Alfonso Signorini per "Chi"
Se la vita incomincia a quarant'anni, Anna Falchi muove adesso i primi passi. Eppure di strada ne ha fatta tanta. Non si è fatta mancare proprio nulla: amori burrascosi, film, spot e programmi tv, fiction. Perfino un Festival di Sanremo e qualche convegno di Confcommercio e di Confindustria a Villa d'Este. Insomma, roba da perderci la testa. Tracciare un bilancio in questa giungla di carta (per anni ha riempito le copertine dei giornali e le prime pagine di autorevoli quotidiani, dal Corriere della sera a Repubblica) non è impresa da nulla, ma ci proviamo.
CH«L'unico vero bilancio è quello che facevo tra me e me qualche giorno fa. Sono già in prepensionamento, con ventidue anni di lavoro sul gobbo. Speriamo che non mi legga la Fornero: non vorrei trovarmi tra gli esodati».
Domanda. Partiamo dalla domanda più stupida. Torneresti indietro?
Risposta. «Ma sei matto? Oddio, gli svantaggi sono sotto gli occhi di tutti. Più diventi grande, più crescono i problemi. Quando incominci, devi cercare di farcela per te stesso; quando cresci, hai responsabilità anche verso gli altri. E poi il tempo che passa si sente fisicamente. Grazie a Dio non ho ancora bisogno di punturine, ma, se faccio tardi, se bevo un bicchiere di troppo, se mangio un fritto a cena, il giorno dopo è Caporetto. In ogni caso, se anche non reggessi più, non me ne potrebbe fregare di meno. Ho già dato. Anche troppo. Ho usato la mia freschezza, la mia esuberanza, per arrivare dove sono arrivata. È tempo di rilassarmi. Da oggi mi prendete così come sono».
D. Dove hai sbagliato in tutti questi anni?
R. «Beh, ho sbagliato su tanti fronti. Sono sempre stata libertina, quello che mi passava per la testa ho fatto. Ho sempre riflettuto poco, non sono mai stata saggia. In amore come nel lavoro. All'inizio ho puntato tutto sul cinema. E ho sbagliato. Non sono proprio portata per fare l'attrice. Anzi, come attrice, per dirla tutta, sono proprio mediocre».
D. Ma te ne sei accorta tardi...
R. «Beh, per forza. Prova a metterti nei miei panni. All'inizio, quando sono esplosa, mi chiamavano dappertutto: pubblicità, tv, ballo, recitazione. Non avevo il tempo per dire di no. Tutti a gridare al miracolo: alla fine ho creduto pure io a 'sto miracolo. In fondo, non capita tutti i giorni di incominciare con uno che si chiama Federico Fellini».
D. Quindi, con Fellini come anfitrione ti sentivi attrice dentro.
R. «Ovvio. Per darti un'idea, ci credevo talmente tanto, che ho rinunciato a un sacco di opportunità televisive, facendo la fortuna dei colleghi che hanno preso il mio posto».
D. Fuori i nomi.
R. «Non ho problemi a farteli. A 24 anni presentavo Luna Park, il preserale su Raiuno al posto di Pippo Baudo, che si era appena trasferito su Canale 5. In realtà era una staffetta, i conduttori cambiavano ogni giorno: c'erano Magalli, la Venier, la Carlucci, Frizzi. Ma io ero l'unica che il lunedì sera disturbava Tira e molla, il fortissimo programma di Bonolis su Canale 5. Forte di quel successo, la Rai mi propose un contratto di due anni. Dissi di no: perché volevo fare l'attrice. E al mio posto presero Carlo Conti, che conduce il preserale ancora adesso. Stessa cosa per Scherzi a parte. Canale 5 me lo propose e io rifiutai per il cinema. Al mio posto ci andò Simona Ventura. Ero sorda a tutte le sirene: io volevo tirar fuori l'Anna Magnani che era in me».
D. Come hai fatto a iniziare con Fellini?
R. «Un regolare provino, senza crederci neppure tanto. Lui cercava volti nuovi per girare il nuovo spot della Banca di Roma al fianco di Paolo Villaggio. Non ci volevo andare, perché non avevo le tette. Che c'entravo io con tutte le Gradisca di Fellini? Ricordo che quel giorno arrivai a Cinecittà bagnata come un pulcino, perché pioveva a dirotto. Incominciammo a parlare: lui era incuriosito dal mio accento romagnolo, ma niente di che.
Alla fine ho lasciato a un suo assistente il numero di casa di mia mamma, dove andavo ogni weekend, e non ci pensai più. Una settimana dopo, mentre stavo ascoltando la musica a palla nella mia cameretta, arriva mia madre: "C'è al telefono Fellini. Vuole parlare con te". "Ciao Anna, sono Federico. Ti volevo dire una cosa. Hai dimenticato qui il tuo ombrello". Che me ne fregava di quell'ombrello? L'avevo comperato da un marocchino per due soldi all'uscita della metropolitana e l'avevo lasciato volentieri a Cinecittà. "Ah, poi ti volevo dire un'altra cosa. La settimana prossima sei libera? Allora facciamo lo spot insieme"».
CH ND. Fama e ricchezza all'improvviso...
R. «Ma quale ricchezza? Me lo ricordo come se fosse ieri: con quello spot guadagnai un milione e settecentomila lire. Quando ho ricevuto l'assegno, ho aperto l'armadio e tutta fighetta, col tailleur bianco e i soldi in tasca, mi sono presentata alla sede della Banca di Roma di via del Corso. "Sono Anna Falchi, la vostra testimonial. Voglio parlare con il direttore", dissi a un commesso intontito. Dopo un quarto d'ora il direttore mi fa: "Beh, signorina, un milione e settecentomila lire sono un po' pochini".
Ma io ero molto sicura del fatto mio. "Guardi, se lei ha fiducia in me, io le darò grandi soddisfazioni. Perché io diventerò qualcuno". Una settimana dopo avevo già fatto richiesta di bancomat e carta di credito, firmavo assegni scoperti a destra e a manca. Mi sono rifatta le tette con le cambiali. Però, dopo vent'anni, quel conto è ancora aperto e io sono Anna Falchi».
D. In amore sei partita alla grande con Fiorello.
R. «All'inizio stavo con un ingegnere, Francesco Di Mauro. Abitavamo insieme a Roma, con altri due suoi amici. Lui faceva il pianista nei villaggi Valtur insieme con Fiorello, che era capovillaggio. Intanto io, dopo lo spot con Fellini e un film horror con Rupert Everett (Dellamorte Dellamore, ndr), avevo raggiunto una discreta fama. Lele Mora mi aveva chiamato nella sua agenzia: in quegli anni eravamo tutti lì. Io, la Ventura, Raoul Bova, la Cucinotta.
Un giorno Lele, che mi faceva lavorare come guest star nelle discoteche in giro per l'Italia, mi chiama e mi fa: "Anna, stasera devi salire a Milano per una serata, ma prima ti vuole conoscere a tutti i costi un mio amico. Non ti dico chi è. È una sorpresa". Arrivo a Milano e il suo autista mi porta in corso Sempione, in un baracchino dove si mangiano ottimi panini. La macchina si ferma e chi mi apre la porta? Fiorello. Volevo svenire».
CHD. Perché?
R. «Lui all'epoca era famosissimo. Era il re del karaoke, l'idolo di tutte le piazze. Io non lo avevo mai visto prima in vita mia. Lo guardavo la sera in tv, su Italia 1, assieme al mio fidanzato che rosicava, perché Fiorello ce l'aveva fatta e lui no. Fu subito colpo di fulmine. "Ammazza, quanto sei bella", mi disse aprendomi la porta. Il giorno dopo Lele mi dice: "Oggi a pranzo viene anche Fiorello". Lo aspettavamo all'una, ma lui alle due e mezzo non era ancora arrivato. La foga di arrivare era tale che aveva avuto un incidente clamoroso, distruggendo la sua mitica Citroën. Subito mi propose di andare a dormire da lui quella sera».
D. E tu hai accettato? Insomma, l'hai fatta un po' facile...
R. «Non fraintendermi. Non è successo niente. Lui era un siciliano all'antica e, quel weekend, ognuno nella sua stanza. Ma il lunedì ero già a Roma a mollare il mio fidanzato. Se lo meritava: non voleva più fare l'ingegnere, ma il mio manager. Non voleva più lavorare, per farsi mantenere da me ancora prima che io mi affermassi. Ma scherziamo?».
D. Quella con Fiorello è stata una grande storia d'amore.
R. «All'inizio era una relazione segreta. Ci ha scoperti Pippo Baudo. Lui mi aveva chiamato per propormi Sanremo, al fianco di Claudia Koll. Un giorno rispose al telefono direttamente Fiorello. "Pronto, sono Pippo Baudo". "E io sono Fiorello". "Minchia, e che ci fai lì?". "Come che ci faccio qui? Sono il fidanzato di Anna". Baudo si trovava con un vero e proprio scoop tra le mani e questo deve aver rafforzato la sua volontà di avermi a Sanremo».
D. Il resto è storia. Compresi i famosi rumori che arrivavano dalla vostra camera da letto, nell'hotel di Sanremo.
R. «Tutti a fantasticare. In realtà quella camera era un bordello. Gente che andava, gente che veniva. La Bertè che tirava calci e pugni alla porta, perché voleva a tutti i costi la nostra camera. Uno dei primi giorni, per quella camera si scomodò in prima pagina sul Corriere della sera perfino Luzzatto Fegiz, scrivendo che Fiorello e la Falchi disturbavano la quiete dell'albergo con le loro sfuriate sessuali. Io ero furibonda. In conferenza stampa l'ho attaccato, ricordandogli che un critico musicale non avrebbe mai dovuto abbassarsi alle logiche del gossip. Il giorno dopo mi arrivarono i suoi fiori e un suo telegramma di scuse, che ancora conservo».
D. Dopo Sanremo si favoleggiò anche di una tua storia d'amore con Gianni Agnelli.
R. «Lui da Enzo Biagi in tv disse che al Festival di Sanremo gli ero piaciuta moltissimo. Bastarono quelle poche parole per far nascere la leggenda metropolitana. Le chiacchiere si facevano sempre più pesanti: per tutti ero l'amante di Agnelli. Al punto che un giorno l'Avvocato mi volle conoscere. Io mi misi il solito tailleur bianco, lo stesso della Banca di Roma. Mi sentivo la Dama Bianca. Ci prendemmo un tè alle cinque, a Roma, a casa di un comune amico. Baciandomi e abbracciandomi, mi ha detto: "Ci tenevo tanto a conoscere la mia amante". Siamo stati insieme un paio d'ore. Uomo di grande charme».
D. Ritorniamo a Fiorello e al grande amore.
R. «Lo è stato. Io ero giovanissima, gli ho donato completamente me stessa ed ero corrisposta. Conservo tutte le sue lettere, tutti i suoi bigliettini. È stato l'uomo che mi ha amato di più, un grandissimo poeta. Ma per me è stato anche la più grande delusione».
D. Perché?
R. «Lui è siciliano, molto possessivo, molto geloso. Ma alla fine ho scoperto che chi mal pensa mal fa. Dopo Sanremo, io cominciai le riprese del film di Dino Risi Giovani e belli. Un giorno chiesi a Dino la libera uscita dal set, perché era il compleanno di Fiorello. Volevo fargli una sorpresa. Ho preso l'aereo e sono volata a Milano. Avevo le chiavi di casa, sono entrata e...».
D. E...?
R. «E lui stava a letto con un'altra. Ho scoperto all'improvviso che lui aveva una doppia vita. Ero scioccata. Ricordo che sono corsa via, scappando giù per le scale. Non sapevo che fare».
D. Perché era successo? Che cosa non aveva funzionato?
R. «Sembrava tutto perfetto. Ma poi ho capito. Innanzitutto la lontananza: io a Roma, lui a Milano. E poi il mio lavoro. Lui non amava quello che facevo: non avrebbe mai voluto stare con una persona del suo stesso ambiente. In ogni caso, non si è dato per vinto. Ci siamo rivisti: lui per la prima volta riuscì a parlarmi della sua doppia vita. Delle amicizie sbagliate, della droga di cui faceva uso. Ci siamo rimessi insieme e quello è stato l'errore più grande».
D. Perché?
R. «Si era rotto il silenzio tra noi due e mi sono ritrovata anch'io in brutti ambienti, dove si faceva uso di cocaina. Gente brutta, di bassissimo livello. La cocaina è la droga peggiore che possa esistere. Tutti la prendono con leggerezza. Io volevo capirla e l'ho capita. E da lì ho capito che non bisogna frequentare gente che ne fa uso, la razza peggiore. Fiorello doveva fare un suo percorso. Io non ero in grado di aiutarlo, di stargli vicino, non ero abbastanza donna, abbastanza matura da riuscire a portarlo via da quella brutta bestia».
D. E vi siete lasciati. Chi ti ha aiutato a uscire dal tunnel?
R. «Max Biaggi. Max era tutto quello che io fino a quel momento mi ero negata. Disciplina, rigore, serietà. Siamo stati insieme un anno e mezzo».
D. Perché è finita?
R. «Era il mitico Capodanno del 2000. Avevamo deciso di festeggiarlo a Miami. Siamo arrivati alle dieci di sera: io ero piena di champagne, c'era il jet lag. Risultato? Faccio la doccia e mi addormento sul letto, svegliandomi il giorno dopo. E mi sono svegliata in "down": avevo capito che non era quella la vita che volevo. Così ho preparato armi e bagagli e ho ricominciato da sola. Del resto era naturale: Max era un bravissimo ragazzo, concentrato nel suo lavoro, tutta la sua vita era centrata su se stesso. Non mi corteggiava, non mi esaltava come donna. Io volevo di più».
D. Qual è stato l'uomo che ti ha esaltato di più?
R. «Non ho dubbi: Stefano (Ricucci, ndr). Io cercavo casa per mia mamma a Roma e un amico comune mi aveva dato il suo numero. Lui faceva l'immobiliarista. Sulla mia agenda, che ancora conservo, avevo scritto: "Stefano Ricucci, case". Destino vuole che, il mattino del nostro primo appuntamento, ho un incidente con la mia auto. Avrei dovuto capire tutto da lì... Dopo l'incontro ha cominciato a corteggiarmi in modo pressante. Mi riempiva di fiori, pensierini, sbucava nel momento in cui non me lo aspettavo, mi inseguiva. A differenza di tutti gli uomini che avevo frequentato fino ad allora, Stefano mi regalava un sacco del suo tempo e questo mi fece capitolare. Lui, allora, non era ancora nessuno. Tu sei stato il primo a scrivere di lui su Panorama, ricordi?».
D. Certo che lo ricordo. Ricucci, l'odontotecnico di Zagarolo.
R. «Quel tuo articolo è stato una doccia fredda. Odontotecnico? Ma per me Ricucci aveva sempre e solo fatto l'immobiliarista. Sono andata da lui con il tuo articolo e gliel'ho messo sul muso. "Ma perché Signorini scrive che facevi l'odontotecnico?". "Ma che stai a dar retta a quello? Le solite cazzate che sparano i giornalisti", mi ha risposto. Ha mentito spudoratamente anche a me, ma l'ho scoperto solo in seguito».
D. Quando hai capito che qualcosa incominciava a non funzionare?
R. «Qualche mese prima del matrimonio. Voleva fare di più, non mi dedicava più tempo. Ho preparato il matrimonio tutto da sola. Lui se ne andava via alle sei del mattino e rientrava a mezzanotte. E poi, due settimane dopo, la mattina del 20 luglio del 2005, l'incubo: eravamo su tutti i giornali d'Italia con le intercettazioni. Ho scopertto tutto a un tratto che la mia vita era stata monitorata 24 ore su 24. Una violenza assurda.
All'improvviso non stavo più nelle pagine degli spettacoli, dove ero nata e cresciuta, ma mi sono trovata catapultata in quelle della politica, dell'economia. Non mi ricordo altre donne che abbiano subito la mia stessa gogna mediatica. Ancora oggi ce l'ho a morte con un sacco di donne che hanno parlato male di me, mostrando una totale mancanza di solidarietà femminile. Giornaliste come Guia Soncino (in realtà Soncini, ndr), Lidia Ravera, Maria Laura Rodotà... La Soncino mi ha addirittura paragonato a Pretty Woman, dandomi della mignotta. Non ha avuto neppure il coraggio di firmare il suo pezzo sul Foglio. Risalii alla sua penna tramite Giuliano Ferrara, che pubblicò una sua lettera di scuse sul giornale».
CHD. Dove ha sbagliato Ricucci?
R. «Ha fatto il passo più lungo della gamba. La megalomania, alla fine, non paga. Certamente nemmeno io nella sua vita sono stata la donna giusta. Avrebbe avuto bisogno, in quella fase della sua vita, di avere al fianco una donna normale, più "low profile" di me, che ero da sempre al centro dell'attenzione. L'ho solo danneggiato, perché l'ho reso ancora più popolare. Quando si parlava di lui come di uno dei nuovi protagonisti dei salotti buoni, di uno che stava acquisendo partecipazioni nelle banche e in Rcs, chiesero al potentissimo Geronzi che cosa pensasse di Ricucci. E lui rispose: "Io conosco Anna Falchi, Ricucci non so minimamente chi sia"».
D. Cosa ricordi degli anni in cui per tutti eri lady Finanza?
R. «Mi sono divertita un sacco. E poi io sono un camaleonte, mi adatto a tutti gli ambienti. Posso essere la pischellaccia, quella che balla in discoteca. E il giorno dopo essere alla festa di Confindustria a Villa d'Este, a Cernobbio. A volte ero l'unica donna. Spesso i grandi protagonisti dell'imprenditoria che Stefano frequentava lasciavano le loro donne a casa, perché si annoiavano. Io andavo sempre con lui. Ero curiosa di conoscere il suo ambiente. Seguivo tutti i dibattiti.
Una volta, a un tavolo di lavoro, tra una riunione e l'altra, io arrivai in mezzo a tutti i banchieri a spezzare i loro toni seriosi. Ero meravigliosa, con i miei completini... Loro dicevano: "Dobbiamo lanciare un'Opa". Io non sapevo neanche che cosa fosse un'Opa e allora ho preso la situazione in pugno e ho detto: "Perché non lanciamo una topa?". Beh, quelli sono rimasti interdetti, poveracci. Io l'ho fatto per sdrammatizzare, ma non mi hanno capita. Stefano si arrabbiava, perché non socializzavo con le sciure della finanza. "Devi farci amicizia, serve per il mio lavoro". Ma io non ci stavo, avevo un'altra età, altri interessi».
D. E dopo la pubblicazione delle intercettazioni sono iniziati i guai.
R. «Nella mia testa c'era una completa confusione. Uno tsunami. Anch'io ero vista come un'appestata, non mi chiamava più nessuno. Non avevo più niente di mio, non avevo più un euro. E poi l'arresto di Stefano. Un incubo. Mi chiama e mi dice: "Anna, mi stanno arrestando".
Io mi sono precipitata in ufficio da lui. Lo volevano portare via con le manette, davanti a tutti. Io ho detto: "Se fate una cosa del genere, mi metto tutta nuda ai cancelli di Regina Coeli per protesta". Non lo facevo per dare scandalo, ma per chiedere rispetto verso una persona che non era un delinquente. Grazie al Cielo gli agenti mi hanno ascoltata e l'hanno fatto uscire da un ingresso secondario, senza manette».
D. Dicono che non sei mai andata a trovarlo.
R. «Balle. Andavo in carcere tre volte la settimana. Ero lì alle sei del mattino per evitare che i paparazzi mi fotografassero all'uscita del carcere. Prendevo la mia piccola Smart, la mazzetta dei giornali freschi, la biancheria pulita e volavo da mio marito».
D. Dopo un anno, nonostante fosse uscito dal carcere, vi siete lasciati. Perché?
R. «Gli sono stata vicino, il supporto psicologico di cui aveva bisogno veniva prima di tutto. Quando ho capito che poteva anche fare a meno di me, ci siamo detti addio. Avevamo due prospettive di vita diverse. Lui era nella fase della ricostruzione, io dovevo pensare al mio futuro professionale e non buttare via tutto quello che fino a quel momento avevo costruito con il mio lavoro. Sentivo dentro di me l'esigenza di fare un figlio.
Avevo bisogno di qualche cosa che mi ridesse uno scopo di vita. Denny (Montesi, ndr) era tutto quello che cercavo dopo la mia vita tormentata. Una persona normale, provinciale, fin troppo provinciale. Non ci ho pensato troppo, sono stata incosciente. Ma va bene così. Se i figli li programmi, alla lunga non arrivano. L'errore è stato fare un figlio senza aver avuto mai prospettive di costruire qualche cosa insieme. Denny non era abbastanza uomo per avere una famiglia. Quando gli ho comunicato di essere incinta, è rimasto muto, spiazzato, come spesso succede a molti uomini. In realtà lui avrebbe voluto che io rinunciassi alla gravidanza, ma non ho voluto abortire.
Quel figlio lo volevo a tutti i costi e così, alla fine, lui ha accettato la situazione. Ma da lì sono cominciati i problemi, legati soprattutto alla sua mania di non affrontare le questioni con me, ma di parlarne sui giornali. E questa è la cosa che mi dispiace e che mi dispiacerà sempre. Adesso le nostre strade si sono divise. Lui vive nel rancore, io vivo nella prospettiva di un futuro sereno al fianco di Andrea (Ruggieri, ndr), il mio nuovo compagno. Sto benissimo con lui. E credo che, arrivata a questo punto della mia vita, sia giunto anche per me il momento della stabilità. In fondo, me lo merito. Che ne pensi, Alfonso?».