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IL BANANA COI FIGLI PREPARA MEDIASET PER IL DOPO: SENZA LEGGI AD PERSONAM, SARÀ MOLTO PIÙ DURA

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Ettore Livini per "la Repubblica"

veronica_lario01g

Più che una riunione di famiglia, un consiglio di guerra. Il tradizionale pranzo del lunedì ad Arcore tra Silvio Berlusconi, i figli e i suoi collaboratori più fidati si è trasformato ieri, causa emergenza politica, in un delicatissimo summit sul futuro della Dinasty brianzola e delle aziende di casa. Ordine del giorno: le conseguenze su Fininvest e dintorni delle eventuali dimissioni del premier. Presenti (sicuri) al tavolo Marina e Pier Silvio, mentre non è stata confermata la partecipazione di Barbara, Luigi ed Eleonora, i tre figli di Veronica Lario.

La posta in gioco è molto alta su diversi fronti. Il capitolo più delicato nell´immediato è - come ovvio - il destino di Mediaset. Finita non a caso ieri sull´ottovolante in Borsa (fino a una chiusura piatta) non appena si sono sparse le voci sull´addio del Cavaliere. Le tv di casa Berlusconi - protette dall´ombrello del conflitto d´interessi, dalla Gasparri e da una curiosa predisposizione dei grandi inserzionisti privati a privilegiare gli spot sui network di Cologno - hanno surclassato negli ultimi anni le performance della Rai.

BERLUSCONI

Regalando ai loro soci, Silvio compreso, una pioggia d´oro di dividendi. Nel 2000, per dare un´idea, gli spot garantivano a viale Mazzini una cifra pari al 60% di quella incassata grazie alla pubblicità da Mediaset. Oggi la percentuale è scesa al 40%. La raccolta di Publitalia ha regolarmente surclassato quella della Sipra. Salvo il 2006 e il 2007, gli anni del governo Prodi, quando Saxa Rubra - guarda caso - è riuscita a tenere il passo della rivale.

Famiglia Berlusconi Eleonora Piersilvio MArina Silvio BArbara Luigi

Cosa rischiano Canale 5 & C. in caso di crisi di governo? Il timore dell´ala catastrofista di Arcore (quella guidata da Marina, non a caso uscita allo scoperto sempre più spesso negli ultimi mesi in difesa del padre) è chiaro: una riedizione di quella riforma Gentiloni che imponeva un tetto più severo alla raccolta di pubblicità del Biscione. Un colpo che rischia di essere quasi mortale per un gruppo già alle prese con i guai di Endemol - il produttore de "Il Grande fratello" in cui Mediaset ha perso quasi 500 milioni - l´offensiva di Sky e i segni di stanchezza della tv generalista.

VERONICA LARIO CON BARBARA E LUIGI BERLUSCONI

La Borsa ha già fiutato aria di guai, tanto che da inizio anno i titoli di Cologno hanno perso il 47%, bruciando 1,1 miliardi dei risparmi di Arcore. Questa voragine rischia però di allargarsi ancora di più se la società rimarrà orfana degli "aiutini" confezionati a intervalli regolari dal governo del suo socio di riferimento negli ultimi tre lustri: senza leggi salva Rete 4, sovvenzioni per i decoder, Iva anti-Murdoch e aste gratuite per le frequenze digitali - dicono gli analisti - far quadrare i conti del Biscione sarà molto più difficile.

ELEONORA E BARBARA BERLUSCONI

L´altro argomento caldissimo sul tavolo del summit di Villa San Martino è stato, con ogni probabilità, la delicata questione della spartizione ereditaria dell´impero del premier. Una partita complicata dalla burrascosa separazione da Veronica Lario e dalle tensioni latenti tra i due rami della famiglia.

Il Cavaliere su questo fronte ha le mani legate dalla legge italiana che allo stato privilegerebbe i figli di secondo letto. Una volta non sarebbe stato un problema: la legge, se guidi il governo, puoi sempre cambiarla. E Berlusconi - nella miglior tradizione della real casa - ha affidato anche in questo caso la soluzione dei suoi problemi a una norma ad hoc (la famigerata anti-Veronica) infilata alla chetichella nell´ultimo decreto di stabilità. Un intervento a gamba tesa sulla "legittima" destinato a riportare nelle sue mani ogni decisione sulla redistribuzione delle quote in Fininvest. Il cammino della 41esima legge ad personam del suo regno, però, rischia di fermarsi su un binario morto in caso di dimissioni. Rimescolando le carte di una partita, quella dell´eredità di famiglia, che da un paio di anni è una spina nel fianco del Cavaliere.

berlusconi marina piersilvio

Non c´è da stupirsi, insomma, se il pranzo di ieri ad Arcore ha rischiato di andare di traverso a qualcuno. L´importante, in casi come questi, è annacquare i dispiaceri di oggi ripensando alla tante gioie degli ultimi 17 anni. Nel 1994, quando Silvio Berlusconi è sceso in politica, nelle casse delle holding di famiglia c´erano 162 milioni di liquidità. Ora, un dividendo alla volta, la dinastia brianzola ha depositato in banca la bellezza di 1,2 miliardi, moltiplicando per sette la propria ricchezza.

Non solo. Sotto il cappello della Fininvest e delle altre società personali del Cavaliere è stato raccolto un patrimonio che tra tv, ville da sogno, vulcani artificiali, polizze, calciatori e libri Mondadori vale qualcosa come 4 miliardi di euro al netto dei debiti e degli stanziamenti per le Olgettine. La torta è grande. Difficile, anche in caso di dimissioni, che qualcuno resti a becco asciutto.

 


CRONACHE DAL BUNKER - LA CHIAMANO EVA BRAUN. MARIAROSARIA ROSSI È L'UNICA DONNA RIMASTA VICINA AL CAPO

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DAGOREPORT

MARIAROSARIA ROSSI

1- La chiamano Eva Braun. È Mariarosaria Rossi che come la fidanzata di Adolfino, è l'unica donna rimasta vicina al capo nel bunker di palazzo Grazioli. Delle altre patonze anche stagionate come la Pelino si sono perse le tracce (dei confetti).

SILVIO BERLUSCONI GIANNI LETTA

2- Per il Patonza con patonza a palazzo Grazioli oggi è sicuramente uno dei giorni peggiori della sua vita. Il tradimento di Gianni Letta è stato certificato dal notaio. Claudio Tito, ambasciatore dell'Eminenza Azzurrina nel quotidiano di Ezio Mauro, scrive che anche Letta ha consigliato al Cavalier Spompato già Pompetta il passo indietro. "Tu quoque Gianni fili mi" avrebbe urlato Berlusca seduto sul lettone di Putin in attesa di essere truccato. E per affrontare la giornata di oggi più che la truccatrice d'ordinanza serve un restauratore. Alfredo e Marinella lo stanno cercando...

3- I giornalisti che seguono il Banana stanno smobilitando. Sembra il ritiro delle coalizione dalla Libia. Che faranno quando Silviuccio si ritirerà ad Arcore per dar da mangiare alle caprette? Ricollocarsi sarà difficile se non impossibile perché il nuovo inquilino di palazzo Chigi avrà la sua squadra. E di Berlusca non fregherà più nulla.

claudio tito

4- Chi è stato più svelto a passare sotto le bandiere Udc? Lorenza Lei o Massimo Sarmi? Il primo a tagliare il traguardo di un soffio è stato l'ad delle Poste che ha battuto sul filo di lana il dg di viale Mazzini. Anche perché l'Ad delle Poste nel cambio di casacca in corsa è un vero primatista. Per la sue poltrone ha avuto di volta la protezione di tutti: da Craxi a Gasparri, da Berlusconi a Prodi, da Bersani a Letta. Adesso Casini pronto ad offrire a Cesa qualche poltrona che conta. A cominciare dalla sua.

MARINELLA BRAMBILLA

 

IRAN ATOMICO - ISRAELE, USA E GB MINACCIANO L’INTERVENTO PREVENTIVO, MA SI SCHERZA CON IL FUOCO

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1 - L'IRAN HA IN MANO L'ATOMICA GRAZIE AGLI «AIUTINI» STRANIERI
Rolla Scolari per "Il Giornale"

Mahmoud Ahmadinejad VISITA LA CENTRALE NUCLEARE DI NATANZ

L'Iran sarebbe vicino alla costruzione della bomba atomica. Gli scienziati iraniani, grazie all'aiuto di colleghi russi, pachistani e nordcoreani avrebbe raggiunto il know-how e la tecnologia per creare un ordigno atomico. Lo ha rivelato ieri il Washington Post, che ha citato esperti nucleari occidentali. Secondo il quotidiano americano, sarebbe questo il contenuto del rapporto dell'Agenzia per l'Energia atomica internazionale che dovrebbe essere pubblicato in queste ore.

Mahmoud Ahmadinejad E IL PROGRAMMA NUCLEARE IRANIANO

Un altro giornale, il britannico Financial Times, pubblica altre indiscrezioni legate ai documenti: l'Agenzia atomica sarebbe entrata in possesso di immagini satellitari importanti. Mostrerebbero un container di acciaio che potrebbe essere utilizzato per testare tecnologie ed esplosivi indispensabili per la costruzione di un ordigno atomico.

L'Iran vieta agli ispettori dell'Agenzia internazionale di visitare le sue installazioni nucleari, che secondo il governo di Teheran servirebbero soltanto scopi civili. Le informazioni contenute dunque nell'atteso rapporto sono il risultato della raccolta di dati e notizie ottenute attraverso servizi segreti internazionali.

Da giorni, fughe di notizie sui dettagli del documento hanno creato un clima di forte tensione, soprattutto in Medio Oriente. In Israele, le indiscrezioni sui preparativi del governo di Benjamin Netanyahu per un attacco preventivo contro le installazioni nucleari iraniane riempiono le pagine dei quotidiani nazionali.

AHMADINEJAD NELLA CENTRALE NUCLEARE

Il premier e il suo ministro della Difesa, Ehud Barak, starebbero lavorando per ottenere una maggioranza interna alla coalizione di governo che garantisca il via libera per un'operazione militare, apparentemente sostenuta da molti ai vertici.

In una recente intervista, Shimon Peres ha detto che per fermare l'Iran nella sua corsa al nucleare Israele si starebbe muovendo più verso l'opzione militare che verso la soluzione diplomatica. Il Paese considera l'Iran, il cui presidente Mahmoud Ahmadinejad ha più volte detto di voler cancellare Israele dalla cartina geografica, una minaccia per la sua esistenza.

ahmadinejad NUCLEARE

E se l'America negli scorsi giorni ha dichiarato che l'Iran è la minaccia maggiore anche per Washington e il britannico Guardian ha rivelato che pure l'esercito di Sua Maestà si starebbe preparando a un'eventuale intervento, gran parte della comunità internazionale è cauta e auspica di continuare sulla via delle sanzioni. La Russia, alleato di Teheran e da sempre contraria a un'azione bellica, ha fatto sapere tramite il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, che ritiene un attacco militare «un serio errore», dalle «conseguenze imprevedibili".

La Francia preferisce insistere con le sanzioni. Il responsabile degli Affari esteri, Alain Juppé, teme che un'azione militare sia "destabilizzante per l'intera regione» mediorientale.
Tra le indiscrezioni, Teheran smentisce: il programma nucleare ha soltanto scopi civili, garantiscono i funzionari iraniani, mentre il governo attacca preventivamente il rapporto dell'Aiea: sarebbe parte di una cospirazione orchestrata da Stati Uniti e Israele per giustificare un attacco alle installazioni atomiche del Paese.

E in un'intervista al giornale egiziano Al Akhbar, Ahmadinejad avverte che l'Iran non si lascerà colpire: «Siamo capaci di competere con Israele e con l'Occidente, soprattutto con gli Stati Uniti».

2 - AFFARI, SOLDATI, PETROLIO: I 10 RISCHI DELLA GUERRA A TEHERAN
Gian Micalessin per "Il Giornale"

netanyahu

Adesso non si scherza più. O meglio si scherza con il fuoco. La pubblicazione, prevista per oggi, del rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica sul nucleare iraniano porta il mondo ad un passo dalla guerra con Teheran. Il timore che la Repubblica Islamica sia vicina alla costruzione del primo ordigno atomico rischia d'innescare l'azione d'Israele, Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma una guerra all'Iran non sarebbe né facile, né breve, né esente da rischi e costi per l'Italia. Ecco dieci ragioni per cui quella guerra fa molta più paura di quelle combattute in Afghanistan, Libia, Iraq o Kosovo.

1 - L'Italia è un paese della Nato e la base di Decimomannu in Sardegna è stata usata dagli aerei israeliani per addestrarsi al blitz. Una rappresaglia iraniana potrebbe colpire le nostre basi in Afghanistan occidentale, situate a pochi chilometri dal confine iraniano.

EHUD BARAK

2 - Un blitz israeliano scatenerebbe la reazione delle milizie sciite di Hezbollah che colpirebbero con i loro missili lo stato israeliano. I nostri 1500 soldati impegnati come caschi blu nella missione Unifil e schierati lungo il confine meridionale del Libano si ritroverebbero tra l'incudine ed il martello.

3 - Nel 2010 le nostre aziende hanno esportato in Iran beni per 2.059 milioni di euro, cioè oltre due miliardi di euro. Un conflitto azzererebbe quelle entrate.

4 - L'azione destabilizzante delle milizie sciite filo iraniane sul fronte iracheno metterebbe a rischio gli investimenti realizzati dall'Eni nella provincia di Bassora dove la nostra compagnia ha vinto le commesse per lo sviluppo dei giganteschi pozzi di Rumaila e Zubair destinati a rimpiazzare proprio le importazioni di petrolio iraniano.

PUTIN E MEDVEDEV

5 - Un singolo blitz, simile a quello con cui Israele distrusse nel 1981 il reattore nucleare iracheno di Osirak e nel settembre 2007 un impianto nucleare siriano, non sarebbe sufficiente. In Iran esistono oggi almeno 20 siti nucleari conosciuti, senza contare quelli sfuggiti all'Aiea e ai servizi segreti occidentali. Alcuni laboratori bunker per l'arricchimento dell'uranio, come quelli costruiti a 90 metri di profondità nel cuore di una montagna intorno a Qom, sono praticamente inattaccabili. A meno di non usare testate nucleari.

6 - L'immediata reazione messa a segno dagli alleati dell'Iran allargherebbe il conflitto rendendolo incontrollabile. I missili di Hamas ed Hezbollah colpirebbero Israele da sud e nord. Le milizie sciite destabilizzerebbero l'Iraq. La Siria, seppur minacciata da una rivolta interna, farebbe la sua parte di alleato di Teheran minacciando i confini turchi, giordani e iracheni. Al Qud, la brigata dei pasdaran specializzata nelle missioni oltreconfine attiverebbe le sue cellule in tutti i paesi alleati d'Israele e Stati Uniti.

Hamas

7 - La guerra paralizzerebbe il Medio Oriente rendendo problematici i rifornimenti energetici. Il traffico navale nel Golfo Persico sarebbe minacciato dai barchini dei Guardiani della Rivoluzione. Il Bahrain, sede della base navale della Quinta flotta e di un comando strategico statunitense dovrebbe fare i conti con la rivolta della maggioranza sciita manovrata da Teheran. E anche l'Arabia Saudita dovrebbe misurarsi con i rischi di una sollevazione delle minoranze sciite.

8 - Lo scontro con Teheran non avrebbe la legittimazione dell'Onu. La Russia appaltatrice della centrale nucleare iraniana di Busher e la Cina grande importatrice di greggio iraniano imporrebbero il veto. L'occidente si misurerebbe con un'opinione pubblica poco disposta, dopo l'esperienza irachena, a credere alle rivelazioni sulle armi di distruzioni di massa.

HEZBOLLAH

9 - Per abbattere Gheddafi con la sola forza aerea la Nato ha impiegato 5 mesi. Piegare un paese di 75 milioni di abitanti grande 5 volte l'Italia senza un intervento di terra richiederà molto più tempo. L'attacco esterno rafforzerebbe il tradizionale nazionalismo, come dimostrò negli anni 80 la guerra innescata dall'Iraq. In Iran, infine, non esiste un'opposizione capace di garantire un cambio di governo.

10 - Gli Stati Uniti ed i loro alleati già provati dalla crisi economica e dal costo dell'impegno in Iraq ed Afghanistan uscirebbero ulteriormente provati mentre la Cina amplierebbe la propria potenza economica.

 

POCHI SANNO CHE LA COPPIA BOCCHINO E POMICINO PUÒ DIRSI D’ACCIAIO GRAZIE A VINCENZO MARIA GRECO

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INCHIESTA SU BOCCHINO-POMICINO DA "LA VOCE DELLE VOCI":
http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=382

Gian Marco Chiocci per "Il Giornale"

Italo Bocchino

Due al prezzo di un amico in comune. Di qua il redivivo Paolo Cirino Pomicino, neo presidente della «Tangenziale di Napoli Spa» beneficiata da un bel po' di finanziamenti pubblici. Di là il signor Italo Bocchino, uno che trama dal 2010 con l'Udc di Casini, via Pomicino, come testimoniò l'alleanza per le amministrative a Caserta. Pochi sanno che la coppia può dirsi d'acciaio grazie a Vincenzo Maria Greco, intimo di entrambi, imprenditore acchiappa-appalti da sempre, già «tesoriere» di 'o ministro ai tempi delle vacche grasse del dopo-sisma irpino.

Un sodalizio a tre «cementato» da una fitta ragnatela di rapporti societari, di persone fidate e/o di famiglia, di interessi che spaziano dal settore commerciale all'editoria, dall'edilizia ai porti turistici.

Il fiore all'occhiello di questa partnership è la società «Impresa spa», vincitrice di appalti in mezzo mondo e specializzata nella costruzione di porti e autostrade. Il presidente è Raffaele Raiola, mentre l'ad è Domenico Chieffo, commercialista napoletano, uno dei «referenti abituali» di Greco, scrivono i carabinieri del Ros, nonché socio del Roma, il quotidiano di casa Bocchino fino a poco tempo fa.

PAOLO CIRINO POMICINO

Alla compagine azionaria di questo gigante, secondo la precisa ricostruzione effettuata dal periodico campano La Voce delle Voci, attraverso un risiko di scatole cinesi partecipano due figli di Vincenzo Maria Greco, uno dei quali poi contrattualizzato in Mediapress, società satellite del Roma, messa in liquidazione il 21 marzo scorso.

L'«Impresa» data per vicinissima al maresciallo di Fini, viaggia veloce. Ha assorbito il ramo costruzioni del colosso «Btp» del tandem Fusi-Bartolomei, emerso nelle indagini fiorentine sulla «Cricca» dove, peraltro, gli inquirenti si erano dilungati in un'informativa anche sull'onnipresente Vincenzo Maria Greco (mai indagato).

Nell'azionariato di «Impresa», scavando scavando, spunta la «Liguria Costruzioni» che ha sede in via Carducci 10 a Roma quartier generale di tutte le sigle made in Greco-Bocchino. In questa società convivono il Raiola di cui sopra e una srl, la «Malu 1», creata in via Carducci, partecipata dai soliti figli di Greco.

pml12 raffaele raiola cristiana galdo

Ma, se c'è un inizio in questa liason a tre, bisogna risalire alla «Retail Group», fondata da Giancarlo Buontempo, cognato di Bocchino, vicino a Pomicino, a cui partecipano - attraverso un fitto reticolo societario - ancora i fratelli Greco, di cui uno già in forza all'Indipendente già edito da Bocchino e diretto da Antonio Galdo (ex direttore del vecchio periodico pomiciniano Itinerario) e poi passato per E-polis finito nell'orbita del deputato Fli.

Il quarto potere è e resta, infatti, il grande amore della premiata ditta Pomicino-Greco-Bocchino, con sigle varie e intrecci curiosi: «Investimenti editoriali srl», «Valori editoriali Srl», «Edizioni del Roma». Un ruolo di primo piano sembra rivestirlo il commercialista Francesco Ruscigno, che giust'appunto compare anche nell'organico dell'«Edizioni Roma».

ANTONIO GALDO

Compaesano di Bocchino, supervisore - secondo la Voce delle Voci - anche della «Goodtime» di Gabriella Buontempo (ex signora Bocchino) Ruscigno nel maggio 2010 è stato il destinatario di una interrogazione dei senatori Pd Agostino e Zanda per l'incetta di incarichi giudiziari in «circa 40 aziende dissestate in varie parti del Paese» che qualcuno attribuisce alla vicinanza con il falco finiano.

Di Ruscigno si è occupato l'informatissimo sito Dagospia a proposito dei «conti dell'hotel Vesuvio di Napoli» di Bocchino e della Carfagna in campagna elettorale che potrebbero essere stati pagati «dallo stesso commercialista assunto al ministero delle Pari Opportunità, che poi è anche il commercialista di Italo».

mara carfagna italo bocchino corriere

Per tornare a Greco sembra proprio che l'uomo-ombra del duo Bocchino-Pomicino di approdi sicuri abbia gran dimestichezza, non foss'altro per l'ultimo business di casa: la gestione dei porti turistici. Dove si rincorrono i nomi dell'amico del cuore Roberto Marconi e di reticoli societari come «Italia Navigando», «Mare2», «Sviluppo Italia» e «Marinedi spa», nel cui collegio sindacale siede il commercialista partenopeo Alessandro Fiorentino, collega di studio di altri «referenti abituali» di Greco, tra i quali uno rintracciato nel board delle Edizioni del Roma, il giornale un tempo eterodiretto da Italo.

 

QUANTI APPLAUSI PER L’APPELLO SUL “CORRIERE” DEL SIGNOR MELANI DA PISTOIA A COMPRARE BTP

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Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"

Italo Bocchino STRACQUADANIO

Ci sono i superbanchieri come il gran capo di Intesa, Corrado Passera e Antonio Vigni, direttore generale del Monte dei Paschi di Siena. E poi gli onorevoli Italo Bocchino, finiano della prima ora, con il berlusconiano (pentito?) Giorgio Stracquadanio. Ma anche il popolo degli imprenditori e degli artigiani del Nordest non ha proprio potuto fare a meno di far sentire il suo caldo sostegno all'iniziativa. Tutti in piedi.

Tutti ad applaudire il signor Giuliano Melani da Pistoia, che si è comprato un'intera pagina sul Corriere della Sera di venerdì per esortare gli italiani a comprare titoli di Stato "per non svendere il Paese, per fare a meno del governo e dell'Europa". Così recita, testuale, l'appello firmato Melani, che nel weekend si è fatto una scorpacciata di interviste ai giornali con tanto di comparsata televisiva.

passera

Insomma, il vero patriota compra titoli di Stato. Il popolo dona il suo oro alla Patria per sfuggire all'assedio dei mercati cinici e bari. E infatti Bocchino e Stracquadanio hanno solennemente annunciato di aver messo mano al portafoglio: il primo ha comprato 20 mila euro di Btp e il secondo addirittura il doppio.

Sfortunatamente i mercati, in apparenza non troppo impressionati dalla discesa in campo di Bocchino e Stracquadanio (o forse sì, ma in senso contrario a quello auspicato dagli interessati), hanno tirato dritto per la loro strada. Ieri le quotazioni dei bond targati Italia hanno perso ancora quota e lo spread ha frantumato l'ennesimo record superando quota 490 punti.

ANTONIO VIGNI

Nel futuro prossimo, in assenza di novità sul fronte politico, la situazione non potrà che peggiorare, anche nella fantascientifica ipotesi che gli italiani accorrano in massa in banca per comprare titoli di Stato. Alcuni di coloro che in questi giorni si sono precipitati ad applaudire pubblicamente il simpatico Melani lo sanno benissimo, ma indossare la maschera del patriota può servire a farsi con comodo gli affari propri.

Prendiamo i banchieri, che negli anni scorsi si sono abbuffati di Btp per ingrassare i bilanci. Ora che si mette male, i top manager tipo Passera e Vigni, hanno un disperato bisogno che qualcuno prenda il posto delle banche, almeno in parte, quando si tratterà di sottoscrivere i titoli di stato nelle aste dei prossimi mesi (300 miliardi da piazzare da qui a fine 2012). Secondo i dati dell'ufficio studi della Banca d'Italia, gli istituti di credito nazionali possiedono il 12,6 per cento del totale dei titoli pubblici italiani in circolazione, che ammontano a circa 1.600 miliardi. Alla fine del 2009, la quota delle banche non arrivava al 10 per cento (9,8).

FEDERICO GHIZZONI resize

Nel giro di meno di due anni, quindi, i gruppi creditizi hanno aumentato la loro esposizione al debito sovrano di Roma di oltre il 20 per cento. Adesso però quel malloppo scotta. E allora può far comodo, eccome, scaricarne un po' sulle famiglie. Tanto più che, queste ultime, invece, tra il 2009 e il 2011 hanno mantenuto invariata al 14,3 la loro quota sullo stock complessivo di titoli di stato. Il banchiere vende, la famiglia compra. Quello che ci vuole per dare una mano ai conti degli istituti.

GIULIANO MELANI

Non si capisce quale sia la convenienza per i piccoli risparmiatori a farsi carico dell'invenduto delle banche. Le stesse banche che, negli ultimi due anni sono riuscite a risparmiare decine e decine di milioni di imposte con operazioni finite nel mirino della magistratura. A questo proposito Melani potrebbe chiedere informazioni ai vertici di Unicredit, il gruppo creditizio per cui lavora, che pochi giorni fa si è visto sequestrare 245 milioni di euro dal tribunale di Milano nell'ambito di un'inchiesta per una presunta truffa all'erario.

L APPELLO DI GIULIANO MELANI A COMPRARE I TITOLI ITALIANI

A ben guardare, però, non si spiega neppure l'entusiastica accoglienza che l'appello di Melani avrebbe raccolto, secondo il Corriere della Sera, tra i piccoli imprenditori del Nordest. Tutti ricordano gli appelli provenienti da quella parte del Paese a ridurre gli sprechi statali e a indirizzare i capitali verso la produzione. Meno rendite più lavoro, questo lo slogan caro al Nordest. Che invece adesso plaude a una proposta che vorrebbe gettare altro denaro nel gran falò del debito improduttivo gestito dallo centralista e sprecone.

Come si spiega l'inversione di rotta? Mistero. A meno di non malignare che i tanti padroncini di Verona, Padova e Treviso, un'area dove si concentra buona parte dell'evasione fiscale del Paese, non cerchino in realtà di esorcizzare lo spettro delle tasse. Perchè di questo passo l'amministrazione pubblica, messa alle strette, potrebbe anche decidere di mettersi a combattere seriamente i furbetti. O magari (disgrazia delle disgrazie) a Roma potrebbero inventarsi addirittura un qualche tipo di imposta patrimoniale.

 

DA CASINISTA A CASINIANA - COME FARÀ LA STUNT-WOMAN CARLUCCI AD ADATTARSI AI BACCHETTONI UDC?

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Paolo Bracalini per "Il Giornale"

gabriella carlucci

Con il volo dai banchi del Pdl a quelli dell'Udc, dopo diciassette anni di sfegatata militanza berlusconiana, la Carlucci sfida i suoi già temibili record da stunt woman provetta. Quei picchi della sua carriera artistica, raggiunti in una Buona domenica dove la bionda conduttrice si esibiva in numeri da Circo Orfei: lanciarsi nel vuoto legata a un elastico, scendere da un palazzo passando dall'esterno, scagliarsi con una macchina contro un'altra messa in verticale, facendola saltare come un birillo (il cosiddetto car bowling), farsi trascinare da un'auto in corsa (con svenimento finale), cavalcare in groppa a François, un toro d'Aquitania di 900 chili (cadde procurandosi una contusione e uno stiramento).

GABRIELLA CARLUCCI

«Voglio sfogare la mia adrenalina», disse la Carlucci per spiegare come mai rischiasse la pelle ad ogni puntata. In realtà il motivo era la sfida di share con Giucas Casella che a Domenica in, contemporaneamente alla berlusconiana volante, camminava sui carboni ardenti o addormentava la gente. «Gabriella, schianto riuscito» titolò il Corriere. Con lei esultante: «Sono la prima donna in Europa!».

Perfetta icona del vitalismo berlusconiano («Ha un entusiasmo contagioso» dice il secondo marito Marco Catelli), scattante come un puma ancora a cinquantadue anni, figura minore ma decennale (da Portobello a Melaverde) della tv leggera, donna stile rampante-Porsche (ne ha una cabriolet), ammiratrice totale di Berlusconi anche come modello pedagogico («Per i miei figli è un mito, parla una lingua che loro conoscono, racconta le barzellette ed è anche super potente da un punto di vista sessuale. I ragazzini lo ammirano»), la sua conversione tardiva al moderatismo bacchettone di Buttiglione e Casini lascia perplessi.

GABRIELLA CARLUCCI

Tralasciando il fatto che Margherita di Savoia, in Puglia, si ritrova un sindaco dell'Udc dopo averne votato uno del Pdl (sì, la stakanovista Carlucci fa anche quello), è proprio l'abbinata tra la sorella di Milly Carlucci e il centrismo casiniano che fatica a inquadrare. Nel 2006 fu proprio lei, berlusconissima, a bacchettare Pierfuby: «Casini abbandoni le tentazioni neocentriste che sarebbero un passo indietro per il Paese e farebbero tornare la politica italiana indietro di trent'anni». Ora invece si riconosce nell'Udc e va pazza per «le larghe intese».

Sarà forse che si dà per finita la stagione berlusconiana, e dunque si cercano nuove sistemazioni? Pensarlo è puro cinismo. La conversione della Carlucci dev'essere frutto di una maturazione politica che solo incidentalmente coincide con la crisi numerica della maggioranza alla Camera. Oppure verrà catalogata più tardi come uno dei frequenti incidenti che capitano alla show-woman.

CARLUCCI - BERLUSCONI

Come quel maledetto 24 ottobre 2001, quando la deputata, per non mancare ad una votazione, finì per tamponare con la sua Porsche un jumbo-bus di 18 metri, in via del Tritone. Si fermò per verbalizzare, col vigile subito accorso? Macché non c'era tempo, la Carlucci ripartì a razzo sulla corsia preferenziale, inseguita a piedi dal conducente del bus, tra lo stupore dei passanti e passeggeri che l'avevano riconosciuta. Un rombo fino a piazza del Parlamento, dove però il parcheggio riservato ai deputati era esaurito. Così che la deputata mollò l'auto sul marciapiede, beccandosi quindi una multa per divieto di sosta. Incidente, fuga e multa: tutto in un giorno.

Moderata come un tornado, di come intenda le larghe intese si può chiedere conto al Trio medusa delle Iene, cui spaccò due microfoni e una cuffia, dissentendo dalla loro inchiesta sui deputati spesso assenti. Polemizzò anche con Madonna, che in una intervista aveva criticato Berlusconi: «Evidentemente ha un ufficio stampa comunista che le ha detto di dire così per farla uscire meglio sui giornali comunisti», disse.

PIERFERDIANDO CASINI ROCCO BUTTIGLIONE

In tv ha fatto di tutto, passando dalle canzonette (Festival di Sanremo, Festivalbar), ai programmi enogastronomici, alle serate di cultura, all'intrattenimento prossimo al trash. Saltando da Rai a Mediaset come un grillo. Anche da deputata, cosa che le costò un altro incidente. Quando la Rai, nel 2003, le bloccò la conduzione di una serata lirica con Giletti, Voci di una notte di mezza estate, perché incompatibile col suo status da deputato.

SILVIO BERLUSCONI GABRIELLA CARLUCCI

«E io faccio ricorso al presidente della Repubblica!» tuonò lei, infiammabile come la benzina. Celebre anche la sua polemica, sul filo dei neutroni, con il fisico Maiani, all'epoca candidato alla presidenza del Cnr. La Carlucci sostenne che una sua pubblicazione scientifica del 1974 che conteneva degli errori. Finchè non intervenne addirittura il premio Nobel Sheldon Glashow per difendere il collega. L'insofferenza alle ipocrisie del bon ton istituzionale ne facevano un'amazzone berlusconiana, della prima ora peraltro. Come concilierà tutto questo, e la sua ammirazione per Berlusconi che alla sua età «ha tutte queste donne», con le messe dell'Udc, è un mistero. Magari tornerà all'ovile. Più che casiniana, casinista.

 

QUESTA CAMPAGNA DI AIRONE PASSERA & FLEBUCCIO DE BORTOLI PER L'ACQUISTO DEI BOT È UNA FOLLIA

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A cura di Minimo Riserbo e Pippo il Patriota (Special Guest: Dj Reg)

berlusconi silvio marina piersilvio

1 - "FAMILY FIRST", COME DICEVA DON VITO CORLEONE...
Non fa più scandalo l'enorme e illegale sinfonia d'interessi che fa capo al Cavalier Pompetta, per carita'. Ma la sua indecente esibizione di ieri, con la famiglia convocata in villa per decidere sul futuro della Cosa Pubblica persino prima dei famigli pagati dallo Stato, e' qualcosa che deve rimanere scolpito nella memoria di questo lungo regno abusivo del Sire di Hardcore.

Miguel-Gotor

Come scrive Miguel Gotor in prima su Repubblica ("Il prezzo che paghiamo"), "Berlusconi si muove sull'orlo del baratro e nelle ore decisive incontra a Milano i figli e il fido Confalonieri, la famiglia e l'azienda, a ribadire la matrice privatista della sua gestione della cosa pubblica. Non sappiamo quando, ma l'albero di Berlusconi cadra' di schianto e le borse voleranno".

2 - DEL RESTO, LA POSTA IN GIOCO...
e' soprattutto questa qui: "Mediaset, divorzio, eredita'. L'impero economico di Silvio adesso rischia l'assalto" (Repubblica, p. 19). E sul Messaggero, Marco Conti racconta che "la decisione di andare avanti e' arrivata dopo il consulto con la figlia Marina. Il premier vuole garanzie per il dopo" (p. 1). Insomma, il famoso salvacondotto giudiziario per se' e per la prole che pero' neppure il Quirinale e' in grado di garantirgli.

mediaset a cologno monzese

Comunque uno dei migliori commercialisti di Milano ci segnalava all'alba che, tra le varie soluzioni per uscire dalla crisi, Berlusconi sta seriamente vagliando con la Minetti la possibilità di un governo di scopo.

3 - EXIT TRAGEDY...
Pur di stare attaccati alla poltrona come cozze dorotee, anche i leghisti sono pronti alle manovre più' terroniche. "Il Senatur manda Calderoli ad Arcore. "Fatti da parte, Alfano al tuo posto" (Repubblica, p. 4).

SCILIPOTI

"Premier in trincea: avanti ho i numeri. E nella notte dice ai suoi: vedremo il da farsi dopo il voto di oggi alla Camera" (Corriere, p. 2). Ma il vero uomo-simbolo di questa maggioranza lo incontrate sul Corsera a pagina 9: "Maiale io? E questi che saltano giu' dalla nave?". Lo Scilipoti-pensiero, nella sintesi di Fabrizio Roncone, minaccia seriamente di entrare nella storia della Repubblica Italiana.

passera

4 - NON FA SOSTA LA SUPPOSTA...
"Btp sotto attacco, tassi al 6,7% e spread a un passo da 500 punti. L'Italia a tre settimane dal baratro, cosi' il volo dello spread ci affossa" (Repubblica, p. 6 e p. 9). Non ci vuole un genio a capire che siamo a un passo da Grecia e Portogallo. Basta smettere di guardare al Btp decennale, a cominciare dai giornalisti, e invece vedere a quanto passano sul mercato secondario i Bot a un anno: al 6% contro lo 0,25 dei cugini tedeschi. Oppure accorgersi che i titoli italiani a 5 anni rendono come quelli a 10: quando la curva dei tassi si appiattisce cosi', significa che i mercati ti stanno seppellendo.

de bortoli

In tutto cio' e' assolutamente penoso, per non dire corrivo, che il Pompiere della Sera parli di "saliscendi in Borsa".
E questa campagna di Airone Passera & Don Flebuccio de Bortoli per l'acquisto dei BOT è la cosa più demenziale che si sia mai vista. I cittadini che rischiano in proprio per salvare le rendite dei politici e le banche dai propri errori e' semplicemente una follia.

5 - ULTIME DA SALO'...
"Gli scoop di Ferrara e Bechis tra boatos e telefonate pirata. L'Elefantino: Silvio sta per lasciare. Poi le smentite. Il vicedirettore di Libero mette in rete la voce camuffata di un esponente del Pdl come prova. E Crosetto ammette: "Quello sono io" (Giornale, p. 4). Guido Crosetto e' una persona per bene e coraggiosa. Altri forse meno.

GIULIANO FERRARA

6 - TERZO POLLO...
"Editoria, costruzioni, porti e appalti: gli amici d'affari Bocchino-Pomicino. Il ruolo dell'imprenditore Vincenzo Greco. Il Ros: "scatole cinesi dietro moli business". Sul Giornale (p. 4), Gian Marco Chiocci accende un bel faro sull'acchiappa-appalti Greco, gia' tesoriere di 'o miinistro ai tempi della Prima Repubblica.

bechis

7 - NOTIZIE CON LA BAVA...
Alfano: "Dopo di noi chi osera' sfidare la casta delle toghe?" Forse direttamente i mafiosi? Sul Corriere della Sera, Francesco Verderami scambia Angelino Jolie per Calamandrei e gli recensisce con gran pompa il suo fondamentale libro edito da... Mondadori, naturalmente (p. 1-11).

8 - POTERI MARCI IN MANOVRA...
Solidarieta' ai giornalisti della Stampa Fornovo e Paolucci che si sono dovuti mettere in due per scrivere qualcosa di leggibile dopo aver incontrato "Beltratti (Intesa Sanpaolo)". Il fine economista-banchiere ci illumina fin dal catenaccio: "Serve un'azione rapida su conti pubblici e riforme". Il governo prende nota.

9 - ULTIME DAL PDMENOELLE (COPYRIGHT MARCO TRAVAGLIO)...
"Il sistema Sesto tocca i vertici democratici". Il pm Mapelli che indaga sull'ex presidente della Provincia di Milano Penati: quadro impressionante di tangenti, ancora operanti. La procura ipotizza una "rete parallela tra politica e imprenditoria locale". Bel pezzo di Davide Carlucci e Sandro De Riccardis su Repubblica (p. 10). Quando vedremo i direttori di Panorama, Giornale e Libero ordinare ai loro "segugi" (e ne hanno di bravi) di seguire cosi' bene le inchieste che toccano il Pdl, almeno a livello locale, allora potranno avere il rispetto di tutta la categoria.

Italo Bocchino GUIDO CROSETTO

10 - DISECONOMY...
Sulla Stampa leggiamo: "Ingiurie a Moretti. Fs licenzia un ferroviere". L'uomo era "consulente di parte civile per i morti di Viareggio". La cosa non vale più di due colonnine in basso a una pagina pari (la 24). Non disturbare il manovratore! E poi con i licenziamenti, a Torino sanno come muoversi.

11 - FREE MARCHETT...
La cosa bella del pezzo a pagina 27 della Stampa è che "Il make up si fa con la biancheria" sia addirittura firmato. Si notino le didascalie.

12 - NON TUTTO E' PERDUTO...
Corsera per tutti (in prima): "I ragazzi che ci restituiscono l'orgoglio". Il Patriota è stato volontario dopo l'alluvione del '94. Un'esperienza irripetibile, che tutti i giovani dovrebbero fare una volta nella vita. E non solo per gli altri, ma per se stessi.

Paolo Cirino Pomicino

 

LA7 SUPER - 3,5 MLN PER TGCHICCO (13%) - CON FELTRI E RAMPINI LILLIBOTOX AVVICINA QUOTA 3 MLN (9,8%)

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Ornella Petrucci per "Il Velino"

Vanessa Hessler in La Ragazza Americana


In 6 milioni 135 mila telespettatori, con il 22,28 per cento di share, hanno visto ieri in prima serata su Rai1 la prima puntata della fiction "La ragazza americana", con Vanessa Hessler. Su Canale5 il reality "Grande fratello", condotto da Alessia Marcuzzi, è stato seguito da 4 milioni 378 mila telespettatori, con il 19,70 per cento di share. Su Italia1 il telefilm "CSI:Miami" ha totalizzato 2 milioni 964 mila telespettatori e il 10,46 per cento di share. Su Rai2 "Voyager", condotto da Roberto Giacobbo, ha interessato 2 milioni 219 mila telespettatori, con l'8,06 per cento di share.

ENRICO MENTANA

Su Rai3 "Presadiretta Live - L'alluvione", in diretta da Genova, con l'intervista al ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, ha raccolto 2 milioni 28 mila telespettatori e il 7,25 per cento di share. Su Rete4 il film "Nico", di Andrew Davis, con Sharon Stone, Pam Grier e Steven Seagal, ha realizzato un milione 604 mila telespettatori e il 5,94 per cento di share. Su La7 il programma "L'infedele", condotto da Gad Lerner, ha registrato un milione 425 mila telespettatori e il 6,17 per cento di share.

In seconda serata "Mai dire Grande Fratello", in onda su Canale5 dalle 00.29, ha siglato il 23,79 per cento di share, con un milione 797 mila telespettatori. Su Rai1 "Porta a Porta", in onda dalle 23.22, ha raccolto un milione 977 mila telespettatori e il 17,92 per cento di share.

kgr 07 gruber

Su Italia1 la serie "Undercovers", in onda dalle 22.58, ha convinto un milione 511 mila telespettatori e l'8,03 per cento di share. Su Rai3 "Per Firenze", lo storico film-documento di Franco Zeffirelli, in onda dalle 23.10, è stato visto da un milione 341 mila telespettatori, con l'8,02 per cento di share.

Su Rete4 il film "Sol Levante", di Philip Kaufman, in onda dalle 23.26, ha registrato il 7,27 per cento di share, con 651 mila telespettatori. Su Rai2 l'horror "Solstice", di Daniel Myrick, in onda dalle 23.33, ha registrato 486 mila telespettatori e il 4,32 per cento di share. Su La7 "Innovation", in onda dalle 0.16, è stato seguito da 249 mila telespettatori, con il 2,78 per cento di share.

Alessia Marcuzzi - Grande Fratello 12

Sul fronte dei tg delle 20: il Tg1 ha raccolto 5 milioni 970 mila telespettatori e il 22,41 per cento di share; il Tg5 ha ottenuto 5 milioni 712 mila telespettatori e il 21,51 per cento di share; il TgLa7 ha realizzato 3 milioni 509 mila telespettatori e il 13,07 per cento di share. In access prime time ha vinto "Striscia la notizia", in onda su Canale5, con 6 milioni 847 mila telespettatori e il 23,59 per cento di share, aggiudicandosi la palma di programma più visto della giornata.

Ieri la trasmissione ideata da Antonio Ricci ha ricevuto il Guinness dei Primati come "più longevo programma televisivo satirico di informazione per numero di puntate": ha infatti debuttato il 7 novembre 1988 e ora ha raggiunto la 4.804esima puntata. Su Rai1 "Qui Radio Londra", in onda dalle 20.38, ha ottenuto 4 milioni 831 mila telespettatori e il 17,20 per cento di share; a seguire, dalle 20.47, "Soliti Ignoti" ha realizzato 4 milioni 989 mila telespettatori e il 17,15 per cento di share. Su La7 "Otto e mezzo" ha registrato 2 milioni 843 mila telespettatori e il 9,82 per cento di share.

Gad lerner

Nel preserale il programma di Carlo Conti, "L'eredità", ha raccolto nella "sfida dei 6", in onda dalle 18.48, 4 milioni 217 mila telespettatori e il 21,24 per cento di share; mentre nella parte finale, in onda dalle 19.46, 5 milioni 232 mila telespettatori e il 21,82 per cento di share. Su Canale5 il programma di Paolo Bonolis, "Avanti un altro!", in onda dalle 19.06, ha ottenuto 4 milioni 269 mila telespettatori e il 19,79 per cento di share.

Nel pomeriggio bene "Cento Vetrine", in onda su Canale5 dalle 14.12, con 3 milioni 557 mila telespettatori e il 21,18 per cento di share. Infine nelle 24 ore Rai1 si è aggiudicata lo share più alto con il 19,98 per cento. Canale5 ha riportato il 19,32.

 


IL PM CHE INDAGA SU PENATI & C.: “UN SISTEMA TANGENTIZIO, TUTTORA OPERANTE CHE DAL LIVELLO COMUNALE ARRIVA FINO AL PD”

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Davide Carlucci e Sandro De Riccardis per "la Repubblica"

penati bersani WALTER MAPELLI

«Un sistema tangentizio, tuttora operante» che «dal livello comunale» arriva fino alla «direzione centrale del Partito Democratico». Così, in uno degli atti depositati in questi giorni, il pm di Monza Walter Mapelli descrive quello che emerge dall´inchiesta. A gennaio 2011, il pm chiede l´autorizzazione a intercettare le utenze di 15 indagati.

Tra loro, l´ex presidente della provincia di Milano Filippo Penati e il suo braccio destro Giordano Vimercati, e imprenditori del calibro di Luigi Zunino e Bruno Binasco del gruppo Gavio. Si delinea «un quadro impressionante, per continuità ultradecennale e rilevanza delle somme promesse, di accordi, progetti e pagamenti illeciti».

LA RETE PARALLELA OCCULTA
La procura parla di «una rete parallela occulta tra politica e imprenditoria», svelata dai due accusatori di Penati, l´uomo del trasporto locale Piero Di Caterina e il costruttore Giuseppe Pasini. Un «sistema tangentizio» che parte dal «gruppo dirigente sestese» passato nel 2004 in blocco in Provincia, dove «con l´appoggio della stessa Banca Intesa presente nella vicenda dell´area Falck», si conclude l´operazione Serravalle con Gavio-Binasco. E arriva con Penati e il «collettore Renato Sarno», fino a «imprenditori nazionali come Itinera-Gavio e Risanamento» e «alla direzione centrale Pd».

BRUNO BINASCO BRACCIO DESTRO DI GAVIO Luigi Zunino ex re del mattone

[L´INCONTRO CON GAVIO]
Nel giugno 2010, Di Caterina, interrogato dal procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, fa un salto indietro. «Io sono stato anche a Tortona, dove c´era Marcellino Gavio, perché dovevo recuperare questi soldi prima che morisse». Di Caterina aggiunge: «E ho incontrato Gavio da Penati». È un punto chiave: l´accusa sostiene che Penati usi Gavio per saldare un "prestito" di Di Caterina nei suoi confronti. Greco chiede: «Ma perché questi signori, che sono degli imprenditori, si devono preoccupare del benessere di Penati?». «Perché loro - risponde l´imprenditore - hanno fatto l´operazione Serravalle».

I BANCHIERI INTERCETTATI
Nell´indagine sulla Serravalle, la procura chiede di intercettare anche le utenze di due manager di Intesa. Uno è il direttore generale Gaetano Miccichè, l´altro è Corrado Passera, numero uno della banca. Sui due, i pm non trovano «nessun elemento di rilievo».

Marcellino Gavio

LA SPREGIUDICATEZZA DELLE COOP
A giugno 2011, dalle intercettazioni emerge, scrive il pm, «la spregiudicatezza delle coop e di Omer Degli Esposti (vicepresindente delle Ccc, ndr.) nell´acquisizione di lavori» a Sesto. Si parla di «affari condotti in modo sospetto come l´aggiudicazione dei lavori per la Brebemi». Un nuovo filone su uno tra i più ricchi appalti del nord Italia.

GAETANO MICCICHE

 

BOSSI: VIA SILVIO, ALFANO A PALAZZO CHIGI - LE OPPOSIZIONI RESTANO IN AULA MA NON VOTANO IL RENDICONTO

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1. ?!
Jena per "La Stampa"
- Mario Monti for president? Che fatica essere di sinistra!

BERLUSCONI

2. MARCEGAGLIA, CON SPREAD A 500 NON SI VA AVANTI...
(ANSA)
- ''Con uno spread a 500 punti base non possiamo andare avanti a lungo'': e' quanto afferma il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, intervenuta all'inaugurazione del Salone Eicma.

UMBERTO BOSSI

"Lo diciamo con chiarezza - ha proseguito Marcegaglia -: uno spread così significa una restrizione del credito enorme, che è già in corso, significa una molto scarsa credibilità sui mercati, significa una situazione per i conti pubblici non sostenibile. I numeri dicono che con questo spread sono 8,7 miliardi di euro in più di costo della spesa pubblica all'anno, quindi il paese non può stare in queste condizioni, bisogna velocemente trovare una soluzione".

3. BOSSI, CHIESTO A BERLUSCONI PASSO DI LATO, ALFANO PREMIER...
(ASCA)
- ''Abbiamo chiesto al premier di fare un passo di lato, laterale''. Lo afferma il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, arrivando a Montecitorio. A chi gli chiede se la richiesta del Carroccio sia Angelino Alfano premier, Bossi conferma sarcastico: ''E chi mettiamo, il segretario del Pd?''.

ANGELINO ALFANO

4. BOSSI, OGGI NON SUCCEDERA' NIENTE...
(ANSA)
- "Oggi non succederà niente". Così il leader della Lega, Umberto Bossi, risponde ai giornalisti che gli chiedevano un 'pronostico' sul voto al Rendiconto Generale dello Stato.

5. OPPOSIZIONI IN AULA MA NON VOTANO RENDICONTO...
(ANSA)
- Le opposizioni oggi saranno in Aula ma non voteranno il Rendiconto Generale dello Stato. E' la decisione assunta nel vertice delle opposizioni svoltosi alla Camera.

MARCEGAGLIA

Durante la riunione dei capigruppo delle opposizioni tutti, spiega il capogruppo Fli Benedetto Della Vedova, hanno concordato sulla strategia, compresi i radicali. "Se astenerci o non votare - spiega Rita Bernardini al termine del vertice - sarà valutato. Oggi noi abbiamo un incontro molto importante con Bersani".

6. FRANCESCHINI,ITALIA OGGI VEDRA' SE MAGGIORANZA C'E'
(ANSA)
- "Abbiamo deciso che oggi staremo in Aula ma non parteciperemo al voto. Gli italiani che ci guardano devono verificare in modo incontrastabile se Berlusconi ha ancora la maggioranza o no". Così il capogruppo Pd alla Camera Dario Franceschini motiva la decisione delle opposizioni di stare oggi in aula ma senza partecipare al voto sul rendiconto.

PIERLUIGI BERSANI

7. MANTOVANO, VOTO SU RENDICONTO NON PRESENTA PROBLEMI...
(ANSA)
- "Il voto sul rendiconto non rappresenta problemi, il rendiconto è un atto dovuto e la giornata di oggi, almeno dal punto di vista parlamentare, dovrebbe essere tranquilla". Lo ha detto il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, oggi a Bari.

8. BERTOLINI CONFERMA, VOTERO' RENDICONTO
(ANSA) -
"Come ho già detto e ripetuto voterò a favore del rendiconto". Così Isabella Bertolini, deputata del Pdl, lasciando Palazzo Grazioli.

9. STRACQUADANIO DA BERLUSCONI A PALAZZO GRAZIOLI...
(ANSA)
- Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl, firmatario della lettera in cui con altri cinque colleghi, ha chiesto un svolta a Silvio Berlusconi, è appena giunto a Palazzo Grazioli per un colloquio con il presidente del Consiglio.

STRACQUADANIO

10. MANTINI(UDC), PAPA TORNI IN PARLAMENTO...
(ANSA)
- "Dopo la caduta in Cassazione dell'accusa di associazione a delinquere e di concussione, la posizione processuale di Alfonso Papa si è molto alleggerita e non vi sarebbero ragioni per mantenere il deputato in custodia cautelare". E' quanto afferma in una nota Pierluigi Mantini (Udc).

Secondo il deputato: "Papa è un avversario politico ma a lui deve essere garantito il libero esercizio delle funzioni parlamentari in una fase politica e istituzionale assai delicata" ed "ha già subito una lunga carcerazione preventiva non motivata in modo convincente". "Oggi -dice ancora Mantini- alla luce dell'imputazione residua per reati più modesti, lo stato di detenzione sarebbe davvero incomprensibile".

DARIO FRANCESCHINI

11. TREMONTI LASCIA BRUXELLES E VOLA A ROMA...
(ANSA)
- Il ministro Giulio Tremonti sta rientrando da Bruxelles a Roma e - secondo quanto si apprende - non parteciperà alla riunione dell'Ecofin. Il ministro era arrivato ieri dove ha preso parte alla riunione dell'Eurogruppo. Oggi a Roma è previsto alla Camera il voto sul Rendiconto.

ALFONSO PAPA

 

PANICO SUI GIORNALI USA: “ROMA BRUCIA E L’AMERICA RISCHIA DI SCOTTARSI”

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Maurizio Molinari per "La Stampa"

WSJ

Mercati in bilico per colpa dell'Italia», «Roma rischia il fallimento», «Serviranno prestiti da Ue e Fmi», «La soglia killer del 7 per cento è in agguato da giovedì», «Nessuno crede più negli impegni di Silvio Berlusconi», «Le banche francesi stanno vendendo quantità massicce di titoli italiani»: Wall Street ha paura del crac italiano e per un'intera giornata di contrattazioni operatori, analisti e media martellano il pubblico americano con notizie di tono negativo sul nostro Paese.

Pochi minuti prima del campanello di apertura a Wall Street Mohamed ElErian, ceo del gigante Pimco, afferma: «Il governo italiano deve fare molto di più per riguadagnare la fiducia del popolo italiano, del creditori esterni e dei mercati». Il riferimento è alle promesse di riforme fatte da Berlusconi all'Ue ed all'invito al Fmi a svolgere ispezioni.

BERLUSCONI

Sono impegni che non convincono gli operatori perché, come spiega Michelle Caruso-Cabrera, conduttrice della tv economica Cnbc, «i ripetuti fallimenti di Berlusconi nel mancare gli impegni presi in passato spingono i mercati finanziari a pensare che l'Italia starebbe finanziariamente assai meglio se Berlusconi si dimettesse».

Sono parole che rimbalzano sul floor del New York Stock Exchange dai piccoli televisori posizionati un pò ovunque nelle postazioni dei broker. Anche perché cambiando canale il contenuto non muta: quanto i mercati vanno in negativo spinti dalle paure italiane la Msn commenta preoccupata «Roma brucia e l'America rischia di scottarsi», Fox Business mette in sovraimpressione a titoli cubitali il dato sull'« interesse record dei titoli di Stato italiani» a quota 6,63 per cento e Cnn dedica l'approfondimento ad un parallelo fra la decisione del premier ellenico di dimettersi per salvare le finanze pubbliche e quella del collega italiano di fare il contrario, incurante dei rischi di crac che incombono.

wall street

I siti di New York Times , Wall Street Journal , Financial Times e Washington Post pubblicano analisi convergenti e preoccupate sui titoli di Stato italiani. «E' la prima volta dalla nascita dell'euro che l'interesse sfonda quota 6,50 per cento - scrive il Wall Street Journal - il 7 per cento è stato fatale a Portogallo, Irlanda e Grecia e in questi tre casi passarono solo 15 giorni per raggiungerlo dal 6,50», dunque «sin dall'asta di giovedì l'Italia è a rischio» di non avere più soldi a sufficienza per pagare gli interessi sui bond.

L'ostacolo subito seguente è quello di lunedì 14 novembre quando, prevede Dawa Securities, l'Italia dovrà raccogliere sui mercati 30,5 miliardi di euro in bond decennali rischiando di trovarsi di fronte ad un'impennata degli interessi. Ed a complicare lo scenario, aggiunge Kathleen Brooks direttore di UK Emea a Forex.com, è che «stanno crescendo anche gli interessi dei titoli a due anni» indicando una pressione in crescita su più fronti.

FT

«La realtà è che per i mercati finanziari il problema non è più la Grecia ma l'Italia» commenta Mark Luschini, stratega finanziario di Janney Montgomery Scott. Il fatto che la francese Bnp Paribas si sia già liberata di un'ingente quota di titoli italiani fa ipotizzare ad alcuni analisti che la discesa verso il peggio possa essere assai rapida.

C'è chi suggerisce, come Mark McCormick stratega valutario di Brown Brothers Harriman, che «l'Italia non avrà alternativa a chiedere prestiti all'Unione Europea ed al Fmi» come anche chi ribatte che vista la complessità dell'operazione la Banca d'Italia potrebbe essere obbligata a «vendere parte dei 150 miliardi di euro in oro» che possiede nei forzieri.

NYT

Se commenti inquieti ed emozioni negative si sovrappongono, sul floor come sui media, è perché «l'Italia è la terza economia più grande della zona Euro ed uno dei maggiori mercati di titoli di Stato del fondo» creando una situazione per la quale «è troppo grande per fallire ma anche troppo grande per essere salvata» come riassume Thanos Vamvakidis, capo dell'European G10 FX Strategy a New York, secondo il quale «neanche l'intero fondo di soccorso europeo da 1,4 trilioni di euro basterebbe».

 

 

IL VOTO DI OGGI SERVE A STANARE I FUGGIASCHI - LE OPPOSIZIONI SONO CAUTE, TEMONO UN FLOP

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GOVERNO: ANTONIONE, DESTRO, GAVA, PITTELLI E BUONFIGLIO NON VOTANO
Radiocor
- 'Abbiamo preso atto con soddisfazione che la Camera dei Deputati, anche per le decisioni preannunciate dalle opposizioni, approvera' nel pomeriggio il rendiconto generale dello Stato, come era necessario e doveroso. A tal proposito ribadiamo la necessita' che il presidente del Consiglio favorisca la nascita di un nuovo Governo con la piu' ampia base parlamentare, per affrontare la drammatica emergenza economica e finanziaria dell'Italia, e a tal fine non parteciperemo, per scelta politica, alle votazioni di oggi'.

antonione roberto

Lo scrivono in una nota i deputati Antonione (Pdl), Destro (Pdl), Gava (Pdl), Pittelli (Misto) e Buonfiglio (Misto). Dal canto suo, il segretario del Pri Francesco Nucara (finora pro Cav) e' ricoverato in clinica da domenica. Per questo motivo oggi non potra' essere in Aula alla Camera. Si e', intanto, dimesso dal Governo il sottosegretario agli Esteri, Enzo Scotti che invita, a mezzo lettera, Berlusconi a fare un gesto 'da vero patriota', offrendo la disponibilita' per una guida diversa del Governo: 'Il Cavaliere - dice Scotti - non resista oltre il limite, non puo' andare avanti con due voti acchiappati da una parte e tre persi dall'altra. Non e' una partita di calcio, ma il futuro di una nazione'.


1 - LA STRATEGIA DI PD E UDC IL COLPO FINALE LA SETTIMANA PROSSIMA
Fabio Martini per "La Stampa"

GIUSTINA DESTRO

Nei labirintici corridoi di Montecitorio che portano all'Auletta dei Gruppi dove si presenta il libro di Michele Vietti (vicepresidente del Csm), a metà pomeriggio si incrociano Gianni Letta e Pier Ferdinando Casini, che dice piano all'altro: «Dai, facciamoci vedere assieme, così chissà che pensano...». Casini scherza, ma nell'Auletta c'è un pubblico e un'aura iper-istituzionale, da governo delle grandi intese e, forse, è proprio questa clima ad incoraggiare il presidente del Senato Renato Schifani a pronunciare un discorso sorprendente.

RENATO SCHIFANI

Davanti ad una platea nella quale sono presenti fior di magistrati (il presidente dell'Anm Luca Palamara e il Procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati), Schifani glissa sulle tradizionali critiche della destra alla magistratura e conclude il suo intervento con queste parole: «Ogni riforma non è mai, né deve essere intesa contro la magistratura, non è corretto neanche pensarlo». E ancora: «Una riforma della giustizia passa da un unico presupposto, che è la piena condivisione di tutte le forze politiche, con l'apporto necessario di maggioranza e opposizione insieme».

GIANNI LETTA PIERFERDINANDO CASINI

Discorso «istituzionalmente corretto», come quelli che si facevano una volta o qualcosa di più? Una elegante autocandidatura a premier proprio mentre sta per collassare il governo in carica? E un'ora prima, il Casini che ostenta intimità con Letta, con la sua sola vicinanza, contribuisce ad indebolire un possibile candidato ad un nuovo governo di centrodestra? Una cosa è certa ed è curioso il contrappasso: le battute di Casini e il discorso di Schifani - con movenze che richiamano il lessico felpato della Prima Repubblica - preparano quella che si preannuncia come la settimana più cruenta nella storia della Seconda Repubblica.

Si comincia oggi, con la nuova votazione del Rendiconto dello Stato. I due schieramenti hanno preparato la giornata, navigando a vista, in un mix di «compravendite» e tattiche studiate a tavolino, ma tutte da verificare. E ieri sera, durante un vertice dei capi dell'opposizione, è stato informalmente deciso l'obiettivo per la giornata di oggi: non tanto e non ancora far cadere il governo, ma - come rivela uno dei partecipanti - «tenerlo basso» ad una quota (311-312 sì), che lo indebolirebbe e ne renderebbe quasi ineluttabile la fine alla successiva votazione, quasi certamente una mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni.

edmondo_bruti_liberati

Mai come in queste ore i capi della minoranza sentono di avere la «preda» a portata di mano e per questo calibrano le mosse. Il presidente della Camera Gianfranco Fini invita i suoi a non avere una fretta eccessiva, chiede un indebolimento progressivo della maggioranza, un escalation che porti alla caduta del governo «nell'arco di una settimana».

I protagonisti dell'assedio a Palazzo Chigi - oltre a Fini, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini - in altre parole cercano di evitare il bis della mozione di sfiducia del 14 dicembre, che restò sotto di tre voti per un eccesso di fiducia, per un sostanziale disimpegno dei centristi e per un lavoro di squadra ridotto all'osso, non paragonabile a quello massiccio dispiegato in queste ore. Ieri si sono incontrati a Montecitorio i leader di tutti i partiti di opposizione e durante il vertice è stata decisa la tattica: in occasione della votazione sul Rendiconto, si spingerà su due opzioni diverse per mettere in difficoltà il governo: assenti e astenuti.

Benedetto Della Vedova

In altre parole, i quattro gruppi di opposizione (Pd, Udc, Idv, Fli), anziché votare contro, si asterranno in modo da calamitare su una posizione diversa dal diniego assoluto, il maggior numero di incerti. E i malpancisti più incerti? A loro viene sommessamente consigliato di tenersi lontani da Montecitorio. In queste ore i leader dell'opposizione sono dunque concentrati sulla caduta di Berlusconi più che sugli scenari e sui possibili premier, anche se Benedetto Della Vedova, presidente dei deputati futuristi, dopo il vertice delle opposizioni, lancia una opzione inedita: «Se il Pdl si sottrarrà ad appoggiare un governo del Presidente, credo che potrebbero appoggiarlo molti eletti nella maggioranza».

Un governo Pd-Udc più una metà dei deputati Pdl? In queste ore chi mena le danze sono i centristi, impegnati in una «controcampagna acquisti», ciò che era mancato nel passato. Un lavoro di squadra quello dell'Udc: Pier Ferdinando Casini dirige le operazioni, Lorenzo Cesa e Paolo Cirino Pomicino «lavorano» i parlamentari e quando è significativa la «preda», come nel caso di Gabriella Carlucci, scatta il tamtam informativo.

ADOLFO URSO


2 - CAMERA, MAGGIORANZA A 311 - FIDUCIA APPESA A POCHI VOTI
Dall'articolo di Monica Guerzoni per il "Corriere della Sera"

(...) Eppure i leader delle opposizioni sono nervosi, speravano in una valanga che ancora non si vede e temono che una mozione di sfiducia si riveli un boomerang. Per questo la depositeranno solo una volta raccolte 316 firme in calce. A sera il pallottoliere delle minoranze dava questo responso in caso di voto di fiducia: 312 voti per il fronte di Fini, Casini, Bersani, Rutelli e Di Pietro e 311 per Berlusconi e Bossi. Non sono numeri assoluti, certo. Dando per scontato il sì di Stracquadanio e Bertolini e il no di Antonione, Fabio Gava e Giustina Destro, restano da collocare tre presunti indecisi.

Andrea Ronchi

Antonio Milo? Le opposizioni sono convinte di averlo con loro perché ha firmato il documento di Luciano Sardelli ed Enzo Scotti, il sottosegretario che ieri si è dimesso dal governo. Giancarlo Pittelli? È uno dei sei «ribelli» dell'Hassler e dunque i bookmakers di Montecitorio lo danno in fuga dal centrodestra. E Antonio Buonfiglio? L'ex finiano, approdato in Fare Italia con Urso, Ronchi e Scalia, ha detto con chiarezza: «Senza allargamento della maggioranza io sulla fiducia mi astengo». E il rendiconto? «Se diventa una fiducia non lo voto».

Sulla carta, dunque, tre voti che potrebbero rafforzare le opposizioni e portarle a 315. I vertici del Pd smentiscono che i numeri siano «così alti», ma chi può dire che non sia un depistaggio? Il finale è da scrivere, le incognite sono più delle certezze. Pippo Gianni, deputato del Pid con una discreta dote di voti in Sicilia, ha parlato con Casini e nell'Udc sarebbe accolto come un figliol prodigo. Lui andrebbe pure, ma non vuole «dare un dolore» al suo amico Saverio Romano.

Berlusconi

E in Sicilia si parla molto anche di Pippo Scalia, l'ex finiano di Fare Italia che è in forte disagio nel centrodestra. In compenso Francesco Stagno d'Alcontres conferma di essere stato contattato da Casini, che gli ha «ripetutamente chiesto di passare all'Udc». Ma invano, perché il deputato ha deciso di restare in Grande Sud con Gianfranco Micciché.

 

A PRIMAVERA SCADE IL CDA E CON L’ARIA DI RIBALTONE RISCHIA ANCHE LADY LEI

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Paolo Festuccia per "La Stampa"

LORENZA LEI

Il rompete le righe ancora non c'è. Certo alcuni riposizionamenti cominciano a prendere forma, ma fino ad ora nessuno a viale Mazzini scommette sulla caduta di Berlusconi. A cominciare dal direttore del Tg1 Augusto Minzolini, che nel suo editoriale, per una serie di ragioni che elenca, ritiene che «sia quasi impossibile un esecutivo diverso». Tant'è, che un dirigente di lungo corso rilancia, «che troppe volte il cavaliere è stato dato per spacciato, ma poi è resuscitato...». Insomma, fin quando la pratica «non è archiviata», par di capire, è meglio star fermi. Immobili.

PAOLO GARIMBERTI

Anche se sul futuro si ragiona. Al settimo piano Rai, infatti, si discute su due ipotesi, legate al rinnovo del Cda Rai in scadenza la primavera prossima. Cosa potrebbe accadere, allora, se Berlusconi facesse un passo indietro? Nei ragionamenti si tiene conto sia di un eventuale ricorso anticipato alle urne a gennaio, come rilanciato dal ministro dell'Interno Maroni domenica sera a «Che tempo che fa?», sia di un possibile governo tecnico o di larghe intese.

In entrambi i casi, si nota, ci sarebbe il tempo necessario per rinnovare anche il cda. «Infatti - ragiona un top manager Rai - se si votasse a gennaio 2012 il nuovo governo già a febbraio sarebbe nella piena funzionalità, e quindi in grado, vista la vicina scadenza del cda di rinnovare i vertici aziendali».

AUGUSTO MINZOLINI

E così, anche nel caso di un esecutivo a guida tecnica. Qualunque premier, infatti, di concerto con la Vigilanza metterà mano al rinnovo del consiglio. Un consiglio, che per forza di cose, è destinato a cambiare almeno in parte, non foss'altro perché tre fra i suoi nove consiglieri (Rizzo Nervo, Petroni e Bianchi Clerici) sono al secondo mandato, e quindi, non rieleggibili.

Ed è chiaro che se cambiano i musicisti anche il direttore d'orchestra (legato al mandato del cda), ovvero il direttore generale, rischierebbe di perdere la poltrona: sia nell'ipotesi di un governo tecnico, sia in quella del voto con maggioranza diversa dall'attuale.

NINO RIZZO NERVO

E con un cda e un direttore generale diverso l'intera governance, le reti e le strutture aziendali sarebbero destinate a subire un riassetto. Si partirebbe con la rete ammiraglia, Raiuno, che in questi mesi è quella maggiormente provata dal calo di share. Raitre, invece, la meno a rischio. Discorso diverso, invece, qualora la maggioranza e il capo del governo restassero in sella. In questo caso, infatti, nonostante le scadenze appare assai improbabile una «quadra» in Vigilanza per rinnovare il cda, mentre più praticabile risulterebbe una proroga dell'attuale in attesa della scadenza naturale della legislatura.

Giovanna Bianchi Clerici

Una soluzione ideale anche per l'attuale Direttore generale, Lorenza Lei confortata dai buoni risultati resi alla maggioranza per molte «discusse» pratiche editoriali, lasciate inevase dall'ex numero uno Rai, Mauro Masi. A cominciare dall'uscita di Michele Santoro, a quella di Serena Dandini per finire a «Vieni via con me» di Saviano: programmi e personaggi usciti uno dopo l'altro dal palinsesto di viale Mazzini.

Naturalmente, sottolinea un acuto consigliere Rai, al di là delle voci che si rincorrono, «le tessere del mosaico sono molto più sparpagliate di quanto si pensi». Ad esempio: un'eventuale crisi parlamentare come cambierebbe gli equilibri in Vigilanza? E ancora: chi indicherà l'azionista (cioè il Tesoro) come consigliere del cda Rai? «Ecco - osserva la fonte - bastano solo questi elementi per dimostrare come il risiko Rai sia complicatissimo».

Certo è, comunque, che la fazione più filo-governativa qualche apprensione ce l'ha. Ma non è il caso del direttore del Tg1 Augusto Minzolini che nel suo editoriale ha spiegato come, nei fatti, sia «quasi impossibile un esecutivo diverso».

ANGELO MARIA PETRONI

Per Minzolini, «anche se si batterà tanto sul fatto che il problema è Berlusconi, è quasi impossibile che venga fuori un governo diverso dall'attuale per fare quello che ci chiedono in Europa». E spiega, «i parlamentari che stanno lasciando la maggioranza per evitare le elezioni anticipate, in realtà le stanno provocando».

 

HE KILLED JACKO! - IL DOTTOR MURRAY CONDANNATO A 4 ANNI PER AVER UCCISO (INVOLONTARIAMENTE) IL RE DEL POP

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1 - LA GIURIA EMETTE IL VERDETTO. LA SORELLA LATOYA: GRAZIE AMERICA, GRAZIE AVVOCATI, ABBIAMO VINTO
http://bit.ly/sM2H9w (IL VIDEO DELL'ARRESTO)

Maurizio Molinari per "La Stampa"

MICHAEL JACKSONL'ULTIMA FOTO DI JACKO

È stato Conrad Murray a uccidere, sebbene involontariamente, Michael Jackson. I dodici componenti della giuria del tribunale di Los Angeles hanno raggiunto l'unanimità dopo nove ore di camera di consiglio, consegnando al giudice Michael Pastor e all'America una sentenza che ha fatto esplodere in un boato di gioia le centinaia di fan della rock star assiepati da settimane davanti alla sede del processo.

«Colpevole! Colpevole!» hanno ritmato a lungo fuori dal tribunale, alcuni improvvisando passi di danza per emulare i movimenti di Jackson, in un segno di estremo omaggio. «Tremo in maniera incontenibile, grazie America, grazie ai fan ed agli avvocati, sono stati tutti grandi, Michael era alle udienze ed è per questo che abbiamo vinto» ha commentato via Twitter LaToya, sorella di Michael Jackson, all'uscita dall'aula stringendosi assieme agli altri famigliari ma non ai tre figli della star, rimasti sempre lontano dalle udienze.

MICHAEL JACKSON

La giuria ha fatto propria la tesi dell'accusa secondo cui il 25 giugno del 2009 Michael Jackson morì nel letto della propria villa a Neverland per il fatto di «essere stato abbandonato» da Conrad Murray, il proprio dottore che gli aveva somministrato dosi pericolosamente alte di propofol - un potente sedativo - senza poi sorvegliarne l'effetto sulla salute come avrebbe dovuto fare.

HOMICIDE - Il cadavere di Michael Jackson

Ad essere determinanti a carico di Murray si sono rivelate le testimonianze dei paramedici di Los Angeles sugli effetti del propofol e di sue tre ex compagne, che hanno raccontato di essere state chiamate dal dottore durante la notte in cui Jackson morì, avvalorando così la tesi della colpevole carenza di cure. Murray sottovalutava i gravi rischi che il propofol comportava per la salute del paziente. L'imputato ha ascoltato la lettura del verdetto con il volto impietrito, non riuscendo neanche a muoversi per diversi minuti.

Durante il dibattimento aveva tentato di respingere le accuse affermando che «Michael Jackson non voleva farsi curare» ma tale tesi non ha convinto la giuria, sebbene le nove ore di discussione lasciano intendere la presenza di dubbi a lungo esaminati. In particolare il cardiologo originario di Houston, in Texas, conservava nell'abitazione della compagna una quantità significativa del potente calmante, avvalorando così il sospetto di somministrarlo senza alcun tipo di remora.

MICHAEL JACKSON

Il dottore resta ora in prigione perché gli è stata negata la cauzione, in attesa di sapere quanto durerà la condanna: rischia un massimo di quattro anni di detenzione, anche se forse potrà uscire prima, e la perdita della licenza medica. Ma ciò che più conta è la ricostruzione di quanto avvenne perché testimonia che il Re del Pop era tutt'altro che desideroso di morire, e puntava invece a presentarsi puntuale sul palco del megaconcerto di Londra.


2 - LA NOTTE FATALE VALIUM, SONNIFERI POI LA DOSE KILLER

Piero Negri per "la Stampa"

conrad murray - medico di jackson

Nelle prime ore del pomeriggio di mercoledì 24 giugno 2009, Michael Jackson si è seduto a tavola per l'ultima volta con i tre figli. Ha mangiato tonno marinato e un'insalata, ha bevuto un succo di carota e arancia, poi ha unito le mani in preghiera, ha detto: «Grazie» e «Dio vi benedica» ed è partito per le prove del suo nuovo, e ultimo, tour. Il 13 luglio, meno di tre settimane dopo, era in programma il primo dei cinquanta concerti di Londra con cui avrebbe dato l'addio alle scene: quasi 800 mila biglietti erano già stati venduti.

Poco prima delle sette di quella sera, è salito sull'auto di servizio, una Cadillac Escalade blu, con il suo assistente personale, Michael Amir Williams. Alla guida c'era la sua guardia del corpo, Faheen Muhammad, che in pochi minuti da Holmby Hills, quartiere di ville di lusso incastonato tra Bel Air e Beverly Hills, in California, è giunto allo Staples Center, dove si sarebbe svolta una delle ultime serate di prova. Di lì a pochi giorni, l'intero gigantesco circo si sarebbe trasferito in Gran Bretagna.

LA TOYA JACKSON

Quella sera, per la prima volta, Michael Jackson, i musicisti e i ballerini hanno suonato il suo vecchio ed enorme successo Thriller in versione definitiva, con tanto di costumi e di effetti speciali. L'ultima canzone cantata da Michael Jackson è stata Earth Song : «Ti sei mai fermato a pensare a tutti i bambini ammazzati dalla guerra? Ti sei mai fermato a osservare la terra che piange, questa spiaggia che muore?». Le prove sono terminate a mezzanotte, Michael è tornato a casa, ha salutato i pochi fan che sostavano davanti al cancello d'ingresso ed è salito al primo piano.

paris figlia michael jackson04

Per ore, quella notte, il dottor Conrad Murray ha tentato di farlo addormentare: subito con il valium, ripetuto poi all'1,30 del mattino, con il lorapezam mezz'ora dopo, via flebo, alle 3 con il midazolam e con altri due milligrammi di lorazepam alle 5. Ma alle 7,30 Michael Jackson era ancora sveglio: il re del pop giaceva insonne sulle lenzuola bianche del letto in stile «renaissance». La polizia troverà lì una statuetta in porcellana con le sembianze di un putto biondo e svariati flaconi di ossigeno, lacci emostatici, garze, dentifricio e un rosario, sulla testata del letto diversi dvd, molti film per bambini. La casa era piuttosto sporca e caldissima: a fine giugno, l'impianto di riscaldamento era acceso.

jackson figli

Alle 10,40, finalmente, Murray si decise a somministrargli 25 milligrammi di propofol, l'unica sostanza che sembrava funzionare. Poi, dopo dieci minuti, si allontanò e fece alcune telefonate: dovette essere di ritorno intorno alle 12, perché alle 12,13 chiamò l'assistente di Jackson e gli lasciò un messaggio allarmato in segreteria e successivamente la guardia del corpo, che salì in camera e trovò il cantante disteso sul letto con le braccia aperte e gli occhi spalancati. Murray stava tentando di rianimarlo con un massaggio cardiaco, mentre due dei figli di Jackson, Prince e Paris, urlanti, venivano allontanati dalla stanza. L'ambulanza arrivò alle 12,27 e scrissero sul referto che alle 12,29 il paziente aveva già smesso di respirare. Michael Jackson arrivò al Ronald Reagan Ucla Medical Center all'1,07 e fu dichiarato morto alle 2,26

 

NIENTE LO PUÒ FERMARE, NEMMENO LA FINE, LO SPREAD, LA BANCAROTTA: AVANTI CON BUNGA BUNGA

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VIDEO
http://www.corriere.it/politica/11_novembre_08/smart-palazzo-grazioli_46ff83ac-09f2-11e1-8aac-d731b63fbb0f.shtml

pascale

Antonio Castaldo per Corriere.it

La Smart con una fanciulla a bordo varca il cancello di Palazzo Grazioli a mezzanotte inoltrata. La sorveglianza saluta con deferenza e l'automobilina s'infila nel parcheggio presidenziale. L'auto è intestata a Francesca Pascale, l'ex velina di Telecafone, a lungo indicata come «fidanzata» del premier, eletta al consiglio provinciale di Napoli nelle file del Pdl. Interpellata a proposito della visita notturna, la ventiseienne partenopea non conferma e non smentisce. Ma aggiunge: «Il premier sta sempre bene».

pascale


IL SUMMIT DEL PDL - Nella notte la residenza del premier ha ospitato l'ennesimo vertice del Pdl. Erano presenti i coordinatori Verdini e La Russa, il capogruppo al Senato Gasparri e alla Camera Cicchitto. Erano inoltre presenti il portavoce Bonaiuti e Gianni Letta. l'incontro è andato avanti fino all'1.30. All'ordine del giorno il destino del governo Berlusconi e dell'intera legislatura. Ha preso parte alla riunione anche la Pascale? La signora non intende rispondere a questa domanda. Alcuni testimoni hanno poi visto la Smart lasciare Palazzo Grazioli dopo le dieci della mattina successiva.

pascale berlu

 


DE MAGISTRIS AUMENTA LO STIPENDIO ALL’EX PARLAMENTARE IDV PRESIDENTE DEL MERCATO ORTOFRUTTICOLO

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de magistris con la bandana

Carlo Tarallo per Dagospia

1 - GIGGINO COME SILVIO: "NO AL RIBALTONE, ELEZIONI SUBITO"...

Luigi De Magistris come Silvio Berlusconi? "Il Paese non capirebbe un ribaltone": questo il commento di Giggino ‘a Manetta sulla crisi della maggioranza. Giggino non vede l'ora di presentarsi alle primarie del centrosinistra, di spedire in Parlamento qualche deputato arancione, in pratica di affrontare una bella campagna elettorale nazionale per far pesare i suoi consensi.

Silvio Berlusconi

E così spara a zero sull'ipotesi di un governo di centrosinistra sostenuto dai transfughi del Pdl, e utilizza praticamente tutto l'armamentario polemico del Banana: "Quella attuale - aggiunge il sindaco di Napoli - non sarà mai una maggioranza di centrosinistra perchè fatta di transfughi del Pdl con alcuni soggetti che sono entrati nella compravendita. Il Paese vuole due cose: che si vada alle elezioni al più presto e che il traghettamento istituzionale avvenga con un governo di altissimo profilo istituzionale e morale".

2 - CALDORO VS DE MITA: SIAMO NELLA MERDA E LUI PENSA ALLE DELEGHE DEL NIPOTE...
"La Campania sta come la Grecia e De Mita pensa alle deleghe per il nipote": a rivelare i pensieri di Stefano Caldoro, governatore post-berlusconiano della Campania, sul principale alleato del Pdl alla regione, l'Udc, è il suo amico di sempre Marco di Lello, coordinatore della segreteria del Psi, napoletano, ex assessore di Antonio Bassolino.

CALDORO STEFANO CIRIACO DE MITA

Di Lello ha scritto un libro, (E' tornato Masaniello, in collaborazione col giornalista del Velino Carlo Porcaro) in uscita tra pochi giorni in libreria, e Dago può rivelarne il passaggio più scottante, un giudizio al veleno di Caldoro su Ciriaco de Mita, coordinatore regionale Udc e zio del vicepresidente della Regione, Giuseppe, appena rientrato in giunta dopo la rottura in seguito alle nomine delle Asl.

Ecco il passaggio: "Io gli parlavo di un deficit economico simile a quello della Grecia e lui mi chiedeva di quali deleghe volessi affidare al nipote, del modo in cui si costruisce il consenso in Campania, di come anche la delega all'autoparco può essere utile in questa direzione: così Caldoro si sfoga sul terrazzo di casa mia durante le trattative per la composizione della nuova giunta regionale".

Il riferimento di Di Lello è proprio al Ciriacosauro, il volto del "nuovo che avanza" di stampo centrista sotto ‘o Vesuvio, ed è destinato, per una volta, ad essere approvato e sottoscritto dal Pdl campano, che già ha protestato duramente per il rientro di de Mita junior in giunta.

Una vicenda, quella della presenza dell'Udc nelle giunte e nelle maggioranze di centrodestra in Regione Campania e in Provincia di Napoli, caratterizzata da continui scossoni. Gli spifferi raccontano di un Fulvio Martusciello, capogruppo Pdl in consiglio regionale, letteralmente imbestialito con Stefano Caldoro per una riforma della macchina amministrativa di Santa Lucia che penalizzerebbe i dirigenti a lui più vicini. Di questo Martusciello si sarebbe lamentato direttamente con il coordinatore regionale Nick Cosentino, prima di riunire i "suoi" consiglieri e ufficializzare la contrarietà assoluta al rientro in giunta del vicepresidente Giuseppe De Mita.

Bocchino e Carfagna in Parlamento dmtia08 giuseppe de mita mo

Ma è la stessa Udc campana a essere spaccata: contro il nipotissimo c'è Pasquale Sommese, secondo esponente centrista nell'esecutivo; e c'è la componente che fa capo al presidente della provincia di Caserta Mimì Zinzi, parlamentare e papà di Gianpiero, che insieme a Ciriaco regge il coordinamento regionale campano.

3 - L'INCARFAGNATA DA BOCCHINO A COSENTINO...
Da Bocchino.... a Cosentino: l'Incarfagnata a Canossa dal peggior nemico di Italo.
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/11/07/news/l_ex_pasionaria_carfagna_firma_la_pace_con_cosentino-24589895/

4 - NIENTE SOLDI MA NON PER IL COMPAGNO DI PARTITO...
In cassa non c'è una lira ma De Magistris aumenta di 10.000 euro lo stipendio al neopresidente del mercato ortofrutticolo Lorenzo Diana, ex parlamentare Idv.
http://vedinapoli.corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/articoli/2011/11/caso_diana_e_questa_sarebbe_un.html

Marco Di Lello - é tornato Masaniello Nicola cosentino

 

 

“AL JAZEERA” LIBERA (PER MANCANZA DI PROVE) - LE VERITÀ SULLA TV ARABA DELL’EMIRO DEL QATAR

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John Lloyd per "la Repubblica" (traduzione di Anna Bissanti)

aljazeera

Al Jazeera, l´emittente televisiva in lingua araba e inglese che ha sede nel Qatar, era già nota prima, ma è la Primavera araba di quest´anno ad averla portata alla vera popolarità. Il ruolo che ha rivestito nella rivolte arabe ha fornito un esempio di potere politico televisivo lanciando una sfida ai network globali come Bbc e Cnn che dichiarano di fare giornalismo imparziale e fornendo un modello ad altri reti, come Russia Today, le cui finalità sono tanto polemiche quanto giornalistiche.

L´uomo che ha diretto Al Jazeera per buona parte dei 15 anni della sua esistenza, Wadah Khanfar, di recente è intervenuto a Londra definendo la Primavera araba un successo in parte del popolo, in parte di Al Jazeera stessa. Le telecamere di Al Jazeera, ha detto, sono state indispensabili per riconquistare la libertà e aiutare gli arabi a «far piazza pulita degli stereotipi della rassegnazione. Al Jazeera è dalla parte del popolo».

Wadah Khanfar

Khanfar non dirigerà più la rete. Si è dimesso a ottobre affermando di aver coronato il suo proposito di rendere il network una forza mediatica mondiale. Alcuni credono che egli in realtà fosse troppo vicino agli Usa: un cablogramma diffuso da WikiLeaks dimostra che aveva acconsentito la richiesta della diplomazia statunitense di stemperare alcune notizie.

Altri credono invece che abbia infastidito troppo gli Stati Uniti e l´Occidente: a gennaio in un articolo pubblicato sull´Huffington Post l´ex ambasciatore in Marocco Marc Ginsberg aveva scritto: «Il mantra di Al Jazeera è diventato quello di attizzare la rabbia e l´ostilità».

hillary clinton

Adesso le relazioni si sono quasi intiepidite. Il segretario di Stato Hillary Clinton, con non poco coraggio, a marzo lodò la rete sostenendo che «si ha l´impressione di avere notizie reali 24 ore su 24 invece di milioni di spot pubblicitari e discussioni tra grandi mezzibusti e quel genere di cose che facciamo nei nostri notiziari».

È però evidente che l´affermazione spesso ribadita da Al Jazeera di essere assolutamente indipendente da ogni centro di potere è discutibile. L´emiro del Qatar è, per essere un regnante arabo, un liberale estremo: ma Al Jazeera è la sua emittente, fondata e finanziata per le sue finalità. L´emiro voleva che il suo paese fosse «conosciuto e notato», obiettivo non facile per un Paese minuscolo che conta solo 225mila abitanti indigeni e un milione e mezzo di lavoratori stranieri. Il riformismo di al Thani è più che superficiale. Al Jazeera ne fa parte. Quantunque l´emiro resti un riformista, la libertà è soltanto accordata, non è un diritto acquisito.

PROTESTE IN SIRIA

Pur essendo una minuscola nazione, il Qatar ha nondimeno i suoi interessi nazionali, che costituiscono una sorta di linea rossa che Al Jazeera non può superare. L´emittente era vicina alla Siria, fatto che secondo numerosi osservatori spiegherebbe l´iniziale sospensione della copertura delle rivolte siriane. Dopo alcuni giorni, tuttavia, l´emittente si è schierata dalla parte del popolo.

L´esitazione dimostrata nei confronti del Bahrain è stata più palese. Senza alcun dubbio, tuttavia, intorno alle questioni interne è stata tracciata una linea rossa. Ciò non toglie che al Thani sia un autocrate, che non sia previsto il diritto di voto, che i partiti politici siano messi al bando e che ci sia ben poca vita civile, se mai ce n´è.

PROTESTE IN SIRIA

Certo è improbabile che un Paese i cui cittadini si vedono assicurato dallo Stato uno stile di vita molto lussuoso dallo stato, senza neppur lavorare, diventi vivaio di rivolte, ma il milione e mezzo di lavoratori stranieri auspica un po´ di interessamento da parte di un´emittente che afferma di stare «dalla parte del popolo». Per un autocrate - per quanto a tratti come l´emiro - la manifesta gioia di Khanfar per la destituzione di altri autocrati probabilmente doveva essere diventata irritante.

Scontri in piazza al Cairo

Potrà andare avanti così? L´editorialista del giornale libanese Daily Star Michael Young fa notare che Al Arabiya, l´emittente televisiva saudita che è il più forte concorrente di Al Jazeera, ha dovuto lasciar cadere le proprie riserve sulle rivolte arabe e seguire le orme della rivale con una copertura serrata degli avvenimenti: «Non poteva non esserci: si doveva far vedere la fine dell´era Mubarak!».

Quest´anno Al Jazeera è stata per un certo periodo la stazione televisiva più famosa e più impegnata al mondo. Il suo capo, dimessosi di recente, ha asserito che è stata essa ad aver fatto la Storia insieme al popolo. Ma come la Primavera araba si è raffreddata, così Al Jazeera dovrà affrontare la vera sfida di tutti i media: trovare il modo di continuare a essere "bollente".

 

L’ADDIO AL PATONZA DI GABRIELLA CARLUCCI È L’ULTIMO CAPOLAVORO DI CIRINO POMICINO

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Da "Libero"

GABRIELLA CARLUCCI

Gabriella Carlucci che se ne va nell'Udc non è solo un voto perso per Silvio Berlusconi. È anche un segno, a suo modo tragico, dei tempi. Perché rappresenta il cedimento dell'ultimo argine del berlusconismo, quello della tele-politica e della via parlamentare al reinserimento professionale delle protagoniste dello star system.

L'enormità della cosa è tale che, anche all'indomani del grande strappo, i protagonisti accusano il colpo. La parlamentare neo-centrista, in una sorta di mozione degli affetti postuma, rivela di «non averlo detto a Berlusconi» perché «gli voglio bene». Il Cavaliere, che pure si trova ad affrontare problemi vagamente più sistemici dell'addio della Carlucci, pare ci sia rimasto peggio che malissimo.

PAOLO CIRINO POMICINO

Nel Pdl si mastica assai amaro: i commenti off the records sono meno riferibili della media, e quelli a microfoni aperti rendono alla perfezione l'idea del clima. Valga per tutti quello di un Maurizio Gasparri al minimo sindacale di diplomazia: «Sospendo il mio giudizio», afferma il presidente dei senatori del Pdl, «in attesa che in un sussulto di coerenza ci si ricordi di come si è stati eletti».

Resta inevasa, tuttavia, la domanda delle domande: perché? Perché la Carlucci, che pure si sarebbe faticato ad immaginarsi frondista, dall'oggi al domani ha saltato il fosso? «Ma quella è da vent'anni che è pappa e ciccia con Cirino Pomicino!», si sfoga il senatore ex An che del crepuscolo della prima repubblica ha buona memoria.

MAURIZIO GASPARRI

E ne ha ben donde. Primo perché lo zampino dell'ex ministro nell'operazione Carlucci pare esserci, e bello grosso («Gabriella Carlucci è stata sempre una cattolica liberale: la sua scelta è la conclusione di un processo naturale», dice adesso 'O ministro, e se non è un indizio questo). E secondo perché è vero che, se un mentore politico la Carlucci ha mai avuto, questi non può che essere che lui. Il quale, a cavallo dell'ultimo decennio del secolo scorso, inserì le tre sorelle Carlucci nell'orbita democristiana (erano i tempi felici dell'andreottismo glam-pop, e quello delle showgirl ne fu uno dei volti più suggestivi).

A spulciare negli archivi, si apprende poi che non di sola immaterialità sarebbe campato il sodalizio tra i due. A fine anni Novanta, indagando sui mille rivoli in cui si era dissolta la celebre maxi-tangente Enimont, la Guardia di Finanza di Milano arrivò a rintracciare cinquanta milioni di lire in titoli di Stato finiti in mano alla ormai ex soubrette. La quale, ignara di tutto, spiegò di avere ricevuto quel denaro come «prestito» da parte dell'amico Cirino Pomicino. Quei soldi sarebbero poi stati utilizzati per pagare l'affitto annuo anticipato di un sontuoso appartamento romano, prima di essere restituiti interamente «in contanti» e «in due o tre donazioni».

GIANCARLO GALAN

Ma non è solo Cirino Pomicino ad essere tacciabile di paternità dello strappo. E nel partitone azzurro i retroscena e le maldicenze si rincorrono fuori da ogni controllo. Da più parti si mormora che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata versata dal ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan (storie di nomine nel settore della cinematografia, pare). Altri spiegano che i dissidi in realtà partono da più lontano e datano alle ultime Amministrative, in occasione delle quali sarebbero sorte frizioni territoriali col Pdl pugliese.

A un certo punto si diffonde la voce per cui lo strappo nascerebbe da motivazioni, per così dire, logistiche: «È andata via perché le hanno levato la stanza al partito». Qui le cose paiono stare diversamente: la Carlucci avrebbe sì perso l'ufficio, ma alla Camera. Più precisamente, in uno dei palazzi Marini (quelli che Montecitorio affittava per dislocare gli uffici e le cui concessioni da quest'anno non saranno rinnovate, a maggior gloria del taglio ai costi della politica). E la questione di spazio torna ad essere solo politica.

 

LA FINE DEL SARKOZYSMO - IL PIANO DI RIGORE DÀ IL COLPO DI GRAZIA AL NICOLAS DAI TONI TRONFALISTICI

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1 - IL PIANO DI FILLON SEPPELLISCE IL SARKOZYSMO

SARKOZY

Dagoreport da "Libération"
http://bit.ly/tY5P3X - http://bit.ly/sIs796 - http://bit.ly/sDTfPx

Il fallimento del sarkozysmo. È questa, sintetizzata da "Libération", Il quotidiano espressione della gauche la prima conclusione che si trae dal drastico piano di rigore presentato ieri dal Primo ministro francese Francois Fillon. Un programma di risparmi da 65 miliardi di euro i cui punti principali sono l'aumento dell'Iva e l'accelerazione della riforma delle pensioni.

SARKOZY NAPOLEONE

"Fillon, l'amico delle tasse", "Fillon dà il colpo di grazia a Sarkozy", titola il giornale. E analizza le misure contenute nella manovra, sottolineando che per l'anno 2013, per il 68,1% sono di natura fiscale. "Saltato il simbolo dell'Iva, quello che resta del sarkozysmo delle origini non è altro che la detassazione degli straordinari. E ci si chiede il perché, visto che non si vedono prove di benefici nel lavoro", scrive Paul Quinio in un editoriale, sempre su "Libé", intitolato "Fossoyeur", "becchino".

Gli obiettivi del piano sono ambiziosi: deficit zero entro il 2016. Ma sui 6,9 miliardi di euro di risparmi previsti per il 2012, 5,2 provengono da nuove entrate (Iva, aumento dell'imposta sulle società etc.), denuncia il quotidiano francese. Le misure di tipo economico influiscono solo per 1,7 miliardi. La stessa tendenza si conferma per il 2013: 7,9 miliardi dalle tasse, 3,7 da interventi sull'economia.

Nicolas Sarkozy with Carla Bruni

In percentuale, il risultato è senza appello: per 100 euro di riduzione del deficit, nel 2012, più di 75 euro vengono raccolti mettendo le mani nelle tasche dei cittadini. Più di 68 euro nel 2013. "Il Nicolas Sarkozy del 2007 che si rifiuta di essere ‘il presidente che aumenta le tasse' non è che un lontano ricordo".

Nicolas Sarkozy Carla Bruni


2 - QUANDO SARKOZY DISSE: "NON SARÒ MAI IL PRESIDENTE CHE AUMENTE LA TASSE"
Da "Libération" - http://bit.ly/uU2RUV

Strano il destino. Era il 24 marzo del 2009 e cinque giorni prima tre milioni di persone erano scese in strada, in tutta la Francia, per protestare contro la politica economica di Sarkozy. Cittadini colpiti dalla crisi che chiedevano all'Eliseo interventi per rilanciare il potere d'acquisto e difendere i servizi pubblici. Il presidente francese si rivolse alla nazione con un discorso accorato in cui chiese al Paese di unirsi in un momento di difficoltà. In un passaggio di quel discorso disse: "Je ne serai pas le président qui augmente les impôts", "non sarò mai il presidente che aumenta le tasse". Due anni dopo è costretto a smentirsi.

 

CAIN IN GABBIA! - UNA QUARTA DONNA ACCUSA IL CANDIDATO REPUBBLICANO DI MOLESTIE. LUI NEGA

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Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Herman Cain

Stavolta per Herman Cain sarà più difficile, se non impossibile, scrollarsi di dosso le accuse di molestie sessuali e restare in testa ai sondaggi tra i candidati repubblicani alla Casa Bianca. Una quarta donna lo ha denunciato, ma stavolta ha avuto il coraggio di metterci la faccia. Sharon Bialek, questo il suo nome, ha descritto nei particolari l'aggressione subita, durante una conferenza stampa organizzata a New York dalla famosa avvocatessa Gloria Allred. Cain ha smentito tutto, ma molti analisti già prevedono la fine della sua breve carriera politica.

herman cain

Sharon, oggi una signora bionda di mezza età, ha raccontato che nel 1996 lavorava a Chicago per la National Restaurant Association, l'organizzazione di cui Herman era capo. Si occupava di raccogliere donazioni per la fondazione della società, che poi finanziava progetti nel campo dell'istruzione. A giudizio dei suoi superiori non aveva ottenuto abbastanza risultati, e quindi era stata licenziata.

Sharon Bialek la donna che accusa Herman Cain

Qualche tempo prima, ad una conferenza della Nra, la Bialek aveva conosciuto Cain, che l'aveva invitata a una festa privata insieme al suo fidanzato. Dopo il licenziamento, proprio il fidanzato di Sharon le aveva suggerito di contattare Herman, per chiedere il suo aiuto allo scopo di recuperare il posto o trovarne un altro. La Bialek aveva chiamato, e l'ex capo della Nra l'aveva invitata a Washington per discutere la questione a cena. La prima sorpresa l'aveva trovata quando era entrata in albergo: infatti Cain, a sua insaputa, aveva pagato per un upgrade della stanza che era stata sostituita con una suite. Durante la cena Sharon aveva discusso il suo problema, e Herman l'aveva invitata ad andare nel suo ufficio.

Herman Cain

A quel punto era scattata l'aggressione, che la Bialek ha raccontato di persona con la voce rotta dalla commozione: «Mi disse che voleva farmi vedere la sede della Nra. Pensai che mi portasse nel suo ufficio, e invece fermò la macchina in una strada laterale. Io avevo addosso un vestito nero, lui una giacca con la camicia aperta. Allungò le mani, e cominciò a toccarmi le gambe. Poi le infilò sotto la gonna per arrivare ai genitali. Gli dissi: cosa stai facendo? Questo non è il motivo per cui sono venuta qui, sai che ho un fidanzato. Lui rispose così: non vuoi un lavoro? Gli dissi di riportarmi in albergo, cosa che fece».

Sharon ha aggiunto che non aveva denunciato Cain perché si vergognava, ma aveva parlato della molestia con il fidanzato e un'altra persona, che hanno consegnato all'avvocato Allred dichiarazioni giurate di conferma.

herman cain

La Bialek non ha risposto alle domande dei giornalisti, e si è limitata a chiedere che Herman ammetta la verità. Allred ha detto che non intende fare causa o vendere la sua storia, ma solo denunciare il comportamento di una persona che ha dimostrato di non rispettare le donne: «Il signor Cain, mentre corre per la Casa Bianca, mente attivamente agli americani. Quando è troppo è troppo. Dobbiamo reagire, e questo sta facendo la mia cliente».

Il candidato ha risposto con un comunicato di smentita: «Proprio mentre la nazione stava tornando a riflettere sul nostro debito pubblico da 15 trilioni di dollari, l'avvocato e attivista Gloria Allred ha presentato altre accuse false contro il front runner repubblicano. Tutte queste voci sono completamente false. Cain non ha mai molestato nessuno».

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Nei giorni scorsi almeno tre donne avevano accusato Herman, e due di loro avevano ricevuto risarcimenti per chiudere le denunce. Cain aveva ammesso questi casi, sostenendo però che le accuse erano false. Nessuna delle tre donne era venuta allo scoperto e lui era rimasto in testa ai sondaggi tra i candidati repubblicani, forte soprattutto del suo piano 9 - 9 - 9, che prevede di istituire una flat tax del 9% per imprese, individui e acquisti. Aveva anche litigato con i giornalisti che gli chiedevano spiegazioni. Ora però Sharon Bialek ci ha messo la faccia, e per Herman diventerà più difficile non rispondere.

 

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