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VOTAMI, SARO’ IL TUO MATTEO! - RENZI SOTTERRA LETTA -DE BORTOLI, COME DA ISTRUZIONI DI MARPIONNE, SI AVVICINA A RENZIE

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Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera

renzi in collegamento da otto e mezzo con dietro la foto di mandela e napolitano

Osteria d'Oltrarno, il sindaco arriva in bicicletta, è il suo compleanno, i passanti fiorentini gli fanno gli auguri.

Renzi, il quadro emerso dal suo incontro con Letta è univoco: accordo fatto, nel 2014 si lavora insieme, rimpasto e codice di comportamento. È davvero così? O si rischia ancora una rottura?
«Non si rischia nessuna rottura. Ma guardiamo la realtà: la popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, né l'emergenza finanziaria. Se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere: piazze, asili, pedonalizzazioni. Se mi chiedono cos'ha fatto il governo in questi undici mesi faccio più fatica a rispondere. Per questo motivo bisogna cambiare passo».

Lei stesso riconosce che l'emergenza finanziaria è passata.
«Ma la disoccupazione è aumentata. Su twitter ho visto un vecchio manifesto del Pd. Dicevamo allora: "La disoccupazione giovanile è al 29%; Berlusconi dimettiti!". Oggi siamo al 42 e governiamo noi. Quindi bisogna avere il coraggio di dire che qualcosa non funziona. Il mondo sta correndo. Nell'ultimo trimestre del 2013 gli Stati Uniti sono cresciuti del 4%. L'Italia è ferma».

scaroni e renzi spl

Letta rivendica di aver diviso la destra.
«Mi pare che abbiano fatto tutto da soli. E comunque lei è sicuro che Alfano abbia rotto con Berlusconi? In Piemonte, Basilicata, Sardegna si presentano alle elezioni insieme, come in quasi tutti i quasi quattromila Comuni in cui si voterà in primavera. Non basta dividere la destra, bisogna governare il Paese. E io voglio dare una mano a Enrico. Mi sento legato a un vincolo di lealtà: diamo l'ultima chance alla politica di fare le cose. Le mie ambizioni personali sono meno importanti delle ambizioni del Paese: io sono in squadra».

RIUNIONE DELLO STAFF DI RENZI A FIRENZE

Come sono davvero i rapporti tra lei e Letta?
«Enrico non si fida di me, gliel'ho detto l'altro giorno. Ma sbaglia. Io le cose le dico in faccia. E sono le stesse che dico in pubblico: non uso due registri diversi. Impareremo a conoscerci. Ma ora è importante finalmente mantenere gli impegni e realizzare le promesse».

Allora il governo andrà avanti per tutto il 2014?
«Andare avanti significa non stare fermi. Quindi, sì, certo, il governo proseguirà per tutto il 2014. Ma non può andare avanti così. Più decisi, più concreti, più rapidi nelle scelte. Anche per questo il Pd proporrà che il contratto di coalizione, Impegno 2014, non sia un documento scritto in democristianese, con il preambolo e frasi arzigogolate. No, noi in direzione proporremo che il patto di coalizione sia un file Excel».

I FINANZIATORI DI RENZI

Spiega anche a noi over 39 cos'è un file Excel?
«Nella prima casella si indica la cosa da fare, nella seconda i tempi in cui la si fa, nella terza il responsabile che la fa. Un esempio? Tagliamo del 10% il costo dell'energia per le piccole e medie imprese: chi lo fa, entro quando; poi si comunica. Le rendite finanziarie sono tassate al 20%, il lavoro praticamente al 50: riequilibriamo? Bene: quando, come e chi. Cose concrete.

Il primo che mi parla di "semplificare la pubblica amministrazione" lo rincorro; noi dobbiamo mettere on line in qualche settimana tutte le spese della pubblica amministrazione. Vivo l'urgenza come un dramma e mi stupisco che a Roma non si rendano conto della necessità di correre.

MATTEO RENZI E LA BOMBA A ENRICO LETTA

Saranno quindici giorni decisivi. Dobbiamo votare la legge elettorale. Trasformare il Senato nella Camera delle autonomie, senza elezione e senza indennità. Abolire le province. Tagliare un miliardo di costi della politica: un tema su cui sto ancora aspettando la risposta di Grillo.

Se avviamo queste riforme, la politica italiana darà il buon esempio. Allora si potrà anche pensare di andare oltre il vincolo del 3%, per far ripartire l'economia o modificare il lavoro. E si può allentare il patto di stabilità interno: perché i Comuni virtuosi non possono spendere per l'edilizia scolastica? Mi interessa di più la stabilità di una scuola che la stabilità burocratica».

RENZI FARINETTI

Pensa anche lei, come il suo braccio destro Nardella, che il ministro dell'Economia debba essere un politico?
«Il problema non è Saccomanni. Il problema è la forma mentis burocratica. È la politica che non decide e non agisce. Chiarezza di obiettivi, rapidità di esecuzione. Sulla legge elettorale abbiamo fatto più in questo mese che negli ultimi tre anni. Venendo qui ho incontrato una signora che mi ha preso in giro per il Jobs act: "Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!". Ha ragione: basta anglicismi. Però abbiamo sottratto la discussione sul lavoro agli "esperti" e l'abbiamo portata in pubblico. I dilettanti hanno fatto l'arca. Gli "esperti" hanno fatto il Titanic».

RENZI dalema

È segretario da un mese e già si celebra?
«Per carità, ancora non abbiamo fatto nulla. L'unico Matteo che emoziona gli italiani è il don Matteo di Terence Hill. Ma abbiamo dato una bella scossa, vedrà che i risultati arriveranno».

Il Jobs act o come si chiama adesso a Giovannini non è piaciuto.
«È sicuramente migliorabile. Compito dei ministri però non è dare giudizi o opinioni, come i professori o gli ospiti dei talk show. Compito dei ministri è fare le cose. Che abbiamo fatto in questi mesi? Perché la disoccupazione è cresciuta? Giovannini dovrebbe rispondere su questo».

Mattarellum, sindaco d'Italia, spagnolo: tra le sue proposte quale passerà?
«Quella che avrà il consenso più ampio. Che però dovrà comprendere le altre riforme, a cominciare da Senato, titolo V, taglio di un miliardo dei costi della politica. Facciamo un pacchetto unico...».

Incontrerà Berlusconi? Non teme che si tiri indietro a un passo dall'accordo, come in passato?
«Berlusconi è il leader del principale partito d'opposizione insieme a Grillo. Se serve, lo incontrerò. Per il momento non ne vedo la necessità, proprio perché ancora non ci siamo. Ma non accetto di escludere Forza Italia dalle riforme. Le regole si scrivono insieme anche alle opposizioni e non hanno senso i veti. Di solito mette i veti chi non ha i voti».

MATTEO RENZI NELL UFFICIO DI LETTA A PALAZZO CHIGI

Alfano mette il veto sulle nozze gay.
«Ognuno di noi, quando a scuola il professore lo interrogava e non aveva studiato, aveva il suo argomento a piacere. Il mio era la seconda guerra mondiale. Quello di Alfano sono le nozze gay: se si trova in difficoltà su qualcosa lancia un'agenzia su questo tema e "mette in guardia" da questa sinistra pericolosa. Io non parlo di matrimonio gay. Parlo di unioni civili. Siamo l'unico Paese dell'Occidente a non avere una legge che le riconosca. La faremo».

Esiste l'ipotesi che lei vada a Palazzo Chigi prima delle elezioni?
«A Palazzo Chigi c'è Enrico Letta».

VF COVER

Il sindaco di Bologna Merola, di Bari Emiliano, di Brescia Del Bono, di Salerno De Luca si sono espressi per il voto anticipato a maggio. Cosa risponde?
«I sindaci sono arrabbiati e hanno ragione. Ci sono troppi burocrati che pensano di risolvere i problemi scaricandoli su di loro. Il balletto delle tasse sulla casa è indecente. Si finge di togliere l'Imu a Roma per far contenti Brunetta e Alfano e si costringono i sindaci a prendersi gli insulti dei cittadini. Ma le elezioni non sono la soluzione. Alcuni di loro mi hanno mandato sms: "Matteo, è il tuo turno". No, non è così: io faccio un passo indietro sul piano delle ambizioni personali, purché sia una rincorsa per fare quel che serve al Paese».

Agnese-Landini-e-Matteo-Renzi.

Come sono davvero i suoi rapporti con Napolitano?
«Buoni. Per il presidente ho grande rispetto umano, personale, politico e istituzionale. In questi anni, nel rispetto delle sue prerogative, ha supplito alle mancanze della politica. Credo che il suo vero obiettivo sia lasciare il Quirinale una volta che le riforme siano fatte; e credo che ne abbia diritto. Il miglior modo per rispettarlo non è fare comunicati per elogiare il suo discorso di fine anno; è fare le riforme che ci chiede. A partire dalla legge elettorale».

Vorrebbe Vendola nel Pd?
«Perché no? Io sono per il bipartitismo. Pisapia a Milano, Zedda a Cagliari, lo stesso Vendola in Puglia governano con la stessa coalizione con cui governiamo Fassino, Emiliano e io».

Il caso Fassina le ha attirato molti rimproveri sul suo stile arrogante.
«Potevo risparmiarmi la battuta, certo. Ma un viceministro dell'economia si dimette per i dati della disoccupazione, o per il pasticcio dei 150 euro dati, tolti e ridati agli insegnanti; non per una Chi? Non siamo all'asilo. Io non rinuncio a essere me stesso, alla mia bicicletta, e anche alle battute. Ma chiedo di essere giudicato sui fatti. Se mi fossi dimesso tutte le volte che Fassina mi ha insultato...».

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Guardi che c'è il codice di comportamento.
«Ho visto che Letta lo ha proposto in una intervista. Non so di preciso cosa intenda. Escludo che si parli di galateo. Suggerisco il primo articolo: è vietato combinare guai come quello dell'Imu o degli insegnanti o delle slot machine. Questo mi sembra il codice di comportamento migliore: smettere con i pasticci. Però il codice di comportamento a qualche ministro effettivamente servirebbe: occorre più stile».

ballantini renziII

Non teme una scissione a sinistra del Pd?
«E perché dovrebbero andarsene? Perché hanno perso? Non abbiamo cambiato i capigruppo, Cuperlo è presidente. Quando andai io in minoranza, diedi una mano; mi aspetto che l'attuale minoranza faccia altrettanto. Magari la prossima volta tornerò in minoranza e toccherà a un altro. Noi siamo una comunità, e l'abbiamo capito ritrovandoci impauriti e preoccupati davanti all'ospedale in cui è ricoverato Pier Luigi Bersani. Siamo una comunità di persone con idee e storie diverse, ma unite da valori comuni e dall'obiettivo di cambiare l'Italia».

 


UN FALCO VOLÒ SUL NIDO DI TOTI - DOPO LE MINACCE DI FITTO & CO., IL BANANA RINVIA LA NOMINA DEL DIRETTORE DEL TG4

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Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"

Sono ore decisive per il futuro di Forza Italia, partito dove nervosismo, tensione, sospetti reciproci e guerre interne sono oltre il livello di guardia. L'annunciata - poi rinviata - nomina di Giovanni Toti al vertice del partito ha provocato un terremoto nella struttura consolidata azzurra, non solo nel nucleo duro dei falchi - da Verdini a Santanchè a Capezzone - o in colui che a quel ruolo avrebbe potuto aspirare, come Raffaele Fitto.

GIOVANNI TOTI

Ma ha messo in agitazione anche le truppe in Parlamento e in periferia che vedono in pericolo la propria sopravvivenza politica per l'avvento del direttore di Tg4 e Studio Aperto (e di fatto del braccio aziendale e familiare dell'ex premier) con contestuale annuncio di rinnovamento di facce, ruoli, linea e anche alleanze, con una strategia di riavvicinamento ad Alfano e ai suoi.

Per questo, nei giorni scorsi, l'offensiva per frenare la nomina è stata potentissima, con tanto di minacce o previsioni di scissioni e ammutinamenti. E per questo il Cavaliere è stato suo malgrado (e con grande irritazione) costretto a prendere tempo per cercare una soluzione il più possibile ecumenica.

Giovanni Toti

Molto difficile a dire il vero, perché la frenata ha a sua volta irritato lo stesso Toti. Che ieri, sembra assieme a Marina Berlusconi, ha a lungo incontrato il Cavaliere ad Arcore per un chiarimento che giudica assolutamente necessario.

Raccontano che Toti abbia messo ancora una volta le cose in chiaro: per lui ha senso avventurarsi in politica solo se il suo ruolo sarà chiaro, operativo, decisionale. La «controfferta» che sarebbe arrivata dai falchi - portavoce del partito, front man pubblico, anche vice presidente ma senza la delega unica all'organizzazione - non gli interesserebbe. O si lavora per cambiare, è la sua idea fin dal primo momento, o non ha senso aggiungersi alle tante facce che dominano il partito. E una decisione, sarebbe stata la sua richiesta ieri, va presa subito.

DANIELA SANTANCHE DENIS VERDINI

A questo punto la palla è totalmente nelle mani di Berlusconi, che anche ieri ha ripetuto quanto siano importanti i Club Forza Silvio, arrivati a «7000, ma il nostro obiettivo è 12 mila», per recuperare gli elettori perduti, mantenere i propri e conquistare quelli «delusi da Grillo, che sono tanti e che è possibile convincere».

Insomma, il Cavaliere continua a puntare moltissimo sulla rete che intende costruire dal basso e valorizzare in alto (sempre più coinvolti sono l'organizzatore dei Club Fiori e il capo dell'Esercito di Silvio Furlan), ma sa anche che i volti della rivoluzione annunciata non ci sono. E che sarà anche vero, come assicura la Gelmini, che «il partito non si spaccherà affatto se arriverà Toti», ma un effetto abbandono o panico o rifugio in altri lidi non è affatto da escludere.

MANIFESTAZIONE PDL A VIA DEL PLEBISCITO AGOSTO RAFFAELE FITTO

E dunque, mentre c'è chi tra gli azzurri auspica l'arrivo di Toti proprio per «cacciare la banda di chi ha occupato il partito da anni», la strategia che a Berlusconi hanno suggerito le colombe è di procedere gradualmente: prima si nominino gli organi nazionali - l'ufficio di presidenza e i relativi incarichi, senza esautorare completamente Verdini - poi magari si dia la delega più di peso a Toti.

SILVIO BERLUSCONI CON LA FIGLIA MARINA

L'importante, è il consiglio, è non far passare come un commissariamento e un avviso di sfratto agli altri l'arrivo del direttore Mediaset, che «deve capire i tempi e i modi della politica». E comprendere, aggiungono, che non si può pretendere di fare tabula rasa, pena l'esplosione del partito.

 

AHI!-LITALIA - LA COMPAGNIA HA I CONTI A PEZZI E POTREBBE SERVIRE UN ALTRO AUMENTO DI CAPITALE

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Ettore Livini per "la Repubblica"

poste italiane sarmi

Nome in codice: "Project Angel", progetto Angelo. Autore: PriceWaterhouseCooper (Pwc) per conto di Poste Italiane. Tema: una due diligence "riservata e confidenziale" su alcuni delicati aspetti del bilancio Alitalia. Obiettivo: consentire alla società di Massimo Sarmi di valutare l'ingresso (oggi un fatto compiuto) nel capitale dell'ex-compagnia di bandiera.

PricewatershouseCoopers

Risultato: un rosario di dubbi e allarmi su diversi dati contabili del gruppo - compresa una potenziale sovra-stima degli utili degli anni scorsi - e un caldo consiglio alla prudenza: "Qualora fossero confermate le informazioni disponibili (lo studio è dell'8 novembre scorso, ndr) circa l'ulteriore deterioramento della performance operativa e il peggioramento della situazione finanziaria di Alitalia - dice papale papale Pwc - potrebbe essere necessario un ulteriore apporto di capitali rispetto alla manovra finanziaria da parte dei soci e dei soggetti terzi".

ETHIAD ALITALIA x

Il 2013, scrive il rapporto, si chiuderà con perdite operative per 243 milioni, molto più dei 183 milioni di rosso previsti fino a pochi mesi prima. Se il piano industriale dell'ad Gabriele Del Torchio non darà risultati in tempi rapidi e se Etihad rinuncerà ad entrare in Alitalia - dice in sostanza Price - i 300 milioni appena versati dai soci (compresi i 75 con cui Poste è diventata azionista al 20%) potrebbero non essere sufficienti per tenere in rotta la società.


Le 68 pagine del Project Angel (di seguito raccontiamo le conclusioni principali) fanno la radiografia senza sconti a quattro voci dei conti: impegni e garanzie, contenziosi, avviamento e contratti di leasing e rapporti con Air France. Il cda di Poste - che con scrupolo ha affidato ai revisori questo lavoro proprio per evitare sorprese - ha deciso lo stesso di tirare dritto e di entrare in Alitalia, tenendo conto delle valutazioni dell'advisor Citigroup. Il successo del riassetto e l'arrivo degli arabi, sono convinti gli uomini di Sarmi, saranno sufficienti per non materializzare i fantasmi evocati da Price

colaninno alitalia

I profitti (forse) gonfiati
La prima criticità messa in evidenza da Pwc sono gli accordi di rinegoziazione di contratti di fornitura sottoscritti con alcuni partner strategici tra cui Air France. Questa partita di giro ha consentito ad Alitalia di iscrivere a bilancio tra 2011 e il 2013 134 milioni di ricavi straordinari. Una pratica dubbia secondo i principi contabili internazionali ma che ha consentito di "abbellire" il suo risultato operativo "del 25% nel 2011 e del 47% nel 2012". "L'attuale situazione di debole performance operativa di Alitalia - continua la due diligence - potrebbe mettere a rischio la continuità dei contratti con richiesta di pagamento delle penali". Che potrebbero arrivare fino a 108 milioni di cui 32 legati solo ai rapporti dare-avere con Parigi.

4 carlo toto lap

Il nodo dei contenziosi
Altro capitolo grigio per Pwc è quello dei contenzioni giudiziari. Sul tavolo di Alitalia sono depositate ben 2.700 cause con richieste danni per 470 milioni. A fronte di questi rischi sono stati invece messi a riserva solo 1,4 milioni. Troppo poco, lascia intendere Pwc. Ben 293 milioni sono legati alla questione Windjet e in questo caso la compagnia di Roberto Colaninno è convinta di essere dalla parte della ragione.

Toto, l'ex patron di Air One, ha chiesto 120 milioni di danni ed è a sua volta oggetto di richieste di risarcimento di Alitalia. E qui si dovrebbe chiudere con una compensazione. Restano invece aperti casi più scivolosi come la richiesta di 14 milioni da parte di Aeroporti di Roma e i contenziosi con i dipendenti. Il recente patteggiamento a 38 milioni ha consentito invece di archiviare la richiesta da 300 milioni dell'Agenzia delle Entrate per il leasing delle società irlandesi.

GABRIELE DEL TORCHIO

Avviamenti e Mille Miglia
Price accende un faro anche sulle valutazione della società partecipate. Il valore d'avviamento rischia di essere sovrastimato in caso di ulteriore frenata del business. Fattore che potrebbe erodere di nuovo il patrimonio aziendale obbligando i soci a rimettere mano al portafoglio. Dubbi sembrano esserci anche sulla valutazione da 151 milioni data a inizio anno ad Alitalia Loyalty - il Programma Mille Miglia - in un'operazione che ha consentito di tenere a galla il gruppo senza spremere le tasche degli azionisti.

La cifra, mette nero su bianco Pwc, è stata calcolata con assunzioni "particolarmente sfidanti". Più che un valore reale, dice il consulente, si tratta di un "valore potenziale" tutto da verificare alla prova dei fatti. Nel mirino pure i contratti di leasing, specie quelli con Toto, "troppo onerosi" come ha ammesso Alitalia e oggi in effetti in rinegoziazione.

de juniac

I rapporti con Air France
L'ultima area a rischio è la possibile rottura (altamente improbabile) con Air France. Si tratterebbe di un divorzio salatissimo per Alitalia. I vertici della compagnia - è scritto in "Project Angel" - stimano in 100 milioni le penali da pagare. Ma si tratterebbe del male minore: Alitalia è legata ormai in modo quasi indissolubile a Parigi. L'intesa garantisce tra 251 e 271 milioni di ricavi l'anno e 136-164 milioni di utile operativo. Le sinergie valgono 414 milioni.

 

EFFETTO SIMEONE - IL ‘PATETICO’ MADRID E’ IL TERZO INCOMODO NELL’ETERNA LOTTA REAL-BARCA…

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1. VIDEO - PAPA', PERCHé SIAMO DELL'ATLETICO?

2. EFFETTO SIMEONE - IL ‘PATETICO' MADRID E' IL TERZO INCOMODO NELL'ETERNA LOTTA REAL-BARCA...
Francesco Persili per ‘Dagospia'

Diego Simeone atletico madrid

«Perché siamo dell'Atletico?». Chissà se quel piccolo tifoso colchonero che in un vecchio spot domandava le ragioni di un simile atto di fede a un padre smarrito abbia rivalutato col tempo quella risposta: «Non è facile da spiegare ma è qualcosa di grande, molto grande». Non sono più gli anni del Patetico Madrid, scordatevi tutte le solfe sulla nobile decaduta del calcio spagnolo. I ‘materassai' di Madrid, i parenti poveri del Real, sono tornati al vertice del calcio spagnolo e quel bambino comincia a capire. ‘Qualcosa di grande, molto grande' è la squadra di Simeone che batte i blancos al Bernabeu, se la gioca alla pari col Barcellona, guida la Liga con gli stessi punti dei blaugrana (primi per differenza reti) e la migliore difesa del campionato spagnolo.

atletico madrid barcellona

Il derby dell'antimadridismo del Calderon finito zero a zero fotografa il nuovo equilibrio. Terzo pareggio consecutivo con i catalani (dopo i due nella Supercoppa di Spagna), nell'eterna sfida Barca-Real si inserisce un terzo incomodo: l'Atletico di Simeone. 50 punti su 57, il tecnico argentino stappa: «Un record che mi riempie d'orgoglio, se pensiamo che tra noi e il Barcellona c'è una differenza di fatturato di 400 milioni»...

Atletico Madrid v Barcelona Atletico Madrid s

Già perché se c'è un segreto nella rinascita dei colchoneros, quel segreto ha il capello unto di gel e il total black da gangster del Cholo. Il tecnico argentino ha cambiato volto, anima e destino del club rojiblanco. Due anni fa prende il posto di Manzano e trascina i colchoneros alla rimonta in campionato e alla conquista dell'Europa League. L'anno scorso l'entrata in Europa dalla porta principale, la Champions. Il resto è storia di questi mesi. Dominio nel girone, pass per gli ottavi e partitazo col Milan.

Atletico Madrid Barcellona x

Idolo della tifoseria biancorossa, Simeone ha sintonizzato la temperatura emotiva della squadra sui valori del club di cui lui è ambasciatore sul campo dal 1996, l'anno del doblete colchonero (Liga-Coppa del Re). Passione, fiducia e veemenza agonistica. Ha alzato il volume della convinzione e ha voluto sentire il rumore dei tacchetti, l'odore della battaglia. Adrenalina ed elettricità ma anche qualità con la coppia di centrali difensivi Miranda-Godin, il redivivo Thiago, Gabi e Koke, il profeta turco Arda Turan e lì davanti l'ostinazione dell'ispano-brasiliano Diego Costa che ha mandato in sollucchero Fabio Capello: «Forza fisica, tecnica, è un trascinatore».

Corazon e motivazione. L'effetto Simeone. L'artefice della rimonta-scudetto della Lazio nel 2000 con quel colpo di testa a Torino che condannò la Juventus, l'uomo che fatto tornare in cattedra l'Estudiantes, ha salvato il Catania, ha restituito dignità al popolo colchonero.

diego simeone atletico madrid

Lo vedi dalla connessione sentimentale col pubblico del Vicente Calderon, da come arringa la folla. È uno di loro. Modi spicci, Simeone passa per un sergente di ferro, e un po' lo è. Qualcuno ha rivisto nei suoi metodi certe asprezze degne del peggior Passarella, ma rispetto all'ex libero di Inter e Fiorentina, Diego riesce ad avere più empatia con i suoi uomini. Il Cholo è quello che nelle situazioni avverse si esalta, il motivatore che sa scegliere tempi, parole e anche i film giusti. Ai tempi dell'Estudiantes prima della partita con il Gymnasia caricò la squadra con "Ogni Maledetta Domenica" e a quell'abitudine non ha più rinunciato: «in questa squadra si combatte per un centimetro».

diego simeone atletico madrid

La forza del gruppo e la ‘garra', la grinta, e già, è questa l'essenza del ‘cholismo', un modo di fare le cose che è sostanza, concretezza, lavoro che non si lascia mai a metà. Lotta dura senza paura e una cattiveria agonistica che scalda il cuore. E guai a chi tira indietro il piede. Alla faccia del joga bonito e del calcio tacco, punta e ghirigori vari. Ché le partite non si giocano, si vincono. E comunque non si devono perdere. Così il muro di Simeone regge l'urto anche di Messi e Neymar che il ‘Tata' Martino butta dentro nel secondo tempo per scardinare il bunker del Cholo. Niente da fare, e fa niente che oggi il Real Carlo può andare a meno tre. «Una gara alla volta, fino alla fine», ripete Simeone.

lionel messi barcellona

L'antimadridismo ha trovato il suo centro. Sulla panchina dell'Atletico dove si agita anche "El Mono" Burgos, il Sancho Panza del Cholo. Rocker ed ex portiere molto "sui generis" dell'Atletico, tra papere e parate poco ortodosse (riuscì a respingere un rigore di Figo col naso!), si proclamò anti-Beckham («se lui è il bello, io sono la bestia, se lui è il nuovo Narciso, io sono l'incredibile Hulk») e a Mou si rivolse come nemmeno in quei campacci di Argentina raccontati da Soriano («te arranco la cabeza, ti spacco la testa»).

«Perché siamo dell'Atletico?». Non è facile da spiegare ma è qualcosa di grande, molto grande. Simeone, Burgos e quegli undici assatanati che stanno provando a fare la rivoluzione di Spagna. La loro vita è tutta lì, in quei 10 centimetri davanti alla faccia, col Cholo che ti obbliga a lottare...

 

 

SARÀ IL NUNZIA-GATE A DARE IL VIA AL RIMPASTO? - PD E GRILLINI CHIEDONO CHE LA MINISTRA RIFERISCA IN PARLAMENTO

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Francesco Bei per "La Repubblica"

NUNZIA DE GIROLAMO

- Il rimpasto è sempre più vicino. Tempo due settimane e ci sarà un nuovo governo, la strada ormai è segnata. Al ritorno da Città del Messico, Enrico Letta dovrà iniziare a ragionare in fretta sulla scomposizione e ricomposizione della sua squadra, come gli hanno chiesto Matteo Renzi e gli alleati minori consultati in questi giorni. Un'operazione che il premier finora ha cercato di evitare ma che, ormai, non sembra più rinviabile. Tanto più che il Pd ora chiede che Nunzia De Girolamo si presenti in Parlamento per "chiarire" il suo coinvolgimento nella vicenda della Asl di Benevento.

Sono diversi i ministri in bilico in questa giostra, una lista a cui si è aggiunta appunto anche De Girolamo. L'interessata, che non risulta indagata, ieri ha ammesso di aver "sbagliato nell'usare espressioni poco eleganti, anche se le ho usate in casa mia e sono state registrate abusivamente e illegalmente". E tuttavia la luce sul suo caso resta accesa, soprattutto da parte dei renziani che ne approfittano per non mollare la presa sull'esecutivo.

MICHELA VITTORIA BRAMBILLA BEATRICE LORENZIN NUNZIA DE GIROLAMO FOTO LAPRESSE

Il pretesto, come sul caso Cancellieri, lo forniscono i grillini, che insistono sulla richiesta di una seduta parlamentare. "Venire a riferire in aula sarebbe il minimo", sostiene Luigi Di Maio, il vicepresidente M5S della Camera. I grillini si sono fatti furbi, dopo la vicenda Cancellieri-Ligresti hanno compreso che la mozione di sfiducia a un ministro ha come unico effetto quello di ricompattare la maggioranza. Così chiedono "solo" che De Girolamo venga a riferire sull'affaire beneventano. Una richiesta che trova orecchie attente nel Pd renziano.

"Il ministro De Girolamo deve chiarire in Parlamento e poi si valuterà il suo comportamento", confermano infatti dal Nazareno. Dietro garanzia di anonimato un renziano di provata fede ammette che "se i grillini alzano il tiro non potremo comportarci come con Alfano e Cancellieri e fare finta di niente". Certo il caso De Girolamo è una materia imbarazzante per il Pd, anche da ciò si spiegano i silenzi di palazzo Chigi e dello stesso Renzi. Nunzia è sposata con Francesco Boccia - lettiano doc ma sostenitore di Renzi alle primarie - e ha un rapporto di amicizia da diversi anni con lo stesso Enrico Letta, tanto da far parte del board del think tank lettiano "Vedrò" (responsabile del Mezzogiorno).

FRANCESCO BOCCIA E NUNZIA DE GIROLAMO DA CHI

A parte la questione del ministro dell'Agricoltura (voci di una sua sostituzione con Bruno Tabacci), le pressioni per un rimpasto attraversano la maggioranza e occupano le conversazioni del Transatlantico. Nello stesso Pd se ne parla apertamente: "Spetterà a Letta - spiega il deputato Dario Ginefra, certo non ascrivibile ai renziani - rimediare a talune scelte apparse non sempre all'altezza della sfida che abbiamo assunto con il paese. Si chiami rimpasto, si chiami verifica, l'importante è che si tolga dall'imbarazzo un'intera maggioranza parlamentare dalle troppe scivolate che in questi mesi vi sono state ad opera di alcuni sopravvalutati suoi collaboratori".

L'elenco dei sacrificabili si apre con due ministri finiti da tempo nella lista nera di Renzi. Il primo è il bersaniano Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo economico. Poi c'è il titolare del Welfare, Enrico Giovannini, che ha aggiunto la critica al Jobs Act alle già numerose stoccate rifilate in passato al sindaco di Firenze. Per succedergli è pronto l'ex segretario Pd Guglielmo Epifani, che ha stretto un rapporto solido con Luca Lotti, braccio destro di Renzi. Vacilla il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e persino Fabrizio Saccomanni, nonostante Letta e Napolitano lo coprano totalmente, è finito sulla graticola.

MATTEO RENZI NELL UFFICIO DI LETTA A PALAZZO CHIGI

Al suo posto, potrebbe andare Mario Monti, essendo Scelta Civica in debito di posti (raccontano che il Professore sia in freddo con Enzo Moavero, accusato di non averlo mai difeso dagli attacchi). Ieri, poco prima di incontrare Matteo Renzi, il presidente Pd della Toscana, Enrico Rossi, ha dato voce ai rumors: "Non accadrà. Ma intanto ieri sono circolati due incubi. Berlusconi candidato alle europee. Monti che ritorna con il ministero dell'Economia e delle finanze". Persino il ministro Kyenge potrebbe lasciare, ma stavolta l'uscita sarebbe concordata con il Pd, visto che si parla di lei come capolista alle Europee in una delle circoscrizioni del Nord.

Flavio Zanonato

Ma per fare tutti questi spostamenti Letta potrebbe essere costretto a un passaggio rischioso: le dimissioni con reincarico immediato al Quirinale. Un Letta-bis per azzerare tutto il governo e ripartire con una squadra nuova.

cancellieri saccomanni letta

 

AAA CERCO LAVORO (CAUSA FRATELLO SINDACO TIRCHIO): CLAUDIO DE MAGISTRIS PRONTO A LASCIARE L’INCARICO

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Dagoreport

CLAUDIO DE MAGISTRIS

Mentre a Napoli sbocciano nuovi nomignoli per il sindaco Luigi de Magistris all'indomani dell'ordinanza sulle analisi del Dna delle «cacche» dei cani in strada (nomignoli che vanno da «Giggino 'a scientifica» a «Giggino 'a provetta» a un più banale «Giggino 'a paletta») i vigili sono scesi sul piede di guerra (facendo attenzione a non calpestare niente...) dichiarando che loro, le «deiezioni canine», come dicono i benparlanti, non le raccolgono mica per portarle nei laboratori e farle analizzare. Quindi, siamo punto e daccapo.

CLAUDIO E LUIGI DE MAGISTRIS .png

Ma questo è l'ultimo dei problemi, in queste settimane, a Palazzo San Giacomo. Una stagione si sta per concludere: il «grande fratello», come furtivamente i collaboratori chiamano Claudio de Magistris, consulente gratuito e uomo forte dell'Amministazione comunale, sarebbe pronto a lasciare.

Da un anno circa non prende più lo stipendio da Italia dei Valori e, oltre a mantenere la famiglia deve pure pagare gli avvocati per l'inchiesta sull'«America's Cup» in cui è indagato a Napoli. Troppi soldi, troppe spese. Urge una busta paga.

Giggino, che pure aveva provato a fargli avere un contrattino per il Forum delle Culture, sulla questione del compenso al fratello è super-attenzionato dall'opposizione e dal suo stesso «cerchio magico», e non può proprio muoversi. Da allora, il sindaco ha lasciato perdere «scaricandolo» di fatto. Così, Claudio si starebbe cercando un lavoro.

CACCA DI CANE SUL MARCIAPIEDI

 

IL DUCETTO GRILLO ORDINA: “BOICOTTATE ‘REPUBBLICA’ E ‘LA NAZIONE’” - IL LORO CRIMINE? DUE GRAFICI IMPRECISI

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Da www.lastampa.it

BEPPE GRILLO GIOCA A SCACCHI


I quotidiani fanno «disinformazione scientifica», «metodica» e «chirurgica» ai danni del Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo, dal suo blog, torna ad attaccare i giornali e, in questo caso, se la prende direttamente con due: La Repubblica e La Nazione.

«Il diavolo è nei dettagli, la disinformazione pure», scrive Grillo. E cita due esempi: «La Nazione di venerdì 10 gennaio 2014, articolo sulla composizione del Senato. Il M5S votato da 9 milioni di italiani è genericamente compreso sotto altri. Il M5S scompare senza far rumore. Per il lettore non c'è più, non conta, nulla può e nulla fa».

E ancora, nel mirino di Grillo finisce anche il quotidiano creato da Scalfari: «La Repubblica di venerdì 10 gennaio 2014, edizione di Milano, articolo sui rimborsi elettorali dei partiti in Lombardia. Il M5S ha preso 600.000 euro? Ma non li aveva rifiutati? Sono come gli altri! Pensa il lettore che non si accorge del minuscolo asterisco che rimanda a una nota ancora più minuscola che recita: `rimborsi non utilizzati per decisione di M5S´. È una disinformazione scientifica, al di sotto del livello di coscienza, subliminale. La vittima è sempre il M5S che o non esiste o è come gli altri. Questa disinformazione è nelle redazioni locali, si annida in un sottotitolo - spiega Grillo - dentro un grafico, dietro un asterisco. Disinformazione metodica, chirurgica, seriale che denota un comportamento attento, che non lascia nulla al caso, maniacale, patologico: quello tipico dei serial killer. Della disinformazione. Vanno fermati colpendoli dove più fa male, nel portafoglio. Non comprate più la Repubblica e la Nazione», esorta infine Grillo.

grafico de la nazione su beppe grillo e movimento cinque stele

 

repubblica grafico sui rimborsi elettorali dal sito di beppe grillo

SISTEMA D&G - COSÌ GLI STILISTI (E MOLTI LORO COLLEGHI) ELUDONO LE TASSE ITALIANE CON LE HOLDING IN LUSSEMBURGO

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Bruno Tinti per "il Fatto Quotidiano"

DOLCE E GABBANA CHIUSI PER INDIGNAZIONE CONTRO IL COMUNE DI MILANO

Ma perché venite da me? Andate a prendere i grandi evasori, quelli sì che frodano milioni" . Che è vero, le grandi imprese, quando ci si mettono, di soldi se ne portano via tanti. Ma è anche vero che raccoglie più tonnellate di pesce un peschereccio con rete a strascico carica di sardine che uno yacht che si porta a casa un marlin per volta preso alla traina.

Sia come sia, la cosa giusta da fare è acchiappare tutti: il popolo dell'Iva e i grandi contribuenti; purché evasori, naturalmente. Acchiappare i grandi evasori, però, è più facile. Qui, quando si evade, si evade sul serio. Si chiama elusione fiscale, da qualche tempo nota come abuso del diritto. Volendo semplificare, si studiano forme particolari di rapporti commerciali, in genere tra società straniere e tra queste e società italiane, che - sfruttando i diversi e più favorevoli regimi fiscali di alcuni Paesi - permettono sostanziosi risparmi di imposta.

Domenico Dolce and Stefano Gabbana with Rose McGowan

La cosa in sé potrebbe non essere illecita. Lo diventa quando l'unico motivo per adottare una determinata struttura societaria-imprenditoriale è il risparmio di imposta. Pensate a un'azienda che produce materiale informatico e che trasferisce la sua sede e la relativa fabbrica a Taiwan. Ovvio che vi è convenienza economica: manodopera specializzata, pagata poco (e anche sfruttata parecchio), tasse modeste. In questo caso tutto lecito.

Ma, se questa stessa azienda lascia tutto il suo apparato produttivo in Italia e si limita a spostare le sede legale in Liechtenstein per godere delle tasse bassissime che quello Stato le consente; ecco allora non va bene. Ecco perché l'elusione fiscale non è poi così difficile da scoprire rispetto al nero e alle fatture false: quando si scopre qualche complessa ristrutturazione societaria di cui non si capisce subito il motivo, è molto probabile che gatta ci cova.

DOLCE E GABBANA

Un bell'esempio, che fa capire tante cose, è la storia di Dolce e Gabbana. I due stilisti - fino al 2004 - sono proprietari del loro celebre marchio che gli garantisce guadagni eccezionali: ogni cosa con D&G sopra vale tanto oro quanto pesa; magari di più. Naturalmente, per gestire tanto (meritatissimo) successo, occorre una complessa architettura societaria: i prodotti D&G si vendono in tutto il mondo.

Così Domenico Dolce e Stefano Gabbana costituiscono una holding, D&G srl, di proprietà al 50% di ognuno di loro; mantenendo però la proprietà personale del marchio D&G. La holding, a sua volta, è proprietaria di un'altra società, Dolce & Gabbana srl. Che - cosa importantissima - è licenziataria del marchio D&G: per utilizzarlo deve pagare i relativi diritti - le royalties - ai due creatori e proprietari.

MIUCCIA PRADA E PATRIZIO BERTELLI ARRIVANO A CA CORNER

Dolce & Gabbana srl (la seconda società) è anche proprietaria di una terza società, Dolce & Gabbana Industria spa (che, per li rami, è sempre di proprietà personale dei due stilisti); e questa terza società è quella produttiva, quella che realizza i prodotti e li vende.

Caratteristica, dunque, di questa struttura societaria è che tutto appartiene alle due persone fisiche Dolce e Gabbana; ma i rapporti commerciali e finanziari intercorrono tra i soggetti giuridici, le tre società sopra elencate. Quindi Dolce & Gabbana - la seconda società - paga le royalties ai due stilisti. E la terza società Dolce & Gabbana Industria spa, paga gli utili derivanti dalle vendite alla seconda società, Dolce & Gabbana srl; che, a sua volta, li trasferisce alla holding D&G; che infine li distribuisce ai due stilisti. Insomma utili e royalties arrivano ai due dopo essere passati attraverso queste società; ognuna delle quali - attenzione perché questo è il punto fondamentale - paga le relative imposte allo Stato italiano. Così come fanno i due creatori di moda.

GILBERTO BENETTON

Si vede che non si guadagnava abbastanza. E così, nel 2004 tutto cambia: si va all'estero, in Lussemburgo. Qui si creano due nuove società, Dolce & Gabbana Luxembourg s.a.r.l. e Gado s.a.r.l.; il resto rimane in Italia. Ma i rapporti societari sono rivoluzionati. La holding (D&G) controlla Dolce & Gabbana Luxembourg che a sua volta controlla Gado (lussemburghese) e Dolce & Gabbana srl (italiana), quella che era licenziataria del marchio D&G e che pagava (in Italia) le royalties ai due stilisti.

Ma i due a questo punto vendono il marchio a Gado (la seconda società lussemburghese) che lo concede subito in licenza a Dolce & Gabbana srl (italiana, quella che già ce li aveva in licenza ma da parte delle due persone fisiche Domenico e Stefano). Così questa società che, fino al 2004, pagava le royalties ai due stilisti direttamente in Italia; adesso le paga a Gado, in Lussemburgo. Conseguenza: niente royalties pagate in Italia, niente tasse; royalties pagate in Lussemburgo, tasse in Lussemburgo. Di ammontare ridicolo, hanno detto i giudici, c'è stato un accordo con lo Stato lussemburghese molto vantaggioso.

Giulia Paolo Jonella e Salvatore Ligresti

Ma l'appetito vien mangiando. Per migliorare il saldo attivo (in Lussemburgo) e peggiorare quello passivo (in Italia), le royalties sono state aumentate: da 0,5% (quello che Dolce & Gabbana italiana pagava ai due stilisti) si passa a 3,8% (quello che ora viene pagato a Gado, società lussemburghese). Tanto, su questi utili, le tasse si pagano in Lussemburgo; e, grazie ai vantaggiosi "ridicoli" accordi ivi stipulati, sono abbastanza poche.

DIEGO DELLA VALLE CON SCARPE TODS

Questo significa anche che sugli utili spettanti a Dolce & Gabbana srl (italiana) per via delle miliardarie vendite, c'è un'importante deduzione: i miliardari costi che si devono pagare a Gado. Insomma, è vero che entrano tanti soldi su cui si debbono pagare le tasse in Italia; ma è anche vero che ci sono tanti costi e che il reddito alla fine è quello che è. Ci dispiace.

Insomma, utili e tasse vengono spostati in Lussemburgo: i costi restano in Italia. Commissione tributaria e Procura di Milano hanno detto che non sta bene. Ecco questa è l'evasione dei grandi. Importante. Ma ha il difetto di essere fatta alla luce del sole: sgattando un po' (e studiando il giusto) li si acchiappa. E infatti non è frequentissima. Però cuba, altroché.

 


SUA SANITÀ DEL SANNIO - IMPRESE AMICHE E NEMICHE, IL ‘CERCHIO TRAGICO’ DELLA DE GIROLAMO

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NUNZIA DE GIROLAMO

1. "QUELLE IMPRESE NON LE VOGLIO VEDERE" COSÌ IL MANAGER DEL MINISTRO DETTAVA LEGGE
Conchita Sannino per "la Repubblica"


Un ordine calato dall'alto. «Quelli non li voglio». Quelli, cioè i concorrenti dell'associazione temporanea di imprese Sanit che si occupava del servizio 118. Un manager della pubblica amministrazione registrato mentre indicherebbe chi, o quale società, escludere dall'imminente gara d'appalto per il servizio del trasporto dei pazienti. Un'ingerenza commessa alla presenza di Sua Sanità del Sannio, l'allora parlamentare Nunzia De Girolamo, oggi ministro del Ncd?

Eppure è la voce di Michele Rossi, il direttore generale della Asl di Benevento ora avvolta dallo scandalo delle «registrazioni » a sorpresa rubate dall'ex direttore amministrativo Felice Pisapia, a confermare il singolare veto. Che poi si tradurrà, forse per coincidenze, in una estromissione. Ecco uno dei nodi dell'inchiesta giunta ad un punto di svolta sul «direttorio politico-partitico costituito al di fuori di ogni norma di legge», come lo definisce il gip del Tribunale di Benevento, Flavio Cusani.

Non è escluso che le indagini, quasi indirizzate nell'ordinanza dello stesso Cusani con toni severi nei riguardi di quella struttura, coinvolgano ora anche esponenti del «ristretto» gruppo di potere, vicinissimi al ministro. Dalle parole del superteste Arnaldo Falato, raccolte in Procura e raccontate da Repubblica, alle distinte disavventure di due aziende. Casi emblematici che mostrano il metodo-direttorio.

LA CONDANNA DI BERLUSCONI PELLEGRINAGGIO A PALAZZO GRAZIOLI NUNZIA DI GIROLAMO

Caso Sanit, ad esempio. Il dirigente della Asl Falato dice al pm Giovanni Tartaglia Polcini: «Il dg Rossi mi disse che proprio la gara del 118 doveva essere bloccata assolutamente».

È il servizio che all'epoca è ancora svolto da Sanit, che attende l'apertura della gara. Ma si verificano strane circostanze, oggi riscontrate in un esposto consegnato mesi fa in Procura dall'amministratore di Sanit, il calabrese Annunziato Femia. Il contenuto lo spiega l'avvocato Francesco Lilli: «Abbiamo assistito a vicende davvero incredibili, ipotesi di abusi. Da quando arrivò il direttore Rossi, si verificarono singolari circostanze: la gara d'appalto fu sospesa e poi revocata, e intanto i mandati di pagamento per Sanit ritardarono di molto, troppo».

Accade così che, con il mancato trasferimento delle risorse, «gli stipendi saltavano: la Sanit divenne il bersaglio di una violenta campagna mediatica a livello locale e perse la positività del Durc, il documento di regolarità contributiva senza il quale non si partecipa alle gare. Un cane che si morde la coda». Così Sanit va via e si appella alla giustizia. Altra storia, di diverso segno, porta alla Pulitecnica: società che si occupa della pulizia di Comune, Asl ed altro, riferibile ieri come oggi ai De Pierro, famiglia prima vicina ai Mastella, oggi fedele alla De Girolamo.

Nunzia De Girolamo

Svela sempre Falato al pm: «Ricordo che quando il dottor Pisapia dispose il mandato di pagamento per Pulitecnica, vicina ai Mastella, il dottor Rossi mi richiamò e mi redarguì ». Il pm chiede: «Ma i pagamenti non si fanno in base alle reali prestazioni?». Falato: «Certo, ma il dg mi disse che quella ditta era avversa e per questo motivo non fu pagata per mesi». Due anni dopo, Repubblica chiede lumi a Giovanni De Pierro, socio dell'azienda e padre di Francesco, consigliere comunale a Benevento di area centrodestra. «Ah guardi, non ricordo di questi pagamenti ritardati », sorride De Pierro senior.

Eppure tutti raccontano a Benevento che la situazione si è regolarizzata solo quando suo figlio Francesco ha lasciato l'Udeur. «Ma no, mio figlio sta nel gruppo misto, certo dialoga con la De Girolamo eccome, e con altri».

Eppure lo stesso sindaco, Fausto Pepe, la racconta con franchezza: «Il consigliere De Pierro è vicino a quell'area e mi ha votato contro in più occasioni. La vicenda della Pulitecnica si conosce. Ma il vero nodo di questa storia è che qui o eri con lei, con la De Girolamo, o contro di lei. Il ministro non ha mai pensato, nelle sue uscite pubbliche, di avere un dialogo con il sindaco. O eri con lei, o contro di lei. Da questa storia emergono profili seri di cui voglio parlare nell'assemblea dei sindaci: mani su sanità, piccole grandi intrusioni sul territorio, il bar, la multa ricevuta dall'amico che fa mozzarelle ».

Pepe sta guidando ora, insieme alla soprintendenza, quei controlli approfonditi che porteranno lunedì alla fatale chiusura del bar dell'ospedale Fatebenefratelli, la cui gestione è stata aggiudicata, evidentemente per caso, allo zio del ministro De Girolamo, Franco Liguori. Perché solo ora?

Fausto Pepe sindaco Benevento

Risponde il sindaco. «I vigili già andarono in quel locale, ma c'erano lavori in corso, e risultava l'auto-certificazione in cui si sosteneva il possesso di tutte le autorizzazioni. Titoli che invece mancano». È la vicenda per la quale l'allora deputata fa sfoggio di potere davanti al direttorio, nelle registrazioni rubate: «Mandagli i controlli e vaffanculo », o chiama «tirchi» i frati dell'Ordine che non si sbrigano a concretizzare le sue indicazioni. O eri con, o contro, Sua Sanità del Sannio.


2. DE GIROLAMO, L'APPALTO DEL 118 E I FONDI PER IL CONGRESSO PDL - IL VERBALE DI PISAPIA, EX DIRETTORE AMMINISTRATIVO DELL'ASL DI BENEVENTO, CHE ACCUSA IL MINISTRO
Vincenzo Iurillo e Marco Lillo per "il Fatto Quotidiano"

Una società gradita agli uomini di Nunzia De Girolamo è stata favorita nell'appalto milionario del 118 di Benevento mentre un'altra, sgradita al "direttorio politico-partitico" (come lo chiama il gip dell'indagine sulla Asl di Benevento che non vede indagata la De Girolamo) è stata penalizzata con pagamenti ritardati. La ragione? La società amica aveva sponsorizzato il congresso del Pdl. Sono le accuse del manager Felice Pisapia, contenute in un verbale inedito di gennaio 2013.

La gara del 118 è il capitolo più importante dell'informativa della Guardia di Finanza del 12 dicembre scorso che Il Fatto ha pubblicato integralmente on line. Vi si possono leggere le trascrizioni delle parole di Nunzia De Girolamo in materia. A casa del padre, quel giorno di luglio del 2012, ci sono due collaboratori dell'allora deputato Pdl, il giornalista Luigi Barone e l'avvocato Giacomo Papa, suo vicecapogabinetto e poi i vertici della Asl, il Direttore generale Michele Rossi, tuttora in carica, e Felice Pisapia, colpito da un provvedimento restrittivo il 27 dicembre.

Nunzia chiede a Pisapia se sia possibile fare un affidamento diretto per il 118, un appalto triennale che vale 12 milioni di euro. Il manager le dice che ci vuole una gara. Giacomo Papa parla di "by-passare la gara". Pisapia sostiene che è rischioso e Nunzia sembra d'accordo ma quando cominciano a opporle motivi formali sbotta contro "ste cazzo di carte".

Felice Pisapia asl Benevento

Pisapia racconta ai pm di avere sventato la manovra di De Girolamo e compagni per la nuova gara rifiutandosi di consegnare a Giacomo Papa, attuale vicecapogabinetto del ministro dell'agricoltura, i capitolati in anticipo. Il pm di Benevento Giovanni Tartaglia Polcini 11 mesi dopo questo interrogatorio ha chiesto per la gola profonda il provvedimento restrittivo. Ma ha anche chiesto alla Finanza di accertare se nelle conversazioni registrate ci siano reati. Allo stato la Finanza non ne ha trovati. Ecco cosa dice al pm Pisapia.

Pisapia: Michele Rossi, dg della Asl, vuole danneggiare Sanit per favorire altri, tipo Modisan.

Pm: Perché e come?

P.: Emerge da incontri politici in cui Sanit veniva demonizzata mentre Modisan, che aveva sponsorizzato il congresso del Pdl, veniva esaltata. (Le due società svolgevano insieme il servizio del 118 in associazione di imprese ma secondo Pisapia Sa-nit era danneggiata con il "mancato pagamento di spettanze", Ndr) Modisan aveva anche altri appalti con l'azienda per cui poteva essere pagata ad altro titolo ed, essendo stato bloccato il pagamento del servizio 118, Sanit entrava in crisi mentre Modisan riusciva a sopravvivere.

Pm: Lei era presente a questi incontri politici? Si rende conto della gravità delle dichiarazioni che sta dicendo?

P.: Me ne rendo conto perché ho tentato di impedire quanto appena dichiarato

PM: Lei intende ribadire che sono stati ritardati i pagamenti a una società non già per ragioni di regolarità contabile ma per motivi politici?

Michele Rossi asl Benevento

P.: Per quanto riguarda la Sanit sicuramente.

PM: Chi era presente a questi incontri politici? (Il pm non ha ancora ricevuto il cd con l'audio degli incontri, Ndr).

P.: Michele Rossi (Dg dell'Asl), Ventucci (dirigente dell'Asl non presente all'incontro di luglio, Ndr), l'avvocato Giacomo Papa, e Luigi Barone.

PM: Tutti erano consapevoli di quanto lei ha detto?

P.: Sì

PM: A che titolo partecipavano alle riunioni?

P.: partecipavano in qualità di esponenti del Pdl vicini a Nunzia De Girolamo.

PM: l'onorevole De Girolamo era a conoscenza di quanto lei ci sta dichiarando?

P.: Sì. Lei era presente a casa del padre a San Nicola Manfredi.

PM: Lei in quell'occasione ebbe modo di dire che si trattava di atti illegittimi?

P: Ero l'unico a dirlo e mi riferivo alla gestione complessiva dell'azienda e agli affidamenti diretti effettuati anche per cifre di un milione di euro e che non sono stati effettuati perché l'ho impedito non fornendo documentazione a chi era stato incaricato di occuparsi di questa cosa.

NUNZIA DE GIROLAMO

PM: Faccia i nomi, date e circostanze

P.: Avrei dovuto consegnare personalmente i documenti dei capitolati da predisporre all'avvocato Giacomo Papa che avrebbe operato le sue modifiche per poi consegnarle a me per l'Asl.

PM: Ma che c'entra Papa con il capitolato dell'Asl?

P.: Niente

PM: Per conto di chi doveva predisporre questi capitolati l'avvocato Papa, dal lato delle imprese?

P.: Come impresa non lo so ma come committenza per conto del direttore generale Rossi e della deputata predetta (Nunzia De Girolamo, ndr).

PM: E' successo solo in questa occasione?

P.: No abbiamo fatto anche altre riunioni (...) nel senso di comporre le commissioni mediche in maniera da renderle affini all'orientamento politico del direttore generale chiaramente per fini elettorali, avevano necessità di voti. Si fa proselitismo politico utilizzando la pubblica amministrazione e gli stipendi.

NUNZIA DE GIROLAMO CONTRO MASTELLA

PM: Si rende conto che lei sta accusando le persone del delitto di voto di scambio o quanto meno abuso di ufficio?

P.: Sì.

"Siamo esterrefatti che esponenti di Forza Italia, un partito per definizione garantista, si prestino a cavalcare una operazione del genere" ha detto ieri Fabrizio Cicchitto del NCD. E ieri Mara Carfagna ha subito corretto il tiro: "non ho in alcun modo avanzato l'ipotesi di sostenere una mozione di sfiducia nei confronti del ministro De Girolamo".

 

BERSANI LASCIA LA TERAPIA INTENSIVA E VIENE TRASFERITO NEL REPARTO DI NEUROCHIRURGIA: “CONDIZIONI STABILI”

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Da www.repubblica.it

Pierluigi Bersani è uscito da terapia intensiva come informa un bollettino medico dell'ospedale di Parma diramato attorno alle ore 12."Il decorso dell'onorevole Pier Luigi Bersani prosegue regolarmente e le condizioni permangono stabili, in linea con l'iter post operatorio.

LA MOGLIE DI BERSANI IN OSPEDALE

Il paziente è stato trasferito , nella serata di ieri, presso la degenza monitorata del reparto di Neurochirurgia, dove viene mantenuto sotto stretto controllo dall'equipe dei neurochirurghi e dei neurorianimatori. Le visite, ancora per qualche giorno, saranno riservate solo ai famigliari."

L'ultimo bollettino medico ufficiale dell'ospedale Maggiore di Parma, sabato pomeriggio, parlava di "condizioni stabili" e già anticipava di fatto il trasferimento.

Bersani era stato ricoverato e operato per cinque ore domenica scorsa per una emorragia cerebrale.

 

Pierluigi Bersani

TRA I DUE AMOREGGIANTI, LA TERZA SOFFRE: VALERIE TRIERWEILER RICOVERATA IN OSPEDALE

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1. VALERIE TRIERWEILER RICOVERATA IN OSPEDALE DA GIOVEDÌ SERA
Dagoreport

hollande-gayet-trierweiler

Secondo "Le Parisien" (e ci sarebbero conferme anche dall'Eliseo), la première dame Valerie Trierweiler è stata ricoverata in ospedale giovedì sera, alla vigilia della pubblicazione delle foto della tresca tra il suo compagno, il presidente Francois Hollande, e l'attrice Julie Gayet.

Poco prima del ricovero, era stata anticipata la notizia della relazione tra i due, e la Trierweiler sarebbe stata portata in ospedale per il forte stress. I medici le hanno imposto un periodo di riposo.

Per questo Hollande, pur non negando la relazione, ha imposto il silenzio ai media e ha minacciato azioni legali contro "Closer", i cui fotografi hanno seguito per settimane le sue visite nel "pied à terre" della 41enne Gayet.

HOLLANDE-GAYET: "FINANCIAL TIMES"

Poco dopo la rivelazione della tresca, sulle tv francesi è cominciato un dibattito sul ruolo di Valerie. La "Rott-weiler" e Hollande infatti non sono sposati, e membri dell'UMP, il partito all'opposizione, hanno subito chiesto che la donna lasci l'Eliseo e, soprattutto, non goda più dei benefici che derivano dal ruolo di première dame. Tra questi, ci sono 5 persone di staff personale, l'utilizzo di auto e voli di Stato, delle residenze presidenziali sparse per il Paese, nonché del servizio di sicurezza dell'Eliseo.

I maligni chiedevano: perché dovrebbe godere di questi privilegi se non è più la compagna del presidente e a tutti gli effetti vivono due vite separate? Sottolineando inoltre che sarebbe la prima consorte a lasciare l'Eliseo prima della fine del mandato del marito/fidanzato.

HOLLANDE-GAYET

Questi dibattiti in tv non hanno aiutato l'umore di Valerie, tosta giornalista, né di Hollande, che si trova in una posizione inedita per un presidente francese, e ha annunciato una conferenza stampa martedì, in cui dovrebbe chiarire la sua situazione familiare.

gayet

2. SULLO SCANDALO L’OMBRA DELLA CRIMINALITA’  

La Stampa.it - Ma lo scandalo non è finito qui. Secondo il sito online Mediapart l’appartamento utilizzato dal presidente Francois Hollande per gli incontri con l’amante, l’attrice Julie Gayet, è intestato a Michel Ferracci, un corso accusato di far parte della criminalità organizzata. Sulla cassetta della posta dell’appartamento che ospitava gli incontri fra Hollande e la Gayet figura il nome di Michel Ferracci.

Secondo la rivista dello «scoop», Closer, la Gayet occupa l’appartamento da oltre sei mesi. Ferracci, compagno dell’attrice Emilie Dequenne, ha subito una condanna nell’inchiesta sul cosiddetto «circolo Wagram», una sala da gioco vicino agli Champs-Elysees diventata associazione per delinquere dedicata al riciclaggio del denaro sporco delle grandi gang della criminalità corsa. 

gayet

Ferracci è considerato un fedelissimo di un ex boss corso della Brise de Mer, la mafia corsa, Richard Casanova, assassinato nel 2008. Ferracci, condannato a 18 mesi con la condizionale, si è riciclato come attore, in una serie tv dedicata alla criminalità («Mafiosa»).

Nell’appartamento corrispondente alla cassetta della posta, risulta affittuario. La proprietà sarebbe, secondo il periodico Valeurs actuelles, della moglie di un big della Borsa di Parigi, mecenate di artisti e attori. L’appartamento sarebbe stato utilizzato, a quanto risulta, anche da un altro presidente, Jacques Chirac, durante la sua permanenza all’Eliseo. 

3. HOLLANDE E LA PRESUNTA AMANTE JULIE - TUTTE CON VALÉRIE (ANCHE SE ARPIA)
Maria Laura Rodotà per il "Corriere della Sera"

FRANCOIS HOLLANDE E VALERIE TRIERWEILER jpeg

Se si è donne di buonsenso, se si è donne di carattere, se si è donne con qualche peccato e non intenzionate a scagliare pietre, stavolta si dovrebbe tifare per l'arpia. Intesa come Valérie Trierweiler detta Rotweiler, non first lady ma prima convivente. Giornalista non geniale ma tenace. Ex ragazza ambiziosa che credeva nello slogan «non prendetevela, prendetevi tutto» (incluso il cognome ganzo del primo marito e il futuro presidente francese, sottratto a una forse non più interessata Ségolène Royal).

Valerie Trierweiler Hollande

Gaffeuse su Twitter contro la compagna (anche nel senso delle unioni civili) che l'aveva preceduta; accusata di «sindrome di Maria Antonietta» per essersi trovata bene all'Eliseo (non tutti sono papa Francesco; chi ha a disposizione la cantina dell'Eliseo rischia di trasformarsi rapidamente in «champagne socialist», e di essere troppo brillo/a per trovarlo un insulto).

Malvista dai tradizionalisti perché ha continuato a lavorare (comodamente) dopo l'elezione di François Hollande, motivando «devo mantenere i miei tre figli». Detestata anche dai delusi di Ségo, che politicamente è più astuta, e dai figli da lei avuti con Hollande, che la trattano tipo strega di Biancaneve. E dall'altro ieri oggetto - in quanto donna tradita - di quello che sembra un sentimento sottotraccia di schadenfreude , di soddisfazione generale per i suoi guai.

GAYET

E lei che twittava contro Ségo - la prima non moglie, è ora più che mai bersaglio di battute sui social network. Di analisi malevole di colleghi e non che annunciano il suo prossimo abbandono del palazzo presidenziale perché «cocue» cioè cornuta, «ripudiata», «licenziata».

Nella sua condizione attuale c'è molto dell'epilogo perbenista da storia francese libertina, più libertina per i maschi. Un po' dei guai finali di madame de Merteuil nelle Relazioni pericolose (un bombardamento su Twitter può essere peggio dei segni del vaiolo), un po' del detto nazionale «quando un uomo lascia la moglie per l'amante, si libera un posto da amante».

HOLLANDE-GAYET

E insomma, qualunque donna si sia almeno una volta comportata malissimo, in questa ennesima pochade presidenziale che di nuovo ci fa appassionare ai francesi, dovrebbe un po' simpatizzare con lei (tra l'altro: Hollande ha 59 anni, Royal 60, Trierweiler 48, la new entry Julie Gayet 41; comunque una femmina si comporti, il suo partner anche un po' «boudin» può riuscire a sostituirla con un modello più recente, a occhio e croce, pare).

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LA PRIMA PAGINA DI CLOSER CON LE FOTO DI HOLLANDE E JULIE GAYET

UN BANCHIERE PRESTATO ALLA POLITICA: CHIAMPARINO SCENDE IN CAMPO IN PIEMONTE E ACCELERA I TEMPI: ELEZIONI A MAGGIO?

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Marco Imarisio per il "Corriere della Sera"

Guglielmo Epifani Walter Veltroni Laura Boldrini Eugenio Scalfari e Sergio Chiamparino

Chiamparino, pensaci tu. Il piano del centrosinistra per ottenere le elezioni regionali a tempo debito fa leva sul fascino discreto e molto trasversale dell'ex sindaco di Torino. La misteriosa «soluzione politica» auspicata dal Pd e anche da pezzi in incognito del centrodestra piemontese consiste in pratica nella capacità del neo candidato di attirare a sé i moderati della coalizione di Roberto Cota, che non sono pochi, magari con la promessa di un futuro in una eventuale lista civica a egemonia democratica.

Quando la casa è lesionata basta un soffio per farla venire giù. Cota è ormai un governatore dimezzato, come la sua giunta, che da giovedì non dispone più di pieni poteri, obbligata a fare soltanto atti «indifferibili o urgenti» in attesa di un ricorso al Consiglio di Stato che potrebbe chiudere la finestra temporale per votare a maggio in contemporanea con le elezioni europee. L'esame del bilancio regionale, e poco altro. Ai primi di dicembre la maggioranza era stata travolta dagli esiti dell'inchiesta sulle cosidette spese pazze con i soldi dei contribuenti.

CHIAMPARINO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

A forza di scontrini che attestavano l'acquisto di campanacci per le mucche, staffe per i cavalli, giochi Nintendo e gigantesche forme di gorgonzola piccante, l'intera classe dirigente del centrodestra al governo in Piemonte era riuscita a cadere nel ridicolo, avversario forse più insidioso degli avvisi di garanzia recapitati dalla procura a 43 consiglieri regionali, tra i quali lo stesso Cota.

Il tempo sembrava scaduto. Fu proprio in quei giorni che un gruppo di esponenti del Pd lanciò un appello dove si invocava come una panacea per tutti i mali il ritorno di Chiamparino. Gli ideatori fecero le cose per bene, raccogliendo 170 firme che comprendevano diciassette parlamentari d'area, cinque consiglieri regionali e poi una sfilza infinita di sindaci, amministratori locali, segretari di circolo, in pratica tutto l'organigramma del partito. All'interno del Pd l'iniziativa venne giudicata come una interferenza indebita e liquidata come la solita iniziativa estemporanea di quel pasdaran del senatore Stefano Esposito.

cota annullato - by fotomontaggi politici

Adesso che la giustizia amministrativa sembra aver tolto le castagne dal fuoco alla politica, e in tema di dimissioni i consiglieri regionali del Pd non avevano dato gran prova di sé, l'idea alla base di quell'appello sembra diventata parola d'ordine. «La sola disponibilità di Sergio Chiamparino ha già gettato scompiglio e una certa agitazione in quel che resta della maggioranza» sostiene Esposito, che in tempi non sospetti dichiarò il suo scarso trasporto per la via giudiziaria alla politica.

Il netto anticipo con il quale l'ex sindaco ha dato la sua disponibilità equivale a quella raccolta di firme neppure così lontana nel tempo. L'approdo al Consiglio di Stato, ultima tappa di questo estenuante e ormai quadriennale viaggio attraverso tribunali di ogni ordine e genere potrebbe essere evitata grazie alla capacità chiampariniana di attirare a sé i moderati della coalizione di centrodestra. A fare di conto basta una manciata di consiglieri della maggioranza che gettano la spugna. Oppure, più probabile, le dimissioni di qualche assessore.

bossi battezza cota con l acqua del Po

I margini di manovra dell'attuale maggioranza sono ormai minimi. La pur legittima resistenza giudiziaria di Cota potrebbe far saltare il voto a maggio che avrebbe l'indubbio vantaggio di essere gratis, con le spese coperte dallo Stato al quale toccano già gli oneri delle elezioni europee.

Il voto in solitaria, in autunno o quando sarà, costerebbe alle casse della Regione una cifra compresa tra i 25 e i 30 milioni di euro, e renderebbe impossibile la già ardua rincorsa a Chiamparino. I candidati all'impresa comunque non mancano. L'ultimo in ordine di tempo è l'ex senatore Osvaldo Napoli, berlusconiano di ferro, assiduo frequentatore di studi televisivi, uno che si butta sempre e comunque. «Con tutto il rispetto per Cota, credo che sia ormai il caso di pensare al futuro. Quanti sono quelli davvero disposti a lanciarsi e prendere una botta? Io ci provo, credo di avere le caratteristiche giuste per impedire una vittoria annunciata».

Osvaldo Napoli

La medicina sarà comunque amara. Il ricorso al Consiglio di Stato e l'aggravio del costi sulla Regione potrebbe essere preludio al disastro elettorale. Molti consiglieri regionali fanno di conto, ben sapendo di essere al loro ultimo giro in Regione. La voglia di avvitarsi alla sedia per il tempo che resta è stemperata dalla consapevolezza che tra gli «atti indifferibili e urgenti» non è prevista la nuova legge elettorale.

Si andrà a votare con l'attuale sistema. Quaranta consiglieri scelti con il proporzionale, un premio di maggioranza striminzito che ne attribuisce altri dieci, compreso il futuro governatore. La presenza massiccia dei Cinque Stelle, mai così forti in Piemonte, assicura invece la necessità dei vincitori di mettersi d'accordo con qualcuno. Chiamparino attende. La notte è buia, ma c'è luce persino in fondo al tunnel del centrodestra piemontese.

 

POTEVA MANCARE PROPAGANDA FIDE NELLA “RETE” DEL FISCALISTA-SPIA PAOLO OLIVERIO? CERTO CHE NO!

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Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

Nella «rete» di Paolo Oliverio c'era anche Propaganda Fide. Il fiscalista arrestato per gli affari illeciti nella gestione patrimoniale dei padri Camilliani si sarebbe occupato degli immobili della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli e questo sembra confermare quanto la sua rete fosse ben radicata all'interno del Vaticano. Lo racconta ai pm uno dei finanzieri che si era messo al suo servizio e per questo è adesso in carcere.

PADRE RENATO SALVATORE

Assistito dall'avvocato Davide De Caprio, il sottufficiale Alessandro Di Marco - accusato di sequestro di persona per aver tenuto in una caserma per un intero giorno due sacerdoti che si opponevano alla rielezione del generale superiore dei Camilliani Renato Salvatore - ha deciso di rispondere alle domande dei magistrati per cercare di alleggerire la propria posizione chiarendo che «con Oliverio eravamo diventati amici perché io volevo entrare nei servizi segreti, è il mio più grande desiderio da quando sono nella Guardia di Finanza».

E aggiunge: «Ero in condizione di sudditanza nei confronti di Oliverio, ancora oggi penso che abbia potentissimi contatti». Giura di aver prelevato e interrogato i due prelati «perché Oliverio disse che c'era un'istituzione che operava in tutto il mondo al cui interno c'erano fenomeni di mal governo, mi diede un dossier, mi disse che i due sacerdoti stavano operando lo svuotamento delle casse e dunque era nostro interesse capire che cosa stesse accadendo».

Gli appalti della Santa Sede
La ricerca della verità sulla vita di Oliverio appare tutt'altro che conclusa. Lo accusano di aver riciclato i soldi della ‘ndrangheta e dei vecchi esponenti della Banda della Magliana, di aver organizzato ricatti e truffe, di aver fatto da prestanome per grosse operazioni finanziarie.

Di certo c'è che, pur non essendo iscritto all'ordine dei commercialisti, aveva clienti facoltosi che a lui si rivolgevano per risolvere problemi fiscali. Soprattutto che per due anni - da settembre 2009 allo stesso mese del 2011 - ha lavorato per gli 007 dell'Aisi, l'Agenzia per la sicurezza interna. E proprio con una tale «copertura» si sarebbe infiltrato in numerosi ambienti. Adesso bisogna capire per conto di chi, soprattutto con quale obiettivo. Per questo è importante ascoltare che cosa raccontava ai militari suoi complici.

GUARDIA DI FINANZA

Dichiara Di Marco: «Oliverio mi disse: "Io conosco tanta gente in Propaganda Fide", che gestiva gli immobili, "ho conoscenze importanti" e un mio amico imprenditore era molto interessato a questa cosa. Poi nel corso di una cena mi disse che era il direttore amministrativo della congregazione che a Napoli stava ristrutturando un ospedale». È uno degli affari che gli furono affidati dai Camilliani.

Secondo gli avvocati del superiore generale, Massimiliano Parla e Annarita Colaiuda «Oliverio fu presentato all'Ordine religioso nel corso di una cerimonia di intitolazione cardinalizia di una Basilica minore del centro storico di Roma e fu accreditato non solo come titolare di un importante studio tributario di Roma, ma anche come alto ufficiale della Guardia di Finanza sotto copertura per il suo ruolo nell'ambito dei Servizi Segreti». Si tratta della chiesa di Santa Maria in Aquiro a Roma gestita dal cardinale salesiano Angelo Amato.

UN PALAZZO DI PROPAGANDA FIDE IN PIAZZA DI SPAGNA

I nomi dei potenti
Il finanziere Di Marco racconta che Oliverio parlava molto del suo ruolo nei servizi segreti «e io mi fidavo perché quando gli squillava il telefono io vedevo nomi noti... vantava conoscenze, vantava amicizie con Attilio Befera e personaggi di alto rango istituzionale, con il presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro, con Lorenzo Borgogni di Finmeccanica, con due mesi di anticipo sapeva che De Gennaro sarebbe stato presidente».

Gli inquirenti appaiono convinti che in alcuni casi si trattasse di millanterie per convincere i finanzieri a collaborare con lui visto che alcune «anticipazioni» di nomine erano in realtà uscite sui mezzi di informazione. Lo riconosce lo stesso Di Marco quando afferma: «Mi faceva vedere le telefonate forse per aumentare il suo credito, ancora oggi non so chi sia questa persona, chi è che conosce».

il vino di Borgogni

Con Borgogni aveva certamente una partecipazione societaria. E nella zona di Montalcino, dove l'ex manager di Finmeccanica ha una grossa tenuta, Oliverio aveva anche altri interessi. Dice Di Marco: «Ci recammo a Montalcino, non capii bene il senso dell'invito. Mi portò in una località, c'era una villa di Salvatore Ferragamo... Aveva un immobile che stava facendo ristrutturare, Oliverio mi disse che la persona che stava ristrutturando era in soggiorno obbligato».

 

SOTTO L’ALBERO DI NATALE DI ANCELOTTI, IL MILAN HA TROVATO I TECNICI DEL FUTURO

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Francesco Persili per Dagospia

carlo ancelotti - il mio albero di natale

«El partitazo». La stampa spagnola aveva introdotto con enfasi quel Deportivo La Coruña-Milan. La squadra di Irureta, anche senza Valeron, metteva paura. Noiosa ma solida. Il punto di forza? Due mediani, Mauro Silva e Sergio, che sapevano fare tutto. Ok, perfetto. Ancelotti si affida all'effetto sorpresa.

Chiede un sacrificio a Seedorf e Gattuso in copertura, affida a Pirlo la regia e piazza due fantasisti, Rui Costa e Rivaldo, dietro Pippo Inzaghi. Che cos'è il genio? Fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione. Dida rinvia, Seedorf scambia con Rui Costa, sovrapposizione, rasoiata dai sedici metri, gol. Uno a zero poco dopo il quarto d'ora di gioco, poi arrivano le tre reti di Inzaghi, saludos amigos. ‘Milan da sogno', ‘SuperDepor' schiantato. Tasto rewind, stadio Riazor di La Coruña , 24 settembre 2002.

CARLO ANCELOTTI DA FABIO FAZIO

Nasce il primo albero di Natale di Ancelotti, una scommessa che diventa un sistema di gioco nuovo. Grandi campioni che si sacrificano in nome dell'interesse collettivo, la carta di identità di uno stile vincente. La Coruña diventa una tappa di avvicinamento del Milan alla conquista della prima Champions della gestione Ancelotti - anno di grazia 2003 - e la prima volta di quel modulo che sarà il marchio di fabbrica di Carletto.

L'analisi logica e sentimentale è materia che Ancelotti affronta nel libro ‘Il mio albero Natale' (Rizzoli). Non è l'autobiografia tattica di una specie di Cagliostro pallonaro, semmai è la retorica di Wolf (Pulp Fiction) applicata al calcio. Carletto risolve problemi e migliora sensibilmente le performance collettive.

Ancelotti in Qatar con Leonardo

«E, allora, sarà ancora bello quando vince il Milan», Enzo Jannacci docet. C'è un'altra vittoria conficcata nella memoria, ri-vedere per credere. 2 maggio 2007, il Milan contro il Manchester United a San Siro. Stadio in ebollizione, inno della Champions, ci si gioca la finale. Per i rossoneri sarebbe la rivincita contro il Liverpool dopo la beffa di Istanbul. Altro giro, altro ‘albero di Natale'. Con Kakà e Seedorf dietro Inzaghi. Pressing, raddoppi, ripartenze. La Partita perfetta, il check-in per Atene e la convinzione che il calcio, quando è giocato bene, rende migliore la vita. Sotto l'albero di Natale by Ancelotti, il Milan non ha trovato solo due Champions, uno scudetto, 1 Mondiale per club, 2 Supercoppa Uefa ma, soprattutto, gli allenatori di domani.

Carlo Ancelotti

Milanello è ormai una succursale di Coverciano, la nuova università del calcio. Dopo ‘gli Immortali' di Sacchi (Rijkaard, Van Basten, Gullit, Donadoni, Filippo Galli, Tassotti, lo stesso Ancelotti), tocca ai Carletto boys. Ad iniziare da Seedorf, in pole o «in position» (copy Galliani) per guidare il Diavolo nella prossima stagione. Il suo vice potrebbe essere Jaap Stam, dal 2004 al 2006 in maglia rossonera (e nello staff potrebbe entrare anche Crespo). Mentre Zambrotta, da poco allenatore-giocatore del Chiasso, serie B elvetica, preferirebbe vedere sulla panchina rossonera Filippo Inzaghi che, dopo gli Allievi, allena la Primavera rossonera e aspetta il momento giusto, come quando giocava, per il grande salto. Nel frattempo, svezza altri talentini per la prima squadra modello Cristante e sui social sorprende con qualche spericolata citazione gramsciana («Voglio che il mattino sia per me un Capodanno.

Clarence Seedorf sta per rubare la scena a Massimiliano Allegri

Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso e rinnovarmi ogni giorno»). Poi c'è Gattuso, sulla panchina del Palermo ad inizio stagione ed esonerato dopo sei giornate da Zamparini e Oddo, che allena gli Allievi regionali del Genoa. Senza considerare, poi, il desiderio di allenare di Nesta mentre Shevchenko studia da tecnico e già sogna la Nazionale ucraina o il Milan.

Il cerchio si chiude, il destino si compie. Seedorf, Inzaghi o Sheva? «I centrocampisti partono avvantaggiati nella carriera di allenatori, dunque Seedorf». Anche Ancelotti benedice quello che potrebbe essere il nuovo corso rossonero. Il Milan ai milanisti, come recita il nuovo claim societario, o meglio ai Carletto boys.Il segreto? Sempre lo stesso: entusiasmo, disponibilità e grandissimo senso di appartenenza alla «famiglia» Milan.

berlusconi seedorf e Stoelinga ambasciatore Paesi Bassi

Questione di abitudine, mentalità. Milanello come posto delle fragole. Non di sole teorie e mission aziendali vive il calcio ma di passioni, umanità e ironia. La stessa che Liedholm, ex allenatore del Milan e mentore calcistico di Ancelotti, dispensava a piene mani: «L'allenatore? Il più bel mestiere del mondo. Peccato, ci siano le partite». Troppo stress.

gattuso

Il motivo per cui al termine della stagione 1995/96, dopo aver riportato la Reggiana in serie A, Ancelotti aveva deciso: «Tre anni e smetto. Vabbè, arriviamo al 2000, facciamo cifra tonda». Piacciono le cifre tonde al tecnico emiliano. Così quando è entrato nella sala dei trofei del Real Madrid ha visto quelle nove coppe, tutte insieme, l'una dopo l'altra. «Belle, bellissime ma ne manca...una». Una per fare cifra tonda. Il pareggio tra Atletico Madrid e Barcellona potrebbe rilanciare le ambizioni Real anche per la Liga ma Ancelotti, si sa, preferisce la Coppa e sotto il suo ‘albero di Natale' spera di trovare la ‘Decima'. E, allora, sarà ancora bello quando vince Carlo...

europei08 van basten lap

 

 

roberto donadoni lapGULLIT

GAJARDA QUESTA GAYET - I SOCIALISTI GIÀ SPERANO CHE JULIE RISOLLEVI LA PRESIDENZA HOLLANDE

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1. VIDEO - JULIE GAYET PARLA DI FRANCOIS HOLLANDE: "MAI INCONTRATO UN UOMO COSÌ FORMIDABILE, UMILE, CAPACE DI ASCOLTARE"


#5 Parlez-nous de François : Julie Gayet di francoishollande

 


JULIE, LA "PASIONARIA"
CHE PIACE AI SOCIALISTI
"RISOLLEVERÀ HOLLANDE"
Paolo Levi per "La Stampa"

hollande-gayet-trierweiler

C'è chi la definisce come la vendetta di Ségolène Royal sulla storica rivale in amore Valérie Trierweiler. Per ironia della storia, Julie Gayet - l'attrice quarantunenne, che secondo il settimanale «Closer» ha una storia d'amore segreta con François Hollande - conobbe l'attuale presidente grazie a Ségolène Royal. 
L'incontro risale al 2007. A quei tempi, Ségolène - che da Hollande ha avuto quattro figli, prima che lui la sostituisse con Valérie - è la sfidante socialista di Nicolas Sarkozy nella corsa all'Eliseo.

HOLLANDE-GAYET

Allo scrutinio mancano pochi mesi: Gayet - che come i genitori ha sempre avuto il cuore a gauche - vuole impegnarsi attivamente per aiutare la candidata all'Eliseo, magari sfruttando la propria popolarità di attrice. 
Sarà un amico regista, Bernard Murat, a presentarla alla coppia Hollande-Royal. Bella, bionda, sorridente, piuttosto talentuosa, Julie - sposata dal 2003 con il regista di origini argentine Santiago Amigorena da cui si è ormai separata, dal quale ha avuto due figli, e che nei prossimi giorni pubblicherà un libro sulla gelosia (non è uno scherzo!) - appare subito determinata a dare il massimo per la candidata socialista.

HOLLANDE-GAYET

Non partecipa alle riunioni interne dell'équipe elettorale, ma viene vista in molti incontri pubblici. 
Nel «clan» socialista, nonostante la delusione per la finale sconfitta di Ségolène, che comunque passerà alla storia come prima candidata donna ad accedere al secondo turno delle presidenziali francesi, lascerà il segno: tutti la ricordano come una donna frizzante e impegnata, la più simpatica tra gli artisti che si erano impegnati per la Royal.

gayet

Cinque anni dopo si ricomincia. Solo che questa volta, a sfidare Sarkozy, non è più Ségolène, ma l'ex-compagno Hollande. Gayet lo incoraggia fin da subito. A ottobre, in occasione della candidatura ufficiale, si fa notare nelle prime file del grande teatro della Halle Freyssinet. Più tardi, partecipa personalmente a un videoclip per la campagna socialista.

Nel filmato definisce il nuovo sfidante di Sarkozy come una persona «umile», «formidabile», «all'ascolto» delle persone. 
Nata nel 1972 a Suresnes, alle porte di Parigi, padre chirurgo e madre antiquaria, Gayet a 17 anni ha studiato all'Actors Studio di Londra, quindi frequentato l'Accademia Fratellini, tra le più prestigiose scuole circensi in Europa, e preso lezioni di canto lirico con la nota pianista Tosca Marmor, una delle allieve di Franz Liszt.

julie gayet

All'università ha studiato storia dell'arte e psicologia. Dal 1993 ha recitato in una cinquantina di film, lavorando con registi come Kieslowski, Costa Gavras o Bertrand Tavernier. 
Di lei, oggi la stampa mette anche in evidenza una «lettura erotica» nella trasmissione «Chaude est la nuit» (Calda è la notte) di radio Europe 1.

JULIE GAYET IMBARAZZATA PER DOMANDE SU HOLLANDE E IL SUO AMICO E COLLEGA RIDE

Nella «Versione di Barney», il romanzo dello scrittore canadese Mordecai Richler, il protagonista, Barney Panofsky, ripercorre la sua vita attraverso tre donne: «Clara», «La Seconda signora Panofsky» e «Miriam», l'ultimo grandissimo amore, quella che in realtà ha sempre sognato. Chissà che per Hollande non sia la stessa cosa. Tra i socialisti c'è già chi esulta, convinto che una fidanzata come lei, ritenuta molto più simpatica della temutissima Trierweiler, sia in grado di far riconquistare punti di popolarità al presidente.

 

 

LA PRIMA PAGINA DI CLOSER CON LE FOTO DI HOLLANDE E JULIE GAYET

 


DOTTOR OTELMA - IL DIVINO MAGO SI LAUREA IN FILOSOFIA: TESI SU SANT’AGOSTINO E PROFESSORI ENTUSIASTI

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E. D. per il "Corriere della Sera"

IL DIVINO OTELMA

Marco Amleto Belelli, più noto come mago Otelma (Amleto letto a rovescio), parlerà di dei, angeli e demoni ma non in un programma televisivo. Per il dottor Belelli questa infatti è l'ennesima laurea, la «discussione della tesi terrena del Divino Otelma - si legge nel cartoncino di invito intestato all'Università di Genova - avrà luogo mercoledì 15 alle 15 nella sala del gran consiglio in via Balbi 4, ingresso libero ad esaurimento dei posti».

IL DIVINO OTELMA

Il relatore Daniele Rolando docente di Filosofia della Storia un po' si preoccupa: «Spero che non venga troppa gente e di non ritrovarmi in una bolgia. Non è uno spettacolo, questa è una tesi di laurea serissima. Un buon lavoro, ne parlerò bene come parlo bene degli elaborati di tutti gli studenti che si impegnano. Il pregio maggiore è la ricchezza della documentazione, ci sono molte citazioni dai testi di Agostino».

In latino, ovviamente. Duecentocinquanta pagine, argomento «Dei, angeli e demoni nel pensiero di Agostino d'Ippona» e lunga citazione latina («Nec verum illum atque omnipotentem summum deum curare opinaretur ista terrena» De Civitate Dei -3,1). Addirittura entusiasta il co-relatore Paolo Aldo Rossi, docente di Storia del pensiero scientifico, accademico e saggista, che ha definito la fatica del Divino Otelma «di grande interesse scientifico». Il professor Rossi è uno specialista nello studio dei rapporti tra scienza e magia nel Medio Evo e nel Rinascimento (ha scritto «La strega, il teologo, lo scienziato»).

IL MAGO OTELMA otelma danzatriceFenix

Il Divino Otelma, Primo demiurgo della Chiesa dei Viventi nonché Gran Maestro dell'Ordine Teurgico di Elios, nella sua «tesi terrena» (difficile comprendere se ci sarà una tesi ultraterrena e come sarà discussa) ha affrontato, spiega il professor Rolando, il modo con cui Sant'Agostino «tratta o bistratta» la teologia pagana e le sue tradizioni. Resta la curiosità di vedere se a discutere la tesi mercoledì sarà il Divino Otelma - vestito da Primo Demiurgo - o il dottor Marco Amleto Belelli in giacca e cravatta.

gaypride07 20 il mago otelma

 

Il Mago Otelma e D'Alema

 

ODE DEL ‘MESSAGGERO’ PER SACCODANNI - UN RITORNO DI FIAMMA DI CALTARICCONE PER MPS?

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DAGOREPORT

SACCOMANNI E DRAGHI

Come ogni volta che sente puzza di bruciato, in queste ultime settimane l'ha sentita spesso, Fabrizione Saccodanni si confessa si confessa con un giornalone. E' accaduto con il Corrierione, Repubblica, Stampa, più volte con il Sole, e oggi ben ultimo, il Messaggero.

Il quotidiano di Caltariccone ci fa sapere che Gelatina non pensa affatto di mollare perché, sostiene lui, "sarebbe una sconfitta di tutti". Questa sarebbe la notizia del chissenefrega se la verità non fosse un'altra. Non sarebbe lui a lasciare ma gli altri che lo caccerebbero. Ma non avverrà perché sul nome di Pappagorgia c'è la benedizione, e che benedizione, di Bella Napoli e Mariuccio Draghi.

LETTERA DI ALMUNIA A SACCOMANNI PAGINA UNO

E' costretto ad ammetterlo anche il giornale di via Del Tritone che, con una prosa estremamente aulica, scrive: è stato Re Giorgio a imporlo "nel governo delle larghe intese sia per la capacità di dialogare con tutti sia per la credibilità guadagnata sui mercati sia per la stima reciproca che lo lega al governatore della Bce, Mario Draghi". Che bella favoletta!

DRAGHI-NAPOLITANO

In via del Tritone evidentemente non sono a conoscenza dei pessimi rapporti del nostro ministro dell'Economia (per colpa certificata del Colle e Mariuccio da Francoforte) con il commissario Ue per gli Affari economici Olli Rehn e il suo collega alla Concorrenza Joquain Almunia per via dei conti pubblici di casa nostra e della vicenda Montepaschi.

Comunque vada, Saccodanni per il Messaggero è insostituibile perché, scrive, è "francamente non è facile immaginare un nome altrettanto credibile". A questo punto sorge spontanea una domanda? Perché tanta attenzione verso Gelatina che fino a ieri lo stesso giornale inseriva nella lista dei sicuri partenti dal governo di Enrichetto?

mussari e caltagirone

Qualcuno sussurra che questo improvviso interesse per Saccodanni sarebbe legato alle ultime vicende Montepaschi. Una ferita che evidentemente ancora brucerebbe a Caltariccone, uscito due anni da Rocca Salimbeni per traslocare in Unicredit. E che c'entra Gelatina con Mps? C'entra, c'entra. E' proprio lui che con il Tesoro ha voce in capitolo in questo affaire. Vuoi vedere che potrebbe esserci un ritorno di fiamma di Caltariccone per la banca senese? Sarà ancora una vola come diceva il Divo Giulio "a pensare male si fa peccato ma volte ci si azzecca"?

 

BUFFON IN CAMPO PER ZUCCHI – L’AUMENTO RISCUOTE POCO SUCCESSO E CI PENSA IL PORTIERONE...

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Carlotta Scozzari per Dagospia

C'è da scommettere che oggi il portiere della Juventus Gianluigi Buffon, più che sulla partita giocata ieri a Cagliari, con la Vecchia Signora che inizialmente è andata sotto e poi è riuscita a ribaltare il risultato vincendo 4 a 1 contro i sardi, sia concentrando su altro. Il diversivo che attira l'attenzione del portiere della Nazionale si chiama Zucchi, la società attiva nel settore tessile che oggi a Piazza Affari guadagna quasi il 6% a 0,0874 euro.

PAPA FRANCESCO BERGOGLIO CON MESSI E BUFFON

Soprattutto, però, la Zucchi è la società di cui Buffon, a seguito dell'ultimo aumento di capitale da 20,5 milioni terminato lo scorso dicembre, è appena diventato primo azionista assoluto con il 56,26% del capitale. In sostanza, il portierone, classe 1978, ha quasi triplicato la propria presenza nell'azionariato se si considera che prima dell'operazione aveva in portafoglio "appena" il 19,62 per cento.

Buffon, per convincere gli azionisti, vecchi e nuovi, a partecipare alla ricapitalizzazione, ci aveva persino messo la faccia, facendo da testimonial alla campagna sull'aumento. Ma evidentemente la cosa non è bastata a convincere i soci a mettere mano al portafogli, perché su un totale di 20,5 milioni di ricapitalizzazione, ne sono stati raccolti appena poco più di 5. Ragion per cui Buffon, che già prima dell'operazione si era impegnato a farlo, ha dovuto sottoscrivere tutto il restante inoptato, pari a oltre 14 milioni, mossa che lo ha portato così poco sopra il 56 per cento.

GIANLUIGI BUFFON SOTTO LA STATUA DEL CRISTO A RIO DE JANEIRO FOTO LAPRESSE

Non ha partecipato all'operazione nemmeno Riccardo Grande Stevens. Eppure, il figlio dell'avvocato Franzo (storicamente vicino alla famiglia Agnelli-Elkann, proprietaria della Juventus) era entrato in Zucchi quasi al 2,5% nel 2011, convinto proprio da Buffon. Tra l'altro, va rilevato come Riccardo Grande Stevens abbia aggiornato alla Consob la propria partecipazione nella società tessile dopo l'aumento di capitale con un po' di ritardo rispetto agli altri soci (nel pomeriggio di oggi risultava ancora azionista quasi al 2,5 per cento).

BUFFON

Già venerdì, invece, oltre al rafforzamento di Buffon, si sapeva che la famiglia Zucchi è scesa all'8,69% dal precedente 25,88 per cento. E che, attraverso un aumento di capitale riservato da quasi 5 milioni, le principali banche finanziatrici della società, Unicredit, Bpm e Intesa Sanpaolo, sono entrate nell'azionariato rispettivamente con il 4,727%, il 2,521% e il 3,466 per cento.

BUFFON PARA

I due aumenti di capitale rientravano nel più ampio accordo di ristrutturazione del debito della Zucchi. Soltanto da gennaio a settembre, la società ha totalizzato ricavi per 104 milioni, perdite per 20,7 milioni, con un indebitamento finanziario netto di quasi 112 milioni. Senz'altro Buffon, non foss'altro che per tutto il denaro che ha investito, spera che tutte queste operazioni servano per portare l'azienda fuori dall'impasse finanziaria in cui si trova.

ZUCCHI

 

ALITALIA ANDRA' A NOZZE CON ETIHAD? I SOCI DOVRANNO RINGRAZIARE PAPA BERGOGLIO!...

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1. PIAZZA AFFARI C'È POSTA PER TE
Massimo Riva per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Il cammino non sarà breve ma bisogna dare atto al governo Letta di averlo cominciato: entro la fine di quest'anno le Poste potrebbero essere quotate in Borsa con un'offerta sul mercato fra il 30 e il 40 per cento del capitale. Il condizionale è d'obbligo perché la strada va spianata da non pochi ostacoli. Intanto, si tratta di sciogliere i nodi che riguardano l'accordo con la Cassa Depositi e Prestiti sulla gestione del risparmio postale ovvero il contratto che garantisce alla società dei recapiti un rimborso statale importante per i costi del servizio universale.

MASSIMO SARMI

Ma poi sul successo finale dell'operazione pesano inevitabilmente le incertezze di un quadro politico sempre instabile che non consente di dare per sicuri impegni pur solennemente assunti.

L'auspicio comunque è che sia finalmente la volta buona perché questa pur parziale privatizzazione del servizio postale sarebbe un segnale di svolta anche per quanto riguarda il melmoso terreno dei rapporti fra potere politico e gestione economica dei beni pubblici.

Una Poste Spa quotata in Borsa ben più difficilmente potrà essere usata come strumento di comodo per operazioni improprie come l'ingresso nell'azionariato di Alitalia. Mossa infelice che di sicuro comporterà minori incassi per lo Stato al momento dell'offerta dei titoli sul mercato azionario.

2. MEDIOBANCA BATTISTRADA DEL CONSIGLIO ALL'EUROPEA
Andrea Greco per "Affari & Finanza - la Repubblica"

ELKANN PROFUMO E DIETRO MASSIMO SARMI E CORRADO CALABRO

Mediobanca apre le danze della nuova governance bancaria all'europea. L'esercizio sfasato, che fa cadere a ottobre l'assemblea, porterà la merchant ad adeguarsi per prima alla direttiva Crd IV, che Bankitalia ha posto in consultazione e mira ad allineare l'organizzazione degli istituti verso la vigilanza unica. I cda dovranno diventare meno pletorici, i consiglieri più coinvolti e dedicati, avendo requisiti e curricula più efficaci e globali.

Andranno poi introdotti piani di successione, processi di autovalutazione e piani formativi per i ruoli chiave. Non è la prima volta che Mediobanca, proiettata verso nuovi piani e missioni banca d'affari versus holding, mercati esteri versus salotti italiani percorre strade non battute nella foresta bancaria. Che forse non è più "pietrificata" come diceva Giuliano Amato (1988) ma neppure sfavilla.

Il management guidato da Alberto Nagel dovrà focalizzarsi sul taglio dei consiglieri (da 22 potrebbero diventare 13) e conseguente rimozione del comitato esecutivo. Poi magari un ritocco al patto di sindacato, a vestigia barocche ora innecessarie, e al ruolo del presidente. Cose minori, a leggere tra le righe della bozza di vigilanza: dove s'annunciano scossoni e mutamenti più notevoli per le banche popolari e quelle dove il peso di fondazioni e localismi prevalgono. A cominciare da Intesa Sanpaolo.

LA SEDE DI MEDIOBANCA

2. ARRIVA ETIHAD L'ALITALIA DICA GRAZIE A BERGOGLIO
Paola Jadeluca per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Se l'accordo Etihad con Alitalia dovesse, come tutto fa prevedere, andare in porto Colaninno e gli altri azionisti della compagnia aerea italiana dovrebbero ringraziare Papa Francesco. L'improvvisa apertura del vettore del Golfo, infatti, ruota attorno a una serie di strategie che, tra l'altro, puntano con grande interesse ai flussi di passeggeri tra l'Italia e il Sud America. Un tempo erano gli emigrati italiani in Brasile, Argentina e Venezuela a rendere interessanti le rotte tra i due paesi. Oggi il flusso maggiore è inverso; la classe media del Sud America è in forte crescita e tra le mete preferite dei turisti del Sud America figura l'Europa, Roma in primo luogo.

MARCO TRONCHETTI PROVERA E ALBERTO NAGEL FOTO BARILLARI

Con l'avvento di papa Francesco, poi, è arrivata l'ultima, forte ondata e gli argentini vogliono tutti atterrare a Roma. A questo nuovo mercato guarda con interesse Etihad, che negli ultimi tempi ha messo a punto una strategia di crescita per acquisire peso rispetto a Emirates, la compagnia di Dubai, e la Qatar, con base a Doha, rispetto alle quali è molto più piccola.

Un accordo benedetto, direttamente dal cielo. Un miracoloso intervento di cui beneficerebbe anche Adr, società di gestione dell'aeroporto di Roma-Fiumicino. Lo scalo romano, infatti, ha nel cassetto un ambizioso piano di raddoppio delle piste in attesa di una impennata dei voli. In questa ottica hanno già aumentato le tariffe. Ora si aspetta il decollo delle nuove piste.

alitalia etihad

 

papa BERGOGLIO

VIRZÌ: AVEVAMO LA BELLEZZA E IL TERRITORIO, ORA ABBIAMO VILLETTE A SCHIERA CON PISCINA

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Malcom Pagani per ‘Il Fatto Quotidiano'

POSTER IL CAPITALE UMANO

La corazzata Potëmkin non era una cagata pazzesca: "Ma un magnifico film" e delle luci spente nella sala del Centro Sperimentale di Cinematografia l'allievo Paolo Virzì non ha dimenticato la lezione: "Quando scrivo una storia preferisco sentirmi un ignorante. Uno che è al buio. Uno che non ha opinioni, ma le cerca".

Accadeva a vent'anni: "Quando a me, sorta di pudico, quasi vergine, noiosissimo secchione che arrivava dalla provincia e nulla sapeva dei maestri, Roma sembrava un'orgia permanente, un meraviglioso bordello bohemienne in cui non si dormiva mai" e succede oggi, alle soglie dei 50, in un ufficio francamente anonimo colmo di acquerelli, sigarette ed essenzialità ai confini col pauperismo.

Prestando l'ironia feroce di ieri: "Ho girato il mio affresco più maturo? Sto diventando vecchio, d'ora in poi saranno sempre più assennati" al servizio di uno sguardo analitico sull'ambizione degli esclusi, ne "Il capitale umano" Virzì ha messo in scena un abisso in cui colpevoli e innocenti vestono la divisa unica dell'infelicità e in marcia, si confondono tra loro.

uni bentivoglio il capitale umano

Per adattare con Francesco Bruni e Francesco Piccolo il romanzo di Stephen Amidon (storia di due distinti nuclei familiari del Connecticut uniti dal sogno del guadagno facile e della scommessa sulle macerie del presente), il figlio di "Ciccio" il carabiniere e Franca la cantante è stato fedele all'ancestrale melodia dei rapporti sociali.

Prove di forza, effimere illusioni, piaggeria senza pudore, lampo megalomane e Buddenbrook in sedicesimo che affrontano la decadenza tirando la trama di un profitto che svanisce e per non evaporare, ha assoluto bisogno di essere drogato. Nei fumi della finanza creativa qualcuno si perde, altri si abbandonano, altri ancora si svendono.

Nella prima scena si scorgono camerieri indaffarati a riporre masserizie e avanzi di una festa, ma vedere ad ogni costo l'Italia contemporanea nei simbolismi da dispensa svuotata, nelle nevrosi del laido alchimista di borsa Fabrizio Gifuni o nelle maldestre velleità da nuovo ricco di Fabrizio Bentivoglio è troppo facile e, adombra Virzì, di dubbia buona fede: "La bellezza del mio mestiere è l'assenza di giudizio.

E ai miei protagonisti risparmio il calvario del preconcetto etico. Se sono maschere, ho bisogno che vivano davvero e non siano fasulle perché mettere in scena le proprie convinzioni è poco stimolante, incasellare i buoni e i cattivi in due diverse file non mi è mai interessato e il confine tra l'umano e il disumano è labile.

Non presiedo una Corte d'Assise e non condanno. Mi sforzo di rendere il mio personaggio una persona autentica, spogliandomi delle letture ovvie e abitudinarie, cercando di capire come si consideri rispetto al mondo e cosa gli passi per la testa. È una sana attività artigianale. Se ne seguo le tracce con pazienza sarà lui a darmi la risposta, definirsi, suggerirmi la conclusione e il senso del racconto".

Altrimenti?
Questo paziente lavoraccio di tessitura, da sartini dell'ordito sui personaggi e sulle psicologie viene dimenticato e si parla d'altro.

Nel suo film in molti hanno visto una metafora dell'Italia devastata. Una delusione?
Un equivoco. Mi telefonano per chiedermi un'impressione su Renzi o sulla Legge elettorale, mi travestono da maitre a penser capace di descrivere il proprio tempo, mi rivolgono accuse curiose. Belpietro ha fatto scrivere che ho preso un milione e mezzo di euro dal Monte dei Paschi. Come se me li avessero regalati.

Non è andata così?
Ma scherza? Ho utilizzato una legge che si chiama Tax credit, sono andato in banca, ho presentato un progetto, lo hanno valutato e dopo me li hanno prestati riprendendoseli con gli interessi.

Come nel suo film, si parla sempre di denaro. Che orienta l'universo e nel libro di Amidon inclina definitivamente i destini dei meno fortunati.
Uno dei protagonisti del libro si uccide. Io ho fatto un'altra scelta e ad Amidon l'ho rivelato subito: "È l'unica cosa che non riuscirei a filmare". Furio Scarpelli, il mio maestro, lo diceva sempre: "Perdoniamo solo Germania anno zero. Cercare di commuovere gli spettatori facendo morire un bambino è una scorciatoia pericolosa".

Ne "Il capitale umano" la quantità di morti viventi è comunque impressionante.
Ci sono molti poveri cristi che si negano la realtà, fingono di non vedere e piegano la testa. E ce ne sono altri che perseguono stolidamente un loro stolto vitalismo. Ognuno dei miei personaggi ha colpe e zone d'ombra, ma individualmente cova ottime ragioni per non fermarsi di fronte allo scrupolo morale. Il discrimine tra continenza e violenza è sottile. La Santabarbara accesa. Sono tutti pronti a trasformarsi in belve. La quieta, viziata dama Bruni Tedeschi vorrebbe sbranare l'automobilista troppo lento che la frena. Gli ostacoli vanno rimossi.

virzi con il cast del capitale umano

Nella loro solitudine, ripugnano e al tempo stesso incuriosiscono anche i figli di puttana conclamati.
Dino Ossola, Bentivoglio, non sa di essere un mostro. Bernaschi, Gifuni, nel suo autismo da conquista si sente come Atlante. Sono persone come noi. Le conosciamo. Le incontriamo tutti i giorni. La vita ti porta ad agire e non sempre ti offre indizi su giusto e sbagliato. Lo stabilisci a posteriori, spesso troppo tardi. Alla radice della scrittura con Piccolo e Bruni c'era l'idea di non indulgere a dolcezza o affetto.

Cercavamo un'inquietudine, un sorriso beffardo, una temperatura più fredda, uno spavento di fondo. C'è un'unica scena girata con pathos e se devo riconoscere un'ispirazione generale, ho guardato alla comicità ebraica, ai Coen, a certe cose di Ang Lee.

Registi che lavorano con l'atmosfera. Con il paesaggio.
Una delle fasi più affascinanti di un film è il sopralluogo. Oltrepassi portoni e cancelli ignoti, entri in un altro mondo. Prima di trovare il luogo giusto abbiamo visto un'infinità di ville lombarde, tra i proprietari non ce n'era uno che non avesse la residenza fiscale in Svizzera.

Si stupisce?
Siamo adulti, ma mi pare che il dato racconti molto di cosa sia diventata la borghesia italiana. Nel Capitale umano la questione del paesaggio spiega più di qualsiasi considerazione sociologica. Un giorno abbiamo filmato nei pressi di un borgo rurale completamente abbandonato. Bellissimo.

Il capitale umano

La middle class l'aveva desertificato trasferendosi a valle, in tante piccole new city, in comprensori di villette a schiera con lo stesso disegno della villa padronale, ma in chiave meschina. Avevamo la bellezza e il territorio. Adesso abbiamo le piscine grandi come aiuole, il desiderio di emulazione, i formicai e le sbarre alle finestre. Magari, un po' della nostra angoscia, nasce proprio da lì.

Della sua ricorda qualcosa?
Lo sgomento al corso d'ammissione al centro sperimentale. A dover scrivere un saggio su un episodio dell'Oro di Napoli di De Sica, quello in cui la Mangano fa Teresa, la puttana illusa dal matrimonio, eravamo tantissimi. Finisco il compito e per deformazione professionale inizio a disegnare il ritrattino di uno degli esaminatori. Passa Scarpelli che non conoscevo e con i suoi occhietti strizzati vede Leo Benvenuti, omone, grandissimo sceneggiatore, antico esemplare di antico romano nella mia caricatura.

il capitale umano valeria bruni tedeschi

Scarpelli la cazzia?
Si ferma e fa: "Il naso è troppo lungo, da dove vieni te?". "Livorno". Poi prende la matita, restituisce divinamente le corrette proporzioni a Benvenuti e se ne va. A quel punto, in attesa dell'orale torno a casa scoraggiato: "Mamma, son tutti raccomandati, qualcuno pure da Andreotti, non ce la farò mai".

Ed era vero?
Verissimo. Quel che non sapevo è che sgrammaticata, ingenua e a tratti esilarante, una lettera di raccomandazione dei compagni di Livorno la possedevo anch'io. Avevo fatto un pessimo scritto, mi ero salvato con la vignetta garantendomi un'improbabile ammissione e appena mi sedetti, ultimo in ordine alfabetico davanti a Scarpelli, Amelio e Montaldo, Giuliano tirò fuori una busta e spietatamente iniziò a leggere: "Caro compagno Montalto". Pure il nome gli avevano storpiato.

Il resto?
"Ti segnaliamo il giovane e valoroso compagno Virzì", cose così. Ero uno studente lavoratore e frequentavo il cinema dei portuali, il Quattro Mori. Mi scappò una riflessione pessimistico-vittimista sull'esito degli esami con Alberto Forti, uno degli animatori. Conosceva Montaldo dai tempi de "L'Agnese va a morire" prese l'iniziativa e così mi ritrovai raccomandato a mia insaputa. All'esame parlammo solo di Livorno, Montaldo era allegro: "Ci hai fatto ridere, mi sa che ti prendiamo".

Primi mesi romani?
Una casa divisa con l'allieva di recitazione Francesca Neri al Nuovo Salario, un semi interrato molto interrato dormendo in una piazza e mezzo con Bentivoglio, squallide settimane all'hotel Sole, una pensione in cui pagavo tremila lire a notte, la casa di Trastevere in cui non si vedeva Trastevere e in cui non a caso Volontè che me l'aveva affittata si era preparato a interpretare Aldo Moro e i tanti nomi degli angoli di città legati a una geografia toponomastico-sentimentale. Vicolo Del Bollo. Via dei Cappellari. Piazza Farnese. Roma era fantastica e molto diversa. In pieno centro abitavano quelli con le pezze al culo.

Si divertì, ci ha detto prima.
Moltissimo. In anni di fanatismo filmico e di feticismo del piano sequenza preferibilmente muto, mi sentivo uno che arrivava dal popolo e giocavo a fare l'anticinefilo. Aggredivo verbalmente i fighetti del Dams e cresciuto con i libri di Dickens e Bukowski, trovavo in Roma, finalmente, il corrispettivo romanzesco.

E il lavoro con Scarpelli. Con Sordi. Con Leone. Con Francesca Archibugi e Dudù La Capria.
Iniziò tutto nel 1985, l'anno in cui per il cinema italiano, con la separazione tra Age e Scarpelli si verificò l'orribile catastrofe. Furio mi chiamò a bottega. No so se per pena, per simpatia o perché ero di Livorno e con Suso Cecchi D'Amico, negli anni belli, le estati a Castiglioncello erano state azzurre. Ero il classico provinciale insicuro. Goffo come tutti quelli che non sanno fare un cazzo, tentano di nascondere l'accento e delle loro origini, un poco si vergognano. Scarpelli mi spronò a riappropriarmi della mia identità, a farne maschera artistica, a riprendermi la voce: "Sei di Livorno, qualcosa vorrà dire".

Livorno, sempre lì si torna. Ai suoni del quartiere Le Sorgenti, un posto in cui il saluto più soave, secondo Giorgio Algranti era: "Budello di tu ‘ma". Musica anche a casa. Sua madre Franca cantava con Piero Ciampi. Suo padre Francesco era il cugino di Claudio Villa.
Lei intonava qualsiasi cosa e mio padre la registrava durante le esercitazioni casalinghe. Mamma era bravissima, ma rinunciò al mondo dello spettacolo che non le garbava, per fare la madre e la commessa in un negozio di abbigliamento. Ipocondriaca, forse mi avrebbe voluto medico, ma l'unico mestiere che ho affrontato e che mi sarebbe piaciuto fare era il maestro elementare. Con Papà che è morto quando avevo 18 anni, il rapporto è stato alterno.

il capitale umano bentivoglio golino

Era carabiniere e qualche seggiolata ai tempi della mia infatuazione anarchica volò. Ma era curioso, sorpreso dei buoni voti che ricevevo a scuola e andava a parlare con i professori per farsi fare i complimenti. Forse non ce lo siamo mai detti, ma ci volevamo molto bene. Poi è chiaro, in ogni famiglia pulsa un desiderio di evasione. Lo sforzo, anche espressivo, era uscire da se stessi, non guardarsi l'ombelico, vedere se oltre la finestra si agitava qualcosa.

A casa i soldi erano pochi.
Livorno è plebea e io non facevo eccezione. Ero uno studente di famiglia modesta che d'estate giocava a pallone nei gabbioni e più grande, per arrotondare lavorava. L'ho fatto un po' ovunque. In fabbrica, alla tessuti Barcas, cameriere tra i tavolini di un bar, guida turistica agli americani sugli autobus, perito dei container in porto e persino bibliotecario della neonata Fondazione Antonicelli che Franco, sommo collezionista, maniaco bibliofilo e intellettuale torinese einaudiano del gruppo di Bobbio innamorato dei portuali livornesi, aveva reso indispensabile con il suo generoso lascito.

Una volontà testamentaria tradotta in migliaia di volumi che sotto lo sguardo di Italo Piccini detto Polverina, il vero capo morale e spirituale della città, una figura mitologica, un po' Vescovo e un po' Sindaco che ai tempi belli aveva issato una bandiera vietnamita su una Portaerei americana, contribuito a ricostruire il porto, aperto in loco la biblioteca su impulso di Antonicelli e coperto la pelata con un coraggioso riporto, venni chiamato a gestire insieme ad altri ragazzi.

le famiglia ossola e bernaschi capitale umano di virzi

Il regalo di Antonicelli a Livorno andava dai preziosissimi carteggi di Gozzano alla lettera autografa di Pavese che annunciava agli amici l'intenzione di suicidarsi. Noi catalogavamo e Italo ci dava la paghetta. Il rapporto divenne stretto. Quando seppe della missiva di raccomandazione farlocca spedita dai quelli del Quattro mori per il "valoroso compagno Virzì" rimase male: "Ho parlato con Kruscev e con Berlinguer, non potevo darti una mano io?".

Con i canadesi, ai tempi di My name is Tanino, non avrebbe potuto nulla neanche Piccini.
Venivo da tre film con Vittorio Cecchi Gori, più o meno la major italiana di allora. Partii per fare questo film bischero, un omaggio alle suggestioni letterarie di Gianni Celati, alla comicità rocambolesca e alla stupida ebbrezza dei vent'anni con un budget importante e più camion che a un concerto dei Pink Floyd. Le Unions americane, i sindacati, imponevano standard folli. Avevo sei assistenti di cui uno mi seguiva anche al cesso. Finché rimanemmo a New York andò tutto bene, poi in coincidenza con la terza settimana di lavorazione e con il trasferimento a Toronto, Vittorio venne travolto dai suoi guai finanziari.

Nessuno mi disse una parola fino a quando due settimane più tardi, in mancanza dei soldi per la troupe, il film si bloccò. Gli stabilimenti sequestrarono il negativo e gli albergatori, temendo l'insolvenza, presero in ostaggio la troupe. Li vedevi transitare come zombi nella hall. Gli occhi cerchiati dalla fruizione ossessiva del canale porno, bloccati in una città straniera senza un soldo mentre da Roma continuavano a dirci di stare tranquilli: "Domani si risolve tutto".

Mañana siempre mañana.
Ero tra i pochi a dormire in appartamento e tra i pochissimi ad avere una carta di credito. Facevo spese pazze al supermercato e sfamavo i naufraghi con il Cacciucco. Alla fine i dollari arrivarono, ma solo per la liberazione. Ora ne rido, ma fu terrificante. Rincasammo sconfitti. Ci fermammo per mesi, poi tornammo in America per girare in incognito e sotto falso nome alcune scene in puro guerrilla style.

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Con il nome di uno studente della scuola di cinema locale sul ciak per aggirare gli obblighi sindacali. Senza un soldo, una comparsa, un permesso. Cambiammo il copione, stravolgemmo il finale e io e la troupe diventammo fratelli di sangue per la vita. A Toronto avevamo vissuto in presa diretta l'abbandono. Sembrava di essere nello Stato delle cose di Wenders in cui Fritz, il regista protagonista, attende invano il ritorno di Gordon, il produttore che si è reso irreperibile e la troupe bivacca nell'albergo semidistrutto.
Quell'avventura ci fece desiderare di ritrovarci ancora vicini nella traversata successiva.

La famiglia allargata di Virzì. L'amico degli attori, dei macchinisti e dell'ultimo dei runner.
Gli attori sono creature fragili, durante il lavoro tendo ad amarli molto. Ad assecondarli.

E dopo?
Non so. Mastandrea e Silvio Orlando mi hanno fatto notare che a film finito, sparisco. Si sentono abbandonati. Orfani. Ci rifletto, ma la anticipo. Una risposta pronta sulla sindrome del regista egoista, io non ce l'ho.

 

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