolare l'equipaggio per una caravella, anziché per tre. Purtroppo a non convincermi era proprio lui, il capitano di un altro viaggio verso l'ignoto.

C'erano troppi lati di Scalfari che suscitavano la mia diffidenza. Nel 1968 il Partito socialista, portandolo a Montecitorio, lo aveva salvato dai guai giudiziari legati all'inchiesta dell'"Espresso" sul presunto tentativo di colpo di Stato del Sifar, il servizio segreto delle forze armate. Per un caso voluto dalla sorte, quella era stata la prima legislatura di un altro deputato socialista che in seguito sarebbe diventato il bersaglio di una violenta guerra politica di Scalfari: Bettino Craxi.

Eugenio Scalfari

Bettino aveva dieci anni meno di Eugenio. E i due, eletti entrambi nella circoscrizione Milano-Pavia, non erano fatti per andare d'accordo. Nella minuziosa biografia di Massimo Pini dedicata al leader socialista e pubblicata da Mondadori, si legge un giudizio asprigno di Craxi sullo Scalfari conosciuto in campagna elettorale: «Eugenio è un geniaccio con un carattere fragile, instabile. Se oltre ai salotti avesse frequentato anche qualche sezione di partito, se avesse alternato i colloqui con esponenti della finanza a qualche incontro con gli operai, be', direi che non gli avrebbe fatto male»

Da deputato milanese, Scalfari si era gettato tutto a un sinistra, diventando un sostenitore del Movimento studentesco che dopo il Sessantotto dominava la piazza. Le assemblee alla Statale lo vedevano spesso tra i vip che assistevano a quei riti.

C'è una suggestiva fotografia scattata da Massimo Vitali che ritrae Eugenio in un'assemblea nell'aula magna dell'università. E in piedi e sta fumando. Accanto a lui c'è la sua spalla abituale: Giuseppe Turani, detto Peppino, piccoletto e occhialino, giornalista esperto di questioni economiche.

Eugenio Scalfari

La fotografia risale al gennaio 1970, forse scattata nel pomeriggio che vidi Eugenio per la prima volta. Durante un corteo del Movimento che marciava "contro la repressione" messa in atto dal secondo governo del democristiano Mariano Rumor, a danno degli studenti che sognavano la rivoluzione. Era soltanto una mossa di pura propaganda, poiché il pio Rumor non appariva assolutamente in grado di reprimere alcunché.

EZIO MAURO ROBERTO SAVIANO EUGENIO SCALFARI

Eugenio, forse in cerca di popolarità, era tra i vip che guidavano il corteo, mentre io, da inviato a Milano della "Stampa" di Alberto Ronchey, mi ero sistemato sul fronte opposto, quello della polizia. Non impugnavo un manganello, ma soltanto la biro e un taccuino. E mi limitavo a osservare quanto poteva accadere, accucciato alle spalle del vicequestore Luigi Vittoria, un funzionario per niente bellicoso, incaricato di ordinare la carica dopo aver indossato la fascia tricolore".

Di quel primo contatto visivo non rammento quasi nulla. Non ricordo neppure se la carica ci fu. A restarmi impressa fu soltanto la figura di Eugenio. Era bello, aitante, ancora senza barba e si difendeva dal freddo con un magnifico tre quarti di montone".

EUGENIO SCALFARI EZIO MAURO


Un anno dopo ci fu l'incontro con Caracciolo, che non riuscì, al momento, a convincere Pansa, ma si rivelò profeta, sia per Pansa sia per Repubblica:


"Quel giorno d'estate del 1976, Caracciolo mi accolse con calda cordialità, pregandomi di accompagnarlo in una breve passeggiata nei dintorni della villa. Durante la lenta camminata, mi domandò di raccontargli del "Corriere" e di Ottone.
Gli regalai qualche banalità che di certo doveva conoscere meglio di me: le difficoltà finanziarie di Angelo Rizzoli junior, nostro editore da un paio d'anni, il sindacalismo esasperato di una parte della redazione, l'abilità di Ottone nel non lasciarsi imprigionare troppo dai tanti ostacoli che incontrava ogni giorno.

craxi scalfari

Il Principe osservò: «Piero è davvero bravo. L'unico che lo batte è Eugenio. Prima o poi, finiranno con il lavorare assieme».
Poi volle sapere in che modo ero riuscito a strappare a Berlinguer quelle battute sul Patto di Varsavia e sulla Nato. Mentre nell'intervista a Fausto De Luca di "Repubblica" il segretario del Pci non aveva detto nulla di memorabile. Quindi aggiunse: «Eugenio si è incazzato a morte perché Berlinguer ha scelto di parlare schietto al "Corriere" invece che a "Repubblica". E immagina congiure e trame a non finire, ai suoi danni e per avversione al nostro giornale appena nato...».

Mi misi a ridere e risposi: «E inutile che Scalfari, e forse anche tu, cerchiate di catturare le mosche con le chiappe. Non c'è stato alcun complotto e non è intervenuto nessun potere segreto. Avevo appena concluso la mia inchiesta sul Pci. E tanto Ottone che io pensammo che si doveva intervistare il segretario comunista.

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Insieme abbiamo steso le domande e io le ho portate alla governante di Berlinguer, l'occhiuto Tonino Tato. Dopo un giorno, Tato mi ha chiamato: Enrico ha deciso di dare l'intervista al "Corriere". E vuole che sia tu a farla, per rimediare alle balle che hai scritto nei quattro interminabili articoli sul partito... Tutto qui».

Caracciolo osservò: «Me la racconti troppo semplice. E non ti credo!». Alzai le spalle: «È andata esattamente così. Non so che altro dirti. Ma dovresti rammentare che la mia intervista a Berlinguer è uscita qualche giorno prima delle elezioni politiche di questo giugno. Il segretario del Pci aveva bisogno di dire certe cose a un pubblico più vasto di quello del vostro giornale. E ha scelto il "Corriere". Eugenio non perda tempo a incavolarsi!».

scalfari caracciolo

«Già, parliamo dei lettori di "Repubblica"» mi propose Caracciolo. «Oggi sono ancora pochi, ma presto cresceranno. Se è questo il motivo che un anno fa ti ha spinto a rifiutare l'invito di Eugenio, hai sbagliato...»

Interruppi Caracciolo: «Ho detto di no per altre ragioni» e mi decisi a spiegargli per bene l'insieme di dubbi e dissensi che mi avevano fermato. Lui mi lasciò parlare a lungo, poi si limitò a osservare: «Hai ragione, quel manifesto contro Calabresi è stata una vera carognata. Ti rammento che, a differenza di Eugenio, io mi sono ben guardato dal firmarlo. Ma non potevo né volevo bloccare l'iniziativa dell'"Espresso". Ho sempre pensato che gli editori non debbono mai sovrapporsi ai direttori. O li lasciano fare oppure li cacciano su due piedi».

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Comunque, il Principe se ne infischiava dei miei fastidi nei riguardi di Scalfari, della Cederna e dell'"Espresso". Adesso gli premeva soltanto "Repubblica". Mi disse: «Un giornalista come te deve lavorare con Eugenio. Lascia perdere i quotidiani dove sei stato fino a oggi. Loro appartengono al passato, mentre noi siamo il futuro. Ma per affermarci abbiamo bisogno di gente con una buona esperienza professionale. Tu fai al caso nostro. Il tuo lavoro da inviato verrà riconosciuto senza avarizia. E avrai un compenso più alto di quello che ti passano Rizzoli e Ottone.

«Noi siamo il giornale giusto per te» continuò Caracciolo. «Dopo le prime fatali difficoltà, "Repubblica" si assesterà e diventerà sempre più forte. Per tanti motivi, ma soprattutto per due. Ha un direttore unico in Italia, il più bravo in assoluto: Eugenio. E un editore fortunato: io. Forse tu non lo sai, ma la fortuna mi è stata sempre amica. Con i giornali e con le donne.»

debenedetti, caracciolo, ciarrapico

Gli replicai ridendo: «Mia nonna Caterina avrebbe detto: fortuna in amore, disgrazia negli affari. O viceversa».
Caracciolo alzò le spalle: «Tua nonna si sbagliava. I mia storia personale la smentisce. Dammi retta: vieni con noi a "Repubblica". Diventerà il primo giornale italiano. E tu farai un'esperienza unica. Persino litigare con Eugenio risulterà appassionante».

Un simpatico figlio di buona donna, il Principe. E un padrone che sapeva essere molto convincente. Infatti, l'anno successivo mi arruolai nella banda di Scalfari. Ma prima mi ero trovato immerso in altre faccende professionali. Il prologo necessario al mio arrivo in quel giornale rifiutato per due volte".

La storia di Repubblica si sviluppa per più di 300 pagine, con la tecnica del grande racconto, inclusi flash back e deviazioni laterali. Vi entrano personaggi che appartengono al presente, come Ezio Mauro, e al passato dell'editoria italiana: l'incontro con Ferdinando Perrone, comproprietario del "Messaggero", che annuncia a Pansa la vendita della propria quota a Edilio Rusconi (alla fine comprerà tutto la Montedison e poi Caltagirone); i due colloqui con Berlusconi, il primo una reprimenda il secondo una offerta di lavoro.

EUGENIO SCALFARI E CARLO DE BENEDETTI

Poi l'assassinio di Walter Tobagi e la scoperta che per un puro caso non era toccato proprio a lui, Pansa, di finire sotto il piombo di un gruppetto di ragazzi di buona famiglia della sinistra intellettuale milanese, col pentimento già in tasca; Montanelli, al quale non perdona di essere diventato "un eroe per la sinistra che lo aveva sempre odiato" per essersi messo contro Berlusconi.

EUGENIO SCALFARI CARLO DE BENEDETTI

Una pagina è dedicata a Marco Benedetto, che all'epoca del ritorno di Pansa a "Repubblica" dopo dieci anni come condirettore dell' "Espresso", era amministratore delegato del Gruppo editoriale.

Scalfari domina il racconto: i suoi rapporti con Craxi, senza particolari rivelazioni, con Pertini, con De Mita, con i comunisti.

Dal racconto del rapporto di Repubblica con De Mita manca un pezzo importante, che forse sfuggì a Pansa nella concitazione della guerra di Segrate. Furono De Mita e i suoi della sinistra democristiana a forzare la mano a Andreotti, imponendo la legge Mammì sui rapporti tra tv e giornali che, per quanto edulcorata negli anni tra Corte costituzionale e nuove leggi, ancora è baluardo all'invasione di Berlusconi nel mondo dei giornali.

SILVIO BERLUSCONI CARLO DE BENEDETTI

Per ottenere questo si dimisero da ministro vari esponenti democristiani, cosa che per un politico è dolorosa assai. E uno di loro, Sergio Mattarella, finì sulla lista nera di Berlusconi al punto che, quasi vent'anni dopo, mise il veto alla sua nomina a vice presidente del Csm, tanto gli bruciava ancora.

Sui rapporti con i comunisti ci sono molte, avvincenti, pagine sul complesso atteggiamento del Pci e delle sue mutazioni nei confronti di "Repubblica" all'epoca di Scalfari, prima della mutazione in giornale fiancheggiatore. Ma la pagina più divertente, a proposito dei comunisti, non riguarda Scalfari, ma Berlusconi: è il racconto che Pansa fa, come testimone oculare, della visita del segretario del Pci, Enrico Berlinguer, a Canale 5, host Silvio Berlusconi:

La storia di "Repubblica" è completa, non manca la vicenda nota come a Guerra di Segrate, iniziata nell'aprile dell'89 con la vendita dell'Espresso, che includeva mezza Repubblica alla Mondadori in cui dominava Carlo De Benedetti e conclusasi due anni dopo, con la divisione fra la Mondadori dominata da Berlusconi e il grande Espresso dominato da De Benedetti, in cui era rifluita Repubblica, ma tutta intera.

CARLO DE BENEDETTI ANNI NOVANTA

La cronaca di questi due anni è avvincente, fedele. Qualcuno più addentro può rilevare qualche lacuna, dovuta al ruolo di Pansa in quei momenti, che era di puro testimone. Ma il ritmo c'è e si legge come fossero cose di ieri.

Qualcuno si poteva aspettare da Pansa qualche domanda di più, ma sono dettagli di un grande affresco. Pansa accetta la verità ufficiale: Caracciolo, Scalfari e i loro amici vendono alla Mondadori il controllo dell'Espresso, che, come detto, ha in pancia il 50% di Repubblica.

CARLO DE BENEDETTI CON LA MOGLIE

La Mondadori sembra destinata a finire sotto il controllo di De Benedetti, che ha firmato un patto d'acciaio (solo la corruzione per cui ci sono stati processi e condanne poteva come avvenne, fonderlo) con Cristina Mondadori vedova Formenton. Improvvisamente Berlusconi spariglia e si impadronisce di tutto e solo il colpo di genio di Caracciolo (più qualche colpo di giustizia giusta al Tribunale di Milano) salva la situazione mettendo in mezzo Peppino Ciarrapico e Andreotti.

Andreotti, come spiega lui stesso a Pansa, non vede di buon occhio tutto quel ben di Dio giornalistico in mano a uno, De Benedetti, che già si comporta come un fiancheggiatore dei comunisti, ma non può nemmeno vedere con gioia la stessa concentrazione di un avversario che lui odia almeno altrettanto, Bettino Craxi, Di qui la spartizione, forzata sulla testa di Berlusconi con la minaccia di togliergli le concessioni tv.

Nessuno ha mai ricordato abbastanza la condizione di illegalità in cui ha operato Berlusconi in tutti questi anni, nel silenzio decennale della Corte costituzionale, zitta sempre fino a quando il male è stato sanato infine dalla Legge Gasparri e soprattutto dal completamento del digitale terrestre.

 

MARGHERITA AGNELLI HA RAGIONE: UNA PARTE DEL PATRIMONIO DI SUO PADRE FU NASCOSTA ALL’ESTERO…

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Gigi Moncalvo per "Libero"

Un punto sta emergendo dopo quel che ha scritto la Procura di Milano: Margherita Agnelli non ha tutti i torti quando sostiene che è stata nascosta all'estero una parte del patrimonio di suo padre. Ma questo apre altri interrogativi. Chi ha le chiavi di questa cassaforte segreta? John Elkann lo sa, ne è informato, ci crede? L'Impero sembra vacillare. C'è qualche illusoria speranza che i lupi siano sazi? Dopo ciò che hanno scritto due PM milanesi, c'è anche un giudice a Torino (oltre al pm Giancarlo Avenati Bassi e a Roberto Pallini e la sua Corte che ha condannato due "intoccabili" come Gabetti e Grande Stevens)?

GIANNI AGNELLI

Ora le "convinzioni" dei giudici del Tribunale Civile subalpino sia di primo grado (Brunella Rosso in Pizzetti) che di appello (Angelo Converso, Rita Garibaldi, Patrizia Dolcino), che non riconobbero le ragioni di Margherita Agnelli sulla richiesta di rendiconto del patrimonio del padre, stanno vacillando? Jaky Elkann sta cominciando a capire chi è il vero "padrone" della Fiat?

Il dottor Befera e l'Agenzia delle Entrate, che fanno? I magistrati Eugenio Fusco e Gaetano Ruta, hanno scritto che esistono «molteplici indizi che portano a ritenere come verosimile l'esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti ». Notare l'aggettivo "immenso".

GIANNI AGNELLI NEGLI ANNI SESSANTA

Fusco e Ruta parlano anche della «disponibilità della famiglia Agnelli di schermi attraverso cui detenere beni celandone provenienza e titolarità». Citano un conto segreto da un miliardo di euro dell'Avvocato in Svizzera, come rivelato da Paolo Revelli, ex responsabile della gestione grandi patrimoni di Morgan Stanley: "Ho sempre saputo che presso la filiale di Zurigo esisteva una provvista direttamente riferibile a Giovanni Agnelli per una cifra compresa tra gli 800 milioni e il miliardo, fiduciariamente intestata e detenuta attraverso molteplici conti da Siegfried Maron". Ha aggiunto: "Adolf Brunder, funzionario della banca, nel 2004 era stato licenziato per aver inviato a Maron un fax con cui gli assicurava che avrebbe tenuta nascosta agli eredi Agnelli l'esistenza dei conti".

GIANNI AGNELLI IN TRIBUNA

I "PROTETTORI"
Siegfrid Maron è il capo del "family office" di Agnelli, il nucleo che gestiva il suo patrimonio personale. Insieme con una persona di stretta fiducia di Gabetti, Ursula Schulte. E col vero "cervello": Hans Rudolph Steiger. Maron, subito dopo la morte dell'Avvocato, consegnò alla figlia del defunto - considerandola titolata a conoscere i documenti - un documento in cui si attestava l'esisteva di "Alkyone Foundation" a Vaduz, la principale cassaforte estera personale di Agnelli. Maron venne rampognato e gli fu imposto il silenzio. Senza quel foglio Margherita non avrebbe saputo nulla di "Alkyione" né scoperto che la fiduciaria aveva tra i "protettori" proprio Gabetti, Grande Stevens e Maron.

margherita agnelli

I primi due hanno detto di "non saperne nulla", nonostante la loro firma autografa. "Alkyone" faceva riferimento a "Prokurations Anstalt" e "First Advisory Group", che conducono a Herbert Batliner, classe 1928, il "re" delle fiduciarie del Liechtenstein, "gentiluomo di Sua Santità" (la più alta onorificenza vaticano per i laici). Aveva finanziato il restauro dell'organo della Cappella Sistina (con tanto di cerimonia alla presenza di Giovanni Paolo II) e poi del Duomo di Ratisbona, davanti a Benedetto XVI.
Il Santo Padre ricevette Batliner nonostante il "gentiluomo" fosse colpito da ordine di cattura della Procura di Bochum con l'accusa di aver favorito l'evasione fiscale di contribuenti tedeschi per 250 milioni di euro. Grazie alla "moral suasion" del Cardinal Bertone presso la Cancelliera tedesca, Batliner ottenne un "salvacondotto" di poche ore per recarsi a Ratisbona. Batliner, insieme all'avvocato ginevrino René Merckt, classe 1933, è una costante nei rapporti con Agnelli, Gabetti e Grande Stevens.

MARGHERITA AGNELLI

Un impiegato del suo studio a Vaduz, dopo aver scaricato dai computer tutta la banca dati dei clienti gestiti da Batliner, ha fornito alle autorità tedesche, per quattro milioni di euro, le prove per scoprire ingenti evasioni fiscali. Quei quattro milioni ne hanno subito fruttato 900. I governi di altri paesi hanno sdegnosamente rifiutato di acquistare quel CD. Il che certo favorirebbe il compito di Befera.

PRIMA DI TANGENTOPOLI
In questo CD esistono - secondo Marc Hurner, l'esperto analista finanziario che per conto di Margherita Agnelli sta dando la caccia al tesoro dell'Avvocato - anche elementi clamorosi. Pochi mesi prima di Mani Pulite, Agnelli nascose la sua titolarità della "Dicembre", la sua cassaforte personale in Italia che controlla con più del 30% l'Acco - mandita Giovanni Agnelli (la cassaforte degli altri rami famigliari). Forse temendo che magistrati troppo curiosi potessero risalire a lui, intestò la sua quota a due prestanome stranieri: Batliner e Merckt.

JOHN ELKANN ALLA ALLEN CONFERENCE jpeg

In quel luglio 1991 furono create tre società- ombra (Merckt & Co., Julian Stiftung, Lavinium), il capitale fu portato da 99 milioni a due miliardi, vennero firmati dei mandati fiduciari nei confronti dei prestanome. Dall'intreccio di scatole cinesi emergono quattro lettere di mandato (e una di nomina a protectors di Julian Stiftung) che portano le firme di Agnelli, Gabetti, Grande Stevens.

GIANLUIGI GABETTI jpeg

Firmano cinque volte, e ora dicono di "non saperne nulla". C'è un turbinio di clausole assurde sottoscritte da Agnelli (o imposte a lui?), anche a danno dei suoi beneficiari: la moglie Marella e i due figli. E' all'esistenza, struttura e composizione di queste anstalt, stiftung e fondazioni che fa riferimento John Elkann quando asserisce testualmente, così come riferito ai magistrati milanesi dall'avv. Gamna, a proposito delle richieste di Margherita, "non vi daremo mai quelle società e i loro conti perché voi non dovete vedere le operazioni che vi sono passate"?

Marrone Gabetti e Grande Stevens

La Merckt & Co, cioè la società prestanome della "Dicembre" viene estinta alla fine di Tangentopoli e sciolta a ottobre 1997. Marella Sarebbe bene che il dottor Befera leggesse questi capitoli del mio più recente libro ("Agnelli segreti", Vallecchi editore) e in particolare si soffermasse su altre due fondazioni, "Gnu" e "Kalla", che forse non ci sono più ma che nascono a Vaduz dopo che Gabetti ha ospitato a Torino a Villa Sassi per qualche giorno - con tour tra "Il Cambio", le Cantine Ceretto, la Grapperia Levi e la "Contea di Neive" - Herbert Batliner e signora, con altri quattro sudditi del Principato.

Befera in questi anni qualcosa ha fatto: una sanzione di 90 milioni di euro contro Marella Agnelli dato che la signora (anzi il suo commercialista) "dimenticò" di segnare nel Quadro W delle denunce dei redditi 2003 e 2004 del defunto marito, un lungo elenco di asset all'estero che rendevano moltissimo. Donna Marella sta pagando in dodici rate trimestrali.

Gabetti Grande Stevens

E, questa volta consigliata per iscritto dal commercialista Ferrero, si è messa in regola anche con l'intestazione dei suo amati cani huskies e dei domestici - trasferendoli all'ing. Elkann - per evitare che il fisco scopra che la sua residenza in Svizzera è inferiore ai prescritti sei mesi e un giorno. Ciò allo scopo anche di non pagare interessi sul mutuo bancario che la signora ha acceso in Svizzera per la sua villa.

Nel frattempo Gabetti e Grande Stevens si stanno leccando le ferite dopo la grave condanna, per aver consentito con l'equity swap ad alcuni membri della famiglia di portarsi a casa con 184 milioni il controllo di una società che vale 9 miliardi di euro. Grande parla di "onta". Ma non farebbero bene i due, visto che proclamano la loro innocenza e rivendicano le loro "doti morali", a rinunciare alla prescrizione per dimostrare la propria illibatezza manageriale? Come farà Grande a occuparsi della banca vaticana proprio in questo delicato periodo, se è sospeso dalla professione?

 

FASSINA TERROR - “SE LE PROIEZIONI SONO CONFERMATE, SI TORNA ALLE URNE” - E I MEDIA INTERNAZIONALI LO RIPRENDONO

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ELEZIONI: FASSINA, SE PROIEZIONI CONFERMATE RISCHIO URNE
(ANSA) - I dati che emergono dalle proiezioni sul voto sono "preoccupanti", anche se è necessario comunque aspettare. Lo ha detto Stefano Fassina arrivando al comitato elettorale del Pd. Dati che, ha osservato, se confermati renderebbero "difficile formare un governo" e ci sarebbe dunque "il rischio di tornare alle urne. "E' evidente - ha aggiunto - che uno scenario così presenterebbe problemi molto seri per l'Italia".

BERSANI, BERLUSCONI, MONTI, AL VOTOSTEFANO FASSINA jpeg

ITALY CENTER-LEFT OFFICIAL SEES RISK OF RETURN TO POLLS
(Reuters) - Italy will need to return to the polls if early projections from the national election pointing to an inconclusive outcome are confirmed, a top official from the center-left Democratic Party (PD) said on Monday.

"The scenario from the projections we have seen so far suggest there will be no stable government and we would need to return to the polls," PD economics spokesman Stefano Fassina told national television channel RAI.

It was not realistic to imagine a broad coalition between the center-left and the center-right led by Silvio Berlusconi, he said.

berlusconi bersani

According to most projections by several polling agencies the center-right leads in the Senate, including in several key regions, while telephone polls issued immediately after the vote put the center-left ahead in the Chamber of Deputies.

berlusconi-bersani

No projections based on the actual vote count have yet been issued for the Chamber.

(Reporting by Gavin Jones)

 

 

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