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IL PDL MESSO IN CRO-SETTO - GUIDO CROSETTO VA ALLA “ZANZARA” SU “RADIO 24” E SPARA A ZERO SUL PDL

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"Sono disposto a dare parte del mio stipendio per fare a meno della Minetti. Perdiamo voti anche senza la Minetti, ma diciamo che lei aiuta. Paghiamola, facciamo una colletta per darle un vitalizio così ci toglie dall'imbarazzo". Lo dice Guido Crosetto, deputato del Pdl, alla Zanzara su Radio 24.

NICOLE MINETTI IN TRIBUNALEcrosetto

Crosetto attacca i coordinatori e i dirigenti del Pdl tranne Angelino Alfano: "Salvo lui, prenderei tutti gli altri a calci nel culo. Il Pdl perde voti perché ha una lontananza abissale dal suo elettorato, non ha messo in atto quello che diceva nei tre anni di governo e appoggia un governo che non va. Se oggi voterei il mio partito? Non so, dovrei farlo turandomi il naso, come diceva Montanelli".

 


SCEMENZARIO PALLONARO - GENE GNOCCHI: “VORREI RICORDARE A TUTTI CHE ADRIANO BACCONI SI È LAUREATO IN ALBANIA”

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Antonio Dipollina per "la Repubblica"

lapr17 lapoi elkann tatuaggio juventus

1 - Piccinelli: "Questo scudetto è il 28 o il 30?"
Lapo Elkann: "Io non parlo. Legge!"
(Lapo esibisce a Cristiano Piccinelli di 90° Minuto il cappellino con le tre stelle e lo invita a leggere)

LAPO ELKANN

2 - Nel post-partita pomeridiano, su tutte le tv collegate si consuma il dramma strappalacrime degli addii dei calciatori e tutti consolano tutti e sembra la tv del dolore. Per fortuna negli stessi minuti in Inghilterra si gioca invece il leggendario finale della Premier: al gol finale di Aguero qualcuno urla nello spogliatoio di San Siro e Galliani intervistato a Stadio Sprint e gli altri si spaventano assai e smettono per un attimo di consolarsi a vicenda.

3 - Diverse le gradazioni e le consistenze degli addii in questione. Inzaghi lascia capire che chissà e forse e la fa lunghissima (e alla fine chiede a quelli di Sky una sorta di assunzione come opinionista per il futuro. Inviare curriculum). Rino Gattuso, sempre a Sky, si lancia invece un sano discorso spiegando che non ne può più dei calciatori giovani che oggi guadagnano subito una tombola e non rispettano nessuno. Poi cita El Sharaawy: "Che non c´entra, è una bravissima persona", ma intanto viene citato.

filippo inzaghi

4 - Gli addii coinvolgono anche Carlo Pellegatti che a Guida al Campionato si mette a ricordare il giorno in cui Arrigo Sacchi lasciò il Milan: "Mi ricordo che firmai un servizio su Sacchi e in sottofondo misi la canzone ‘Mille giorni di te e di me´". Dallo studio, Sacchi lo squadra con distanza sospettosa.

GATTUSO IN CURVA CON I TIFOSI

5 - "Non prendete per buone le cose che dico" (Adriano Galliani, Sky). Francesco Marino: "Speriamo di avere in tempo al microfono Conte". Varriale: "Ci contiamo" (Stadio Sprint, Raidue. Conte non si farà vedere). "Qui a Torino sta arrivando un´emozione collettiva che si sente come la pioggia addosso" (Fabio Caressa, Sky). "Vorrei ricordare a tutti che Adriano Bacconi si è laureato in Albania" (Gene Gnocchi, La Domenica Sportiva)

6 - "Si gioca al Tardini, antico stadio dedicato allo storico presidente del Parma, che non poté prendere parte alla cerimonia di intitolazione perché era morto pochi mesi prima" (Tonino Raffa, Radiouno). "Salutiamo anche il nostro Pietro Vierchowod che nelle ultime settimane non è stato con noi perché era candidato alle elezioni di Como e adesso ci sta guardando sicuramente da casa" (Sabrina Gandolfi, Sabato Sprint, Raidue. Sicuramente non li stava guardando dal Municipio, avendo preso il 2.3 per cento)

arrigo sacchi

7 - La serie A si aggiorna alla prossima stagione, ma in giro c´è già voglia di Europei e soprattutto di Olimpiadi. Lo si capisce dal fatto che sul web sono molto cliccate le immagini che arrivano in queste ore dai Mondiali di beach volley femminile in corso a Pechino: un torneo a occhio di altissimo livello tecnico e che lascia sperare in grandi momenti di sport a Londra 2012.

 

 

NUOVO TERRORISMO: BATTAGLIE POLITICHE RISCHIANO DI ESSERE SOFFOCATE DA QUATTRO MENTECATTI CON LA TOKAREV

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A cura di COLIN WARD e CRITICAL MESS

ROBERTO ADINOLFI

1- IL PISTOLA CON LA PISTOLA...
Il riflesso condizionato di pesare le parole, per non essere tacciati di collateralismo al cazzo di Nucleo Olga. La paura di una stretta - e di ulteriori controlli della Polizia postale - su blog e siti internet di diverso parere. Battaglie di civilta' come quelle su Cie, sovraffollamento carcerario, custodia preventiva, diritti delle persone e "Stato minimo", che rischiano di essere soffocate da quattro mentecatti con la Tokarev.

SERGIO MARCHIONNE

Battaglie politiche pienamente legittime come quelle per il rinnovamento dei partiti, una maggiore equita' sociale nella ripartizione dei sacrifici e nell'allocazione delle risorse statali, la democratizzazione degli apparati di polizia, la difesa dei beni pubblici dagli appetiti privati e il ridimensionamento della pressione di banche e assicurazioni su governi e parlamenti, che passano in secondo piano proprio mentre si stavano facendo largo da anni, con fatica, fuori dai canali ufficiali dei talkshow e degli opinionisti accettati. Insomma, meno spazi di liberta' e confronto per tutti, per la gioia del Leviatano che e' in noi.

angela_merkel

L'entusiasmante dividendo di chi ha detto di aver avuto "sensazioni gradevoli" dall'impugnare "una stupida pistola" si comincia a vedere sui maggiori giornali. "Il piano del Viminale: mille soldati, scorta al numero uno di Finmeccanica. Prima lista degli obiettivi a rischio: sono almeno quattrocento" (Repubblica, p. 13). "Terrorismo, c'e' un clima pesante". L'allarme di Marchionne. Gli anarchici dalle celle europee: colpite banche e manager" (Corriere delle banche, p. 6). "Adinolfi, indagini nelle Universita'. Genova, al setaccio i collettivi studenteschi dei Politecnici" (Stampa, p. 9).

Poi su Equitalia, l'apoteosi del nuovo blablabla ai tempi del Nucleo Olga: "Solidarieta' dal mondo delle coop. Maroni: chi protesta non e' terrorista" (Corriere, p. 13). Basta assentarsi qualche mese dai ministeri per tornare in se'. E liberare tutta la banalita' che si ha dentro.

Michael Spence POVERTa AD ATENE

2- LA MONETA O LA VITA...
La disfatta della C.I. Merkel alle elezioni in Nordreno-Westfalia, il cuore produttivo di Crande Cermania, illude e illudera' parecchio. I paesi con bilanci pubblici zoppicanti, come Francia, Italia e Spagna sperano in regole meno rigide e nell'introduzione degli eurobond. Al grido di "una sola moneta, un solo debito". Ma la sconfitta di un partito, la Cdu, non e' la sconfitta di una linea politica nazionale più' profonda.

Lo spiega bene il Nobel Michael Spence, economista alla New York University: "La sconfitta della Merkel e' un importantissimo fatto politico. Ma anche ammesso che la cancelliera sia indebolita, chi ci assicura che la politica tedesca verso l'Europa cambiera'? Il problema e' che i tedeschi, tutti i tedeschi, sono ossessionati dalla paura dell'inflazione per i fantasmi del passato e categoricamente intenzionati a tenere il punto: nessuna concessione verso i Paesi fiscalmente meno corretti, Italia e Spagna anzitutto" (Repubblica, p. 7).

Sul Messaggero, anche lessicalmente, la traccia delle violenze ideologiche della moneta unica: "Ue, linea dura contro Atene. Sul tavolo l'emergenza Spagna" (p. 7).

Monti-Sarkozy-Merkel

Si e' costruita l'Unione sull'astrazione della moneta, per definizione in balia dei mercati e delle loro scommesse, e ora tocca leggere editoriali come quello di Antonio Puri Purini ("Dalla finanza all'antipolitica. I nemici della moneta unica", Corriere p. 5) nel quale si dice apertamente che i nemici dell'euro "bisogna fermarli prima che la loro azione nefasta agisca sui nervi scoperti dei governi e della politica". Con la categoria di regime della cosiddetta "antipolitica' dilatata a piacimento pur di difendere le rendite di posizione.

3- LA BAVA SEPARATA DALLE NOTIZIE (T'ADORIAM MONTI DIVINO)...
Arrivato al potere nel suo paese d'origine con il solido appoggio del duo Sarko'-Merkel, Rigor Montis deve comunque passare sempre per un eurovincitore. Anche a dispetto delle urne. Se ne fa carico anche oggi la Repubblica degli Illuminati: "Ma Palazzo Chigi ora vede la svolta: 'Il vento d'Europa fa largo alla crescita' (p. 11).

merkel monti sarkozy

Garantiscono Francesco Bei e Roberto Petrini; "Stando attenti a non lasciar filtrare un eccesso di gioia per la sconfitta della Merkel nel Nord Reno Westfalia, da Palazzo Chigi avvertono comunque che il vento sta effettivamente girando". Fini osservatori, ma "sta girando" per chi?

Poi passa padre Massimo Franco sul Corriere e intona il salmo glorioso: "L'asse tra il Quirinale e Palazzo Chigi e Palazzo Chigi sembra godere di una 'sponda' Oltretevere che si riflette nella stima ricambiata tra Benedetto XVI, Giorgio Napolitano e Mario Monti". Non era facile farli contenti tutti e tre in un periodo solo. Goduria made in Hardcore al Giornale, orfano del governo Bananoni: "Cancelliera cancellata, crolla la Merkel". "Undici sberle alla maestrina d'Europa" (p. 7)

4- NON FA SOSTA LA SUPPOSTA...
"Spesa pubblica, si parte con Sanita' e auto blu" canta giulivo il Corriere (p. 11). Finalmente svelata in una sola riga di titolo a che serve la campagna anti "Casta".

PAOLA SEVERINO

5- AGENZIA MASTIKAZZI...
"Vizzini: e' l'ultima occasione per fare le riforme" (Corriere, p. 10). Per domani attesa intervista a Giorgio La Malfa.

6- CRONACHE DA UN POST-PAESE...
Ministra Severino in tournee a New York, nonostante il Grave Momento, e Scuola Speriore della Guardia di Finanza in vetrina. La Stampa non si fa scappare l'occasione e si porta avanti: "Lotta ai narcos, l'Italia in Centramerica. I piccoli Paesi chiedono aiuto: i nostri detective li istruiranno sulle indagini patrimoniali" (p. 15).

ELSA FORNERO

A noi, veramente, il sospetto de "l'Italia in Centramerica" era venuto gia' da un decennio.

7- UOMINI VERI PER "NO ELSA NO CRY"...
"Il matrimonio e' un lavoro da fare in due. La ministra Fornero ha ragione: oggi le coppie sposate devono saper collaborare in tutto e per tutto". Lenzuolata di Littorio Feltri sul Giornale intestato a Paolino Berluskino (p. 17). Cosa non farebbe un attempato fascio-dandy pur di rimorchiare lungo tutto l'arco costituzionale.

VITTORIO FELTRI

8- FREE MARCHETT...
La Stampa chiede "più' crescita nel rigore" con Franco Bruni in prima pagina. Poi passa Maria Corbi e a pagina 19 predica più' crescita con il vigore (della pelle): "Niente più' trenino e karaoke, il villaggio diventa una spa. La nuova frontiera delle vacanze organizzate e' il resort, benessere e relax".

C'era da lanciare vestendoli da "Il caso" le nuove offerte club Med.

colinward@autistici.org

 

BORSE EUROPEE AFFOSSATE DAI TITOLI BANCARI - MILANO -2,75%, MADRID -3,1%, PARIGI -2,4%, FRANCOFORTE -1,6% - LO SPREAD SC

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1 - BORSA: INDICI AMPLIANO LE PERDITE, -2,7% MILANO, SPREAD A 423 PUNTI
Radiocor - Le Borse europee ampliano le perdite a meta' mattina, penalizzate soprattutto dalle azioni delle banche. Milano accusa un calo del 2,75%, Parigi del 2,4% e Madrid del 3,1%. Vanno relativamente meglio Londra (-1,5%) e Francoforte (-1,6%), quest'ultima a dispetto del voto elettorale in Reno-Westfalia, che ha messo all'angolo il partito della cancelliera, Angela Merkel. Intanto lo spread, ovvero il differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi, si e' portato a 423 punti.

PIAZZA AFFARI - MAURIZIO CATTELANpiazza affari big

2 - SPAGNA; SALGONO TASSI E CALA DOMANDA IN ASTA TITOLI
(ANSA) - Salgono i rendimenti in un'asta di titoli spagnoli a un anno e 18 mesi mentre la domanda è in calo. Madrid ha collocato sul mercato complessivamente 2,9 miliardi di titoli contro un ammontare massimo di 3 miliardi. Il rendimento sui titoli a 12 mesi è in rialzo al 2,985% dal 2,623%, mentre sulla scadenza a 18 mesi il tasso è salito al 3,302% dal precedente 3,11%.

3 - SPAGNA: RENDIMENTO BONOS DECENNALI SCHIZZA AI MASSIMI A OLTRE 5 MESI
Finanza.com - Massimi da inizio dicembre 2011 per il rendimento dei Bonos spagnoli. Il titolo di stato decennale viaggia al 6,23% con lo spread tra Bonos e Bund salito a 476 punti base.

4 - BANKITALIA: DEBITO PUBBLICO RECORD A MARZO A 1.946 MILIARDI
(AGI) - Debito pubblico record a marzo: il dato, informa il Supplemento al Bollettino statistico della Banca d'Italia ha raggiunto quota 1.946,083 miliardi. Il precedente massimo storico era stato toccato a gennaio con 1.934,980 miliardi.

borsa di madrid

5 - CONSOB: GOTHA ECONOMIA E FINANZA A MILANO
(ANSA) - Con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è presente in Piazza Affari l'intero gotha della politica e della finanza italiana per ascoltare la relazione che il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, sta per tenere nella sede della borsa italiana, completamente protetta da forze dell'ordine e transenne in occasione dell'evento. A Palazzo Mezzanotte è stato stato entrare tra gli altri il viceministro dell'economia, Vittorio Grilli.

GIUSEPPE VEGAS

6 - VEGAS, CRESCE INSOFFERENZA PER DITTATURA SPREAD
(ANSA) - In Europa cresce "l'insofferenza nei confronti della 'dittatura dello spread', vista come ostacolo alle aspirazioni dei popoli. I cittadini non accettano di pagare per scelte su cui non sono chiamati a decidere". Lo ha detto il presidente della Consob, Giuseppe Vegas.

7 - VEGAS, SPINGERE AZIENDE PUBBLICHE IN BORSA
(ANSA) - Occorre "spingere le imprese verso il mercato": lo ha detto Giuseppe Vegas, presidente dellla Consob. Per Vegas "la questione principale è quella di avvicinare le imprese di medie dimensioni" ma anche quelle pubbliche che seguono "logiche di profitto".

giorgio napolitano

8 - VEGAS, DA AGENZIE RATING CARENZE ORGANIZZATIVE
(ANSA) - La Consob ha rilevato "carenze organizzative delle agenzie di rating". E' quanto ha indicato il presidente della Commissione, Giuseppe Vegas, facendo riferimento allo scorso luglio, quando la Commissione aveva convocato esponenti dele agenzie, in occasione della "variazione particolarmente significativa dello spread, contestuale all'annuncio da parte di una agenzia del possibile downgrade dei titoli di Stato italiani". "La circostanza, che è stata successivamente oggetto delle indagini anche da parte della magistratura, ha fatto emergere alcune carenze organizzative delle agenzie in questione", ha aggiunto Vegas.

 

LO CHIAMAVANO PINTURICCHIO - DEL PIERO LASCIA LA JUVE TRA APPLAUSI E LACRIME…

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Maurizio Crosetti per "la Repubblica"

Ha raccolto le sciarpe che intanto volavano sul prato come farfalle: non poteva lasciare a terra la sua storia. «E ho inghiottito due volte le lacrime, ho finto di allacciarmi le scarpe così loro sono tornate indietro».

delpiero delpiero

Dentro la festa della Juve c´è l´addio di Del Piero, amore e simbolica morte insieme, come nelle grandi tragedie e nelle passioni vere. Si sapeva, si aspettava, ma nessuno lo immaginava così. Perché non si era mai visto un campione uscire dal campo dopo quasi un´ora, e intanto la partita spegnersi pur continuando: chi la guardava più? Eppure Alessandro aveva già fatto tanto, tutto: un colpo al ginocchio dopo un minuto e mezzo, ma lui resiste ed eccolo segnare nell´angolino al 28´, è la rete del 2-0, tutta la Juve copre il capitano come una cupola, come una coperta quando fa freddo.

Poi, all´inizio del secondo tempo, quel tempo scade. La gente si alza in piedi, piange, canta, espone scritte tipo "Alex, parlerò di te ai miei figli", lui manda baci, solleva le braccia, s´inchina come un grande artista dopo l´ultimo bis, va verso la panchina, si mette in piedi sul bordo per raccogliere tutto quel calore, lo chiamano sotto la curva e lui ci va. Come se tutto fosse finito: perché lo è.

Alessandro Del piero Gigi Buffon

«Io sono nato per giocare al calcio, ho tutta la vita per fare il dirigente. Il futuro è adesso, posso solo dire grazie, anche se c´è un forte velo di tristezza». Il sorriso era quasi diventato smorfia, in campo. Buffon, guardandolo, piangeva: «Sono molto triste, Ale ha passato qui metà della sua vita, si sta male quando i legami si spezzano». La stima non è dovuta, è conquistata. Abete: «Del Piero è un grande nel gioco e nello stile».

In tribuna, Boniperti agita una bandierina e l´imperdibile Lapo è vestito da calciatore, con un giubbotto bianconero sopra la maglia e occhiali psichedelici. Suo cugino Andrea Agnelli prende il microfono, alla fine, per dire: «Grazie ad Alessandro Del Piero che sarà sempre il nostro capitano, come pochi nella vita». John Elkann, il più alto in grado nella famiglia, immagina il prossimo epilogo: «Per come lo conosco, il miglior finale per lui sarebbe sollevare anche la Coppa Italia».

ANDREA AGNELLI E DEL PIERO

Un drappo lo raffigura nelle vesti di Gesù, la santificazione si completa quando nel suo sito internet compare un caldo messaggio ai tifosi: "Grazie, avete realizzato il mio sogno. Più di questo, niente". Poi, la processione sul pullman scoperto come quando i cosmonauti tornavano dalla Luna. Non una sbavatura, se non l´assurdità di doversene andare così. «Alessandro è una leggenda, oggi mi sono emozionato» dice Conte, al quale il capitano dedica un abbraccio, è giusto essere generosi.

John Elkann con Gianni Agnelli allo stadio

Poi si presenta alle telecamere, pesto di gioia e con gli occhi lucidi: «Mai vista una cosa del genere, direi che la gente ha vinto il trentunesimo scudetto... Sono orgoglioso di avere vissuto questo giorno davanti a mia mamma e alla mamma dei miei bambini. Ho visto lo sguardo della gente, vale più di tutto. Finché sto bene giocherò a pallone». Gli domandano se andrà in Inghilterra, magari all´Arsenal: «Gli inglesi vivono il calcio in modo fantastico, però da 19 anni non mi occupo di trasferimenti, sono un po´ fuori dal giro».

agnelli juventus giamp boniperti

La festa è perfetta e malinconica, è sempre così alla fine. Persino l´arbitro Gava di Conegliano è un amico d´infanzia di Alessandro, giocavano a pallone nella stessa squadretta. C´è anche Scirea, nel senso di Riccardo che lavora alla Juve, identico a suo padre Gaetano: il tempo è solo una giostra, poi si scende. Quando Alessandro solleva il trofeo dello scudetto, socchiude gli occhi. Non c´è nessun bisogno di aprirli per vedere tutto, per sentire e capire tutto.

 

 

MINCHYAHOO! - ENNESIMO CAMBIO AL VERTICE PER YAHOO! - L’AD SCOTT THOMPSON MITRAGLIATO DAL RIVALE DANIEL LOEB

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Arturo Zampaglione per "la Repubblica"

yahoo

Per la terza volta in appena tre anni il gruppo Yahoo!, uno dei precursori della rivoluzione digitale, mette alla porta il suo chief executive e si ritrova alle prese con i problemi di strategia e di management che da tempo ne offuscano il futuro. L´ultima vittima è Scott Thompson, 54 anni, chiamato a gennaio a sostituire Carol Bartz al vertice del motore di ricerca di Sunnyvale, in California, ma finito al centro di attacchi e polemiche per essersi attribuito una laurea in informatica, che in realtà non aveva mai conseguito.

SCOTT THOMPSON DI YAHOO

A rivelare l´inesistenza del titolo di studi era stato la settimana scorsa Daniel Loeb, capo dell´agguerrito hedge fund Investor Third Point, che possiede il 5,8 per cento del capitale Yahoo! e ne è sempre stato un oppositore delle scelte manageriali. Nel passato Loeb aveva criticato il no all´offerta della Microsoft di Steve Ballmer, che aveva messo sul piatto ben 44 miliardi di dollari per rilevarla.

Più di recente aveva cercato invano di far nominare i suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione e si preparava a dare battaglia alla prossima assemblea annuale.
Ovviamente l´offensiva di Loeb ha preso una piega ben diversa dopo la scoperta della laurea fasulla. Thompson si era laureato al Stonehill college del Massachusetts in contabilità aziendale e non aveva mai segnalato l´errore sulla laurea in informatica finito, per motivi ancora poco chiari, sul suo curriculum vitae nel sito ufficiale di Yahoo! e persino su alcuni documenti presentati alla Sec.

daniel loeb

Rimbalzato sulle prima pagine dei giornali americani, lo scandalo della laurea è stato al centro di velenosi commenti sull´etica degli executives. All´inizio, di fronte alla richiesta di Loeb di licenziare il chief executive, il board di Yahoo! ha cercato di minimizzare il caso. «È una svista che nulla toglie alle qualità di Thompson, né alla sua esperienza alla guida di società hi-tech di largo consumo», ha detto un portavoce di Sunnyvale, riferendosi al suo precedente incarico a PayPal.

Lui, Thompson, ha prima attribuito ogni colpa ai cacciatori di teste, poi si è scusato per la «distrazione». Ma questi goffi tentativi non hanno calmato né Loeb, né tanto meno i dipendenti di Yahoo!, colpiti nei mesi scorsi da un´ondata di 2mila licenziamenti.

Al board non è restato che prenderne atto. In una riunione prevista per questa mattina accetterà le dimissioni di Thompson per «ragioni personali» e nominerà al suo posto, ancora ad interim ma con buone prospettive di rimanere in quella posizione, Ross Levinsohn, attualmente capo delle operazioni media del gruppo a livello globale e in precedenza responsabile delle attività americane, compresa la pubblicità. Alla presidenza del gruppo finirà invece Fred Amoroso.

google facebook

Secondo AllThings Digital, il blog che ieri per primo ha dato la notizia dell´estromissione di Thompson, il board ha anche trovato un accordo con Loeb per la nomina di tre consiglieri scelti dal suo hedge fund, tra cui il guru del giornalismo digitale Michael Wolf e l´esperto di ristrutturazioni aziendali Harry Wilson. In compenso Third Point rinuncerà alla battaglia in assemblea.

Non è ancora chiaro quale sarà il nuovo orientamento strategico di Yahoo! dopo l´ennesimo terremoto al vertice. Il gruppo è sempre più sotto pressione sia da parte di Google per le quote di mercato nelle ricerche su internet, che di Facebook per la pubblicità online. Thompson, che pure non aveva conseguito pessimi risultati nei quattro mesi di attività, stava cercando di potenziare le attività nel commercio elettronico. Ma Loeb, che adesso diventa un punto di riferimento essenziale per la rinascita di Yahoo!, pensava che queste scelte fossero perdenti.

 

SUPERMAN-CINI! - L’ITALIAN STYLE DOMINA LA PREMIER LEAGUE: DOPO ANCELOTTI E MANCINI, TOCCA A DI MATTEO…

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Ivo Romano per "la Stampa"

ROBERTO MANCINI FESTEGGIA LA VITTORIA DEL CAMPIONATO INGLESE CON IL MANCHESTER CITY

Estasi e delirio. Baratro e delusione. Due campi, un titolo che rimbalza. Il nostro 5 maggio, roba da dilettanti delle emozioni forti. Manchester e Suderland, Etihad Stadium e Stadium of Light: cuori deboli, meglio starne alla larga. Tutta una città in attesa: gioisce una metà, poi l'altra, infine la freccia della felicità cambia bersaglio.

L'ESULTANZA DI AGUERO DOPO IL GOL CHE HA REGALATO IL CAMPIONATO AL MANCHESTER CITY

E' qui la festa, ben 44 anni dopo. All'Etihad Stadium, erede del vecchio Maine Road. Due hit, tra storia e attualità. Blue Moon, lo storico inno del City. E Volare, riadattato nel testo, in onore di Roberto Mancini, il condottiero, ebbro di gioia, fiero del suo essere italiano, con tanto di tricolore sulle spalle, proprio come Mario Balotelli, sua croce e delizia. Sembrava una formalità, è diventato il titolo più pazzo del mondo. Vinto, perso, rivinto. Un'altalena durata nove mesi.

E poi condensata in novanta minuti più recupero. Il recupero, appunto. Che cambia le carte in tavola e il padrone della Premier League. Due gol, in quello che gli inglesi chiamano injury-time, per il grande salto, dal dramma (sportivo) al trionfo. Ultimi, decisivi sussulti di un pomeriggio al cardiopalmo. Il City aveva il destino nelle proprie mani, lo United doveva affidarsi a quelle altrui. Fatto il proprio dovere, ai Red Devils non restava che attendere. Pratica risolta subito: gol di Rooney, per mettere la testa avanti.

Alex Ferguson

Per poco, però. Zabaleta, il goleador che non t'aspetti, diventa il Rooney del City e punisce il Qpr, che pure ha la sua gatta da pelare. Incrocio pericoloso all'Etihad: Mancini su una panchina, Hughes, suo polemico predecessore, sull'altra. Intervallo: City campione, Qpr retrocesso. Storia ordinaria, quella di metà partita. Il bello deve venire, e si materializza in avvio di ripresa. L'ex laziale Cissé trova il pari: stadio ammutolito, cugini in festa. C'è tempo, fin troppo. Nessun timore.

MARIO BALOTELLI

Qualcuno, un ex, si premura di dare una mano al City: Joey Barton, teppista del football, spara una gomitata in bocca a Tevez: rosso. Gara in discesa, malgrado l'1-1. Impressione errata. Un contropiede apre il baratro sotto i piedi dei Citizen: Traore crossa, Mackie realizza. Pianti in tribuna, canti in quella dei cugini. Tensione alle stelle, parte l'assedio. Dentro Dzeko, pure Balotelli. Mentre a Sunderland sta per finire e a Manchester è iniziato il recupero (e il Qpr sarebbe salvo comunque), Dzeko semina speranze e timori.

Quando a Sunderland è già finita, Aguero, servito da SuperMario, manda in estasi uno stadio e in depressione un altro. L'Etihad esplode, Mancini si esalta. Ferguson chiama i suoi, li manda a salutare i tifosi. Due gol nel recupero li ricorda bene. Ci aveva vinto una Coppa dei Campioni, ci ha perso un campionato. E' il giorno dell'altra metà di Manchester, 44 anni, tante delusioni, 930 milioni (di sterline) dopo.

Roberto Di Matteo

E' il giorno di Mancini, l'ultimo degli emigrati vincenti. Aveva detto: «Lo meritiamo». Forse così è ancor più bello: «Mai visto un finale del genere. L'abbiamo meritato, vincere così è incredibile». Campionato folle, chiusura di più: «E' stata una stagione pazza, è stato un finale pazzo. Nel modo più incredibile, ma giustizia è fatta. Era giusto che vincessimo un campionato in cui siamo stati i più forti e che abbiamo condotto per 20 giornate».

Certezze quasi svanite: «A 5 minuti dalla fine non ci credevo più». Ora ci crede persino Balotelli: «Siamo stati i migliori, abbiamo vinto. Grande club, grande squadra, grandi compagni. Voglio restare qui». Non senza un'uscita delle sue: «Ora chi ha parlato male di me chiuda il becco».

 

IL CINEMA DEI GIUSTI - TIM BURTON È UN PO’ SCHIAVO DI STESSO, E “DARK SHADOWS” È UN HORROR CAMP SENZA ALCUNA TENSIONE DI

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Marco Giusti per Dagospia

TIM BURTON CON MICHELLE PFEIFFER E JOHNNY DEPP

Dark Shadows di Tim Burton.

E' un po' schiavo di se stesso il vecchio Tim Burton, genio assoluto del cinema fantastico, da qualche anno parcheggiato in Inghilterra alla ricerca più di blockbusters alla "Alice in Wonderland", un successo internazionale anche grazie al 3D, che di veri progetti originali. Mentre sbarca a Parigi la grande mostra che il Moma gli dedicò un anno fa, assolutamente imperdibile, esce nelle sale di tutto il mondo il molto atteso "Dark Shadows", sulla carta un progetto estremamente personale, sia per lui che per il partner di sempre Johnny Depp.

Bravi ragazzi di Los Angeles cresciuti con le mille e passa puntate della soap coi vampiri ideata e diretta fin dai primi anni '70 da Dan Curtis, un regista importante e non così noto da noi, e interpretato da Johnathan Frid nei panni del vampiro televisivo Barnabas Collins, vero vampiro inglese finito nel Maine a mordere i sani cittadini americani. Un progetto, quello del remake di "Dark Shadows", che ossessionava Burton e Depp da parecchi anni e che hanno affrontato, purtroppo, in un periodo di decadenza per entrambi.

Certo, la decadenza di Tim Burton e di Johnny Depp offre comunque allo spettatore dei prodotti di altissima classe, soprattutto per la ricchezza visiva di quello che ci offrono, ma certo non possiamo ritrovare in "Dark Shadows" le emozioni che i due ci avevano offerto in "Edward Shissorhands" o in "Sleepy Willow". E' probabilmente pensando a questa debolezza di fondo, magari, che la Warner Bros non ha spinto per mostrare il film a Cannes, dove proprio due anni fa Tim Burton, nei panni di presidente della giuria, venne accolto e venerato come se fosse stato Michael Jackson.

johnny depp CON MICHELLE PFEIFFER dark shadows

O pensando a che faccia avrebbe fatto il nuovo presidente della giuria, Nanni Moretti, vedendo questa storia supercamp di vampiri ambientata nel 1972. Peccato perché proprio dal 1972 italiano sembra provenire lo stock di pantaloni a coste e golfini a V che Moretti continua a indossare con estremo coraggio nel 2012. Tim Burton però non si sofferma sui pantaloni di Nanni, ma si diverte come un pazzo, e noi con lui, a riprendere dal 1972 i grandi lati glam, rock e camp del periodo.

La grande musica del tempo, da T Rex ai Carpenters, dal "Crocodile Rock" di Elton John al "Nights in White Satin" dei Moody Blues, alla "School's Out" di Alice Cooper, che fa un grandissimo cameo nel film come se stesso, e Barnabas Collins continua a prenderlo per la signora Cooper, domina un po' tutto il film, e Danny Elfman ricostruisce una colonna sonora che deve incastonare le hits del '72 come parte quasi visiva della storia.

Ma si citano anche i grandi film di quell'anni, "Deliverance" di John Boorman e "Superfly"di Gordon Parks. Coi collaboratori di sempre, Colleen Atwood ai costumi, Rick Heinrichs alle scenografie, Burton se la spassa a ricostruire in Inghilterra la piccola cittadina di Collinsport nel Maine, che sembra una della tante cittadine americane della infanzia sua e di Johnny Depp. Con il nuovo venuto, nel suo mondo, Bruno Delbonnel, grande direttore della fotografia francese che abbiamo tutti venerato nel "Faust" di Sokurov, si lancia invece in una ricerca visiva che deve unire la foto da soap della serie originale e il mondo dei teen movies anni '70, l'horror baviano e l'horror di Dan Curtis.

Per noi cinefili antichi tutto questo è un gran divertimento, come se qualcuno rimettesse in scena il televisivo "Il segno del comando" con Ugo Pagliai mischiandolo con hit del tipo "Piccolo uomo" di Mia Martini, "I giardini di Marzo" di Lucio Battisti, "Tuca Tuca" di Raffa e il camp involontario dei film rivoluzionari di Silvano Agosti ("N.P.") e di Adriano Aprà ("Olimpia agli amici") che hanno massacrato la nostra giovinezza.

EVA GREEN IN DARK SHADOWS

Tim Burton costruisce le sue immagini e adatta a queste il suo protagonista Johnny Depp come Barnabas Collins, più o meno identico a quello originale, interpretato da un modesto attore, Jonathan Frid (da poco scomparso, fa però un'apparizione nel film), che per tutta la vita sarà schiacciato da quel ruolo, e tutti i suoi personaggi, dalla Elizabeth della grande Michelle Pfeiffer, alla ragazzina Carolyn di Chloe Grace Moretz, bravissima, alla dottoressa Julia Hoffman, interpretata da Helena Bonham Carter, alla cattivissima strega Angelique, amante e nemica del vampiro, una Eva Green in stato di grazia.

Tutti perfetti, anche se Johnny Depp sembra un po' schiavo del dover essere sempre Johnny Depp col cerone e ragazzino anche a cinquant'anni e quel che funziona per le vere star del rock, come Alice Cooper, non funziona per gli attori che furono bellissimi da giovani. Michelle Pfeiffer, purtroppo, è un po' invecchiata dai tempi di Catwoman in "Batman Returns" e Helena Bonham Carter si diverte a farsi brutta e cicciotta, perfino a farci intuire che sta facendo un blow job alla Linda Lovelace al vampiro, ma non sviluppa un vero grande personaggio.

Cosa che riesce perfettamente a Eva Green come strega Angelique. E' su di lei che Tim Burton, e Johnny Depp come suo partner, compiono il vero miracolo del film, ricostruendola come nuova Barbara Steele, una queen of gothic del 2000, bellissima, cattiva e ultrasexy. Vederla in azione mentre riesce a conquistare il suo amato-odiato vampiro e contemporaneamente a rovinare la tappezzeria del suo ufficio è uno dei grandi momenti del cinema di Tim Burton che dimostra che potrebbe ancora graffiare come un tempo. Purtroppo il film, scritto con grande intelligenza da Seth Grahame Smith, venerato autore di nuovi best seller horror stravaganti come "Pride and Prejudice and Zombies" e "Abraham Lincoln: Vampire Hunter", cede sulla cosa più importante.

DARK SHADOWS DI TIM BURTON

E' un horror camp senza alcuna tensione di regia. Pure il finale è troppo lungo e soffocato dagli inutili effetti speciali. Alla fine, finito il gioco del come eravamo nel 1972 e l'apprezzamento per il gran lavoro visivo e scenografico, finito il cameo di Alice Cooper e una serie di trovate e jokes interni fulminanti, come quando Barnabas scambia la grande M del MacDonald per la M di Mefistofile (frecciata al "Faust" di Sokurov?) o come quando sfonda criticamente una puntata di "Scooby Doo", resta il rimpianto di come sarebbe stato il film in mano a un Tim Burton più ispirato o più concentrato o più libero dal mercato.

Il fatto che abbia premiato a Cannes, nell'anno in cui fu presidente della giuria, il difficile "Zio Boonmee" dell'impronunciabile Apichatpong Weerasethakul, che abbia prodotto quest'anno "Abraham Lincoln: Vampire Hunter" scegliendo come regista lo scatenato russo Tibur Bekmambetov o stia finendo di girare il suo vecchio "Frankenweenie" in versione animata, dimostra che il suo gusto e la voglia di fare cinema non gli mancano di certo. Basterà uscire dalla tomba come un qualsiasi rispettabile vampiro del 1972.

 


ROMANZO TOMBALE - NELLE TRE BARE DI SANT’APOLLINARE CI SONO I RESTI DI ENRICO DE PEDIS, E LA CONFERMA VIENE DALLE IMPRON

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1 - ORLANDI: CONFERMA DA IMPRONTE DE PEDIS, E' LUI
(ANSA) - Gli esami dattiloscopici hanno confermato che il cadavere nella tomba tumulata nella basilica di Sant'Apollinare è di Enrico De Pedis. Le impronte infatti hanno permesso l'identificazione del cadavere consentita anche grazie al buono stato di conservazione del corpo.

De Pedis foto GMT

2 - ORLANDI: IN TOMBA CORPO UOMO CORRISPONDENTE A DE PEDIS
(ANSA) - Nella bara tumulata nella basilica di Sant'Apollinare "c'é il corpo di un uomo corrispondente a quello di Enrico De Pedis". E' quanto si è appreso da fonti qualificate dopo i primi accertamenti seguiti all'apertura della bara dell'ex boss della Banda della Magliana.

De Pedis foto GMT

La certezza che il corpo appartenga all'ex boss della banda della Magliana arriverà dall'esame del Dna. Ora però da una prima "ispezione visiva" gli investigatori parlano di "un corpo di uomo corrispondente a quello di De Pedis". Dopo gli accertamenti esterni seguiranno altre ispezioni mediche coordinate dal medico legale Cristina Cattaneo coadiuvata da un'equipe di antropologi e archeologi forensi.

De Pedis foto GMT

3 - AVVOCATO,SI ISPEZIONERA' OSSARIO SANT'APOLLINARE
(ANSA) - Anche l'ossario che si trova annesso alla chiesa di Sant'Apollinare verrà ispezionato ed esaminato. Lo ha reso noto Nicoletta Piergentili, legale della famiglia Orlandi per conto dell'avvocato Massimo Krogh. "L'ispezione sui resti di De Pedis - ha aggiunto - è stata fatta con estrema cura".

"Sono state aperte - ha spiegato l'avvocato Piergentili - tutte e tre le bare che custodiscono i resti di De Pedis. La salma è stata scoperta e sono stati eseguiti i prelievi, presumibilmente prelievi di tessuto visto lo stato di conservazione del corpo. Non mi risulta siano stati rinvenuti oggetti o foto. Oggi - ha sottolineato - è stato fatto un passo importante come importante è la collaborazione tra autorità italiane e Vaticano, un passaggio centrale per fare chiarezza".

De Pedis foto GMT

Il legale ha spiegato che le operazioni di ispezione non sono state fatte nella cripta ma sotto un tendone nel cortile dell'edificio che ospita la pontificia università Santa Croce, adiacente alla chiesa. E ha spiegato che la bara con il corpo di De Pedis verrà spostata nei prossimi giorni.

De Pedis foto GMT

4 - BARA DE PEDIS NON SPOSTATA OGGI,SOLO RILIEVI ESTERNI
(ANSA) - Non sarà spostata oggi la bara di Enrico De Pedis nella cripta di Sant'Apollinare a Roma, dove sono in corso le operazioni di apertura della tomba. La tomba è stata solo aperta e la polizia scientifica sta effettuando dei rilievi esterni sui resti del cadavere. Lo spostamento della bara sarà invece effettuato nei prossimi giorni. I rilievi, secondo quanto si è appreso, riguarderanno anche la cripta dove la bara era tumulata.

De Pedis foto GMT

5 - FRATELLO EMANUELA, SPERIAMO SI FACCIA CHIAREZZA
(ANSA) - "E' solo un passo avanti per le indagini, speriamo si faccia chiarezza". Queste le prime parole del fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, appena giunto con il suo avvocato nella Basilica di Sant'Apollinare a Roma, dove oggi sarà riaperto la tomba di Enrico De Pedis, il boss della Banda della Magliana, il cui nome è stato accostato alla scomparsa della figlia del messo vaticano di cui non si hanno notizie dal 1983.

De Pedis foto GMT

La decisione della Procura di riaprire la tomba è arrivata in seguito ad una telefonata alla trasmissione televisiva "Chi l' ha visto" del 2005 e alla testimonianza dell'ex compagna di "Renatino" De Pedis, Sabrina Minardi, la quale rivelò che a sequestrare Emanuela Orlandi fu proprio De Pedis.

Il cadavere di Enrico De Pedis, secondo quanto si è appreso, dovrebbe essere portato all' istituto di Medicina legale della Sapienza per gli accertamenti ed il test del Dna. Intanto alla Basilica di Sant'Apollinare è arrivato anche il carro funebre che trasporterà le spoglie dell'ex boss della Banda Magliana che, subito dopo gli accertamenti disposti dalla Procura, dovrebbero essere traslate in un cimitero romano, probabilmente quello di Prima Porta. La Basilica nel cuore della capitale è off limits, protetta da un cordone di agenti di polizia ed alcuni carabinieri.

DePedisEnrico b banda della magliana

 

 

DEPEDIS AMMAZZATOEMANUELA ORLANDI CERCASI

O LA BORSA O LA VITA - MENTRE DA PIAZZA AFFARI SI FUGGE (L’ULTIMA È BENETTON), HONG KONG È DA 3 ANNI IN CIMA ALLA CLASSI

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1- IL NUOVO PARADISO DEI COLLOCAMENTI SI TROVA A HONG KONG - MA WALL STREET PREPARA LA CONTROFFENSIVA

Glauco Maggi per "la Stampa"

BORSA DI HONG KONG

Per tre anni di fila, dal 2009 al 2011, la Borsa di Hong Kong è stata la prima per Ipo, le quotazioni di matricole, raccogliendo 138,7 miliardi di dollari da investitori da tutto il mondo. Ora la leadership della piazza asiatica, però, sta vacillando. Da un lato è minacciata dalla ripresa di Wall Street, che è risalita al secondo posto nel 2011 dopo essere stata terza per il 2010 e il 2009, e che nell'anno in corso si gioverà del lancio di Facebook, la cui quotazione è prevista per il 18 maggio.

Miuccia Prada

Dall'altro, l'attrazione di Hong Kong è minata dalla performance media dei titoli che ha offerto al pubblico nei tre anni scorsi: dal gennaio del 2009, infatti, la media delle matricole è sotto del 13%. Se si considerano le 127 società che hanno rastrellato oltre 100 milioni ognuna, ha riportato la sezione Money & Investing del Wall Street Journal il 30 aprile citando dati FactSet, il 72% sono scambiate ora ad un livello inferiore a quello di partenza, e il 69% hanno fatto peggio dell'Hang Seng Index, l'indice generale della borsa di Hong Kong.

E questi numeri escludono cinque Ipo che sono state sospese dopo la quotazione, tra le quali la Hontex International Holdings, accusata dall'organo di vigilanza della borsa di Hong Kong di aver fornito informazioni false ai risparmiatori. L'affidabilità della rampante piazza asiatica è diventata insomma un fattore frenante della sua corsa, e gli enti regolatori locali hanno promesso cambiamenti che renderanno le banche distributrici delle azioni responsabili del contenuto dei prospetti.

Tra le aziende di piccola capitalizzazione, che incarnano la massima speranza di guadagnare e insieme il massimo rischio di perdere per i sottoscrittori di Ipo, si segnalano le performance peggiori. In particolare, l'ultima della classe è la Trony Solar Holdings, produttrice di pannelli solari, che ha fatto svanire l'84,7% dell'investimento a chi sperava di cavalcare l'onda verde dell'energia pulita.

wall street

Male anche anche la China Zhongwang Holdings che fa prodotti d'alluminio (- 55,6%) e la Bawang International (Group) Holdings, che produce shampoo (-71,8%). I timori per gli insuccessi (fisiologici) di tante Ipo e per le carenze del sistema sul delicato aspetto della trasparenza e della governante spiegano l'attuale rallentamento delle nuove offerte nel primo quadrimestre del 2012, con la raccolta che è stata inferiore del 43% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Nel triennio passato ci sono stati però anche grandi guadagni per chi ha puntato la sua scommessa, il termine è appropriato, sulle Ipo vincenti. Le due società del gioco d'azzardo Sands China e Wynn Macau, controllate da operatori di casinò americani, hanno battuto tutte le altre matricole con il +204% e il +132%, rispettivamente, da quando hanno debuttato al 23 aprile 2012.

E buona parte delle Ipo con la raccolta più alta di denaro hanno fatto performance migliori del benchmark Hang Seng Index. Per esempio Aia Group (20,5 miliardi raccolti, +39,7% di performance); Prada (2,5 miliardi, +32,1%); Agricultural Bank of China (22 miliardi, +9,4%).

La Wall Street delle matricole sembra ora avere la carta giusta per il sorpasso di Hong Kong. Il settore delle Ipo negli Usa sta registrando vitalità. Negli ultimi 12 mesi, le società che hanno esordito alla Borsa di New York sono state 173, e ce ne sono altre 228 che hanno avviato la procedura per entrare prossimamente in quotazione. A trainare le Ipo Usa è soprattutto il settore high tech & Internet, che ha creato 37 matricole, contro le 26 del secondo comparto, i servizi per i consumatori.


2- ZUCKERBERG ARRIVA AL NASDAQ MA WALL STREET È SCETTICA SUL MONOPOLIO DI FACEBOOK

ZUCKENBERGimages

Arturo Zampaglione per "Affari e Finanza - La Repubblica"

New York Alla prima tappa del "road show" di Facebook, la presentazione itinerante del sito di social networking in vista del collocamento delle azioni al pubblico e dell'ingresso il 18 maggio a Wall Street, Mark Zuckeberg si è presentato agli investitori newyorkesi con i jeans, le scarpe sportive e la felpa con il cappuccio.

Aveva un'aria insofferente, a tratti arrogante, quasi a indicare di voler subito tornare tra i suoi programmatori e ingegneri nel quartiere generale di Menlo Park, in California, piuttosto che rispondere alle domande (e ai dubbi) del mondo della finanza. "Mark è sempre stato così, perché mai dovrebbe cambiare nella tana di Wall Street?", lo difende un vecchio amico e collaboratore, ricordando che anche nel film "The Social Network", che ha fatto rivivere a milioni di spettatori l'epopea dei primi anni di Facebook, Zuckerberg è ritratto come un giovane altezzoso, prepotente e senza molti scrupoli.

Ma né il look né l'atteggiamento del nuovo "enfant prodige" della Silicon valley sono piaciuti all'establishment della finanza. "E' un segno di disprezzo proprio nei confronti di coloro cui sta chiedendo di investire nella società", ha protestato qualcuno nella maxi-sala dello Sheraton Hotel di Times square. "E' un segno di immaturità perché non capisce che con la quotazione in Borsa cambiano i suoi rapporti con le istituzioni", aggiunge Michael Pachter, un analista della Wedbush Securities presente all'incontro a New York.

FACEBOOK

Mentre parliamo con lui, arriva la notizia che il titolo, ma non stupisce, è già "oversubscribed" parecchio giorni prima del via alle contrattazioni. Ma al di là di confronti e polemiche, l'approccio anti-conformista del fondatore, chief executive officer e maggior azionista di Facebook (avrà il 57% delle azioni con diritto di voto) contribuisce ad alcune inquietudini sulla maxi-operazione finanziaria.

Tutto è pronto per l'Ipo (Initial public offering), cioè il collocamento al pubblico. Ora che la pre-offerta è chiusa è sicuro che saranno raccolti 10,6 miliardi di dollari, con un'offerta a un prezzo compreso tra i 28 e i 35 dollari ad azione, che porteranno la valutazione complessiva della società tra i 77 e i 96 miliardi di dollari: un record per l'ingresso di società americane in Borsa e molto maggiore dell'importo iniziale di altri colossi come Google.

Eppure, alla vigilia dell'appuntamento si moltiplicano gli interrogativi: è forse un prezzo eccessivo, quello di 28-35 dollari, specie in relazione al fatturato e agli utili? C'è il rischio che altri concorrenti scalzino nel medio periodo la supremazia di Facebook? Oppure ha già un monopolio, e nel qual caso potrebbe forse finire nel mirino dell'antitrust? E come farà a colmare il buco della Cina, il più grande bacino di utenti potenziali del mondo, da cui è finora esclusa? Come convincerà le aziende a continuare a fare pubblicità sul sito (che raccoglie sui 3 miliardi di dollari all'anno) viste le difficoltà di misurare l'efficacia dei messaggi? E come valutare la rapida crescita degli accessi a Facebook con gli smartphone, cui non corrispondono aumenti paralleli di pubblicità?

A quest'ultima domanda Zuckerberg ha risposto in extremis mercoledì scorso con un'integrazione ai documenti presentati alla Sec. Rivelando che ormai più della metà dei suoi utenti si serve di iPhone, cellulari basati su Android e altri telefonini "intelligenti" (che da dicembre a marzo sono passati da 425 a 488 milioni), il capo di Facebook ammette che il trend "potrà influenzare negativamente i risultati finanziari". La ragione? Nel sito per telefonini il numero di pagine pubblicitarie è calmierato. Ciò spiega anche perché nel primo trimestre di quest'anno il fatturato è sceso del 6 per cento rispetto a quello precedente, attestandosi su 1,06 miliardi di dollari.

E sembra molto difficile che si riesca a raggiungere quei 7 miliardi di dollari per l'intero anno che sono le previsioni dell'azienda. Ma ancora più vaghe sono le risposte di Zuckerberg e degli altri executive impegnati nel roadshow, dalla chief operating officer Sheryl Sandberg al direttore finanziario David Ebersman, agli altri interrogativi posti dagli investitori. La Cina? Non è solo Facebook, ma sono anche Twitter e YouTube a vedersi bloccato l'ingresso nel mercato cinese. "E al più presto ci incontreremo con le autorità di Pechino per discutere una partnership", osserva la Sandberg. E il rischio di nuovi concorrenti capaci di insidiare il regno di Zuckerberg?

borsa_valori_hong_kong

"No comment", dicono i vertici, anche se è probabile che la nuova generazione di milionari Facebook, cioè i dipendenti della prima ora che vedranno lievitare il valore dei loro pacchetti azionari, decideranno di investire soldi e know how in nuove start-up nel social networking. Del resto il gruppo di Menlo park si sta già affrettando a rilevare, e quindi neutralizzare, iniziative potenzialmente pericolose per la sua leadership: il mese scorso ha comprato la Instagram per 1 miliardo di dollari; la settimana scorsa è stato il turno della italo-canadese Glancee di Andrea Vaccari, Alberto Tretti e Gabriel Grise specializzata nel "social discovering".

Più complessa (e controversa), invece, resta la valutazione di Facebook. "I prezzi indicati per il collocamento sono molto alti rispetto al fatturato e presentano forti pericoli per gli investitori ", dice Brian Hamilton, responsabile della Sagework, specializzata in analisi di società non-quotate. Quando la Microsoft di Bill Gates sbarcò a Wall Street, fu valutata 500 milioni di dollari e aveva un fatturato di 140 milioni, cioè un multiplo di 4. Negli ultimi anni le aziende hi tech hanno visto un rapporto valutazione- fatturato dal 4 a 10. Nel caso di Facebook, invece, il multiplo sarà di ben 25.

Né considerazioni del genere né gli inviti alla prudenza sembrano però scoraggiare la maggioranza degli investitori: che puntano alle potenzialità e novità della piattaforma Facebook e ai sui 900 milioni di utenti. La febbre di Zuckeberg ha così contagiato anche piccoli e medi risparmiatori. E bisognerà aspettare fino alla fine della settimana per conoscere l'esito della più ambiziosa e insolita operazione degli ultimi anni a Wall Street.

 

 

UN FERRARA VIOLENTISSIMO DÀ IL SUO BENVENUTO AL PROGRAMMA DI FAZIO-SAVIANO IN ONDA STASERA

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Giuliano Ferrara per http://www.ilfoglio.it/soloqui/13404

Giuliano Ferrara

Saviano al posto di Bocca. Uno che non ha mai detto nulla di interessante, che non ha un'idea in croce, che scrive male e banale, che parla come una macchinetta sputasentenze, che brancola nel buio di un generico civismo, che è stato assemblato come una zuppa di pesce retorico a partire da un romanzo di successo, si prende la rubrica di un tipo tosto che di cose da dire ne aveva fin troppe.

saviano b

Saviano a La7 per tre giorni con l'auricolare di Serra e la bonomia un po' spenta di Fazio, un rimasuglio di tv dell'indignazione, una celebrazione di quella cazzata che è l'evento, il tutto destinato a sicuro successo di critica e di pubblico: il nulla intorno alle parole, ridotte barbaramente al nulla dell'ideologia, e tutt'intorno un uso cinico della condiscendenza verso il piccolo talento dell'ordinario.

Saviano a New York, come un brand scassato alla ricerca della mafia già scoperta da Puzo, Coppola e Scorsese, una specie di Lapo in cerca di marketing sulle orme di Zuccotti Park, tranne che Lapo fa il suo mestieraccio. Saviano in ogni appello, dalla lotta al traffico di cocaina ai diritti dei gay a chissà cos'altro ancora. Saviano sul giornale stylish del mio amico Christian Rocca, perfino. Ma che palle.

LAPO ELKANN E LA SUA FERRARI MIMETICA Bocca Giorgio Bocca

L'ho ascoltato al Palasharp, un anno e mezzo fa, via web. Un disastro incolore. Uno fuori posto perfino in un luogo in cui si faceva mercimonio delle idee peggiori della società italiana. Non riusciva ad aderire, malgrado la buona volontà, nemmeno alla semplificazione moralista della politica nella sua forma estrema di faziosità e di odio teologico-politico.

SCORSESE

Saviano non sa fare niente e va su tutto, è di un grigiore penoso, e i madonnari che lo portano in processione dalla mattina alla sera gli hanno fatto un danno umano, civile, culturale e professionale quasi bestiale. Credo che le premesse fossero genuine, è l'esplosione che si è rivelata di un'atroce fumosità.

Già non è dotato, ma poi mettergli in mano una specie di scettro da maghetto della popolarità e della significatività di sinistra o de sinistra, insignirlo di una strana laurea da rive gauche all'italiana, il caffè intellettuale dei mentecatti, chiedergli di pronunciarsi su tutto e su tutti come l'oracolo, di fungere da uomo-simbolo, lui che del simbolico ha appena la scorta, questo è veramente troppo.

I Moccia e i Fabio Volo hanno scritto anche loro libri di successo. E' un guaio che ti può capitare, una brutta malattia come il premio Nobel e altre scemenze. Un giorno o l'altro qualcuno te le commina, se sei veramente sfortunato, e c'è chi sbava nell'attesa. Ma nessuno li ha trasformati in totem, non si prestavano, non erano all'altezza.

ENNIO FLAIANO FABIO VOLO

Saviano invece è all'altezza di questa mondializzazione del banale, di questa spaventosa irriverenza verso l'allegria e l'eccentricità dell'intelletto come nutrimento della società e della vita, di questa orgia del progressismo finto sexy, il torello triste che combatte la sua corrida in compagnia di milioni di consumatori culturali e di utenti dell'indicibilmente e sinistramente comune, medio.

Siamo il paese di Wilcock, di Flaiano, di Cesaretto, di Manganelli e a parte lo spirito d'avanguardia e di letizia della scrittura, abbondano grandi maestri, filologi, scrittori anche civili che qualcosa da dire ce l'hanno, in trattoria e sui giornali e in tv, e siamo stati trasformati nel paese dei balocchi dei festival e delle seriali conferenze culturali dedicate al libro, al bestseller che ti cambia la vita come una nuova religione e ti immette nel mainstream più compiacente e belinaro.

MICHELE SERRAFazio e Saviano

Ma via. Qualcuno deve pur dirlo. Facciamo un comitato, qualcosa di sapido e di cattivo, qualcosa di rivoltoso e di ribaldo. Basta con Saviano.

 

 

QUESTIONI VITALI - LA MARCIA ANTIABORTISTA SU ROMA: 15 MILA PERSONE URLANTI CON BAMBINI AL SEGUITO

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F. Ama. per "la Stampa"

RADUNO LEGIONARI DI CRISTO

E ora vorrebbero una Marcia pro-life l'anno come negli Stati Uniti. Sempre a maggio, in coincidenza con la Festa della Mamma in attesa di poter fare dell'aborto un grande argomento di discussione durante le elezioni. Gli antiabortisti italiani si mostrano entusiasti alla fine della marcia che si è svolta ieri a Roma dal Colosseo a Castel Sant'Angelo fra polemiche e iniziative di protesta.

ALEMANNO AL CORTEO ANTIABORTISTA

Per gli organizzatori è stato «un successo superiore a ogni aspettativa. Oltre 15mila persone, da ogni parte d'Italia, hanno percorso il centro della Capitale proclamando un'opposizione senza compromessi alla legge 194, che dal 1978 ha legalizzato l'aborto in Italia».

Un'iniziativa antipartitica, hanno sottolineato. Ogni simbolo politico è stato vietato e i parlamentari hanno partecipato a titolo personale. Un centinaio le associazioni presenti, fra cui Lefebvriani, Fondazione Lepanto, Militia Christi, Legionari di Cristo, Templari di San Bernardo, Forza Nuova.

MAURIZIO GASPARRI

Con mezz'ora di ritardo è arrivato anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in fascia tricolore. Fra i parlamentari Maurizio Gasparri, Paola Binetti, Emanuela Baio e Stefano De Lillo. Tra i cartelli esposti, «Più nascite meno aborti», «L'aborto è violenza, è omicidio», «194: già 5 milioni di morti». Smentita la presenza di cartelli con su scritta la parola «assassine» per le donne che abortiscono. «Sono gli alieni ad abortire», commentano i favorevoli alla legge 194.

«Il messaggio è che nessuna famiglia o donna deve essere costretta a rinunciare ad un figlio - ha affermato Alemanno - Roma è mobilitata da sempre per la famiglia e a tutti quelli che si sono risentiti noi diciamo: cercate almeno di applicare tutta la legge 194, legata alla prevenzione che troppo facilmente viene dimenticata».

PAOLA BINETTI

La marcia si è svolta senza incidenti né d'altra parte ne erano previsti. Il corteo era accompagnato da una sola camionetta blindata e l'atmosfera era volutamente giocosa con bambini, boy scout, un trenino da cui arrivavano le note di canzoni dello Zecchino d'Oro. Ma le polemiche sono andate avanti per giorni, da quando Alemanno ha deciso di dare il patrocinio del Comune alla manifestazione.

GIUSEPPE FIORONI

Molto pesanti le critiche del Pd, anche della parte più cattolica. Maria Pia Garavaglia, senatrice, all'inizio aveva aderito alla marcia ma ha poi ritirato la sua adesione. Anche Giuseppe Fioroni, cattolico e deputato del Pd, ha condannato la Marcia. «Giusto manifestare per la vita ma bisogna operare per con fatti, che non si vedono a nessun livello tanto meno di Roma. I valori non si strumentalizzano e per il futuro nessuno pensi più che negazionismo e razzismo siano difesa della vita».

GIANNI ALEMANNO

I pro-life sono stati accolti da striscioni lungo il percorso e anche a Castel Sant'Angelo, punto di arrivo, per denunciare: «Aborto clandestino profitto di milioni, è questa la morale di preti e padroni».

 

IL CICLONE DEL LIBRO DI TORINO - IL MONDO DELL’EDITORIA, SULL’ORLO DEL BARATRO, FESTEGGIA IL PROSSIMO FALLIMENTO

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Luigi Mascheroni per "il Giornale"

VOLO

Avvezza, per ruolo tecnico istituzionale, a essere spesso smentita dal Paese a ogni avventata dichiarazione, la ministra Elsa Fornero è stata pietosamente corretta dall'Associazione italiana editori appena due ore dopo aver inaugurato il Salone del Libro di Torino con la frase: «Non sarà il Salone della crisi». Infatti il mercato editoriale - riferiscono le cifre - è crollato negli ultimi mesi del 12%, i dati di lettura sono alla soglia dell'analfabetismo di ritorno, il mondo del libro è investito da una tempesta perfetta, soprattutto per l'opportunità del momento in cui arriva. Il peggiore.

NICOLO AMMANNITI

Tra il marzo 2011 e il febbraio 2012 la produzione mensile di novità è scesa del 28,8%, la lettura di libri è ulteriormente scesa del 2,7%, e un bestseller oggi vende quattro volte in meno rispetto a quattro anni fa. In compenso è spuntata la Primavera Digitale, che vuol dire che il mercato dell'e-book è passato dallo 0,9% all'1 virgola qualcosa... Tutti parlano e scrivono di libri elettronici, pochissimi li scaricano, e chi li legge davvero? Ci salveranno le cinquecentine.

LIBROLANDIA IN AFFANNO
Girando in questi giorni fra gli stand di quello che NON doveva essere il Salone della crisi, nuovi e vecchi editori, piccoli e medi, persino medio-grandi, a meno che non siano i mega-Gruppi, non dicono che sono in crisi. Peggio. Sono disperati. O chiudi, o vendi. O molli tutto, o ti fai acquisire. La bolla economica editoriale, gonfiata da troppi anticipi sul venduto e poche vendite effettive, rimbalza spensieratamente sul filo del rasoio, e sta per scoppiare.

ligabue

Così il Salone del Libro, per festeggiare i suoi primi 25 anni di vita, per quattro giorni ha danzato allegramente sui bordi del baratro. Preoccupato, ma senza darlo a vedere. Logorato da formule vecchie, ma deciso nell'affrontare «nuove sfide». Preso da assalto da migliaia di visitatori, ma a corto di lettori. In un Paese come l'Italia dove solo il 45% della popolazione legge almeno un libro all'anno (contro il 78% negli Sati Uniti, il 62% in Spagna e il 72% in Francia), accade spesso di mettersi in coda per farsi fare l'autografo dall'Autore, romanziere, giornalista, cantante, attore che sia, ma spessissimo - come capita di vedere qui a Torino alla fine di una presentazione - non sul nuovo libro, ma su un foglietto volante, o sul programma... Come tutto ciò che è moda, l'importante è la firma. Librolandia è in crisi sì, ma spensierata.

SERGIO MARCHIONNE A SIXTY MINUTES

CAMPIONI DI VENDITE
Crisi di lettori, crisi degli editori, crisi di novità letterarie (il libro più venduto al Salone è stata l'autobiografia di Del Piero, campione anche di vendite: «È come se io che sono uno scrittore, un giorno decidessi di mettermi la maglia numero 10, giocassi una partita di serie A e alla fine dell'incontro vengo nominato giocatore del match e intervistato da Sky... direi che il calcio è un mondo di matti...», ha fatto notare Baricco), crisi di personaggi nuovi (a fare il pienone nei grandi eventi sono sempre gli stessi volti, da Faletti a Saviano), crisi di idee. Tantissimi appuntamenti, pochissimi quelli da tutto esaurito, cioè i soliti noti: Volo, Ammaniti, Ligabue. Ci salverà Donato Carrisi?

Massimo Gramellini

BRINDISI ALL'INSUCCESSO
Vittime incoscienti di una eccitata depressione, tutti i protagonisti del Salone sorridono beati davanti all'incertezza che ci riserva il presente e alla tristezza che s'intravede nel futuro. Bonjour, kermesse. I lettori vagano spaesati tra gli stand e gli appuntamenti del Lingotto. Gli scrittori, tolti i big e i «televisivi», non vendono una copia.

Ernesto Ferrero

E gli editori, se non sono i tre-quattro colossi Mondadori, Gems, Rizzoli e Feltrinelli, piangono miseria. Intanto si brinda. Alle feste di minimum fax, a quella degli editori stranieri al Circolo dei Lettori di Torino, a quella di Bompiani sulla terrazza di Eataly... Tutti a dire che va malissimo, che il momento è terribile, che il futuro è nero... Sorseggiando bollicine con una monoporzione di pere martine al barolo. «Quest'anno la vedo brutta... ». Prosit.

DISTENSIONI CULTURALI
In una Fiera della contraddizioni in cui a essere in crisi è persino l'anti-berlusconismo, in gran spolvero nelle edizioni passate e oggi come il suo opposto, il berlusconismo, in fase di sobrio calo dei consensi (neppure nell'incontro con Fazio, Saviano e la Littizzetto si è fatta una battuta sul Cavaliere, chapeau...), aleggia quest'anno sul Lingotto un meno polemico e più riservato clima bipartisan. Persino il passaggio del ministro della Cultura Ornaghi è filato via senza strascichi.

fazio e saviano

Ha fatto un giro tra gli stand insieme al sindaco di Torino Piero Fassino (centrosinistra) e all'assessore alla cultura Coppola (centrodestra). Si sono fermati all'Einaudi e hanno scelto un libro ciascuno: 1 di Murakami il Ministro, l'ultimo saggio di Günther Grass il Sindaco, il nuovo romanzo di Marcello Fois l'Assessore.

Littizzetto

Per il resto, sorrisi e strette di mano dei visitatori a tutti e tre. È sintomatico che in una fin troppo rilassata edizione senza polemiche, senza contestazioni, senza veleni, gli unici fischi se li sia presi non un intellettuale, non un politico, non un anti-politico. Ma Sergio Marchionne, quando, ieri, alla presentazione del romanzo di Massimo Gramellini, il Direttore del Salone Ernesto Ferrero l'ha ­improvvidamente - ringraziato di essere presente tra il pubblico. Bhuuuu.

 

LA PIÙ GRANDE BANCA AMERICANA, JP MORGAN, HA “SCOPERTO” GIOVEDÌ SERA UNA VORAGINE DI ALMENO 2 MLD $

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Federico Rampini per "la Repubblica"

JPMorgan Chase

I banchieri sono tornati a colpire. Anche se hanno i toni più soft e la maschera suadente di Jamie Dimon, capo di JP Morgan, sono rimasti quelli del 2008. Impuniti, impenitenti, pericolosi come quattro anni fa quando scatenarono la grande crisi. Quella lezione non è servita a niente. Sulle due sponde dell´Atlantico, due disastri paralleli portano di nuovo le impronte digitali dei Signori della finanza.

Se la Spagna rischia il default, è perché le sue banche la stanno affondando. Madrid ha dovuto nazionalizzare in fretta e furia la terza banca del paese che stava fallendo (Bankia), ma l´intero settore creditizio traballa paurosamente sotto il peso di oltre 100 miliardi di crediti inesigibili legati alla bolla immobiliare. L´Europa e Angela Merkel continuano a infliggere al governo Rajoy dosi mortali di austerity che peggiorano la recessione e la disoccupazione, mentre il vero male sta altrove: nelle banche.

JAMIE DIMON

Qui a New York, l´establishment della finanza è recidivo, con gli stessi metodi e la stessa arroganza degli anni pre-crisi. La più grande banca americana, JP Morgan Chase, ha "scoperto" giovedì sera un buco di almeno 2 miliardi di dollari, che potrebbero diventare molti di più. La JP Morgan è un colosso dalle spalle robuste, e anche se il titolo è crollato del 9,3% nella seduta di venerdì, per il momento nessuno evoca la possibilità di un suo fallimento.

Tuttavia questa vicenda è allarmante per diverse ragioni. Anzitutto perché il suo chief executive Dimon si era costruito la reputazione del "banchiere più saggio di Wall Street", avendo attraversato lo tsunami del 2008-2009 con meno danni dei suoi colleghi e concorrenti; al punto che JP Morgan fu l´unico colosso del credito a non dover elemosinare aiuti dall´Amministrazione Obama. Seconda ragione dello sconcerto: l´improvvisa voragine di 2 miliardi è legata a complesse speculazioni sui credit default swaps (Cds).

angela_merkel

I Cds sono titoli derivati che fungono da polizze assicurative e servono a proteggersi dall´eventualità di bancarotta di una società a cui il banchiere ha prestato soldi, oppure dalla quale ha comprato dei bond (obbligazioni). Gli stessi Cds però possono servire non a scopo precauzionale, bensì per la finalità opposta: una speculazione aggressiva di chi "scommette" sui fallimenti societari.

Una storia vecchia? Certo, stravecchia: fu attraverso titoli strutturati di questo tipo che la bolla dei mutui subprime nel 2008 travolse Lehman Brothers e rischiò di mandare in bancarotta la più grande compagnia assicurativa americana, Aig, se a salvare quest´ultima non fosse intervenuto il governo federale e quindi il contribuente americano.

ANGELA MERKEL

Terza ragione di allarme: a che servono le grandi riforme dei mercati finanziari, se siamo già al "remake" delle scorribande speculative del 2008? Del resto in questi quattro anni le "ricadute", o i comportamenti recidivi, sono già una bella lista: qui a Wall Street abbiamo avuto la bancarotta del fondo Mf Global travolto da puntate speculative sui bond dell´eurozona; a Londra un solo trader ha fatto perdere 2,3 miliardi di dollari alla banca svizzera Ubs.

wall street

Tutto come prima? Sulla carta, dovrebbe essere impossibile. Soprattutto nel caso della JP Morgan, la quale in virtù delle sue dimensioni colossali è una "vigilata speciale" da parte delle authority di controllo americane. Sul serio. All´interno del quartier generale dove Dimon lavora al 48esimo piano, nell´imponente grattacielo sulla Park Avenue, sono "ospiti fissi" ben 40 ispettori della Federal Reserve Bank of New York, quella succursale della banca centrale che ha diretta competenza su Wall Street. Dunque la JP Morgan ha dei segugi "embedded", come si suol dire dei giornalisti che vengono inquadrati fra le truppe americane al fronte. Anche loro non hanno visto nulla?

E che dire della singola squadra d´investitori che nell´ufficio di Londra ha generato il "buco" di 2 miliardi? Uno di questi trader è già divenuto leggenda: Bruno Iksil detto "lo Squalo di Londra". Un profano potrebbe immaginarsi che sotto la direzione dello Squalo lavorino centinaia di esperti. Macché: il Chief Investment Office, come viene chiamato all´interno di JP Morgan quel dipartimento, è una minuscola entità. Ci lavorano poco più di una trentina di trader e analisti, su 270.000 dipendenti della banca. Il colmo è che la sua responsabilità istituzionale sarebbe "la copertura del rischio".

Lehman Brothers

Dovrebbe cioè analizzare l´insieme dei rischi che la banca sta correndo in un dato momento per effetto di tutte le sue attività globali, e poi proteggerla da incidenti prendendo delle posizioni compensatrici. Invece il Chief Investment Office sotto la guida dello Squalo, e sotto lo sguardo benevolo e incoraggiante di tutto il top management da New York, si è messo a giocare d´azzardo. Ha cominciato a piazzare sul mercato "titoli strutturati", composti con credit default swap su indici di varie società Usa (da McDonald´s a General Millas, Alcoa).

Quella che doveva essere l´unità di controllo dei rischi, ha cominciato ad assumersi dei rischi in proprio. E crescenti. Se all´epoca pre-crisi nel 2007 l´ufficio di Londra aveva in portafoglio meno di 80 miliardi di dollari di investimenti, l´anno scorso era salito a 356 miliardi. Il chief executive Dimon in persona, ha allargato a dismisura l´autorizzazione a guadagnare o perdere: lo Squalo di Londra aveva carta bianca da Park Avenue per guadagnare - o perdere - fino a 129 milioni ogni giorno. Una licenza di uccidere.

Di cui Iksil ha fatto uso ampiamente. Ma sempre con la perfetta consapevolezza dei suoi capi di New York. Questo è importante: non siamo di fronte a un caso di "trader-pirata" come quello che affondò la Société Générale. Dimon non ha potuto tentare di dissociarsi: tutti sapevano che lui sapeva. E non sarà il solo a pagare: secondo il Wall Street Journal nei prossimi giorni saranno almeno tre i dirigenti allontanati dalla banca, tra loro anche Ina Drew, responsabile del risk management nella divisione che ha registrato le perdite.

In Spagna i banchieri possono trascinare nel default un´intera nazione, scatenando l´effetto domino in tutta l´eurozona. Le banche italiane suscitano diffidenza al punto che la Goldman Sachs si è sbarazzata di quasi tutti i loro titoli per sostituirli con dei Bot. Ma anche in America il "buco" di JP Morgan ha ricadute a cerchi concentrici, che investono il sistema politico. Perché il "banchiere saggio" aveva capitalizzato la sua reputazione, usandola a Washington in modo spregiudicato.

È qui che bisogna cercare la risposta al quesito: perché i 40 ispettori della vigilanza "infiltrati" in permanenza negli uffici di Park Avenue non hanno impedito l´incidente? Perché non hanno l´autorità per farlo. I controllori della Federal Reserve hanno potuto solo «chiedere spiegazioni» a Dimon, il quale dall´inizio di aprile fino al 10 maggio ha sempre risposto: «Tranquilli, nessun problema, è tutto sotto controllo».

Paul Volcker

E dove sono le nuove regole varate sotto l´Amministrazione Obama per impedire un "remake" del 2008? Qui si apre un altro giallo, di nuovo con Dimon nella parte del protagonista malefico. In teoria la grande riforma di Obama, che si chiama la legge Dodd-Frank dal nome dei due parlamentari firmatari, stabilisce un principio sano: le maxi-banche, quelle che sono «troppo grosse per fallire» (nel senso che un loro crac avrebbe conseguenze sistemiche e quindi lo Stato sarebbe costretto a salvarle coi soldi del contribuente) non possono più fare speculazione. Non coi capitali propri. Possono sempre agire da intermediari per i loro clienti, piazzare in Borsa i loro ordini, ma questo non comporta rischi per la banca stessa perché è l´investitore a guadagnare o perdere.

Dunque la regola del "too big to fail" (troppo grande per fallire) ha come corollario il divieto del "proprietary trading" (trading effettuato con mezzi propri). Quest´ultimo viene anche chiamato la Regola Volcker, perché a battersi strenuamente per questo limite è stato l´ex governatore della Fed Paul Volcker, lui sì un grande saggio della finanza. Ma da quando la Dodd-Frank è stata approvata, Dimon ha lavorato ai fianchi di Washington per svuotarla.

Poiché la legge Dodd-Frank definisce le linee generali, ma poi va riempita di contenuti attraverso regolamenti attuativi, per lo più di competenza delle authority, Dimon si è adoperato per "allargare" l´interpretazione fino a stravolgerla, vanificarla. Sfruttando proprio la sua fama di prudenza, e il fatto di essere il banchiere meno macchiato dalla crisi del 2008, Dimon ha distribuito milioni di dollari ai suoi lobbisti di Washington perché facessero pressione sui parlamentari. L´argomento forte, che Dimon ha ripetuto a una cena privata di pochi giorni fa: «Se ci impedite di fare investimenti a copertura del rischio, la nostra attività sarà penalizzata e i nostri bilanci ne soffriranno».

Dimon non ha esitato ad accusare di "incompetenza" un patriarca rispettato come Volcker. Ha trovato alleati in alcune zone dell´Amministrazione pubblica come il Dipartimento del Tesoro, pieno zeppo di ex banchieri di Wall Street. I suoi migliori alleati del partito repubblicano hanno letteralmente strangolato gli organi di vigilanza, negandogli fondi per il funzionamento.

Una memorabile battaglia della destra impedì la nomina di Elizabeth Warren, paladina dei risparmiatori, alla testa della nuova authority per i controllo sui prodotti finanziari. «Alla fine - commenta il senatore democratico Carl Levine - tutti quegli sforzi hanno allargato le maglie interpretative della legge, al punto che ci può passare in mezzo un Tir».

 

 

L’AFFARISTA TRASFORMISTA - CHI È ROBERTO DE SANTIS? IMPRENDITORE PUGLIESE INTRODOTTO AI PIANI ALTI DA BAFFINO…

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Ferruccio Sansa per il "Fatto quotidiano"

roberto desantis

Ancora tu. Un altro scandalo targato centrosinistra e di nuovo compare il nome di Roberto De Santis: Tarantini, sanità pugliese, caso Penati. Passando per affari come bingo, crac Festival e petrolio venezuelano. Indagato oggi a Monza, altrove invece citato nelle intercettazioni, amico dei protagonisti delle inchieste. O semplicemente socio di affari discussi.

MICHELE EMILIANO - NEL TONDO ROBERTO DE SANTIS

Un nome ormai familiare alle cronache eppure misterioso. Pochi l'hanno incontrato. Di fotografie ne esiste forse una. De Santis è un'idea, secondo qualcuno il tipo culturale e antropologico del "berlusconismo di sinistra". L'imprenditore all'ombra della politica, con amicizie bipartisan.

Qualcuno parla di "homo dalemianus", "vicino al leader Pd". Massimo D'Alema si è scagliato contro chi lo collegava a persone nominate in qualche scandalo tramite "espressioni fantasiose del tipo "luogotenente" o "fedelissimo"". Calunnie? De Santis dice: "Massimo è qualcosa più di un semplice amico: per me è un fratello maggiore".

Ma chi è Roberto De Santis, classe 1958? Al di là dei modi un po' guasconi è un duro. Uno che si è fatto dal niente. Con un'infanzia dolorosa: "Avevo tredici anni quando morì mio padre, un falegname di Martano, in Puglia. Famiglia di artigiani, entrai nella Lega delle Cooperative". Il partito comincia a fargli da famiglia anche se lui è più interessato agli affari. Un gigante alto due metri, un uomo bello, piace alle donne e le donne piacciono a lui. Sono gli anni Ottanta, all'epoca D'Alema è in "esilio" in Puglia.

GIANPIERO TARANTINI

Ma l'esordio di De Santis sul palcoscenico nazionale risale alla seconda metà degli anni Novanta. Il centrosinistra al governo e Robi sbarca a Roma. In un appartamento affacciato sul Colosseo si riunisce "l'Ulivo da bere". Politici e uomini d'affari spesso a cavallo tra Puglia e Liguria, le roccaforti dalemiane.

MASSIMO DALEMA

Eccoli: De Santis, Francesco Palmiro Mariani (oggi presidente del porto di Bari), Angelo Tromboni, Enzo Morichini (procacciatore di finanziamenti della Fondazione Italianieuropei finito nello scandalo Enac) e Franco Pronzato (l'esponente Pd arrestato per le mazzette Enac). Ma c'è chi giura di aver incrociato anche Claudio Velardi, Nicola Latorre e Marco Minniti. Ci si diverte e si parla di affari.

Robi si definisce con orgoglio "imprenditore", guai a chi lo chiama "affarista". Dice: "Sono una persona nata professionalmente nell'ambito del settore commerciale, della promozione, del marketing, delle relazioni istituzionali. E il settore commerciale è fatto di relazioni". Il suo amico Gianpi Tarantini, durante un interrogatorio, dirà: "È un imprenditore nell'edilizia e fa pubbliche relazioni, comunicazione forse... Non lo so che lavoro fa De Santis".

FRANCO PRONZATO VINCENZO SCOTTI

De Santis compare sulla scena che conta nel 1998. Per sua iniziativa nasce London Court, finanziaria che scatena l'ironia di Francesco Cossiga: "Una giovane, vivace, coraggiosa, piccola banca d'affari... sappiamo che queste banche servono per promuovere affari e a organizzare le costellazioni del potere politico. Ma in un regime reale di economia privata non si vede perché, per fare delle scelte, si debbano salire le scale di Palazzo Chigi". È London Court che si lancia - attraverso la partecipata Formula Bingo - nell'avventura del bingo. La società ha sede legale nello stesso stabile dove aveva sede Italianieuropei.

Di certo un caso. Presidente è Vincenzo Scotti, sì, proprio il democristiano poi sottosegretario di Silvio Berlusconi. Finisce male, ma De Santis va dritto per la sua strada. Passa indenne anche attraverso lo scandalo delle escort di sinistra: l'indagine ipotizzava che una maitresse (socia in altri affari di Lorenzo Cesa, Udc) avesse utilizzato giovani squillo come "chiave d'accesso" per ottenere favori e "benefici economici nella forma di ghiotti appalti o incarichi ben remunerati".

FRANCESCO COSSIGA

Si parlò di incontri a luci rosse negli uffici del Parlamento. Vennero sentiti diversi frequentatori dell'appartamento con vista sul Colosseo, tra cui Morichini e De Santis, che però non furono indagati. Robi sarebbe stato solo un "utilizzatore finale" ("Ma non ho mai pagato", giurò). Qualche anno e De Santis sbarca in Liguria. È nel cda della Festival Crociere, con lui imprenditori e avvocati legati al centrosinistra ligure.

Sandro Frisullo

"Avrò partecipato solo a tre riunioni", giura Robi che per il disturbo ha incassato 143mila euro. Finisce con un buco da 270 milioni e centinaia di persone a spasso. E un'inchiesta che oggi sta finalmente partendo (non ci sono ancora indagati). Ma ormai De Santis è lanciato. Basta una visura camerale per trovare decine di incarichi e partecipazioni. Il suo nome compare nelle cronache insieme con quello di Enrico Intini (imprenditore pugliese finanziatore di Italianieuropei). Ecco l'inchiesta sulla sanità pugliese, protagonisti Tarantini e Sandro Frisullo, ex vicepresidente della Regione Puglia (Pd). Robi non è indagato, ma Tarantini parla di lui: "Ho conosciuto Frisullo attraverso De Santis".

Diventa famoso all'epoca dello scandalo delle escort di Berlusconi. Si scopre così il nuovo compromesso storico: secondo i pm, Tarantini procura le escort al Cavaliere, ma gli chiede di interessarsi agli affari di De Santis, Intini e Salvatore Castellaneta (l'unico indagato del trio in questa inchiesta, lo troviamo anche nel bingo).

Filippo Penati

De Santis, Nelle intercettazioni, istruisce l'amico Tarantini: "Meglio una parola di meno che una di più... senza fretta... se metti fretta capiscono che hai bisogno". Il duo sogna affari bipartisan, lavora addirittura per coinvolgere Paolo Berlusconi. Robi nasce a sinistra, ma in affari non ha preclusioni. Ecco un affare milionario intorno al petrolio venezuelano. Ci lavorano Marcello Dell'Utri, il latitante frequentatore di ndranghetisti Aldo Micciché e Marino Massimo De Caro, amico di Dell'Utri e De Santis. Robi cerca una raffineria per il greggio.

Destra e sinistra. Eccolo nel frattempo impegnato in operazioni immobiliari da decine di milioni a Sesto San Giovanni, regno di Filippo Penati (Pd). Con lui ancora Castellaneta e Intini. I pm di Monza indagano De Santis e Intini per finanziamento illecito. L'uomo invisibile De Santis sta diventando decisamente ingombrante.

 


FERMI TUTTI! - NELLA TOMBA DI DE PEDIS TROVATA UNA CASSETTA CON ALTRI RESTI OSSEI, POTREBBERO NON ESSERE SUOI

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1- ORLANDI: IN BARA DE PEDIS CASSETTA CON RESTI DI OSSA
(ANSA) - All'interno della bara di Enrico De Pedis è stata trovata una cassetta con altri resti che potrebbero non appartenere al boss, la cui salma era invece ben conservata. Lo si apprende da fonti qualificate. I resti ossei saranno esaminati dalla polizia scientifica.

DePedis EnricoEmanuela Orlandi

2- VELTRONI, CASSETTA CON OSSA CONFERMA STRANEZZA
(ANSA) - "La scoperta di una cassetta contenente delle ossa nella bara di De Pedis conferma la stranezza di una simile sepoltura e apre interrogativi a cui la magistratura darà risposte". Lo afferma Walter Veltroni che ricorda come "quando qualche settimana fa con una interrogazione parlamentare sono tornato a porre la questione e le mille domande ancora aperte il mio intento era proprio questo".

EMANUELA ORLANDI CERCASI

"Ora l'ispezione della tomba di De Pedis - sostiene l'ex sindaco di Roma - nella Basilica di Sant'Apollinare è il segnale di grande sensibilità e attenzione da parte della Procura alla ricerca della verità giudiziaria per il rapimento di Emanuela Orlandi. Ora è necessario andare avanti per eliminare l'anomalia della sepoltura del boss della banda della Magliana in un luogo sacro, anomalia che offende i cattolici e tutti i cittadini onesti. E andare avanti per cancellare i dubbi e il buio che sinora ha circondato il rapimento e la sorte della giovanissima Emanuela: lo dobbiamo a lei, alla sua famiglia, al nostro Paese. Per questo l'impegno della Procura e degli inquirenti è un buon segno".

GIUSEPPE PIGNATONE

3- POCHI MINUTI PRIMA: ORLANDI:FRATELLO, ERO CERTO CHE IN BARA NON CI FOSSE EMANUELA
(ANSA) - "Che Emanuela non ci fosse in quella bara non ne avevo dubbi". Questo il primo commento di Pietro Orlandi, subito dopo essere uscito dalla basilica di Santa Apollinare a Roma, dove è stata riaperto il sepolcro di Enrico De Pedis, l'ex boss della banda della Magliana, il cui nome è collegato alla scomparsa di Emanuela Orlandi, il 22 giugno del 1983. "Finalmente - ha aggiunto - si può mettere un punto su questa pista, una delle tante che si sono susseguite negli anni".

De Pedis foto GMT

4- ORLANDI: PROCURA ROMA, ATTIVITA' PER CERCARE RESTI RAGAZZA
(ANSA) - L'apertura della tomba di Enrico De Pedis si inscrive in "un'attività investigativa finalizzata "alla ricerca dei resti di Emanuela Orlandi". Lo afferma il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, in una nota relativa all'attivà in corso oggi presso la basilica di Sant'Apollinare. In quest'attività investigativa rientrerà anche un'"analisi del materiale contenuto nell'ossario presente nella cripta della Basilica".

basilica sant apollinare

Quella in corso, spiega il procuratore di Roma, "é una perquisizione" a cui stanno partecipando il sostituto procuratore Giancarlo Capaldo e il pm Simona Maisto, titolari dell'inchiesta sulla scomparsa dell'Orlandi. A Sant'Apollinare sono presenti anche agenti di polizia giudiziaria della Squadra mobile, esperti della polizia scientifica e il medico legale. L'analisi della salma di Enrico De Pedis e dell'ossario è affidata alla dottoressa Cristina Cattaneo del Laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano. La specialista dovrà, in primo luogo, stabilire se all'interno dell'ossario ci siano reperti utili alle indagini.

 

TROTANDO QUA E LÀ - GLI AUTISTI DEL TROTA RIVELANO COME RENZINO SPENDEVA I SOLDI DELLA LEGA

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Paolo Berizzi per "la Stampa"

RENZO BOSSI - TROTA giro di padania RENZO BOSSI

Da Gemonio a Cremona in sella al quad - la moto a quattro ruote che bisognava portare a riparare - e dietro di lui, di scorta, la solita immancabile auto di servizio con autista. E ancora: in Sicilia per visitare le terre e la famiglia della madre, Manuela Marrone, e poi via a Monaco di Baviera, questa volta, una tantum, con il suo suv Bmw X5: ma con benzina offerta dalla Lega di Famiglia. Viaggiava Renzo Bossi, viaggiava e a pagare era sempre il Carroccio di papà. Anche nelle serate in discoteca a Milano: un impegnativo nightclubbing tra i locali all´ombra del Pirellone e i suoi angeli custodi, stipendiati dalla Lega Nord, dovevano scarrozzarlo qua e là e aspettarlo fino all´alba.

Sono loro adesso, gli ex autisti e bodyguard di Bossi jr, a sollevare il velo sul «curioso» diario di viaggio di quello che un tempo era il «ragazzo» da portare in giro e da proteggere. Il «futuro capo della Lega», come lo avevano impalmato, raccomandandosi ogni volta, Manuela Marrone e Rosi Mauro.

RENZO BOSSI CON LA MAGLIETTA DEL TROTA

Oscar Morando e Alessandro Marmello («il bancomat di Renzo») sono due professionisti licenziati in tronco e ora sono senza lavoro e con famiglie da mantenere: la Lega ha dato loro il benservito perché, uno, Morando, non era «più gradito a Renzo», e l´altro, Marmello, ha «tradito la fiducia» del ragazzo rendendo pubblici dei video in cui ha documentato le dazioni di denaro che Belsito metteva a disposizione del Trota per le sue spese.

«Sono stato con lui dal 15 settembre 2010 al 21 marzo 2011 - racconta Morando, che non è mai stato leghista e che da Tenerife dove viveva è stato arruolato dalla "badante" Rosi Mauro prima come autista di Umberto Bossi e poi come tutor del figlio, ma «ho fatto il peggiore affare della mia vita» - . Prima andavamo in giro con un´Alfa 159, poi con un´Audi A5. Renzo pretendeva che si usasse il lampeggiante per saltare le code, cosa che non è consentita a un consigliere regionale.

ROSY MAURO E MANUELA MARRONE

Ma il punto vero è un altro, e cioè le sue abitudini, il suo stile di vita da giovane politico. Si viaggiava spessissimo non per impegni politici ma per partecipare a serate mondane: feste, cene, discoteche. Sempre a spese della Lega. Macchine, benzina, autostrade. E certo noi autisti, a disposizione giorno e notte». Fa due conti, Morando.

«Stipendio da consigliere regionale a parte (12.555 euro mensili), Renzo Bossi costava alla Lega 14 mila euro al mese. Dodicimila euro per gli stipendi dello staff - il sottoscritto, l´altro autista Luca e la segretaria Simona - più altri 2mila in contanti che ci venivano dati dalla Lega per le sue spese correnti. In due anni vengono fuori quasi 600 mila euro che l´Italia ha pagato a questo ragazzo. Anche per andare a Brescia dal dentista o a fare spese. Lascio ai militanti della Lega stabilire se siano stati ben spesi oppure no».

Alessandro Marmello ex autista Renzo Bossi

I soldi per la dolce vita dell´ex consigliere regionale uscivano con flusso ininterrotto dalle casse della balena verde e - ritengono i magistrati - provenivano dal finanziamento pubblico ai partiti. «Dei nostri soldi possiamo fare quello che vogliamo, anche buttarli dalla finestra», ha chiosato Umberto Bossi. Chissà se tra tutte le possibili destinazioni delle risorse del movimento il Senatur annoverasse anche i capricci del giovane Renzo. La sua attività politica al Pirellone non passerà di certo alla storia; in compenso chi aveva il compito di seguirlo come un´ombra ricorda alcuni viaggi non proprio istituzionali. E capricci.

FRANCESCO BELSITO CON UMBERTO BOSSI

«Mauro e Marrone mi avevano affidato Renzo chiedendomi di farlo diventare un uomo e di tenerlo lontano dai guai - continua Morando - . Ma è stato impossibile, si ribellava, faceva quello che voleva e mi diceva che dovevo farmi i fatti miei. Una volta siamo andati a Bratislava in macchina, grazie al suo avvocato aveva buoni rapporti con il presidente del parlamento slovacco. Arrivato là ho scoperto che il motivo del viaggio era una festa».

Altre tre gite slovacche Renzo le ha fatte con la Audi A6 della Lega guidata da Alessandro Marmello, l´autista-bancomat assunto nel 2011 dalla Lega Nord (contratto firmato da Francesco Belsito) e lasciato a casa lo scorso aprile dopo la storia dei video. «Prelevavo soldi per le sue spese personali, passavo a prenderli direttamente in via Bellerio e prendevo fino a 1000 euro a volta, anche più volte al mese - ha raccontato Marmello ai magistrati - . Ho voluto denunciare perché deduco che quei soldi fossero destinati alla Lega per fare politica. Che fossero soldi pubblici».

bossi belsito

Il Trota non si accontentava mai. E la sera voleva divertirsi. I suoi locali preferiti nella movida milanese? Food and Fashion, Legend, Sky Lounge, Old Fashion. Renzino ballava, fuori gli autisti aspettavano col lampeggiante pronto.

 

VALENTINO PARLATO S’INCAZZA PER LA CHIUSURA DEL “MANIFESTO” DECISA DAI COMMISSARI LIQUIDATORI

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U.R. per "la Repubblica"

«Ma come si fa a chiudere il manifesto via fax? Un atto assurdo, irricevibile. Di dubbio valore legale. E infatti noi non lo riconosciamo».

manifesto

Valentino Parlato, lotta dura senza paura ai tre commissari liquidatori?
«Gli accordi era altri. Andare avanti fino a settembre, e poi valutare insieme lo stato dell´arte. Invece ecco senza alcun preavviso materializzarsi il fogliettino, pochissime parole: dichiariamo cessata la vostra attività aziendale. Perfino su carta intestata del manifesto l´hanno confezionato, il fax tombale».

VALENTINO PARLATO

Il giornale che chiude se stesso. E voi?
«Mica ci arrendiamo. Ne abbiamo viste e superate di crisi, in quarantuno anni di esistenza, anche se questa è più brutta. Ci vogliono morti e invece il giornale continuerà a vivere. E´ la risposta alla serrata dichiarata dai tre liquidatori: il manifesto sarà regolarmente in edicola».

Rischiate che in via Bargoni si presenti qualcuno con i sigilli in mano?
«Sarebbe grottesco, ma certo tutto è possibile. Pure le guardie in redazione per chiuderci a forza».

Rossana Rossanda

Un piano pensato per mettervi a tacere?
«Non dico questo. Però è strana la spallata improvvisa. O quei tre semplicemente non sanno quel che fanno oppure è una prova di forza per costringerci a mettere mano ai licenziamenti. A questo punto, dobbiamo saltarli».

E in che modo?
«Rivolgendoci direttamente al ministero dell´Economia, al ministro Passera. Già domani forse avremo degli incontri. Rischiamo il paradosso di essere sopravvissuti all´era Berlusconi, al quale certo non dobbiamo dire grazie, e di morire al tempi dei Professori».

Però i vostri conti vanno male.
«Sì ma siamo in ripresa. 18 mila copie vendute, gli abbonamenti crescono, la rete di solidarietà resiste. L´altra sera a Perugia in poche ore abbiamo raccolto 3 mila euro. Lanceremo presto una sottoscrizione speciale».

NORMA RANGERI - copyright Pizzi

E il finanziamento pubblico al vostro giornale, che è una cooperativa?
«Spero che finalmente qualcosa si muova, che il governo non tagli l´ossigeno, ma noi non possiamo toccare un euro. La gestione della cassa passa tutta quanta dai liquidatori, dalle penne agli stipendi».

Tagli?
«Siamo in 70, fra giornalisti e poligrafici. Un po´ troppi effettivamente, ma la riduzione è già prevista. Però valutando le singole situazioni personali, su base concordata, e con la cassa integrazione a rotazione per tutti. La crisi non è certo solo nostra, ma di tutta la stampa, e di quella di sinistra in particolare».

PIERLUIGI BERSANI

Non sarà colpa anche, come aveva suggerito pure la Rossanda, della vecchia etichetta "quotidiano comunista"?
«Rossana veramente non lo ha mai detto. La parola comunista non è un reperto archeologico, per me vale ancora come visione del mondo. Rimane uno strumento utile per tutta la sinistra. E Rossana, così come Luciana Castellina e tutto il gruppo dei fondatori del giornali, combatte strenuamente per la sopravvivenza del giornale».

Insomma il logo "quotidiano comunista" resta al posto suo, non si tocca.
«Esatto. Non mi pare del resto che la sinistra riformista se la passi tanto bene. Da noi le amministrative consegnano un quadro piuttosto cupo, anche se Bersani dice il contrario. Certo, il Pdl è crollato ma il Pd non è mica andato tanto bene. In Francia, vince Hollande ma la sinistra complessivamente non va avanti e c´è il boom Le Pen. Clima simile in Germania».

C´è ancora più spazio per un giornale radical?
«Ora più che mai, in questa stagione del governissimo, con pochissime voci fuori dal coro. E se spengono anche quella del manifesto...».

 

 

ALE-DANNO ERARIALE! - IL PODESTÀ DI ROMA VUOLE VENDERE A TUTTI I COSTI ACEA PER RIMPINGUARE LE CASSE DEL CAMPIDOGLIO

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Daniele Martini per "Il Fatto Quotidiano"

Il Comune di Roma è con l'acqua alla gola per il bilancio, ma se si mettono a confronto le storie parallele di due grandi aziende comunali, Acea (acqua e luce) e Centrale del latte, sembra che il sindaco Gianni Alemanno sia in preda a una specie di sindrome di dissociazione.

GIANNI ALEMANNO FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE GIANNI ALEMANNO

Con l'Acea vorrebbe fare cassa vendendo ai privati il 21 per cento del capitale, scontentando gli industriali capitolini che con il loro presidente, Aurelio Regina, vorrebbero di più, e nello stesso tempo sfidando 1 milione e 200 mila romani che nel referendum avevano detto che l'acqua doveva restare pubblica.

Sempre con l'Acea il sindaco, però, spende e spande per i manager, con compensi fuori quota, come ha rivelato Repubblica: 842 mila euro all'anno al direttore Paolo Gallo più appartamento al residence Aldrovandi da 4.300 curo al mese, 476 mila all'amministratore Marco Staderini, oltre 400 mila al presidente Giancarlo Cremonesi, 2 milioni ai 7 dirigenti di vertice.

Nello stesso tempo con la Centrale del latte, che un paio di mesi fa è potenzialmente tornata di proprietà comunale, Alemanno non sa o non vuole far valere neppure i diritti di possesso che gli sono stati regalati su un piatto d'argento da una sentenza del Consiglio di Stato.

GIANCARLO CREMONESI

Pur accogliendo a parole con favore la sentenza e pur sapendo che la Centrale sarebbe manna per il bilancio, essendo un pezzo economico pregiato, una delle poche aziende sane della capitale, con un patrimonio del valore di oltre 100 milioni di euro e un attivo di bilancio di circa 18 milioni.

MARCO STADERINI E SIGNORA

Dopo che il 20 marzo i giudici amministrativi avevano deciso che la vendita di 14 anni prima della Centrale ai privati era nulla e che quindi il proprietario legittimo restava il Campidoglio, Alemanno avrebbe dovuto semplicemente far valere il diritto di proprietà all'assemblea degli azionisti riunita per l'approvazione del bilancio. Ma non lo ha fatto.

Invece di presentarsi all'appuntamento, quella mattina il sindaco ha preferito partecipare all'imperdibile congresso del sindacato di destra Ugl, un tempo diretto da Renata Polverini. Alemanno ha delegato due suoi rappresentanti, ma entrambi, chissà perché, sono arrivati fuori tempo massimo, con un'ora di ritardo, quando era già tutto bello e impacchettato, il bilancio approvato, distribuiti i dividendi e rieletto il Consiglio di amministrazione.

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In assenza di contestazioni, la Centrale è rimasta a Parmalat che a buon diritto ha fatto valere il suo 75 per cento circa. Per il Comune di Roma è stata una figuraccia storica. E ora è lecito chiedersi perché con la Centrale Alemanno è indecisionista estremo e con l'Acea decisionista per l'incasso? L'impressione è che la sua bussola più che gli interessi della città, segua quelli delle lobby: favorevoli alla vendita nel caso dell'Acca, propense al mantenimento delle cose come stanno con la Centrale.

Centrale latte roma

Pur di non rivendicare titoli sulla Centrale, Alemanno si sottrae perfino al diritto-dovere di dare seguito ad una sentenza arrivata a conclusione di una complicata vicenda cominciata ai tempi di Francesco Rutelli sindaco, con la vendita a Sergio Cragnotti. I termini della transazione risultarono subito assai dubbi e dopo molte vicissitudini la Centrale alla fine passò a Parmalat, la multinazionale poi saltata a gambe all'aria per le scorrerie finanziarie di Calisto Tanzi, ma restata valida da un punto di vista industriale.

Con la cura Parmalat, la Centrale romana è cresciuta e neanche il passaggio ai francesi di Lactalis ha cambiato le cose. Di fronte al risanamento avviato e in presenza di un complicato contenzioso giudiziario in corso, in passato più volte Alemanno aveva manifestato la volontà di chiudere la partita una volta per tutte con un accordo con Parmalat fuori dai tribunali. Ma se ne è sempre dimenticato. La recente sentenza del Consiglio di Stato lo ha completamente spiazzato, costringendolo a diventare una sorta di asino di Buridano del Campidoglio tra Acea privata e Centrale del latte rifiutata.

 

LO STRANO CASO DI CHICO FORTI - E’ IN GALERA DA 12 ANNI NEGLI STATI UNITI, ACCUSATO DI UN OMICIDIO MAI COMMESSO

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Riceviamo e pubblichiamo:

chico forti

Caro Dago
Hai pubblicato l'articolo di Mauro Baudino che recensisce un libro sull'uccisione di Versace. Peccato che, da quanto leggo, nessuno si occupa della misteriosa morte di Andrew Cunanan, il presunto assassino di Versace. Scrivo "presunto" perché quando uno è accusato di omicidio e muore immediatamente senza avere l'opportunità di difendersi (com'è successo per omicidi ben più importanti come quelli dei fratelli Kennedy), per me rimangono "presunti".

red ronny

Chi si è occupato della morte di Cunanan, nella casa galleggiante di Miami, è stato il giornalista italiano CHICO FORTI.
Ha realizzato infatti un documentario, "Il sorriso della Medusa", per la RAI
che puoi vedere a questo link

http://www.facebook.com/pages/Roxy-Bar-di-Red-Ronnie/37669904074

In questo documentario, Chico Forti ha sollevato non poche perplessità sulla morte del presunto assassino di Versace, sulla frettolosa cremazione del cadavere e sul reperimento delle prove, facendo nomi e cognomi di poliziotti di Miami secondo lui responsabili di queste "curiose" omissioni.

Il risultato? Chico Forti è stato incredibilmente accusato, a sua volta, di un omicidio mai commesso, condannato all'ergastolo senza una solo prova ed è in prigione da 12 anni negli Stati Uniti.

LE VARIE FACCE DI ANDREW CUNANAN KILLER DI VERSACE

Da allora è nato un movimento che chiede la riapertura del caso, di cui fa parte la famosa criminologa Roberta Bruzzone. Lei ha redatto un report che dimostra senza alcun dubbio l'innocenza di Chico Forti e lo ha presentato in questi giorni al Ministero della Giustizia Italiano, per i doverosi tentativi diplomatici.

A questo punto è necessario un forte movimento di opinione per spingere la giustizia americana a riaprire il caso.

Ecco i link dei due interventi dove Roberta Bruzzone ha raccontato il caso Forti durante miei programmi su Roxy Bar Tv:

http://roxybar.twww.tv/?v=f81abd9d620650edca40cb6d9eacc97a

GIANNI VERSACE

http://roxybar.twww.tv/?v=a555d5badc6a1bc2dbcfb3dce84683c9

Ed ecco il link della pagina Chico Forti Free

http://www.facebook.com/pages/CHICO-FORTI-FREE/236316696408206

Se vuoi, Roberta Briuzzone è a tua disposizione per fornirti ampi stralci del suo report. L'obiettivo è far tornare in libertà Chico Forti al più presto e, visto che Dagospia è ormai una testata giornalistica, ci rivolgiamo a te perché sei più libero di tanti altri media

Grazie
Red Ronnie

 

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