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PIAZZA AFFARI SI PRENDE UNA PAUSA (-0,85%) – GIU’ LE BANCHE, MEDIASET E FINMECCANICA

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Carlotta Scozzari per Dagospia

MARCO PATUANO

Dopo la volata di ieri, sulle Borse e a Piazza Affari sono scattate un po' di prese di profitto. L'indice di riferimento milanese, il Ftse Mib, ha terminato la penultima giornata della settimana finanziaria con un calo dello 0,85% a quota 19.875,69, di nuovo al di sotto della barriera dei 20 mila punti che era stata violata alla vigilia, quando il listino italiano aveva raggiunto livelli che non vedeva dal luglio del 2011.

PATUANO

In particolare, sono state colpite dalle prese di profitto le banche, vale a dire il settore che più ha contribuito alla corsa di Piazza Affari degli ultimi mesi (che è poi anche quello che aveva spinto gli indici pesantemente al ribasso nelle fasi più cupe della crisi). Così, il Banco Popolare, che tanto aveva corso negli ultimi giorni, ha ceduto il 3,89%, Intesa Sanpaolo ha lasciato il 3,38%, Mediobanca il 3,2% e Bper è scesa del 3 per cento.

tim logo tela

Praticamente invariata (+0,09%), invece, la Popolare di Milano, nel giorno della vigilia della probabile nomina di Giuseppe Castagna come nuovo amministratore delegato della banca. Sono inoltre proseguite le prese di profitto su Mediaset (-2,56%) e sono scattate quelle su Finmeccanica (-2,06%), che soltanto il giorno prima aveva guadagnato più dell'8%, beneficiando tra le altre cose della possibile cessione ad Airbus delle quote di minoranza nella joint-venture Mbda.

Gli acquisti hanno invece sostenuto le quotazioni di Fiat (+3,38%), con Fiat Group Automobiles che nel 2013 si è confermato il settimo gruppo auto in Europa con 740.641 unità vendute (-7,3 per cento). Bene anche Pirelli (+2,02%) e Prysmian (+1,43%), la quale ha acquisito un nuovo contratto del valore di circa 24 milioni di dollari dalla compagnia petrolifera brasiliana Petrobras.

telecom tim brasil

In rialzo dell'1,2% Telecom Italia, il cui consiglio di amministrazione guidato da Marco Patuano oggi si è riunito per decidere, tra le altre cose, di adottare "una procedura ad hoc (in linea con quella per le operazioni con parti correlate), che verrà esaminata il 6 febbraio, per la gestione di ogni eventuale operazione straordinaria riguardante le partecipazioni di Telecom Italia nelle società del gruppo Tim Brasil. Si conferma peraltro l'assenza - ha precisato una nota della compagnia telefonica - in questo momento, di progetti, negoziazioni o offerte al riguardo". Tim Brasil si vocifera da tempo, potrebbe essere rilevata dagli operatori locali, tra i quali la Vivo di Telefonica, che è nel contempo prima socia di Telecom attraverso Telco.

 

Giuseppe Castagna

HOLLANDE? UN ‘SERIAL LOVER’ – I MEDIA UK CONTRO IL CAPO DELL’ELISEO: ‘UNO CHE TRADISCE’

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Enrico Franceschini per "la Repubblica"

"Il presidente Hollande ha tanto da dire, tranne che su un argomento", titola il Guardian. "Detto con rispetto, nella sala della conferenza stampa all'Eliseo c'era un elefante", ironizza il Daily Telegraph. "Ah, ma allora l'infedeltà coniugale fa male anche alle francesi!", si rallegra il Times.

hollande segolene royal trierweiler julie gayet

Un coro unanime di sarcasmo e sberleffi, illustrato da vignette feroci, come quella in cui un piccolo Hollande strepita "voglio parlare di economia!", stretto fra i prorompenti seni nudi di una enorme Marianne, il simbolo della Francia. Morale (dello scandalo): ancora una volta la Manica divide e contrappone due paesi. Se a Parigi la stampa e (pare) l'opinione pubblica approvano il modo con cui François Hollande ha preferito non rispondere alla domanda su chi sia oggi la première dame francese, a Londra i giornali ridono a crepapelle.

Julie Gayet incontrava il Presidente a casa di una amica

Là dove in Francia alcuni commentatori vedono sussiegosa dignità, in Inghilterra vedono un ridicolo imbarazzo. I media inglesi non rimproverano al capo dell'Eliseo di avere violato leggi o mentito alla nazione: non potrebbero, perché non sembra che di questo sia colpevole.

hollande-gayet-trierweiler

Criticano piuttosto la sua capacità di giudizio, il suo essersi dimostrato un "serial lover", uno che tradisce una donna con un'altra donna e poi anche questa con una terza donna: chiedendosi se sia un atteggiamento ammirevole in generale per un uomo e in particolare per un presidente della repubblica. Insomma non fanno distinzione tra l'uomo di stato e l'uomo privato. Ma sulle ironie della stampa di Londra pesano anche altre motivazioni.

Vecchi rancori, innanzi tutto: qui non si perde mai occasione di farsi beffe del vicino di casa. Non per nulla la stazione d'arrivo londinese dell'Eurostar che attraversa la Manica era fino a non molto tempo fa quella di Waterloo: tanto per ricordare ai francesi che fine ha fatto Napoleone. Bisogna anche ricordare che, se i francesi hanno un complesso di superiorità nei confronti di tutti gli altri, gli inglesi hanno un complesso di inferiorità nei confronti dei francesi.

hollande arriva in cina e lascia indietro valerie trierweiler LETTA SARKOZY HOLLANDE

Privatamente, riconoscono che i "mangiatori di rane", come li chiamano per sbertucciarli, in realtà mangiano, vestono, vivono e anche amano meglio di loro. "Perché le donne francesi non ingrassano" è un manuale di dieta diventato un best-seller da queste parti: dove l'invidia è apparente fin dal titolo. Lo scandalo Hollande è dunque l'occasione di vendicarsi, liberandosi, almeno un po', del complesso di inferiorità. Ah, Valerie è in ospedale? Allora anche le francesi soffrono, se vengono tradite! E magari divorano cioccolatini per consolarsi.

 

 

 

OSCAR-DABAGNO - “LA GRANDE BELLEZZA” SENZA AVVERSARI HA GIA' VINTO

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Marco Giusti per Dagospia


So già tutti incazzati. Robert Redford, Tom Hanks, Oprah Winfrey, Ron Howard.

I produttori di "American Hustle" e di "Gravity", che si dividono ben 10 nominations a testa, no. E neanche i sorrentiniani. Quelli brindano per "La grande bellezza" entrato nella cinquina finale per il miglior film straniero. Probabile che se vinceranno l'Oscar, a Los Angeles e dintorni ci resteranno pure parecchio.

SORRENTINO

Il problema è solo se alla serata finale ci saranno posti per tutti, Carlo Verdone, Sabrinona, Carlo Rossella, Giampaolo Letta, magari anche Piersilvio visto che il film è Medusa, Robertino D'Antonio, lo sceneggiatore Umberto Contarello, Lillo, la vecchia sdentata con la ciabatta sfragnata, i fenicotteri, la zebra e Curzio Maltese.

Tutti a farsi i capelli da Robertino e a prepararsi il guardaroba. Ma sono terribilmente incazzati i francesi. Che, malgrado abbiano un cinema ricco e potente, incassano solo una piccola nomination per il miglior cartone animato con "Ernest e Celestine", inutile perché in quella categoria ha già la statuetta in tasca "Frozen" della Disney. Saranno incazzati i fratelli Coen, perché il loro "Inside Llewyn Davis" è un film bellissimo, anche se, essendo un film su un perdente, è giusto che non venga nominato a quasi nulla.

Neanche alla meravigliosa colonna sonora di T Bone Burnett o al gatto rosso co-protagonista, il vecchio Ulisse. O Ron Howard, perché "Rush" non è candidato proprio a nulla, nemmeno all'incredibile interpretazione di Daniel Bruhl come Niki Lauda. Saranno incazzati il regista e i produttori di "The Butler", il polpettone sul cameriere nero della Casa Bianca. Per non parlare di Tom Hanks che, dopo aver perso brutalmente ai Golden Globe, adesso viene proprio trascurato per la sua strepitosa interpretazione in "Captain Phillips".

SORRENTINO GOLDEN GLOBE

Può consolarsi solo perché hanno nominato tra i migliori attori non protagonista il suo antagonista nel film, lo sconosciuto attore somalo Barkhad Abdi alla sua prima prova. Sarà furiosa Emma Thompson, grande P.L.Travers in "Saving Mr Banks". Gli inglesi, invece, non possono lamentarsi, visto che hanno ben due film in grande spolvero, "Gravity" di Alfonso Cuaron, con 10 nomination, e "Philomena", che ne ha quattro, compresa quella per la migliore sceneggiatura non originale, la migliore musica di Alexander Desplat e per la migliore protagonista femminile Judy Dench.

Foto di scena del film La Grande Bellezza

Difficile però che la Dench, anche se non ha mai vinto l'Oscar come protagonista (ma come non protagonista lo ha vinto nel 1999) riesca a superare le scatenatissime Amy Adams di "American Hustle" e Cate Blanchett di "Blue Jasmine", entrambe vittoriose ai Golden Globe. Non dovrebbero esserci grandi speranze, per l'eterna vincente Meryl Streep in "Osage County" e per Sandra Bullock in "Gravity". Inoltre gli ultimi Golden Globe dimostrano che la generazione dei trenta-quarantenni ha distrutto quella dei cinquantenni. Alfonso Cuaron, il regista di "Gravity" è invece il grande favorito per la miglior regia.

TONI SERVILLO NEL FILM DI SORRENTINO "LA GRANDE BELLEZZA" FOTO GIANNI FIORITO

Potrebbe battere sia il David Russell di "American Hustle", l'Alexander Payne di "Nebraska", lo Steve McQueen di "12 Years a Slave" e pure il Martin Scorsese di "The Wolf of Wall Street", esattamente come è accaduto ai Golden Globe. Difficile dire chi vincerà il premio per il miglior film. Troviamo ben nove film nominati, "Gravity", "Captain Phillips", "American Hustle", "The Wolf of Wall Street", "12 Years a Slave", "Philomena", "Dallas Buyers Club", "Her" e "Nebraska". Troppini. Credo che se la vedranno "12 Years a Slave" e "American Hustle", che potrebbe rivelarsi come il film pigliatutto del 2014.

Come miglior attore protagonista è superfavorito Leonardo Di Caprio per "The Wolf of Wall Street" e dovrebbe farcela sui colleghi Bruce Dern, il babbo rincojonito di "Nebraska", Christian Bale, ingrassato venti chili per "American Hustle", Chiwetel Ejofor per "12 Years a Slave" a meno che Matthew McConaughey non riesca a imporsi per il suo ruolo di malato di aids dimagrito trenta chili in "Dallas Buyers Club".Per vincere l'Oscar ingrassare o dimagrire funziona sempre.

THE BUTLER OPRAH WINFREY E FORREST WHITAKER

Tra gli attori non protagonisti troviamo, oltre a Barkhad Abdi, Bradley Cooper per "American Hustle", il bel Michael Fassbender per "12 Years a Slave", Jonah Hill per "The Wolf of Wall Street" e Jared Leto per "Dallas Buyers Club". Proprio Jared Leto è tra i favoriti.

Tra le attrici non protagoniste, invece, troviamo la grandissima Jennifer Lawrence di "American Hustle", fresca di Golden Globe e di Oscar 2013 come protagonista, Lupita Nyong'o per "12 Years a Slave", la rediviva Julia Roberts per "Osage County", la simpatica Julia Squibb per "Nebraska" e la strepitosa attrice inglese Sally Hawkins, che in "Blue Jasmine" fa la sorella di Cate Blanchett. Tifiamo per lei, ovviamente, anche se pensiamo che sia più favorita Jennifer Lawrence.

In pratica, la guerra è tra tre film, "American Hustle", "Gravity" e "12 Years a Slave", che si divideranno i premi maggiori. "Dallas Buyers Club", "Nebraska", "Her" e "The Wolf of Wall Street" possono essere buoni outsider. Il film di Spike Jonze, "Her", è candidato, oltre che come miglior film, per la sceneggiatura originale, ovviamente di Spike Jonze e per la stupenda musica di William Butler degli Arcade Fire e di Owen Pallet. Harvey Weinstein piazza parecchio bene le attrici di "Osage County" e "Philomena", ma il suo capolavoro sono le due nomination per "The Grandmaster" di Wong Kar Wai, miglior fotografia e miglior costumi. E' la prima volta che un film cinese arriva a tanto a Hollywood.

E "La grande bellezza" è senza avversari. Non credo possono davvero essere competitivi "Broken Circle Breakdown", "Il sospetto" e "Omar". Anche se, come ha appena twittato Paolo Virzì "Il belga orribile, il danese nulla di speciale. Mi mancano cambogiano e palestinese, ma da quel che intravedo #lagrandebellezza ha già vinto".

THE BUTLER OPRAH WINFREY E FORREST WHITAKER

Quindi oggi tutti a festeggiare e a mangiare babà, anche se, malgrado la nomination de "La grande bellezza" e gli incassi incredibilmente maggiorati rispetto allo scorso anno, ma solo grazie al fenomeno Zalone, abbiamo il cinema che abbiamo. Che non ottiene, notizia di oggi, neanche un film in concorso al Festival di Berlino. Figuraccia, eh? Abbiamo la fiction che abbiamo visto tutti in questi giorni.

captain phillips

Abbiamo buoni festival, però, dal momento che se un tempo i film che finivano agli Oscar venivano in gran parte da Cannes, quest'anno se Cannes ne manda solo uno in finale come miglior film, "Nebraska", ma tre tra i migliori film stranieri, sia Venezia, con "Gravity" e "Philomena", che Roma, con "Dallas Buyers Club" e "Her", ne possono vantare ben due a testa.

captain phillips

 

RUSH nebraska nebraska rush

ORGE GAY, COCAINA NEL CULO E PIPPE IN PUBBLICO: MEZZO MONDO DICE NO A “WOLF OF WALL STREET”

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VIDEO - PRIMO TRAILER ITALIANO DI "WOLF OF WALL STREET"

 


VIDEO - SECONDO TRAILER ITALIANO DI "WOLF OF WALL STREET"

 


1. ORGE GAY, COCAINA NEL CULO E PIPPE IN PUBBLICO: MEZZO MONDO DICE NO ALLE SCENE PIÙ HARD DI "WOLF OF WALL STREET"
Dagoreport da "Hollywood Reporter" e "Variety"

wolf of wall street censurato

La censura si è data molto da fare con "The Wolf of Wall Street", tre ore di sesso, droghe e 569 variazioni (contate) della parola "fuck". Persino a casa, negli Stati Uniti, Scorsese ha dovuto tagliare qualche scena per evitare il divieto ai minori di 17 anni e ottenere il rating "R" (i minori di 17 anni possono entrare se accompagnati da un maggiorenne). Tra le parti nascoste agli americani, la scena in cui una dominatrix a pagamento estrae una candela rossa dal sedere di Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio).

wolf of wall street

Negli Emirati Arabi Uniti (Dubai e Abu Dhabi) il film è stato tagliato in maniera soft: 45 minuti finiti sotto la scimmitarra. Un quarto di film affogato nel Golfo. In Malesia e Nepal è stato direttamente vietato. In India la commissione nazionale che si occupa di censura ha rimosso l'orgia gay, la masturbazione pubblica (ma con protesi) del co-protagonista Jonah Hill, e la scena in cui DiCaprio soffia cocaina nel buco del culo di una prostituta con una cannuccia.

A Singapore gli hanno schiaffato un bel divieto ai minori di 21 anni, hanno proibito la distribuzione fuori dal centro della città (è stato permesso solo in 7 cinema) e in più sono state tagliate numerose scene. Nonostante questo, nel primo weekend ha incassato più di 300mila dollari.

In Libano, dove si volevano rimuovere le stesse scene cassate dall'India, alla fine il distributore ha acconsentito a togliere solo l'orgia gay (cocaina e mignotte sì, uomini che si ingroppano no).

wolf of wall street leonardo dicaprio

Per fortuna, gran parte degli europei potrà vedere "The Wolf of Wall Street" così come Scorsese l'aveva immaginato.

"Parte del contenuto del film rende difficile distribuirlo integralmente in alcuni Paesi dove la censura può tagliare o anche vietare un film", dice il produttore Christian Mercuri, presidente della distribuzione internazionale di Red Granite. "Al contrario, se hai un film molto violento, non è un problema negli Stati Uniti, Asia e Medio Oriente, ma può diventarlo in Europa".


2. "IL FILM È NATO SOLO GRAZIE A UNA PRODUZIONE INDIPENDENTE"
Estratti dell'intervista a Leonardo DiCaprio di Armando Gallo per "Oggi"

wolf of wall street leo dicaprio

Come mai avete impiegato sei anni a fare questo film?
"Marty (Scorsese) e io volevamo farlo subito dopo "Shutter Island". Eravamo pronti, ma non riuscimmo a trovare il finanziamento di Hollywood. Perché Jordan Belfort e i suoi amici avevano fatto soldi a palate e ne avevano combinate di tutti i colori, tra prostitute, cocaina, feste esagerate: per gli Studios tutto ciò era compromettente. Così abbiamo fatto altro: Marty ha girato "Hugo Cabret", io "Il Grande Gatsby" e "Django Unchained". Nel frattempo, una casa di produzione indipendente, la Red Granite, ci ha dato carta bianca".

WOLF OF WALL STREET DI CAPRIO SOFFIA COCAINA NEL CULO DELLA PROSTITUTA

Dandovi totale libertà artistica?
"Esatto, una cosa che gli studios non ti permettono più. Eravamo ai Golden Globe e ho detto a Marty: ‘Possiamo fare tutto quello che vogliamo, fare il nostro film. Libero sfogo artistico! Questa è una grande opportunità e non so quando ci capiterà ancora'. Così siamo partiti subito. Nessuno ci ha detto di fare un film di due ore. Abbiamo solo tagliuzzato qualche secondo per la censura, ma c'è tutto il contenuto. Infatti dura quasi tre ore".

(...)

Le scene più pazze da girare?
"Quelle dell'orgia in aereo mentre si va a Las Vegas. Con Marty avevamo parlato di Caligola: la dissolutezza di questi uomini che imbrogliavano e sperperavano milioni senza riguardo per nessuno, nemmeno per se stessi, ci ricordava l'imperatore romano. Ho sempre immaginato Jordan come un Caligola di una generazione moderna".

the wolf of wall street

 

 

 

the wolf of wall street lancio del nano

VELENI A “REPUBBLICA” SUI PREPENSIONAMENTI - AL “CORRIERE” NON VA MEGLIO: CHIUDE “IL MONDO”

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1 - ALTRO CHE GIORNALE DEMOCRATICO A «REPUBBLICA» FAIDE E MINACCE
Andrea Cuomo per "il Giornale"

Ezio Mauro

Patti sconfessati, assemblee roventi, entrate a gamba tesa della direzione, sindacalisti che si dimettono, numeri che cambiano, sfoghi, redazione spaccata e un vero e proprio scontro generazionale. Sono giorni poco democratici nel quotidiano più dem che c'è, vale a dire Repubblica , alle prese con una difficile vertenza interna che si inquadra nello stato di crisi del quotidiano di largo Fochetti, nei conti che non tornano e nella conseguente necessità di sfoltire un corpo redazionale ormai pletorico, che conta quasi 450 unità.

Un esercito diviso in due veri battaglioni l'un contro l'altro armato: quello degli assunti negli ultimi quindici anni, con stipendi lauti e prebende varie; e quello degli «juniores», che magari firmano in prima pagina ma hanno un netto in busta da metalmeccanico o poco più.

L'ultima battaglia di una guerra che va avanti da mesi si è combattuta martedì, secondo giorno di una assemblea iniziata lunedì e talmente incandescente da richiedere i tempi supplementari. Sul tavolo l'intesa sottoscritta a dicembre che prevede il prepensionamento di 58 giornalisti attorno ai sessant'anni e con stipendi pesanti.

Una soluzione scelta con un referendum interno in cui era prevalsa la linea dei giovani rispetto a quella più cara agli anziani, poco propensi a farsi da parte, e soprattutto alla direzione e all'azienda: la cassa integrazione a rotazione di tutta la redazione.

FABIO FAZIO EZIO MAURO

Quest'ultima garantirebbe alla proprietà un maggiore risparmio immediato (laddove i prepensionamenti, conditi da scivoli e buonuscite varie, avrebbero dato i loro frutti sui malmessi conti di Repubblica dopo molto tempo) e avrebbe salvato i big, alcuni dei quali, mormora radiocorridoio, in forza al cerchio magico del direttore Ezio Mauro.

de bortoli

Insomma, l'assemblea si apre con l'obiettivo di ratificare quanto già firmato, ma il clima è cambiato. Tra i giornalisti prima favorevoli ai 58 accantonamenti c'è più d'uno che mormora contro il patto dei prepensionamenti. Vengono presentate due mozioni: una si appiglia ad alcuni cavilli per rimettere in discussione quanto già deciso e invita il Cdr (il Comitato di redazione) a ritornare dall'azienda per ridiscutere tutto. A quel punto è l'inferno: la mozione viene votata per alzata di mano in un clima che i presenti descrivono con parole che vanno da «pressing» a «intimidazione».

A mettere il sale sulla coda di molti giornalisti la presenza- irrituale in questo genere di assemblee - di componenti della direzione (come i vicedirettori Massimo Giannini e Dario Cresto- Dina) e dell'ufficio centrale. Qualcuno racconta addirittura di fotografie scattate a chi vota contro la linea direttoriale.

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In questo clima plumbeo l'assemblea finisce per approvare con 170 voti a favore e 130 contrari la mozione, stravolgendo quanto era stato deciso (con voto segreto) un mese prima. Il Cdr si sente sfiduciato e si dimette. La trattativa piomba nel caos. Lo spettro della cassa integrazione di solidarietà si allunga sui giornalisti.

Il clima è plumbeo, come dimostra anche lo sfogo violento di cui si sarebbe reso protagonista pochi giorni prima lo stesso Mauro durante la riunione di redazione (spente le telecamere che riprendono l'appuntamento in diretta per il sito). Il direttore, sotto tiro perché sospettato di trattare alle spalle della redazione il suo contratto, avrebbe mandato a quel paese i suoi uomini, minacciando di mollare baracca e burattini.

2 - GUAI ANCHE IN CASA «CORRIERE»: CHIUDE «IL MONDO»
GDeF per "il Giornale"

Anche l'altro big dell'editoria,Rcs (che pubblica il Corriere della Sera ), continua a soffrire la crisi. Le perdite generate dalla controllata spagnola Unidad Editorial hanno già costretto nel 2013 la società a un aumento di capitale da 400 milioni, mentre un'altra tranche da 200 milioni è in programma entro il 2015.

SEDE CORRIERE DELLA SERA

I giornalisti, inoltre, sono sul piede di guerra dopo aver dovuto «digerire» la cessione della sede storica di via Solferino al fondo Blackstone. Al Corriere non è stata gradita la decisione dell'azienda di aumentare il prezzo di vendita a 1,40 euro in un momento difficile per la carta stampata. Alla Gazzetta dello Sport c'è un gran fermento: sono in arrivo 19 prepensionamenti e per gli altri a breve partirà la cassa integrazione a rotazione, mentre sarà chiusa la redazione Campania e tagliate le collaborazioni.

ilMondo 9mag07 cover

Al tempo stesso i dipendenti della «rosea» sono contrarissimi alla partenza di un sito di scommesse legato al brand del quotidiano. Oggi, inoltre, è in programma un incontro tra l'azienda e i giornalisti dei periodici. Lo stato di crisi con cassa integrazione sta per chiudersi: alcune testate sono state chiuse o dismesse, altre potrebbero esserlo. Per il settimanale Il Mondo (10 redattori) è probabile un accorpamento con il Corriere Economia . Nei primi nove mesi del 2013 Rcs ha perso 175 milioni di euro.

Corriere e Gazzetta , restano in sostanziale equilibrio economico, ma tutto il resto continua a dare problemi. Per l'ad Jovane le alternative non sono molte:o convince gli azionisti a mettere mano al portafogli (Fiat è salita al 20%, tra gli altri ci sono Mediobanca, Diego Della Valle e Intesa) oppure apre un tavolo di discussione con i soci «dissenzienti ». A ogni uscita pubblica Mister Tod's, infatti, critica la gestione all'insegna del duo Elkann-Bazoli.

"SIAMO TUTTI POLIGRAFICI" PROTESTA DAVANTI ALLA SEDE ROMANA DI "REPUBBLICA"

 

Vianello Mucchetti DeBortoli DeBenedetti Bazoli Geronzi CARLO DE BENEDETTI E CORRADO PASSERA

PASSIONE TRA UN NOTO CONDUTTORE, SPOSATO DA ANNI E UNA GIOVANE GIORNALISTA

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1. Attovagliati da "Il palato di Alfredo" dell'ex cuoco di Silvio, locato dietro il Senato, ieri facevano la loro bella presenza Aldo Livolsi e Fedele Confalonieri.

Fedele Confalonieri

2. L'appuntamento di Berlusconi con Renzi è previsto nel pomeriggio.

3. Avvisate Piersilvio che circola la voce che anche "Italia Got Talent" della De Filippi, prima o poi finirà tra i programmi di Sky...

4. Vanity Fair: "Dicono che una showgirl senza vergogna abbia commesso il solito peccato di vanità. Dicono che, indecisa su come battezzare il figlio, faccia il totonome dal parrucchiere. Dicono".

5. Indovinelli di Alberto Dandolo per ‘Vero':

1) Lui è un noto conduttore, sposato da anni. Lei una giovane giornalista di un tg. Tra i due è scoppiata una rovente passione. Chi sono?

2) E' un politico molto amato da Alfano. In pubblico si proclama contro le unioni 
gay ma in privato bazzica con un aitante giovanotto milanese. Chi è?

3) Chi è quella nota attrice che vive a Roma e che si è invaghita della famosa
cantante che ama Sanremo?

Fedele Confalonieri e Anna Finocchiaro

6. Dopo aver visto le foto su "Chi" di Raul Bova con la sua bella Rocio, l'ex moglie Chiara Giordano ha sparato su Facebook: "Oggi sono veramente e nel profondo sCHIfata"....

7. Sara Tommasi e Alfonso Luigi Marra di nuovo insieme (ahi noi!) ... quantomeno contro i "poteri marci". Ieri, in gran segreto, la showgirl ha girato il nuovo video del mitologico giurista. Chi era presente ha raccontato di una Sara bellissima e molto vivace, tornata a pieno titolo al suo ruolo di "guerriera" questa volta, più che contro le banche, contro la magistratura, ‘rea' di aver lasciato sola la società di fronte a chi la sfrutta. Ma la vera notizia è che il video l'ha girato vestita!

Matteo Renzi da Maria De Filippi ad Amici

8. Prosegue l'appello "trovate un ufficio a Marco Rizzo", che ormai da anni, essendo politicamente a spasso, passa le sue giornate utilizzando telefoni e servizi della Camera e girovagando per il Transatlantico...
9. Nell'imminente rimpasto, mentre si parla tanto di ridimensionare la squadra dei ministri alfaniani, nessuno si ricorda che sono molto in soprannumero proprio i sottosegretari che fanno capo ad Angelino Jolie. Una decina tra sottosegretari e viceministri in posizioni chiave dei quali almeno un buon 50 per cento (anche di più, secondo i renziani) sarà costretto a lasciare poltrona e auto blu, dai rapporti con il Parlamento all'economia, dalla difesa allo sviluppo economico, dalle politiche agricole all'istruzione. Per non parlare dei tre pesci in barile forzisti Cosimo Ferri, Marco Flavio Cirillo e Rocco Girlanda che pensano di scamparla sostenendo con sprezzo del ridicolo di essere dei tecnici...
10. Alberto Dandolo per Dagospia - Che ci faceva ieri Lele Mora in quel di Cologno Monzese accompagnato dal figlio Mirko negli uffici del dirigente Mediaset Fabio Del Corno? Ah saperlo...!!!

Raul Bova Sindrome Moccia

 

 

RAUL BOVA E MOGLIE CHIARA GIORDANO Sara Tommasi Sara Tommasi e Alfonso Luigi Marra marco rizzo x

DA JACKIE A MICHELLE: IL RUOLO DELLA FIRST LADY RICHIEDE UNA DISUMANA CAPACITÀ DI SOPPORTAZIONE

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Vittorio Zucconi per "la Repubblica"

Da quando Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti e "Padre della Patria", prese gusto alla paternità e decise di avere una figlia anche da una schiava, la corona immaginaria deposta sul capo delle First Lady americane è tempestata di acutissime spine umane.

jackie kennedy in chanel

Nell'organigramma del potere nazionale, minuziosamente fissato da una Costituzione che designa ben 17 successori al Presidente, la "Prima Signora" non ha alcun ruolo altro che il "potere del cuscino". «Sono andata a letto per otto anni con il Presidente degli Stati Uniti», scherzava Nancy Reagan, «quale altra donna può dire altrettanto?». Per otto anni, nessuna. Per periodi più brevi, molte.

jfk e jackie arrivano a Dallas

Ormai trasformato in un incarico non retribuito ma completo di ufficio e staff, il ruolo di First Lady impone alle signore che lo ricoprono una disumana capacità di sopportazione. Dagli orticelli di Michelle Obama, avvocatessa harvardiana passata dalla giurisprudenza
alla coltivazione dei rapanelli, alle bottiglie di whisky che Betty Ford consumava appassionatamente nella Casa Bianca che detestava, la transizione da donna a icona è raramente felice. Non è un segreto, nei salotti di Washington, che Michelle sperasse in privato che il marito non fosse rieletto.

«Il giorno in cui entrai in quella Casa - disse sempre Nancy Reagan - capii che la mia vita privata era finita». A Nancy furono almeno risparmiate, per la natura e l'età del suo settantenne Ronnie, le umiliazioni riservate a tante che l'avevano preceduta, ma la storia e la cronaca non sono state tenere con queste donne. Da brava moglie di un proprietario di piantagioni e di schiavi, Martha Jefferson poteva permettersi di ignorare la concorrenza delle schiave. Ma basta che a un funerale di Stato Barack Obama civetti con la bionda, e bianchissima, Prima Ministra Danese perché il mondo intero compatisca la First Lady. Ecco, ci risiamo.

Trovarsi un compito, un'immagine che non sia quella di «servire tè e pasticcini agli ospiti» come disse un'irritata Hillary Rodham Clinton, o di indossare abiti di "haute couture" come Jacqueline Kennedy fingendosi radiosa, è un esercizio di equilibrismo quotidiano sul filo dell'ideologia dominante del proprio tempo, tra femminismo e femminilità, tra devozione e indipendenza.

Mostra su Jackie Kennedy allo Splendor Parthenopes

Il calvario di Mary Lincoln, la moglie del presidente che fu ucciso accanto a lei nel palco del teatro Ford nel 1865, è tanto documentato come toccante. Si disse che soffrisse di "sindrome bipolare" e di continue emicranie, aggravate dallo sfilata di feriti che transitavano dalla Casa Bianca, trasformata in ospedale di fortuna. E soltanto anni di lobby da parte di amici convinsero il Parlamento a concederle una pensione di guerra equivalente a 50 mila dollari annui di oggi.

Fu soltanto nel 1860 che l'appellativo di "First Lady" apparve, in un mensile illustrato, curiosamente non per la moglie del presidente in carica, James Buchanan, scapolo, ma per la nipote, che lo affiancava nelle funzioni ufficiali. Da allora, non avrebbe più abbandonato la donna chiamata a risiedere nella Casa Bianca. "First Lady" sarebbe stata anche la più insofferente dei formalismi puritani e di quel soprannome, Eleanor Roosevelt, protofemminista, segretamente bisessuale, e motivata dalla scoperta che il marito, FDR, si era preso come amante la segretaria.

jacqueline kennedy john kennedy abito rosa

Eleanor, negli anni '30, fu il prototipo di quelle First Lady che avremmo visto sbocciare molti più tardi, donne con un proprio "punto di vista", espresso con quel minimo di cautela necessaria per non demolire il coniuge. Nancy Reagan era esplicitamente a favore della ricerca sulla staminali, anatema per elettori della destra cristiana, come Hillary era a favore dell'aborto volontario, per lo sdegno dell'elettorato sudista.

Altre si sono nascoste dietro la figura del Presidente, come Rosalynn Carter, parrucchiera di un paesino della Georgia sempre un po' intimorita o Pat Nixon, che coraggiosamente annegò nell'alcol gli anni dementi del Watergate, chiusa nel fortino assediato dalla paranoia e dallo scandalo.

Obama e thorning schmidt scherzano durante la funzione e michelle non gradisce

Oggi si rimprovera ai media, maschili e maschilisti, il silenzio e la complicità sui naufragi sentimentali delle "First Couple", della prima coppia. Molti sapevano dell'amante del generale presidente, Eisenhower, dell'insaziabile libido di JFK, e mormoravano di una possibile amichetta anche di George Bush il Vecchio, non del figlio "Dubya" che aveva tempestivamente sfogato la passione per la ragazze e per la bottiglia prima di accedere al soglio presidenziale, ma nessuno ne parlava. Quella discrezione ipocrita che proibiva ai giornali il ricorso al gossip era tuttavia una protezione anche per le First Lady, alle quali si risparmiava l'umiliazione bruciante delle pubbliche corna inflitta a Hillary.

ROBERT GATES E HILLARY CLINTON VLADIMIR PUTIN E LYUDMILA CON GEORGE BUSH E SUA MOGLIE LAURA

Se fra tre anni, nel gennaio del 2017, toccasse finalmente a una donna confinare il marito al ruolo di "First Gentleman" sarà interessante vedere come un marito potrà ritagliarsi un ruolo inedito di comprimario. Una previsione si può fare: non vedremo comunque Bill Clinton curvo a coltivare carote e patate novelle nell'orto della Casa Bianca.

 

 

 

CON SALVINI LA LEGA SI RIUNISCE CON LE FORMAZIONE PIÙ XENOFOBE DI TUTTA EUROPA

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Paolo Berizzi per "la Repubblica"

SALVINI E MARONI

Dalla corsa alle auto blu al pedinamento del ministro «orango» (copyright Calderoli). Dai vecchi fucili spuntati di Bossi - agitati per mungere poltrone e privilegi statali - al nuovo asse con gli ultranazionalisti europei che marciano in camicia bruna e vomitano odio contro immigrati, islamici, «invasori»: i diversamente etnici. Quelli da ricacciare nelle «riserve indiane» o da «impallinare » mentre attraversano il Mediterraneo sui barconi. Quelli come Kyenge: e i leghisti 3.0 gliel'avevano giurata dall'inizio. In mezzo, la battaglia un po' pretestuosa contro l'euro e l'Europa «nemica dei popoli».

Che cosa si nasconde dietro la svolta "oltranzista" impressa alla Lega dal neosegretario Salvini? Qual è la nuova faccia del movimento che, in crisi di voti e di identità, torna a gridare, a insultare e a minacciare («chi ci tocca inizi ad avere paura», segretario federale dixit) e salda il Sole delle Alpi coi simboli delle formazioni più xenofobe in circolazione in Europa?

Il Partito nazionale slovacco, i Democratici svedesi, i bulgari di Ataka e i belgi fiamminghi del Vlamms Belang, l'Udc svizzero che vuole cacciare i lavoratori italiani e i liberal nazionalisti austriaci del Fpo, per finire o iniziare con il Front dei Le Pen, sodalizio confermato anche ieri. Per capirlo si può partire da un convegno.

MATTEO SALVINI COME RENATO POZZETTO

Un convegno saltato all'ultimo per «problemi tecnici», secondo la versione ufficiale. Venerdì 17 gennaio in un'aula dell'Universita Statale di Milano, Mario Borghezio, europarlamentare ex leghista, espulso obtorto collo dai vertici del partito (ma mai rinnegato) e confluito nel Gruppo misto, ex Ordine Nuovo e sedicente secessionista, avrebbe dovuto essere la guest star di un incontro dal titolo «Il Mondo verso un futuro multipolare».

Il seminario, temuto dalla Digos per le proteste dei collettivi studenteschi, era organizzato dal Gruppo Alpha, una formazione vicina a Lealtà e Azione che a Milano vuole dire Hammerskin, la falange nata da una costola del Ku Klux Klan, presente in tutto il mondo e famosa per pestaggi contro immigrati e inni alla superiorità della razza bianca.

Assieme al prodigo zio Borghezio - rientrato nella casa e entusiasta per il nuovo corso della Lega salviniana alleata con l'estrema destra europea - a Milano avrebbe dato il suo contributo anche un ospite russo: Andrew Kovalenko, assistente deputato di Yevgeny Fyodorov (scienziato politico) presso la Duma di Stato della Federazione Russa, e rappresentante del Movimento Eurasiatista Russo.

FLAVIO TOSI MATTEO SALVINI ROBERTO MARONI

Chi sono gli amici postsovietici degli Hammerskin e di Borghezio? Due parole: «Marcia Russa». Quattro novembre 2013, 30mila persone, 100 città coinvolte. Sono i numeri della più importante manifestazione dei movimenti di estrema destra nello Stato governato da Putin. La giornata dell'unità nazionale celebra l'espulsione degli invasori stranieri da Mosca nell'autunno del 1612.

Passo indietro: congresso della Lega al Lingotto di Torino, quello che acclama Salvini segretario. Assieme al gotha leghista ci sono i nuovi «amici» del Carroccio. Ospiti internazionali. Rappresentanti di partiti xenofobi, anti europeisti e a forte trazione nazionalista. I russi, certo. «Noi e i leghisti abbiamo importanti valori in comune» chiosa il parlamentare Viktor Zubarev di Russia Unita, il partito di Putin.

borghezio x

Erano giorni in cui la crociata contro il ministro Kyenge sembrava essersi un po' attenuata. Solo una falsa tregua. Mentre le menti della propaganda leghista pensavano alle prossime iniziative contro il ministro, «che deve tornare in mezzo agli africani», gli ambasciatori di Salvini rinforzavano i rapporti coi nuovi compagni di viaggio oltre i confini padani. I liberal nazionalisti austriaci del Fpo fino alla scissione del 23 aprile 2005 erano guidati da Jorg Haider.

BOSSI BORGHEZIO

La figura di spicco oggi è Heinz Christian Strache, nipote di un soldato delle SS, ex odontotecnico. I punti fermi degli austriaci? Lotta contro turchi e africani, omosessuali, badanti straniere, islamici, stato sociale solo per gli autoctoni. Al grido di «Vienna non deve diventare Istanbul», alimentano l'incubo dell'islamizzazione.

Tutta roba già vista tra Lombardia Piemonte e Veneto. Gli stessi programmi dei Democratici svedesi, 5,7% alle ultime elezioni e una lotta aperta contro gli stranieri, che in Svezia hanno una percentuale record (14%). O del Partito nazionale slovacco che - ricordano Saverio Ferrari e Gennaro Gatto, Osservatorio democratico sulle nuove destre - per combattere i Rom li ha sbattuti sui cartelloni seminudi al grido di «non diamo da mangiare a chi non vuole lavorare».

marine le pen

Camicie verdi e camicie brune. Qualche anno fa l'Fpo austriaco, neo alleato della Lega, ha organizzato a Vienna una conferenza tra i partiti di destra europei che si è conclusa con la «Dichiarazione di Vienna". Si chiedeva l'abbandono della politica dell'immigrazione in Ue e tante altre cose che la Lega in questi anni ha propinato al suo elettorato. Hanno firmato la dichiarazione, tra gli altri, il Front national di Le Pen, Alessandra Mussolini per Azione Sociale, Alternativa Espanola, Grande Roumanie, Ataka, il Vlamms Belang belga. La Lega non ha partecipato - altri tempi - ma ha aderito all'iniziativa. Poi l'euromatrimonio si è compiuto.

david duke ku klux klan

 

KYENGE MARINO FUNERALI DELLA TRANS ANDREA QUINTERO FOTO LAPRESSE

NELLA SUA BIOGRAFIA MIKE TYSON DEDICA ALCUNE PAGINE ALLA SCOPATA CON JANUARIA PIROMALLO

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Claudio Piazzotta per "Italia Oggi"

MIKE TYSON E GWENDOLINE CHRISTIE

Nella biografia di Mike Tyson, "True", appena pubblicata da Piemme, non si parla molto dell'Italia. Giusto due righe a pagina 219, dedicate, però, a un gustoso esempio del tipico giornalismo d'assalto tricolore. È il 1988, il campione di pugilato ama gli oggetti firmati Versace, e ne spiega il motivo: «Conobbi quello stilista grazie a una giornalista italiana che venne a intervistarmi.

Era una donna bellissima, più vecchia di me di qualche anno; la portai al piano superiore, facemmo sesso e notai che indossava biancheria intima di Versace».

Ecco, una frase buttata lì, ma che, anche all'inizio del 2014, stuzzica la fantasia di molti: chi sarà stata mai questa inviata così disponibile all'approfondimento? Capace di entrare in un contatto così stretto con le sue fonti?

tyson

In realtà è lei stessa a raccontarlo. Sia in una intervista rilasciata quasi subito, nel maggio del 1988, al mensile King. Sia in un post del suo blog sul Fatto Quotidiano. Il nome è piuttosto impegnativo: donna marchesa Januaria Piromallo Capece Piscicelli di Montebello dei Duchi di Capracotta. Una socialite ante litteram, alla Sex and the city ma 20 anni prima, che nel 1988 razzolava a New York come stagista del Corriere della Sera.

Piromallo, che da quell'incontro con Tyson ha più che altro tratto materiale per poi rilasciare lei delle interviste, ha successivamente collaborato con Panorama, Sette, Oggi, Capital, Dagospia, L'Espresso, Vogue.it, pubblicando anche il libro Bella e d'Annata per Cairo. I suoi maestri di penna, confessa, sono stati Massimo Fini e Maria Luisa Agnese.

uomini pavoni con januaria piromallo e federica de gregorio cattaneo jpeg

Ma, prima di incontrarli, ecco l'entusiasmo della giovane giornalista che deve fare pratica: «Sono a New York per uno stage al Corriere della Sera. E voglio intervistare Tyson, già icona planetaria. Sono nella sua casa in Connecticut e lo bombardo di domande. Mi presenta la madre adottiva, Camille. Cucino per entrambi un piatto di spaghetti. Si è fatto tardi e non ci sono più treni per New York. «Puoi dormire da me, se vuoi», mi dice. Non ho scelta e, non avendo portato nulla, mi dà un suo kimono».

Piromallo si immola alla causa della professione, ma il suo resoconto è un po' più pudico di quello di Tyson (che invece, tipicamente sbrigativo come tutti i maschi, va subito al sodo e scrive «facemmo sesso»). Anche nella intervista della Piromallo pubblicata sul mensile King del maggio 1988, la marchesa dice e non dice: «Mike mi chiede di poter dormire con me. Ma io gli rispondo che sono fidanzata e non posso».

januaria piromallo con stefano pierini e dejan

Comunque, alla fine, Tyson, in slip e con tutti i suoi 110 chili di muscoli e 63 centimetri di circonferenza del collo, si infila sotto le coperte con lei e che succede? «Lui dorme come un bambino, l'ho vegliato fino all'alba. Poi, però, ci siamo rivisti, siamo diventati amici. Una volta mi ha portato in limousine, e anche lì ci ha tentato. In effetti a lui delle mie interviste non gliene importava proprio». Eh, sì, in effetti_

JANUARIA PIROMALLO E FIORUCCI jpeg

 

I FERROVIERI DI NTV NEL MIRINO DI STRISCIA LA NOTIZIA PER AVER BEFFATO ALCUNI GIOVANI

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Comunicato stampa "Striscia la Notizia"

Stasera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.40) l'imprenditore Diego Della Valle, che si è sempre dichiarato attento al problema della disoccupazione giovanile, riceverà il suo secondo Tapiro d'oro. La ragione: NTV (la società dei treni ad alta velocità Italo) di cui Della Valle è azionista, aveva promesso di assumere i giovani che hanno partecipato a un corso formativo della durata di cinque mesi, liquidati invece con una telefonata.

Montezemolo e Della Valle all evento CAssina per il Salone del Mobile foto Corriere ALCUNI DEI SOCI DEL GRUPPO NTV - TRA I QUALI DELLA VALLE, PASSERA, MONTEZEMOLO

L'attapirato Della Valle ha usato le telecamere di Striscia per rivolgersi a quei ventenni, dicendo: «Io sono solo un azionista della società e non sono operativo, ma domani me ne occuperò». Ha poi aggiunto: «Oggi ai giovani noi dobbiamo dare i sogni e le concretezze, non le chiacchiere».

DELLA VALLE LETTA SCIARRONE MONTEZEMOLO BOMBASSEI TAGLIANO IL NASTRO DI ITALO

 

 

tapiro_della_valle

EMILIO FEDE SCRIVE UNA LETTERA A BERLUSCONI CON CUI DÀ UN CALCETTO A TOTI E A BARBARELLA

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Alberto Dandolo per Dagospia

"Caro Silvio ti scrivo..."
Emilio Fede è galvanizzato. Dopo la cena di Capodanno con il Banana e l'amicizia ritrovata ecco che gli scrive. Complice l'affinità e la sintonia con Dudù e con Francesca "Calippo" Pascale ecco che l'ex Direttore Mediaset dà consigli al suo Pompetta sulle strategie politiche da perseguire, in virtù dell'incontro prossimo venturo con Matteuccio Renzi. ecco il testo della missiva che ha inviato a Berlusconi:

SILVIO BERLUSCONI ED EMILIO FEDE EMILIO FEDE SFONDO BERLUSCONI

"Caro Presidente, il
consiglio che io, amico sincero da 27 anni, vorrei darti è: il
rinnovamento sei sempre e soltanto tu. Accanto a te quelli che non
potranno mai essere rottamati. Quelli che hanno contribuito, con amore
e sacrifici al successo di Forza Italia. Ben vengano i giovani, i
volti nuovi. Ma dovranno sempre essere condotti per mano da chi ne sa
più di loro. Può essere banale ricordare che il successore di Silvio
Berlusconi è soltanto Silvio Berlusconi. Ciò non toglie che saprà
scegliere quello - quelli - che potranno diffondere il tuo "credo" che
è umano e politico.

I "bravi figlioli" non devono scalpitare. Io ho
imparato a campare aiutando i miei genitori quando avevo 14 anni:
vendevo il pane e lavoravo negli orti della mia Sicilia per guadagnare
qualcosa. Che palle sentire e leggere i manifesti di chi ora vuole
insegnarci a vivere. Ti saluto cordialmente".

P.S. Leggo che sarebbero scesi "da cavallo" personaggi come Paolo
Bonaiuti. Non ci credo. Non sarebbe da te. Ha percorso con te migliaia
e migliaia di chilometri con umiltà. Bonaiuti è nella storia, come
Sandro Bondi, come Verdini, come Marcello Dell'Utri, come Fedele
Confalonieri. Chi pensa di cancellarli compie un atto di arroganza.
Anche io non ho il cavallo, ma conosco la fatica di spingere il mulo"
Per sempre tuo Emilio

Giovanni Toti

 

l architetto fabio novembre si fa un selfie con barbara berlusconi rossa e adriano galliani Galliani e Barbara Berlusconi allo stadio durante Barcellona Milan

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DOPO UNA PROLUNGATA FELLATIO DELL’AMANTE FAURE MORÌ TRA LE BRACCIA DELLA MOGLIE

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Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera"

Il 13 gennaio 1898, Émile Zola pubblica sull'Aurore il suo «J'accuse...! », con il sottotitolo ben visibile «Lettera al presidente della Repubblica», ma il presidente Félix Faure non risponde. Mesi dopo la Francia si trova confrontata all'Inghilterra a Fascioda, in un incrocio epocale tra le due potenze coloniali impegnate nell'espansione una verso l'Est l'altra verso il Sud dell'Africa ma Faure ordina il ritiro, piegandosi alla determinazione britannica.

FAURE

Due grandi occasioni mancate, per l'ex commerciante di pellami diventato presidente della Terza Repubblica, che riuscirà a passare alla storia comunque: se non per le imprese in vita, grazie all'agonia di morte cominciata tra le braccia dell'amante Marguerite Steinheil, il 16 febbraio 1899, all'Eliseo.

Félix Faure è, tra i molti capi di Stato erotomani francesi, quello che ha pagato alla passione il prezzo più alto. Al perfido Georges Clemenceau sono attribuite due battute che spiegano molto del protagonista in extremis Faure e delle circostanze della sua fine: «Félix Faure è tornato al nulla, si sentirà a casa sua», e soprattutto «Voleva essere Cesare, non fu che Pompeo», perché il capo di Stato amava notoriamente il lusso e i fasti presidenziali, ma morì per una prolungata fellatio.

Quel giorno Félix Faure aveva convocato Marguerite per le 17, dopo il Consiglio dei ministri, ma gli impegni di lavoro si prolungarono oltre il previsto e a quell'ora il presidente stava ancora discutendo con l'arcivescovo di Parigi e Alberto I di Monaco venuti a perorare la causa del capitano Dreyfus. Sembra che il 58enne Faure abbia preso una dose eccessiva di cantaride, il Viagra dell'epoca, prima di dedicarsi finalmente alla 29enne Marguerite.

FAURE

Dal salone blu dell'Eliseo a un certo punto arrivarono le grida della donna, e il capo di gabinetto Le Gall entrò di corsa nella stanza. Vide Faure agonizzante, senza respiro, le mani che stringevano in uno spasmo i capelli di Marguerite urlante. La donna seminuda venne aiutata a divincolarsi e scappò via, dimenticando all'Eliseo il corsetto. Mentre il medico cercava invano di salvare il presidente dall'emorragia cerebrale, venne chiamato il prete per l'estrema unzione. Leggenda vuole che al suo arrivo il sacerdote chiese a una guardia «Il presidente mantiene ancora i sensi, la conoscenza?», per sentirsi rispondere «No, è appena scappata dalla scala di servizio».

La première dame Marie-Mathilde Berthe Belluot venne avvisata solo due ore dopo il malore, e l'agonia ne durò altre due: Faure esalò l'ultimo respiro tra le braccia della moglie mille volte tradita ma che provava per lui una ingiustificata ma vera devozione. Sapeva delle sue relazioni ma non gliene chiese mai conto, e quando il presidente le chiese di stare non accanto a lui ma un passo indietro, durante i ricevimenti all'Eliseo, lei acconsentì volentieri. «Era un così bravo marito», ripetè la première dame durante i funerali, al Père-Lachaise.

Marie-Mathilde visse altri vent'anni dopo la morte di Faure, senza avvenimenti di rilievo, e non riuscì neppure a far sposare la figlia Antoinette a Marcel Proust, come le sarebbe tanto piaciuto. La maîtresse Marguerite Steinheil confermò invece di essere donna di carattere, sfruttando la dubbia e attraente fama ottenuta con la morte di Faure per intrecciare altre relazioni altolocate, per esempio con il ministro Aristide Briand e il re Sisowath della Cambogia. Di Faure resta solo quel pomeriggio di amore e morte, e la fermata della linea 8 nel metro di Parigi.

 

IL LIBRO DELLA GAMBERALE ODE A MONTI, QUARTIERE ROMANO DELLA SINISTRA RADICAL-SNOB

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Elisabetta Ambrosi per ‘Il Fatto Quotidiano'

A volte, sapete, anche una psicoanalista non sa più che pesci pigliare. Allora, durante una seduta con la mia paziente Chiara Gamberale, a un certo punto ho pensato di proporle un surreale giochino: fare ogni giorno, per dieci minuti, una cosa diversa. Un modo per dirle, insomma, cambia aria, dai un'occhiata intorno a te, caso mai che scopri il mondo.

Chiara Gamberale

Perché, giuro, non ce la facevo più a sentirmi raccontare il trauma dell'abbandono, a trentacinque anni suonati, del natìo borgo selvaggio Vicarello - dove mamma la sera attraversava la strada per portarle le polpette e si stava tutti insieme al calduccio - con relativa emigrazione forzata nel quartiere di Monti (sotto al Colosseo).

Chiara Gamberale

E lei che ti fa? Prende il gioco alla lettera, anzi, ci scrive un libro (Per Dieci Minuti, Feltrinelli, dove tra l'altro racconta che sta scrivendo il romanzo della sua vita, però quell'altro, per Mondadori). Comunque da questo punto di vista, per carità, tanto di cappello.

Solo che poi il diverso, a parte una trasgressiva fuga da Ikea, si riduce a questo: lo smalto fucsia dall'estetista del quartiere Monti, il tapis roulant nella palestra del quartiere Monti, i pancake alla Nutella nella cucina del quartiere Monti, ballare l'hip hop nel salotto del quartiere Monti, camminare all'indietro a Piazza Navona (sotto il quartiere Monti), visitare il museo del quartiere Monti, piantare semi sul terrazzo di Monti, andare al mercatino dell'usato di Monti.

Chiara Gamberale Eliana Miglio - Copyright Pizzi

Va detto: in mezzo c'è Ato, ragazzo eritreo di cui Chiara si prende cura. Anche lui, alla fine, finisce per vivere a Monti, ma senza un lamento. E il Marito fuggito a Dublino? C'è da capirlo. Lui ha cercato di cambiare aria. Diventare grandi è dura ma, credetemi, mica è facile fare la psicoanalista di una che il 24 dicembre va in giro a Roma, ops a Monti, travestita da Babbo Natale. E ci mette pure la foto nel libro.

 

ANVEDI COME BALLA SACCOMANNI! SUL MAXI-REGALO DELLA DELLE QUOTE BANKITALIA, IL GELATINA CAMBIA IDEA

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DAGO-MEMENTO

SACCOMANNI E DRAGHI

IL MINISTRO SACCOMANNI OGGI A MONTECITORIO: "La rivalutazione non pregiudica l'indipendenza della Banca d'Italia e non da luogo ad alcun conflitto di interessi. Inoltre non avrà effetti sul patrimonio di vigilanza delle banche partecipanti ai fini dell'esercizio di Asset Quality Review che la Banca centrale europea concluderà nell'anno in corso".

IL MINISTRO SACCOMANNI IL 13 DICEMBRE A PALAZZO MADAMA: "Non ci saranno effetti sugli stress test in corso adesso, ma l'impatto positivo patrimoniale si avrá a fine 2014. Ci sarà, e non nego che questo era uno degli obiettivi di questa operazione".

 

bankitalia big

“SALON” ABBATTE “LONE SURVIVOR”, IL FILM CHE È ARRIVATO PRIMO AL BOTTEGHINO USA

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da www.salon.com

"Lone Survivor," il film d'azione con Mark Wahlberg basato sulla storia vera della missione Navy SEAL in Afghanistan del 2005, è uscito in alcuni cinema delle grandi città a fine dicembre e quasi nessuno se ne è accorto. Adesso sta sbancando nei botteghini americani: è il primo successo del 2014 e il primo film sulla guerra del terrore che conquista il grande pubblico.

Lone Survivor

Il regista Peter Berg non ha inserito nel film specifici messaggi ideologici sull'era Bush perché già di per sé ha suscitato scetticismo e dichiara: « Questa storia offre al pubblico la possibilità di esprimere il proprio patriottismo, senza fare politica».

Ovviamente fingere che un film non sia politico è una posizione ideologica, ancor di più in quest'opera sciovinista e pornografica di propaganda della guerra.

Lone Survivor

"Lone Survivor" non contiene politica nel senso che non offre allo spettatore il contesto né i motivi per cui i soldati vanno ad uccidere in un luogo che la maggior parte degli americani non saprebbe nemmeno trovare sulla cartina. Si sa che vanno a caccia di un capo talebano, un terribile uomo che decapita chi è sospettato di collaborare con gli americani. Non spiega mai i contrattempi e i problemi che portano l'unità Luttrell a rimanere intrappolata in un territorio ostile circondato di talebani. Il film fa sembrare i talebani più numerosi degli americani, e questo può non essere corretto.

Lone Survivor

Il film non è politico nel senso che presenta Luttrell e i suoi compagni che lottano e sfidano ogni avversità, e racconta la verità, cioè che molti di loro non ce l'hanno fatta. Ma il simbolismo visivo e l'iconografia del film non sono nè apolitici nè ideologicamente neutrali.

Berg è un regista competente che gira scene di guerra eccitanti e tese, che poche volte scadono nell'incoerenza. Ma qui vediamo ripetutamente gli afghani buttati giù al primo colpo. Boom e sono morti. Agli americani invece si spara dieci volte e non muoiono mai.

Lone Survivor

Alla fine, quando muoiono, la scena è lirica, come l'agonia di Gesù Cristo, con dettagli di sangue, ossa, cartilagine, flashback in stile pubblicità della Chevrolet dove si vede la vita che li aspettava a casa. Drammaticamente efficace. Però dà anche l'impressione che la sofferenza degli americani sia diversa, più profonda, di quella degli afghani, dei quali infatti non sappiamo nulla. Per loro non ci sono mogli disperate e bimbi che non rivedranno padri. Si limitano a farsi avanti come formiche al picnic del Quattro Luglio e vengono abbattuti altrettanto facilmente.

LONE SURVIVOR

Ora, i film di guerra questo lo hanno sempre fatto. O perlomeno, i brutti film di guerra hanno sempre demonizzato il nemico. Non tutti. Non "All'Ovest niente di nuovo", "Orizzonti di gloria", o "Full Metal Jacket."

"Lone Survivor" sta facendo diventare il conflitto Iraq-Afghanistan una zona per le fantasie tragiche da macho, per il sogno di grandezza americano. Ci dice che qualsiasi cosa pensiamo dell'operato del nostro paese negli ultimi dodici anni, morire per l'America è un'impresa da santificare.

lone survivor

Il fatto che la gente voglia vedere un film d'azione di qualità nel bel mezzo dell'inverno non è poi così deprimente. Lo è il fatto che deglutisca questo suo disgustoso simbolismo.

 

BRUSH HOUR - RENZIE DEVE PORTARE A CASA L’ACCORDO CON B. SULLA LEGGE ELETTORALE

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Francesco Bonazzi per Dagospia

YALTA CON BERLUSCONI RENZI GRILLO

"E adesso anche Matteo, fin qui bravissimo a parole, dovra' tirare fuori il quid". La battutaccia del dalemiano (non troppo) pentito si riferisce al pomeriggio di fuoco che aspetta Renzie. Sabato, intorno alle cinque, il segretario del Pd incontrera' finalmente Silvio Berlusconi per discutere della legge elettorale. E oltre a non farsi fregare dal Cav, com'e' invece avvenuto puntualmente ai suoi predecessori, dovra' portare a casa un risultato.

Quale? La risposta e' contenuta in uno degli annunci meno roboanti che il Rottam'attore ha fatto alla direzione del partito: un sistema elettorale che abbia una chiara ed efficace clausola maggioritaria. Come si vede e' un obiettivo minimo e che gli lascia buoni margini di trattativa con il capo di Farsa Italia. Tuttavia, sabato sera le chiacchiere staranno a zero, come si dice a Roma: nessuna acrobazia di marketing o linguistica salvera' il sindachino da un eventuale sconfitta al tavolo da gioco con Papi Silvio.

RENZI E BERLUSCONI

L'agenda di Renzie e' comunque incalzante: sabato il Banana in un incontro stra-pubblico sul quale ha fatto bene a tener duro; domenica nessun meeting perche' Grillomao e Sega Nord hanno rifiutato il confronto; lunedì' ancora direzione del Pd con voto. A quel punto giro finale con Mister 5% Alfano (cosi' dicono i sondaggi) e poi si comincia alla Camera.

Rischio di proporzionalisti piddini che colpiscano con l'arma del voto segreto? Renzi e' convinto che non succedera', ma se accadesse e' pronto a cavalcare lo scandalo come se fosse un remake della mancata autorizzazione a procedere per Craxi. Il Rottam'attore e' infatti convinto che il clima di "anti-politica" sia lo stesso del ' 93 e che chi votera' contro alla "sua" riforma fara' la figura dello strenuo difensore della propria meschina poltrona.

MATTEO RENZI E LA BOMBA A ENRICO LETTA

E a proposito di poltrone, eccoci al tormento del rimpastino-rimpastone. Il capo dello Stato lo vuole, ma teme i rischi di imboscate parlamentari su un "Mezze Intese-bis". Il suo fedele sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Lettanipote, e' tornato dal Messico parecchio scocciato e fosse per lui cambierebbe almeno 5 ministri, ma vuole coinvolgere Renzie (cosi' magari la smette di stargli cosi' addosso). Il segretario del Pd pero' non intende cascare nella trappola dell'inclusione, ma ora almeno concede che non si deve trattare di un semplice rimpastino.

napolitano letta renzi

Al reparto slogan, infine, come sempre in vantaggio il solito Renzie: "Veniamo da 10 mesi di fallimenti" e "Capire l'urgenza del cambiamento o verremo spazzati via". Se al posto di un partito avesse in mano un blog, sarebbe una scheggia.

 

JULIE - MALGRADO 50 FILM, OCCORREVA SCOPARE CON HOLLANDE PER DIVENTARE FAMOSA

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Alessandra Bianchi per ‘L'Espresso'

Centosessantacinque. Sono i metri che François Hollande, 59 anni, doveva percorrere per raggiungere dall'Eliseo il numero 20 della rue du Cirque per incontrare l'amante, l'attrice Julie Gayet, 41 anni. "Cherchez la femme" è una proverbiale espressione francese.
Trovarla non è stato così difficile, visto che il presidente non ha fatto molto per nasconderla: fino a sospettare che volesse farsi scoprire.

Julie Gayet et son ex mari Santiago Amigorena lors de la projection du film Comme une image au Festival de Cannes le mai exact x l

Al settimanale mondadoriano "Closer" è bastato appostarsi e aspettare un po' per riuscire a fotografare il capo dello Stato mentre si toglie il casco e scende dal suo scooter per recarsi nell'appartamento di stile "haussmaniano" di rue du Cirque, nome pittoresco e appropriato visto il circo di polemiche che ha scatenato e che potrebbe avere conseguenze politiche. Non tanto perché i francesi siano scioccati, blindati come sono nella loro sublime indifferenza per tutto quello che riguarda le questioni di sesso e corna.

Ma per la contraddittoria immagine di Hollande che aveva promesso una presidenza «normale» dopo gli eccessi di Sarkozy e ha di nuovo fatto scadere l'alta e sacrale carica nel gossip. Questo sì, per i suoi concittadini, imperdonabile. Inoltre Hollande non convince da quando è stato eletto nel 2012 e i francesi avrebbero preferito occuparsi della sua nuova agenda (il "pacte de responsabilité") per rilanciare l'economia. Non della sua vita privata.

JULIE GAYET

Julie Gayet, la femme fatale di questa commedia, prima di girare il suo privatissimo film col presidente non era così conosciuta al pubblico francese, nonostante un curriculum di 50 pellicole più che rispettabile visto che ha lavorato con grandi registi come Tavernier, Costa-Gavras e Kieslowski. Di colpo ha acquisito una popolarità tale che neanche il copione più prestigioso avrebbe potuto assicurarle: è la donna che fa tremare l'Eliseo. E ha provocato un ricovero in ospedale per lo choc a Valérie Trierweiler, la première dame che ha appreso di essere stata tradita dallo stesso fedifrago la sera prima dell'uscita del settimanale.

HOLLANDE-GAYET

Un confronto dignitoso e senza scenate, sostengono i ben informati, nonostante Valérie sia "caduta dalle nuvole". Eppure le chiacchiere sulla nuova liaison del presidente circolavano da almeno un anno. Al punto che nel marzo scorso la Gayet aveva sporto querela contro ignoti per le voci sulla sua relazione con Hollande. A dicembre l'attore comico Stéphane Guillon, con lei nell'ultima pellicola, aveva rivelato in tv: «Hollande veniva sul set, ama molto il film. La sua donna un po' meno».

L'algida Valérie, ufficialmente "caduta dalle nuvole", presagiva qualcosa dell'uragano in arrivo? Comunque sia, Hollande e Trierweiler avevano passato insieme il giorno di Santo Stefano con tutta la famiglia di lei. E avevano atteso il nuovo anno a Versailles, a cena con i ministri Valls e Sapin e l'attore Gerard Jugnot. Ora lei è ancora la "première dame" di Francia? A domanda diretta il capo dello Stato, durante la conferenza stampa del 14 gennaio all'Eliseo davanti a 600 giornalisti, ha affermato: «Darò una risposta prima del viaggio negli Stati Uniti». Previsto per l'11 febbraio. Ha ammesso di passare un momento «doloroso» e aggiunto: «Gli affari privati si trattano in ambito privato, nell'intimità rispettosa di ciascuno». Una linea sposata da subito per scindere il ruolo pubblico dagli affetti che sono affari suoi.

HOLLANDE-GAYET: IL SITO CENSURATO DI "CLOSER"

Valérie non ci credeva, o forse fingeva. Proprio lei che aveva preso il posto di Ségolène Royal (altra faccenda resa pubblica con uno scoop di "Closer"), compagna del politico e madre dei suoi quattro figli. Sta di fatto che a dicembre, in modo discreto e pieno di sottintesi, "l'Express" aveva raccontato di un Hollande che si «dileguava dal Palazzo passando per un cancello che si trova in fondo al parco», e che l'agenda presidenziale «è spesso piena di caselle dove c'è scritto appuntamento privato».

Con una punta di perfidia lo scandalo potrebbe essere letto come una «vendetta trasversale» di Ségolène (la quale ha elegantemente commentato lo scandalo: «Bisogna voltare pagina e rimettersi al lavoro»). Se era stata lei a presentare laTreirweiler al compagno, altrettanto si può dire di Julie. Per via di un intreccio che va spiegato.

Julie Gayet è una fervente sostenitrice del partito socialista. Bernard Murat, regista teatrale, la presenta nel 2007 a Ségolène, introducendola nella famiglia. E lei prende subito una posizione pubblica a favore della Royal, allora candidata alla presidenza della Repubblica. Cinque anni dopo farà la stessa cosa per François. Julie parteciperà attivamente alla campagna presidenziale, mostrandosi in uno spot e assistendo anche ad alcune riunioni nella città di Tulle in compagnia di Hollande.

Gayet racconta così il suo primo incontro col futuro amore: «La prima volta che l'ho visto è stato durante un pranzo informale, per curiosità. Ho conosciuto una persona umile, che sa ascoltare, formidabile, sono rimasta davvero impressionata. Ma soprattutto non cambia, resta sempre se stesso». Il video è datato aprile 2012: e rivedendolo ora non passa inosservato l'entusiasmo quasi adolescenziale, da cuoricini negli occhi, con cui lei parla di lui.

Julie è bionda, graziosa, con un sorriso aperto. Nata a Suresnes, alle porte di Parigi, figlia di un'antiquaria e di un grande chirurgo, a otto anni studia canto lirico con l'affermata pianista Tosca Marmor ma poi decide di lasciare la musica per la recitazione. A 14 anni comincia a interessarsi alla commedia, a 17 parte per Londra per uno stage all'Actor's Studio, a 22 ottiene il primo ruolo importante nel film "Cento e una notte" di Agnès Varda con Michel Piccoli e Marcello Mastroianni.

HOLLANDE-GAYET

A partire da questo momento lavorerà sempre molto alternando cortometraggi, film e fiction tv ma senza conoscere la vera celebrità. I suoi punti di riferimento cinematografici sono Jeanne Moreau, Romy Schneider (nel 1997 ha vinto un premio intitolato all'attrice), Jessica Lange e Federico Fellini. Diventa anche produttrice perché «la tecnica mi ha sempre affascinata, compreso il montaggio». Ha tre case di produzione di cui una in società col miliardario François Pinault. In questo momento è impegnata con il doppiaggio francese di Nicole Kidman nel film "Grace di Monaco" dove l'attrice recita il ruolo della principessa americana.

Nel 2003 Julie sposa l'attore argentino Santiago Amigorena con cui ha due figli, Ezéchiel e Tadéo. I due sono divorziati ma lui, in questo burrascoso momento, difende l'ex moglie: «È una madre che si occupa dei suoi figli. È calma e sicura di sé». Lei stessa ha confessato in passato questo lato del carattere: «Bisogna davvero esasperarmi per farmi saltare i nervi. Il mio motto? Piedi per terra e testa tra le nuvole». Da dove è caduta Valérie.

HOLLANDE-GAYET

A complicare ulteriormente il feuilleton, o il vaudeville, le rivelazioni giornalistiche sui contorni dell'affaire. Due media, il giornale online Mediapart e "Le Point", scoprono che l'ormai mitico appartamento di rue du Cirque è affittato a nome di Emmanuelle Hauck, amica e collega di Julie Gayet. Nulla di strano se non fosse l'ex donna di Michel Ferracci, condannato nel novembre scorso a 18 mesi di detenzione con la condizionale per riciclaggio in un'inchiesta legata alla banda còrsa "Brise de Mer".

I due si sono separati ma il nome Ferracci è rimasto sulla cassetta delle lettere. La Hauck era poi diventata la compagna di François Masini, ucciso in Corsica nel maggio scorso, ed è stata interrogata tre volte dalla polizia nell'ambito di questa inchiesta. L'alcova del presidente era insomma un appartamento "particolare". Nulla di illegale, ma da evitare per motivi di opportunità per un inquilino dell'Eliseo se avesse saputo.

Hollande, come tutto lascia supporre, non sapeva. Ma può quel dettaglio seccante essere sfuggito ai servizi segreti o al ministero dell'Interno del rampante e popolare Manuel Valls i cui uffici si trovano all'Hotel de Bauvau, cioè a pochi passi di distanza? Valls interpellato si è chiamato fuori: «Hollande può anche non mettermi al corrente dei suoi spostamenti». E resta tuttavia il problema della sicurezza di un potente del mondo che detiene, oltretutto, le chiavi della valigetta nucleare.

HOLLANDE-GAYET

Come potevano sfuggire le scappatelle di Hollande in una zona ad altissima presenza di poliziotti e gendarmi, nel cuore di Parigi? Come potevano se, oltretutto, l'unica precauzione era quella di muoversi con casco integrale su uno scooter guidato da una guardia del corpo che, dettaglio ridicolo come in ogni pochade, la mattina portava agli amanti i croissant?

Il fotografo Sébastien Valiela, autore dello scoop e anche a suo tempo di quello su Mazarine, la figlia segreta di Mitterrand, ha detto di essere rimasto sorpreso dalla scarsa protezione: «Se avessi voluto fargli del male non sarebbe stato difficile. Quando stava nell'appartamento non c'era mai nessuno, neanche all'esterno, perché la scorta se ne andava». Hollande ha affermato sempre in conferenza: «Sono ben protetto, stiano tranquilli quelli che si stanno preoccupando della mia sicurezza».

Se, in nome della sacra privacy, la stampa francese, soprattutto quella più autorevole, ha tenuto un profilo basso sulle questioni di letto, meno indulgente si sta rivelando sulle questioni che chiamano in causa il côté istituzionale. Si chiede "Le Monde": può un presidente della Repubblica andarsene in giro come un francese qualunque mettendo a repentaglio la sua sicurezza? E possibile che il servizio di scorta non si sia mai accorto dei paparazzi che hanno affittato un appartamento lì vicino?

A Hollande si rimprovera di aver agito con leggerezza. E si sprecano i paragoni col predecessore Nicolas Sarkozy, dal cui stile voleva prendere le distanze. Salvo fare di peggio. Anche Sarko aveva riempito le pagine rosa con le sue vicende personali . Fino alla famosa dichiarazione pubblica nel 2008 in conferenza stampa: «Avec Carla c'est du sérieux», con Carla è una cosa seria, (l'ufficializzazione del suo nuovo amore per la Bruni). Dunque una situazione affrontata di petto, per mettere a tacere i possibili pettegolezzi, come gli aveva del resto suggerito il pubblicitario Jacques Séguéla, anfitrione del primo incontro.

HOLLANDE-GAYET

Non così Hollande, nonostante dovesse essegli ben chiaro, vista la lunga militanza come uomo pubblico, che i suoi concittadini certi peccati sono disposti a perdonarli e nonostante l'impopolarità di Valérie Trierweiler. L'84 per cento dei francesi dice di non essere rimasto scioccato dall'affaire. Due terzi sostengono che sono questioni che riguardano solo gli interessati. Non diversamente nel passato. Quando Sarkozy rivelò che il suo matrimonio con Cécilia era finito, l'89 per cento degli interpellati dagli istituti di sondaggio rispose: «Non ci riguarda». E non può essere altrimenti in un Paese abituato dalla storia ad avere a che fare con monarchi, imperatori e presidenti libertini, ricchi di cortigiane e di intrighi rosa: il contrario del puritanesimo anglosassone che nulla perdona agli uomini di potere.

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, dal punto di vista del presidente e del partito socialista, basta riandare a una lapidaria frase di Fréderic Dabi, direttore generale dell'Ifop (istituto di sondaggio): «François Hollande è talmente impopolare che questa storia non cambia nulla». A novembre aveva toccato l'abisso del 15 per cento di consensi facendolo diventare il presidente col record negativo della République. Aveva guadagnato un paio di punti con l'annuncio di una svolta nella politica economica. Per paradosso la scoperta della liaison con Julie Gayet gli potrebbe persino giovare: l'attrice, peraltro molto attiva nella campagna per le municipali di Parigi al fianco della candidata di sinistra Anne Hidalgo, risulta assai più simpatica di Valérie Trierweiler, non a caso ribattezzata "Rottweiler" dai detrattori che sono assai numerosi persino nell'entourage dell'Eliseo.

Come finirà lo sapremo alla prossima puntata, come in tutti i feuilleton che si rispettino. Comunque prima del viaggio negli Usa. Perdonato, tornerà da Valérie? Finalmente vivrà il nuovo amore alla luce del sole? Comunque sia, in questa storia c'è già un vincitore, il giornale "Closer". Ha tirato 300 mila copie, il doppio dell'abituale. È in ristampa. Il suo sito online ha avuto quasi 1,4 milioni di visitatori nel giorno dell'uscita. Sul sito francese Leboincoin dove si vende di tutto, si può acquistare la copia di "Closer" a 10 euro (prezzo di copertina 1,5 euro). Niente scandali, sono francesi. Però curiosi di sapere se «avec Julie c'est du sérieux».

Francois Hollande et Julie Gayet la rumeur de liaison portee en justice

 

CERRONI VOLEVA VENDERE A CALTARICCONE IL SUO IMPERO? - ZINGARETTI QUERELA “IL MESSAGGERO”

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1. IL SUPREMO E L'INGEGNERE, QUEL VERTICE SEGRETO - L'AVVOCATO A CALTAGIRONE: "COMPRA IL MIO IMPERO"
Giovanna Vitale per "la Repubblica"

Virman Cusenza e Francesco Gaetano Caltagirone

Il Supremo e l'Ingegnere. Da soli in una stanza. A parlare di affari, anzi dell'affare: i rifiuti di Roma. Un business a molti zeri nella città di Malagrotta, la più grande discarica d'Europa, all'epoca dell'incontro condannata alla chiusura ma senza alternative, ché la capitale di trasformarli in energia non s'è mai occupata. Non siamo mica al Nord: tendenza Napoli piuttosto.

Accade nella seconda metà del 2012. Manlio Cerroni, l'avvocato che gestisce pressoché in monopolio lo smaltimento e il trattamento della spazzatura romana, chiede un appuntamento a Francesco Gaetano Caltagirone. Insiste, il patron di Malagrotta. Vuol capire perché il principale socio privato di Acea si oppone così strenuamente al preaccordo tra la multiutility capitolina e l'Ama per la costruzione del termovalorizzatore di Albano. È convinto, Cerroni, di riuscire a persuaderlo.

Massimo Mucchetti e Francesco Gaetano Caltagirone

Che una chiacchierata a quattr'occhi tra imprenditori capaci di fiutare l'odore dei soldi a distanza possa fargli cambiare idea sull'investimento: «sgradito» - perché giudicato «penalizzante» - non solo all'editore del Messaggero ma anche agli azionisti francesi di Suez. «L'accordo prevedeva una società mista AceaAma e che la costruzione e la gestione dell'impianto fosse affidata a Cerroni» precisano dal Gruppo Caltagirone. In pratica, per i soci privati non era un buon affare.

Ma il Supremo è un osso duro. E cova anche un'altra idea: visto che la Cementir di Caltagirone opera già, ma in fuori dall'Italia, nel settore del waste management, perché non proporgli di rilevare, direttamente lui, i suoi impianti di trattamento nel Lazio? E così, abituato a giocare d'azzardo con la (propria) fortuna, durante il faccia a faccia con l'ingegnere, Cerroni utilizza diversi registri: prima lo lusinga; poi lo ingolosisce illustrando le enormi possibilità di guadagno rappresentate dalla chiusura del ciclo dei rifiuti; arriva infine a prospettargli che il dopoCerroni, essendo ormai lui in età avanzata, potrebbe essere - se solo volesse - Caltagirone in persona. Tutto inutile.

Manlio Cerroni

Senza muovere un solo muscolo del viso, il cavaliere declina ogni offerta. «Esistono tre diverse funzioni da mantenere separate», la replica dell'ingegnere (raccolta dal suo ufficio stampa):

«La raccolta in cui è specializzata Ama, la discarica in cui è specializzato il Gruppo Cerroni, la gestione industriale del termovalorizzatore con produzione di energia elettrica, che poteva essere di un eventuale interesse di Acea. Quindi, nessuna società comune, nessun interesse nella discarica e nessuna interferenza nella costruzione e gestione del termovalorizzatore da parte dell'avvocato Cerroni».

Che però non molla: «Ormai ho fatto acquisti di materiali e brevetti per il termovalorizzatore», controbatte. Ma Caltagirone taglia corto: «Non vedo cosa possa fare Acea in questa società oltre metterci molti denari, assumersi molti dipendenti di Ama e rischiare di confrontarsi con la malavita». Discorso chiuso, dunque.

Così almeno sostiene il portavoce di Caltagirone. Ché invece la versione fornita da chi, per conto di Cerroni, ha seguito la trattativa, dice qualcosa di diverso. Ossia, che il colloquio fra i due uomini più "liquidi" e potenti di Roma è stato sollecitato non dall'avvocato bensì dall'ingegnere, interessato - lui direttamente e non in quanto socio di Acea - a rilevare gli asset del patron di Malagrotta nel Lazio.

Era in sostanza da imprenditore che Caltagirone negoziava, non da azionista della multiutility romana. Un affare che sarebbe poi sfumato sul quantum: l'ingegnere avrebbe infatti offerto 400 milioni, il Supremo - forte della valutazione della Bain - non avrebbe ceduto per meno di un miliardo.

cerroni

Ricostruzione tuttavia smentita dal gruppo Caltagirone. Che «non ha mai avuto alcun interesse nei confronti di attività afferenti all'avvocato Cerroni. Non sono quindi mai state studiate operazioni di tale tipo né sono mai state fatte valutazioni di asset del Gruppo Cerroni». Rivela anzi l'ufficio stampa: «In coda all'incontro, l'avvocato chiese al presidente Caltagirone se fosse interessato all'acquisto di alcuni impianti della propria azienda.

Il presidente Caltagirone lasciò cadere la domanda considerandola una blandizia tesa ad ottenere il proprio assenso all'accordo AmaAceaGruppo Cerroni; e comunque riteneva fosse l'inizio di un nuovo pressing verso Acea, vero destinatario della proposta». Comunque sia andata, tra il Supremo e l'Ingegnere è cronaca di un amore mai nato.

Discarica di Malagrotta


2. CASO RIFIUTI, ZINGARETTI QUERELA "IL MESSAGGERO"
AGENPARL - "Ho dato mandato ai miei legali, a tutela della mia onorabilità, di querelare per diffamazione il quotidiano "Il Messaggero" per il titolo in prima pagina di oggi "Rifiuti, il patto dei politici. Leggi ad hoc per Cerroni. Il ruolo di Pd, Regione e Provincia per favorire il ras a Roma". Io sui rifiuti non ho mai fatto alcun patto con nessuno. In tutta la mia vita politica mi sono sempre battuto per il bene comune e non per favorire interessi di parte. E d'altronde, dopo due anni di accuratissime indagini da parte della Procura di Roma, le indagini si sono chiuse senza alcuna chiamata in causa nei miei confronti. Questi sono i fatti relativi all'inchiesta della Magistratura.

Passiamo ora ai fatti relativi alle politiche ambientali messe in atto dalle Amministrazioni da me presiedute in Provincia e in Regione. Innanzitutto è stata chiusa la discarica di Malagrotta e la differenziata in provincia è aumentata in 5 anni del 2000%, contro gli interessi di tutti i proprietari di discariche. Sempre le amministrazioni da me presiedute si sono dedicate alla chiusura della discarica di Malagrotta e dichiarate contrarie alla nuova discarica di Monti dell'Ortaccio e di Riano, da sempre prime scelte dell'avvocato Cerroni.

discarica malagrotta roma daLaStampa

Anche la preferenza della Regione in questi ultimi mesi per la discarica di Falcognana (non di proprietà di Cerroni) è l'ennesima dimostrazione della rotta che ho sempre seguito. E' dunque evidente che la violenta sortita del Messaggero, non corrisponde ad alcun dato di fatto, ma ad una dinamica di interessi imprenditoriali a me del tutto estranei.

Nicola Zingaretti

Probabilmente le difficoltà di un monopolio sul ciclo dei rifiuti che le mie amministrazioni (con politiche corrette, incisive, trasparenti e attente a non portare Roma e il Lazio nel caos che si è verificato in altre città) suscitano attenzione e strategie volte ad occupare spazi di mercato importanti.

La questione rilevante è che ora si vada comunque ad una riorganizzazione complessiva del ciclo dei rifiuti e non si passi da un monopolista a un altro monopolista". Lo dichiara in una nota il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

 

 

 

A RIETI, UNA SUORA DELLE MISSIONARIE CATECHISTE HA PARTORITO UN BIMBO DI 3 CHILI E MEZZO

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Mario Bergamini per www.ilmessaggero.it

Stupore e clamore, in città: una suora di 32 anni, nativa del San Salvador, appartenente all'istituto religioso delle Missionarie Catechiste, ha partorito un bimbo all'ospedale di Rieti, San Camillo De Lellis, del peso di 3 chili e 500 grammi...

La donna si è presentata al pronto soccorso dell'ospedale di Rieti nella notte di martedì, accompagnata da un'ambulanza del 118, accusando forti dolori di cui non sapeva spiegarsi la natura. Il personale paramedico che l'ha accompagnata al pronto soccorso con codice rosso, ha messo a verbale che la donna accusava "forti dolori addominali con sospetta colica renale".

SUORA INCINTA.

IL RESPONSO DEL PRONTO SOCCORSO
Il medico che l'ha visitata e sottoposta ad ecografia non ha avuto dubbi nel certificarle lo stato di gravidanza, tanto che nel certificato di ricovero, forse per un eccesso di scrupolo, è stato scritto "sospetta gravidanza in suora". Il bimbo è poi nato con un parto naturale e pesa tre chili e mezzo.

La suora del San Salvador ha messo al mondo suo figlio nella prime ore della giornata di mercoledì. La suora, di stanza nel convento cittadino del quartiere Campomoro, è stata accompagnata in ospedale da un'ambulanza del servizio 118, chiamata dalle consorelle, preoccupate per le condizioni della giovane suora. Nonostante la cura della riservatezza e la separazione della suora dalle altre pazienti, la notizia è comunque circolata, rimbalzando prima per i corridoi dei reparti dell'ospedale e poi in città e sui social. Dalla direzione sanitaria dell'ospedale, nonostante ormai la fondatezza della notizia, le bocche restano cucite.

 

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