1- IL NUOVO PARADISO DEI COLLOCAMENTI SI TROVA A HONG KONG - MA WALL STREET PREPARA LA CONTROFFENSIVA
Glauco Maggi per "la Stampa"
BORSA DI HONG KONG
Per tre anni di fila, dal 2009 al 2011, la Borsa di Hong Kong è stata la prima per Ipo, le quotazioni di matricole, raccogliendo 138,7 miliardi di dollari da investitori da tutto il mondo. Ora la leadership della piazza asiatica, però, sta vacillando. Da un lato è minacciata dalla ripresa di Wall Street, che è risalita al secondo posto nel 2011 dopo essere stata terza per il 2010 e il 2009, e che nell'anno in corso si gioverà del lancio di Facebook, la cui quotazione è prevista per il 18 maggio.
Miuccia PradaDall'altro, l'attrazione di Hong Kong è minata dalla performance media dei titoli che ha offerto al pubblico nei tre anni scorsi: dal gennaio del 2009, infatti, la media delle matricole è sotto del 13%. Se si considerano le 127 società che hanno rastrellato oltre 100 milioni ognuna, ha riportato la sezione Money & Investing del Wall Street Journal il 30 aprile citando dati FactSet, il 72% sono scambiate ora ad un livello inferiore a quello di partenza, e il 69% hanno fatto peggio dell'Hang Seng Index, l'indice generale della borsa di Hong Kong.
E questi numeri escludono cinque Ipo che sono state sospese dopo la quotazione, tra le quali la Hontex International Holdings, accusata dall'organo di vigilanza della borsa di Hong Kong di aver fornito informazioni false ai risparmiatori. L'affidabilità della rampante piazza asiatica è diventata insomma un fattore frenante della sua corsa, e gli enti regolatori locali hanno promesso cambiamenti che renderanno le banche distributrici delle azioni responsabili del contenuto dei prospetti.
Tra le aziende di piccola capitalizzazione, che incarnano la massima speranza di guadagnare e insieme il massimo rischio di perdere per i sottoscrittori di Ipo, si segnalano le performance peggiori. In particolare, l'ultima della classe è la Trony Solar Holdings, produttrice di pannelli solari, che ha fatto svanire l'84,7% dell'investimento a chi sperava di cavalcare l'onda verde dell'energia pulita.
wall street
Male anche anche la China Zhongwang Holdings che fa prodotti d'alluminio (- 55,6%) e la Bawang International (Group) Holdings, che produce shampoo (-71,8%). I timori per gli insuccessi (fisiologici) di tante Ipo e per le carenze del sistema sul delicato aspetto della trasparenza e della governante spiegano l'attuale rallentamento delle nuove offerte nel primo quadrimestre del 2012, con la raccolta che è stata inferiore del 43% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Nel triennio passato ci sono stati però anche grandi guadagni per chi ha puntato la sua scommessa, il termine è appropriato, sulle Ipo vincenti. Le due società del gioco d'azzardo Sands China e Wynn Macau, controllate da operatori di casinò americani, hanno battuto tutte le altre matricole con il +204% e il +132%, rispettivamente, da quando hanno debuttato al 23 aprile 2012.
E buona parte delle Ipo con la raccolta più alta di denaro hanno fatto performance migliori del benchmark Hang Seng Index. Per esempio Aia Group (20,5 miliardi raccolti, +39,7% di performance); Prada (2,5 miliardi, +32,1%); Agricultural Bank of China (22 miliardi, +9,4%).
La Wall Street delle matricole sembra ora avere la carta giusta per il sorpasso di Hong Kong. Il settore delle Ipo negli Usa sta registrando vitalità. Negli ultimi 12 mesi, le società che hanno esordito alla Borsa di New York sono state 173, e ce ne sono altre 228 che hanno avviato la procedura per entrare prossimamente in quotazione. A trainare le Ipo Usa è soprattutto il settore high tech & Internet, che ha creato 37 matricole, contro le 26 del secondo comparto, i servizi per i consumatori.
2- ZUCKERBERG ARRIVA AL NASDAQ MA WALL STREET È SCETTICA SUL MONOPOLIO DI FACEBOOK
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Arturo Zampaglione per "Affari e Finanza - La Repubblica"
New York Alla prima tappa del "road show" di Facebook, la presentazione itinerante del sito di social networking in vista del collocamento delle azioni al pubblico e dell'ingresso il 18 maggio a Wall Street, Mark Zuckeberg si è presentato agli investitori newyorkesi con i jeans, le scarpe sportive e la felpa con il cappuccio.
Aveva un'aria insofferente, a tratti arrogante, quasi a indicare di voler subito tornare tra i suoi programmatori e ingegneri nel quartiere generale di Menlo Park, in California, piuttosto che rispondere alle domande (e ai dubbi) del mondo della finanza. "Mark è sempre stato così, perché mai dovrebbe cambiare nella tana di Wall Street?", lo difende un vecchio amico e collaboratore, ricordando che anche nel film "The Social Network", che ha fatto rivivere a milioni di spettatori l'epopea dei primi anni di Facebook, Zuckerberg è ritratto come un giovane altezzoso, prepotente e senza molti scrupoli.
Ma né il look né l'atteggiamento del nuovo "enfant prodige" della Silicon valley sono piaciuti all'establishment della finanza. "E' un segno di disprezzo proprio nei confronti di coloro cui sta chiedendo di investire nella società", ha protestato qualcuno nella maxi-sala dello Sheraton Hotel di Times square. "E' un segno di immaturità perché non capisce che con la quotazione in Borsa cambiano i suoi rapporti con le istituzioni", aggiunge Michael Pachter, un analista della Wedbush Securities presente all'incontro a New York.
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Mentre parliamo con lui, arriva la notizia che il titolo, ma non stupisce, è già "oversubscribed" parecchio giorni prima del via alle contrattazioni. Ma al di là di confronti e polemiche, l'approccio anti-conformista del fondatore, chief executive officer e maggior azionista di Facebook (avrà il 57% delle azioni con diritto di voto) contribuisce ad alcune inquietudini sulla maxi-operazione finanziaria.
Tutto è pronto per l'Ipo (Initial public offering), cioè il collocamento al pubblico. Ora che la pre-offerta è chiusa è sicuro che saranno raccolti 10,6 miliardi di dollari, con un'offerta a un prezzo compreso tra i 28 e i 35 dollari ad azione, che porteranno la valutazione complessiva della società tra i 77 e i 96 miliardi di dollari: un record per l'ingresso di società americane in Borsa e molto maggiore dell'importo iniziale di altri colossi come Google.
Eppure, alla vigilia dell'appuntamento si moltiplicano gli interrogativi: è forse un prezzo eccessivo, quello di 28-35 dollari, specie in relazione al fatturato e agli utili? C'è il rischio che altri concorrenti scalzino nel medio periodo la supremazia di Facebook? Oppure ha già un monopolio, e nel qual caso potrebbe forse finire nel mirino dell'antitrust? E come farà a colmare il buco della Cina, il più grande bacino di utenti potenziali del mondo, da cui è finora esclusa? Come convincerà le aziende a continuare a fare pubblicità sul sito (che raccoglie sui 3 miliardi di dollari all'anno) viste le difficoltà di misurare l'efficacia dei messaggi? E come valutare la rapida crescita degli accessi a Facebook con gli smartphone, cui non corrispondono aumenti paralleli di pubblicità?
A quest'ultima domanda Zuckerberg ha risposto in extremis mercoledì scorso con un'integrazione ai documenti presentati alla Sec. Rivelando che ormai più della metà dei suoi utenti si serve di iPhone, cellulari basati su Android e altri telefonini "intelligenti" (che da dicembre a marzo sono passati da 425 a 488 milioni), il capo di Facebook ammette che il trend "potrà influenzare negativamente i risultati finanziari". La ragione? Nel sito per telefonini il numero di pagine pubblicitarie è calmierato. Ciò spiega anche perché nel primo trimestre di quest'anno il fatturato è sceso del 6 per cento rispetto a quello precedente, attestandosi su 1,06 miliardi di dollari.
E sembra molto difficile che si riesca a raggiungere quei 7 miliardi di dollari per l'intero anno che sono le previsioni dell'azienda. Ma ancora più vaghe sono le risposte di Zuckerberg e degli altri executive impegnati nel roadshow, dalla chief operating officer Sheryl Sandberg al direttore finanziario David Ebersman, agli altri interrogativi posti dagli investitori. La Cina? Non è solo Facebook, ma sono anche Twitter e YouTube a vedersi bloccato l'ingresso nel mercato cinese. "E al più presto ci incontreremo con le autorità di Pechino per discutere una partnership", osserva la Sandberg. E il rischio di nuovi concorrenti capaci di insidiare il regno di Zuckerberg?
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"No comment", dicono i vertici, anche se è probabile che la nuova generazione di milionari Facebook, cioè i dipendenti della prima ora che vedranno lievitare il valore dei loro pacchetti azionari, decideranno di investire soldi e know how in nuove start-up nel social networking. Del resto il gruppo di Menlo park si sta già affrettando a rilevare, e quindi neutralizzare, iniziative potenzialmente pericolose per la sua leadership: il mese scorso ha comprato la Instagram per 1 miliardo di dollari; la settimana scorsa è stato il turno della italo-canadese Glancee di Andrea Vaccari, Alberto Tretti e Gabriel Grise specializzata nel "social discovering".
Più complessa (e controversa), invece, resta la valutazione di Facebook. "I prezzi indicati per il collocamento sono molto alti rispetto al fatturato e presentano forti pericoli per gli investitori ", dice Brian Hamilton, responsabile della Sagework, specializzata in analisi di società non-quotate. Quando la Microsoft di Bill Gates sbarcò a Wall Street, fu valutata 500 milioni di dollari e aveva un fatturato di 140 milioni, cioè un multiplo di 4. Negli ultimi anni le aziende hi tech hanno visto un rapporto valutazione- fatturato dal 4 a 10. Nel caso di Facebook, invece, il multiplo sarà di ben 25.
Né considerazioni del genere né gli inviti alla prudenza sembrano però scoraggiare la maggioranza degli investitori: che puntano alle potenzialità e novità della piattaforma Facebook e ai sui 900 milioni di utenti. La febbre di Zuckeberg ha così contagiato anche piccoli e medi risparmiatori. E bisognerà aspettare fino alla fine della settimana per conoscere l'esito della più ambiziosa e insolita operazione degli ultimi anni a Wall Street.