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LA FERILLI ASSOLTA DALL’ACCUSA DI DIFFAMAZIONE CONTRO FRANCESCO TESTI

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Da "Chi"

SABRINA FERILLI E FRANCESCO TESTI NELLA FICTION NE CON TE NE SENZA DI TE jpeg

1 - LA VITTORIA DI SABRINA...
Sabrina Ferilli, assistita dall'avvocato Giulia Bongiorno, ha vinto la battaglia legale contro Francesco Testi, suo partner nella fiction Baciamo le mani. La Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado che assolveva l'attrice dall'accusa di diffamazione nei confronti di Testi. La Ferilli, infatti, aveva smentito il gossip di una sua presunta relazione con l'attore, aggiungendo che lui era legato da "profondi rapporti" con il produttore della fiction.

E così Testi, ritenendo che questa espressione alludesse a una presunta omosessualità, aveva citato l'attrice per diffamazione. Ora la sentenza di appello ha definitivamente assolto Sabrina Ferilli da questa accusa, perché "il fatto non sussiste". La linea adottata dall'attrice dopo il gossip su lei e Testi, un duro comunicato e poi il silenzio, si è dimostrata efficace.

VANITY FAIR SANTANCHE SALLUSTI

2 - ...E LA SCONFITTA DELLA SANTANCHÈ
Brutte notizie nel weekend per l'onorevole Daniela Santanchè. La compagna del direttore del Giornale Alessandro Sallusti aveva fatto causa al quotidiano La Stampa che, senza autorizzazione, aveva pubblicato la foto della sua casa milanese, dove Sallusti avrebbe scontato gli arresti domiciliari. Nell'articolo veniva riportato l'indirizzo e descritto l'interno della villetta, dalla piscina coperta al salotto. «Sono indignata. È come se qualcuno si fosse introdotto in casa mia e avesse frugato tra le mie cose. Leggere quell'articolo è stato come uno stupro», ha detto la "pasionaria" del Pdl. Ma il giudice l'ha pensata diversamente e ha archiviato il procedimento.

3 - SUPERMARIO, SUPERVILLA
Vista dall'alto sembra Neverland, la casa-parco giochi di Michael Jackson. Invece si tratta della splendida villa che Mario Balotelli ha scelto come sua dimora a Erbusco, in provincia di Brescia, a pochi chilometri da dove vivono i genitori. Piscina esterna e interna, ampio garage, giardino e tanto verde per il relax di SuperMario.

4 - FACE DI BRONZO, CHE FACEBOOK!
Bizzarra idea dell'ex vincitore del Grande Fratello Mauro Marin. «Vendo la mia pagina di Facebook, che vanta 377 mila fan», ha proposto. Tra gli acquirenti interessati, anche un piccolo partito politico.

MARIO BALOTELLI CON UN FUOCO DARTIFICIO

5 - ROSE ROSSE (E POST-IT) PER TE
Il mister del Milan Massimiliano Allegri non ha certo badato a spese e per festeggiare una ricorrenza davvero particolare (tutti i dettagli sono però top secret) ha praticamente invaso la casa della fidanzata Gloria con trecento rose rosse. Diverso, invece, il risveglio di Laura Chiatti, che, al posto delle rose rosse, si è ritrovata trecento post-it tutti scritti a mano dal fidanzato Davide Lamma con la frase: «Ti amo».

MAURO MARIN

6 - ROMANTICO BRASILE
Chi è quel Djavan, che sul palco del Credicard Hall di San Paolo ha suonato la loro canzone preferita? Barbara Berlusconi e Alexandre Pato hanno assistito a un concerto del cantante, compositore e chitarrista brasiliano con frequentazioni italiane (Loredana Bertè e Fiorella Mannoia, per fare qualche nome). Cavallo di battaglia: Flor de lis. E poi, per la serie com'è piccolo il mondo: nei paraggi provava Fabio Concato, il più brasiliano dei cantautori italiani.

PATO E BARBARA BERLUSCONI A COURMAYEUR jpeg

7 - MENTRE BARBARA RIAPRE LA CASA...
Appuntamento per pochi a Pasqua e Pasquetta a Capalbio. La conduttrice Barbara D'Urso riapre le porte della sua splendida villa con una quarantott'ore di festa. Chi sarà l'ospite d'onore tanto atteso?

barbara durso intervista berlusconi

8 - ...BENEDETTA TORNA A CASA
Clamorosa trattativa tra Mediaset e La7. Oggetto: Benedetta Parodi. L'ex giornalista di Studio Aperto, poi reinventatasi cuoca provetta con Cotto e mangiato, oggi è una star su La7 con I menù di Benedetta. Ma la nuova gestione di Urbano Cairo ha come obiettivo l'abbassamento dei costi e la Parodi... costicchia. Così Mediaset starebbe preparando il suo ritorno.

CRACCO E BENEDETTA PARODI

9 - L'EROS DI INZAGHI
Pippo Inzaghi si è goduto in solitudine il concerto dell'amico Eros Ramazzotti, al Forum di Assago, a Milano. Momento clou quando Pippo, durante la canzone Un'altra te, si è messo a piangere e ha tirato fuori un pacchetto di fazzolettini di carta per asciugarsi le lacrime.

ALAIN DELON

10 - DELON HA DETTO SÌ
Tra i mille invitati per il matrimonio tra Valeria Marini e l'imprenditore Giovanni Cottone ci sarà anche Alain Delon, che ha risposto positivamente all'invito della showgirl, da sempre sua grande amica. Il catering è stato affidato alla Nicolai Catering, azienda cara anche al presidente Giorgio Napolitano.

11 - SHOPPING DA CAPOLISTA
Il centrocampista cileno Arturo Vidal della Juventus non bada a spese per fare felice la sua compagna. In un solo pomeriggio Vidal ha speso quindicimila euro nel negozio Louis Vuitton di Torino, per la felicità della moglie Maria Teresa.

GIOVANNI COTTONE E VALERIA MARINI

12 - POLITICALLY (S)CORRECT
di Giulia Cerasoli

PIER LUIGI, ASCOLTA!
Beh, se Pier Luigi Bersani avesse dato retta ai consigli dei più ragionevoli del Pd e avesse tenuto conto dell'accorata lettera che la senatrice Laura Puppato gli aveva scritto all'indomani delle primarie, forse non si troverebbe in questa situazione...

LA PIÙ CHIC DEL REAME
La new entry di Scelta civica Maria Paola Merloni è già stata eletta la più elegante del Senato. In total blu bon ton con abitino di maglia e fantastica Roger Vivier Miss Viv, lascia di stucco anche i grillini di Palazzo Madama.

MARCO MINNITI MARIA PAOLA MERLONI

LE UOVA DI ISABELLA
Da quando non è più alla Regione Lazio Isabella Rauti è rinata. Dimagrita e molto fashion, la moglie del sindaco di Roma Gianni Alemanno è apparsa all'aperitivo-charity di Tory Burch: acquistava uova firmate in favore della ricerca sul cancro.

ANVEDI QUANT'È ALTA NUNZIA
Taglio alla garçonne per Nunzia De Girolamo del Pdl, che persi i chili della gravidanza, svetta sui tacchi, raggiungendo il metro e 82. Il marito Francesco Boccia del Pd ammira dalla parte opposta del Transatlantico.

 

Nunzia De Girolamo

 


PER FAR CONTENTO ANDREA ROMANO (“DAGOSPIA? UN SITO PORNO”), SIAMO FINITI FINO A “PRATO SEX”

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PREMIO EXCELSIOR A ROCCO SIFFREDI FOTO ANDREA ARRIGA

Foto di Andrea Arriga per Dagospia
Gabriella Sassone per Dagospia


Rocco, Rocco, fortissimamente Rocco. Tutte lo cercano, tutte lo vogliono!. Lo stallone italiano number one, conosciuto e amato nel mondo, fresco vincitore dell'ennesimo Oscar dell'Hard come miglior attore a 48 anni suonati, è stato l'attesissima guest star di Prato Sex, la prima fiera internazionale dell'eros ideata nella cittadina toscana (dopo Bergamo Sex) da Corrado Fumagalli, che l'ha anche presentata insieme all'irresistibile vocalist-animatore Claudio "Ranocchio" Arciola (capitano della squadra di calcio dei Pornoattori).

PORNOSTARS FOTO ANDREA ARRIGA

Rocco Siffredi, arrivato da Budapest nella serata di sabato scorso, ha mandato in tilt l'Extraforum di Prato, stracolmo all'inverosimile: mai tante donne si erano viste urlare e fremere sotto al palco in una kermesse erotica, solitamente regno di uomini infojati o repressi a caccia di emozioni forti e incontri ravvicinati del terzo tipo nei privè. Rocco, in realtà un po' pallido ma sembre gajardo e tosto, ha chiamato sul palco alcune fans adoranti.

LE RAGAZZE DELL EXCELSIOR DI FIRENZE A PRATO SEX FOTO ANDREA ARRIGA

E si è esibito in un sensualissimo mini show: le ha baciate in bocca, si è fatto toccare proprio lì, ha regalato T-shirt e due vibratori modellati sul calco del suo "Big Bamboo". Beh, fosse stato per lui, sarebbe andato anche oltre, come ogni stallone che si rispetti, ma Fumagalli è intervenuto in tempo prima che lo scatenato pornodivo arrivasse a spogliarsi sul palco e mostrare il meglio di sé.

I BOYS DEL PRATO SEX FOTO ANDREA ARRIGA

Gentile e disponibile con tutti, Siffredi si è messo in posa con chiunque chiedesse uno scatto con lui, e si è lasciato fotografare anche con le 40 pornostar e sexy star che con i loro spettacolini hot hanno animato la tre giorni erotica, un vero e proprio "mercato della carne" da saziare gli occhi per mesi e mesi con tutti quei corpi femminili (e trans-genici) nudi, più o meno plastificati a mestiere.

FONDOSCHIENA PINK FOTO ANDREA ARRIGA

E ha salutato persino divertito il suo sosia, Rokko Parisi, attore hard che gli somiglia tantissimo e si aggirava per la fiera in vestaglietta di seta rossa stile pugile e un pacchetto di patatine Amica Chips, a scimmiottare il Rocco dello spot pubblicitario (poi censurato) che l'ha reso famoso. Alla fine dell'ospitata, Siffredi è stato premiato dai proprietari del più noto ed elegante club di lap-dance di tutta Italia, l'Excelsior di Firenze, che vanta fanciulle da perdere testa e testosterone.

EXCELSIOR FIRENZE FOTO ANDREA ARRIGA

Siffredi non ci ha pensato due volte: salito su una limousine è stato portato a visitare il club fiorentino. In albergo si è ritirato alle 4 di notte, un po' sfatto. E la mattina dopo, a colazione, raccontava alla sottoscritta di aver trovato sotto la porta della stanza lettere di ammiratrici che lo imploravano di andare in camera loro a qualunque ora. Ma il sesso non è tutto per lui! Siffredi è anche un business man che del suo arnese ha fatto un marchio, una macchina per fare soldi che cresce di giorno in giorno.

Ora infatti inizierà a registrare a Roma un nuovo programma di Sky che lo vede correre in aiuto della coppie sessualmente poco felici o in preda al calo del desiderio. Tra un paio di mesi aprirà un locale a Budapest con tanto di set porno e dove, in video conferenza, sarà possibile interagire da ogni dove con gli attori che saranno sul posto. Il franchising, che sarà esportato in diverse parti del mondo, si chiamerà "Rocco World Cafè". Non solo.

BARBARA GANDALF PORNOSTAR FOTO ANDREA ARRIGA

Rocco firmerà anche una sua etichetta di vini, in coproduzione con il campione di Formula 1 e viticoltore Jarno Trulli, che sarà presentata ad aprile a Verona. Che dire di più di super Rocco? Che anche mentre faceva colazione in albergo è stato corteggiato e marcato stretto dalle attrici porno che alloggiavano nello stesso hotel e si sono litigate le sue attenzioni.

UN PO DI RELAX FOTO ANDREA ARRIGA

Finire in un suo film, infatti, non è cosa da poco in questo periodo di crisi del settore! I più maligni raccontano che a un certo punto, prima di ripartire, si sia anche "inguattato" in camera con una certa Szabina, che ha iniziato a provocarlo nella sala del breakfast... ma sarà vero??? Col cappuccino e cornetto ancora tra le mani?

TUTTI PER ROCCO SIFFREDI FOTO ANDREA ARRIGA

Gli organizzatori di Prato Sex son rimasti comunque molto soddisfatti della riuscita dell'evento, che ha catalizzato tantissime presenze nei tre giorni (si parla di 15mila biglietti staccati). Tra gli stand, oltre quello con le ragazze dell'Excelsior di Firenze sempre appese al palo della lap-dance con nulla addosso, manco fossero scimmiette ammaestrate (qualche maschietto ha rischiato l'infarto), spiccava lo stand di "Love Lab - Officine della Felicità", una kermesse erotico-sociale nuova di zecca che si terrà a luglio a Roma.

ROCCO SIFFREDI CON GABRIELLA SASSONE A PRATO SEX FOTO ANDREA ARRIGA

L'idea-maker di "Love Lab", il vulcanico Flavio Koea, che rappresenta varie associazioni ("Certi Diritti, Assosex e Love Giver), ha spiegato più volte sul palco di Prato Sex la "mission sociale" della sua creatura: parlare tra uno spettacolo erotico e l'altro di tematiche importanti come l'omofobia, la sessualità dei disabili e la violenza sulle donne.

PARIS WILTON CON IL FETICISTA FOTO ANDREA ARRIGA

Testimonial di "Love Lab", la coppia malandrina "Bad Angels" che si scambiava effusioni hot (senza panni addosso) simulando l'atto sessuale sdraiata su un tavolino davanti allo stand, la sexy pittrice Simba, la scatenata diavoletta Beatrice Pantera (ha regalato uno strip mozzafiato sulle note rock del chitarrista de' noantri Joe Rajola) e l'ex pornostar Francesco Malcom Trulli, che tutti ricordano per il porno "Penocchio", diretto da Luca Damiano.

LA PORNOSTAR PUSSY KAT FOTO ANDREA ARRIGA

Gettonatissimo anche lo stand della nuova coppia lesbo dell'hard (sul palco e nella vita), le belle e innamoratissime Michelle Ferrari e Giada Da Vinci, maestre in sensualissimi lesbo-show. Le due pornodive hanno presentato la loro nuova società, la "XXX M&G FuckTory", con cui produrrano i loro prossimi film. Ad aprile, ad esempio, partiranno a bordo di un camper e attraverseranno l'Italia... dopo ogni spettacolo nei club inviteranno i fans più focosi sul camper per girare con loro scene ad alto tasso di trasgressione che diventeranno un film. Beato chi le incontra, insomma!

LA PORNOSTAR CAROLINE DE JAIE FOTO ANDREA ARRIGA

Originale lo spazio con bici falliche, crocifissi, bighe e tanti altri gadget e macchinari sessuali e lo spazio del "Piacere Artificiale" dove si sono alternate esibizioni di bondage col maestro David La Greca, di shibary e pratiche estreme con la giunonica pornostar Sonia Rei. In tilt, ogni sera, lo stand de "Il Conte Max" che offriva massaggi emozionali (e non solo) con due sexy star del calibro di Noemi Blonde e Maggie Anderson.

GIADA DA VINCI CON MICHELLE FERRARI SUL PALCO FOTO ANDREA ARRIGA

Gli spettacoli più applauditi e arrapanti sono stati quelli della sexy Martina Gold (premiata come miglior performance), della veterana Valentine Demy, di Sexy Luna, delle ceche Paris Wilton e Cristal Jolie, delle ungheresi Caroline De Jaie e Sabina Teylor. Preservativi a pacchi omaggiati a tutti nello stand della Lila. Il porno è morto? Viva il porno! Visto che c'è sempre chi, come Fumagalli, prova a resuscitarlo...

 

DALLA RISERVA DI CACCIA ALLA CACCIA ALLE RISERVE: RIECCO PASSERA

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Susanna Turco per http://espresso.repubblica.it


Mentre Pier Luigi Bersani arranca nella strada in salita delle consultazioni con il resto del mondo, fa capolino nei conversari di Palazzo un nome che negli ultimi tempi - salvo qualche sbavatura davvero minima - è rimasto perfettamente nell'ombra del suo incarico tecnico. E che invece, dicono, potrebbe spuntare fuori all'ultimo, mettendo d'accordo tutti, stile elezione al soglio di Jorge Mario Bergoglio.

CORRADO PASSERA E MARIO MONTI

Il nome è quello del ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera. Una combinazione di sillabe che è risuonata in questi giorni nelle stanze del Quirinale, si è propagata come un eco giù dal Colle e sta tornando di nuovo su. Una soluzione papabile, se il premier "pre incaricato" Pier Luigi Bersani non dovesse farcela.

Corrado Passera, Giovanna Salza, Luca Montezemolo

Stimato al livello internazionale, ma anche molto ben visto Oltretevere, gradito al centrosinistra di Bersani, ma anche centrodestra di Berlusconi e persino alla Lega (Flavio Tosi aveva provato a lanciarlo), con un profilo tecnico ma anche ormai una esperienza di governo, il banchiere ha all'attivo - ripetono nei corridoi - una mossa che allora apparve per molti versi inspiegabile, ma oggi gli vale mille punti. Quella di essersi sfilato al momento giusto dall'operazione "salita in campo di Monti": fu quando il Professore decise di presentarsi con tre liste alla Camera e una sola al Senato, insomma nel giorno dell'inizio della fine di Monti come "asso pigliatutto".

BERSANI E NAPOLITANO

Quel giorno Passera, forse per intuito, forse per convenienza personale, si ritirò dalla partita, rifugiandosi in un vago "vedremo" circa il proprio futuro politico. Un non luogo in cui è sostanzialmente rimasto sin qui, lanciando di tanto in tanto dei tweet mansueti. "Avere speranza contro ogni speranza", per esempio. Citare Papa Francesco, magari per ispirarvisi.

 

TERZI LASCIA, GELO DI BELLA NAPOLI - GRILLO NON CEDE. PDL E LEGA: MEGLIO IL VOTO. MA BERSANI NON SI ARRENDE

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Il Velino

IL CORRIERE DELLA SERA - In apertura: "Terzi lascia, gelo di Napolitano". Editoriale di Giovanni Sartori: "Governicchi e governacci". Al centro, fotonotizia: "Amanda e Raffaele. Processo da rifare". Sempre al centro: "Bersani sempre più in salita". In basso: "L'assessore Battiato torni a cantare".

LA REPUBBLICA - In apertura: "Terzi lascia, caos sui marò". Di spalla: "Pdl e Lega: meglio il voto ma Bersani non si arrende ‘Passi avanti, io ci credo'". Al centro, fotonotizia: "Meredith, processo da rifare. Lo shock di Amanda: ora ho paura". In basso: "Svolta di Obama una donna a capo della sua sicurezza".

GIULIO TERZI

LA STAMPA - In apertura: "Grillo non cede. Bersani: è difficile ma vado avanti". Al centro: "Terzi lascia, l'irritazione del Colle". Sempre al centro, fotonotizia: "processo da rifare per Amanda e Raffaele".

IL GIORNALE - In apertura: "Monti naufraga sulla nave dei Marò". Editoriale di Alessandro Sallusti: "Pdl, responsabilità è dire no a Bersani". Al centro, fotonotizia: "La zuffa delle prime donne in toga". Sempre al centro: "Meredith, tutto da buttare. Giustizia compresa". In basso: "Gesù? Lo riconosciamo nella carne di chi soffre". Sempre in basso: "Oggi ai figli serve il padre. Per imparare a crescere".

IL SOLE 24 ORE - In apertura: "Italia, la produttività è in caduta". L'analisi di Guido Gentili: "Appoggiati sulle nuvole". Al centro: "Marò: Terzi si dimette, l'ira del Colle".

IL MESSAGGERO - In apertura: "Marò, Terzi lascia: gelo al Colle". L'analisi di Francesco Maria Greco: "Il Paese sia unito i due militari vanno tutelati". Al centro, fotonotizia: "Assoluzioni nulle, l'ira di Amanda e Raffaele. Nuovo giallo a Perugia: giovane ucciso in casa". Sempre al centro: "Bersani, offerta al Pdl patto sulle riforme e ruolo a Berlusconi". In basso: "'Mennea', Roma-Milano in 2 ore".

IL TEMPO - In apertura: "Monti fallisce. Anche tecnicamente". L'editoriale di Francesco Damato: "Insopportabile sfida al Colle". Al centro, fotonotizia: "Bersani va avanti. Il Pdl: meglio il voto". Di spalla: "La stonatura di Battiato ‘Troie nel Parlamento'". Sempre di spalla: "Annullare le assoluzioni di Amanda e Sollecito". In basso: "Il Papa rinuncia all'appartamento".

IL FATTO QUOTIDIANO - In apertura: "Terzi spara su Colle e Monti". Editoriale di Antonio Padellaro: "Veleni e citofoni". Il commento di Marco Travaglio: "Lunedì Grasso (con bugie)". In basso: Un Paese affacciato sul precipizio". Sempre in basso Meredith, nuovo processo. Perugia nuovo omicidio".

 

L’EREDITÀ DEL GOVERNO MONTI È UNA CERTEZZA: MAI PIÙ TECNICI MESSI A FARE I POLITICI

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Luigi La Spina per "la Stampa"

Infierire sarebbe così facile e così meritato che verrebbe voglia di cercare argomenti per difendere il governo e i due ministri competenti (?!), giustificare, in qualche modo, quella che il capo di stato maggiore ha definito, qualche giorno fa, «una farsa» e che, ieri, in Parlamento, ha superato persino i caratteri di un genere drammatico che, pure, ha grandi tradizioni e nobili interpreti. Ricorrere a quelle parole che cominciano tutte con la «s», come sconcerto, stupore, sgomento, sdegno e finiscono tutte con una condanna senza appello.

VIGNETTA BENNY DA LIBERO VICENDA DEI DUE MARO MONTI E TERZI DESTINAZIONE INDIA

Oppure si potrebbe solleticare la complicità del lettore con l'irrisione e il sarcasmo, sfogando così l'amarezza e la vergogna per una figuraccia internazionale quale, nella storia della Repubblica, si fa fatica a ricordarne una somigliante. Una tentazione che promette un effetto brillante, ma che sarebbe imperdonabile accogliere, perché non si può davvero sorridere sulle spalle di due militari italiani in attesa di un processo che potrebbe condannarli, se non alla morte, a una lunga pena detentiva.

Meglio, allora, avvertire il rischio e sollecitare l'allarme davanti all'imprevedibile incrocio tra una crisi di governo, già molto complicata sullo sfondo di possibili nuove elezioni e uno «tsunami» devastante sul governo Monti , con riflessi negativi persino sul Quirinale.

Istituzioni che, nel frattempo, dovrebbero reggere l'immagine dell'Italia sul piano internazionale, per evitare conseguenze gravi sui conti della nostra finanza e della nostra economia. Una situazione che, oggi, dovrebbe imporre a tutti i partiti, per un minimo di responsabilità nazionale, atteggiamenti che non cerchino di sfruttare il dibattito sul caso dei marò e delle dimissioni del ministro Terzi nell'occasione per una sfacciata e contingente propaganda politica.

GIULIO ANDREOTTI - Copyright Pizzi

L'occasione, invece, potrebbe essere anche utilizzata per cercare di rispondere alla domanda che, in queste ore, un po' tutti si fanno. Perché quel governo Monti e quei «tecnici», chiamati in soccorso di una politica fallimentare, celebrati e celebratisi come i salvatori dell'Italia, rispettati in sede internazionale e stimati dalla stampa estera, stanno per concludere la loro esperienza, proprio su quella scena mondiale teatro di tante soddisfazioni, in un modo così disastroso? In un modo tale da cancellare, magari ingiustamente, un ricordo, nella memoria degli italiani, che poteva essere diverso?

Corrado Passera

C'è solo un motivo di consolazione, forse, in una vicenda dove è davvero difficile trovarne. Quella di un chiarimento, severo ma illuminante, sulla questione dei tecnici in politica. Una ipotesi auspicata fin dai lontani tempi del ministro repubblicano Visentini e che, periodicamente, si affaccia quando la politica si manifesta inadeguata a risolvere i nostri problemi.

La delusione per questo epilogo del governo Monti potrebbe indurre alla errata conclusione che la competenza sia inutile o un ostacolo alla buona politica. Invece, proprio la lezione che si può trarre dal lavoro compiuto dal governo Monti, in questo anno e mezzo di attività, dimostra che i guai cominciano quando i tecnici esulano dalle loro competenze e sono sedotti dalla prospettiva di cambiare mestiere e di trasformarsi in politici. Tentazione che, sulla scia dell'esempio più importante, quello del presidente Monti, ha contagiato, ad un certo momento, anche il suo ministro degli Esteri.

fci32 ammiraglio di paola bruno franciforte

Davanti a questa mutazione genetica così allettante, si palesano, allora, i dieci «peccati capitali» dei tecnici che vogliono cambiare mestiere:

1) La sopravvalutazione della competenza. Poiché è l'unico motivo per cui vengono chiamati, essi pensano che le loro teorie siano infallibili e, se producono errori, la colpa non è di teorie sbagliate, ma di realtà che sbagliano a non adeguarsi.

2) La pelle sottile. Abituati alle riverenze accademiche, non sopportano le durezze dello scontro politico.

3) L'ingenuità. Sottovalutano le capacità di interdizione delle burocrazie ministeriali, così potenti da far fallire qualsiasi progetto d'innovazione.

4) L'isolamento professionale. Se i consigliori decidono, chi consiglia i consigliori?

governo monti

5) Un linguaggio che tradisce. Non c'è niente di peggio che scambiare un'aula di università, piena di studenti intimoriti, per un'assemblea parlamentare pronta ad azzannare chiunque.

6) Un'emozione che tradisce. Controllare i sentimenti non è facile, per chi non ha imparato la cinquantennale lezione di un Andreotti.

7) I tempi troppo veloci. La politica non consente le lentezze di chi è abituato a meditare troppo prima di rispondere (anche di fronte alle telecamere).

VIGNETTA BENNY FORNERO GIARDA MONTI DILETTANTI ALLO SBARAGLIO

8) A proposito di tempi: sanno di essere ministri «a tempo», ma vorrebbero estendere all'infinito quella scadenza.

9) Suscitano troppe speranze, perché possano arginare le inevitabili delusioni.

10) Ultimo e più grave peccato: la vanità, per chi non è abituato a padroneggiarla, come gli attori o i politici, si trasforma sempre in un crudele boomerang.

In un mondo in cui si pensa di poter fare a meno dei medici, cercando le ricette su Internet, degli avvocati, sfogliando il codice, degli idraulici, ricorrendo agli esperti casalinghi del «fai da te» e, magari, pure dei giornalisti, utilizzando i più comodi tramiti comunicativi della «rete», sarebbe ora che anche i cosiddetti tecnici rispettassero le loro competenze e le loro professionalità e non invadessero quelle degli altri.

 

 

LA CAPORETTO INDIANA FA TRABALLARE L’AMMIRAGLIO

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1 - IL TIFONE INDIANO FA TRABALLARE L'AMMIRAGLIO
Antonio Massari per "il Fatto Quotidiano"

Il prossimo a presentare le dimissioni potrebbe essere il capo di Stato Maggiore della Difesa, l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, l'uomo che solo quattro giorni fa ha dichiarato che la vicenda dei marò "sta sempre più assumendo i toni di una farsa" auspicando che "si concluda quanto prima e che i nostri fucilieri siano al più presto riconsegnati alla giurisdizione italiana". Le voci sulla sua decisione si sono moltiplicate, ieri, dopo le dimissioni del ministro Giulio Terzi.

ammiraglio binelli mantelli

"Ci sta pensando. Non ha ancora deciso, sta solo valutando, per il momento non c'è niente di certo: è solo una valutazione", riferiscono al Fatto Quotidiano fonti attendibili che, per la delicatezza della situazione, preferiscono mantenere l'anonimato. L'indiscrezione sta facendo il giro all'interno Forze armate, però, e dimostra che la vicenda marò rischia di trasformarsi in caos con pochi precedenti. Se troverà conferma, se la valutazione di Binelli Mantelli si trasformerà nell'atto delle sue dimissioni, lo sapremo presto, ma quel che è certo, sin d'ora, è che la strategia diplomatica del governo Monti ha prodotto un inedito scontro tra il Cocer interforze e il capo di gabinetto della Difesa.

GIAMPAOLO DI PAOLA

Già due giorni fa il Cocer, proprio attraverso il Fatto Quotidiano, chiedeva all'ammiraglio Binelli Mantelli di spiegare perché avesse usato la parola "farsa" e di essere più preciso sui dettagli della vicenda marò. Dopo il question time di ieri in Parlamento, il Cocer chiede ulteriore chiarezza, per risalire innanzitutto alle responsabilità nella catena di comando dei fucilieri. Il sospetto è che l'ordine di rientrare in acque territoriali, il giorno dell'omicidio dei due pescatori indiani, possa essere stato impartito proprio dai vertici militari. Una responsabilità che, a questo punto, va ancora accertata.

"Premesso che il primo obiettivo è quello di riportare a casa i nostri ragazzi, e di fare giustizia - dice Gianni Pitizianti, segretario nazionale del Cocer interforze - prendo atto che oggi in Parlamento, tra i deputati, c'è chi ha posto un dubbio sull'origine dell'ordine di rientro, in acque indiane, della nave che trasportava i fucilieri. Non è ancora chiaro, quindi, se l'ordine sia stato impartito dall'armatore, e dal capitano della nave, oppure dai nostri vertici militari: vorremmo una risposta chiara su questo punto".

TERZI DI SANTAGATA E MARIO MONTI

Segno che il sindacato dei militari - che ieri era in Parlamento, in divisa, accanto ai familiari dei due marò - non intende fare sconti sulle responsabilità - sia politiche, sia di natura militare - che hanno portato al disastro diplomatico italo - indiano. L'obiettivo principale - ribadisce il Cocer - è riportare in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone e assicurare loro un giusto processo. Ma senza fare sconti alla gestione politica e diplomatica della vicenda.

E l'urlo dei familiari in Aula in sostanza chiedeva alle istituzioni - che si sfaldavano sotto i loro occhi - un segno di unità. Nel frattempo inizia a profilarsi la prima linea difensiva dei due marò che, a quanto pare, intendono professare l'assoluta mancanza di volontà d'uccidere. Resta - anche in ambito militare - la delusione per l'appuntamento di ieri in Parlamento:

ENRICA LEXIE

"Il ministro della Difesa - continua Pitzianti - ci ha messi dinanzi a una forte delusione: Terzi, nel suo discorso, ha mischiato fattori economici con un profondo e grave problema umano, cioè il destino dei nostri due fucilieri, mentre il ministro della Difesa non ha fornito le spiegazioni che ci aspettavamo. Abbiamo solo capito che Terzi era contrario al ritorno in India dei due marò ma, se non si entra nei dettagli, questo diventa solo un discorso di comodo. Le sue dimissioni? Il suo gesto avrebbe avuto più senso se l'avesse fatto prima. Se qualcun altro ha delle responsabilità segua l'esempio di Terzi e si dimetta".

Responsabilità che, di certo, ha il governo Monti che porta la firma di questo pasticcio diplomatico e, se non bastasse, ora dovrà smentire, o confermare, l'imbarazzante dichiarazione rilasciata dal sindaco di Bari Emiliano: "La sera in cui aspettavo Girone a casa sua, quando si è saputo che ero lì, Monti mi ha chiamato pregando di non interferire sulla volontà del sergente".

2 - LA CAUTELA DELL'AMMIRAGLIO DI PAOLA E IL DISAGIO NEGLI AMBIENTI MILITARI
Andrea Garibaldi per il "Corriere della Sera"

Il-peschereccio-Saint-Antony degli indiani kerala

Cinquanta uomini nelle loro divise, nere, blu, marroni, azzurre, grigie. Carabinieri, Marina, Esercito, Aeronautica, Finanza. Banchi riservati al pubblico, aula di Montecitorio. Cinquanta rappresentanti dei Cocer, gli organismi sindacali delle Forze Armate: non è facile vederli tutti assieme, soprattutto non capita che assistano a una seduta parlamentare.

Rappresentano trecentomila soldati e graduati d'Italia. Che con qualche sfumatura si riconoscono in quel motto sul sito della Marina militare: «Non lasceremo soli i nostri fucilieri!», «No Man left behind», nessun uomo sarà lasciato indietro. Accanto, il fiocchetto giallo, di chi non dimentica i propri cari al fronte, il fiocchetto giallo che stava nelle case americane per gli ostaggi nell'ambasciata a Teheran (1981).

Sono militari, disciplina e obbedienza: «Non vogliamo entrare nella polemica politica - dice Saverio Cotticelli, generale di Corpo d'Armata dei carabinieri, presidente del Cocer interforze -. Ora dobbiamo solo riportare a casa Massimiliano e Salvatore». Aggiunge Cotticelli che nelle caserme e nelle basi «non c'è tintinnio di sciabole». Però disagio sì, e preoccupazione. Agitazione? «No, ma perché ci siamo noi a tranquillizzare, a ripetere: non abbiate paura, seguiamo ogni cosa, passo passo. Certo questa storia, i marò che restano, i marò che ripartono, non è una bella pagina».

Sono militari, mordono il freno. Domenica, Cotticelli ha detto: «Terzi non è il nostro ministro». Adesso un po' di più? «Terzi oggi ha fatto un gesto importante. Ha detto cose che non sapevamo». E l'ammiraglio Di Paola? «Un vecchio militare, non si dimette mai. Ha sempre difeso i suoi uomini, non abbiamo dubbi».

Qualche dubbio ce l'ha Antonello Ciavarelli, maresciallo della Marina e segretario del Cocer interforze, che dichiara: «A titolo personale, essendo un militare, mi ha fatto piacere sapere che nel consiglio dei ministri almeno uno era contrario al rientro in India dei due marò». E quell'«uno» è Terzi, quindi non Di Paola, ministro della Difesa e marinaio, come lui. In tutti i giorni scorsi, molti militari erano stati colpiti dal «silenzio» dell'ammiraglio Di Paola, che tuttavia, tacendo, è stato prima militare e poi politico.

Disagio, delusione, proteste sottotraccia. Per evitare che tutto questo venga allo scoperto, l'altro ieri il Capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi è andato a Brindisi, alla brigata San Marco di «Capo Latorre» e «Capo Girone», come li ha chiamati. «La Marina - spiega Cotticelli - è la forza più esposta. Si sono sentiti soli in certi passaggi... Il Capo di stato maggiore è andato a dire: ci sono io con voi. E il Cocer è con lui. Per una volta "padrone" e sindacato insieme».

Si è parlato di Caporetto, si è parlato dell'8 settembre, in questi giorni, come dire abissi di umiliazione per le Forze Armate italiane. Arrivano notizie di calma però dalle «missioni di pace», Afghanistan, Libano, Libia, Kosovo. Laggiù, per qualsiasi ipotesi di reato, è competente la Procura militare di Roma. I timori veri esistono fra i militari (50 circa) in missione anti pirati nell'Oceano indiano.

Timore di finire in un disastro come quello di Girone e Latorre. Il mito, per i militari italiani, sono gli Stati Uniti: «Gli americani non consentono a nessun Paese di giudicare i loro soldati: prendete la storia dell'aereo che si abbattè sulla funivia del Cermis».

Venti morti, ci furono. E c'è un precedente più simile a questo di cui parliamo: estate scorsa, acque di Dubai, da una nave militare americana aprono il fuoco contro un peschereccio indiano, scambiato per nave pirata. Un pescatore ucciso, tre feriti. Gli americani hanno fatto mille scuse, ma gli sparatori non partecipano all'inchiesta a Dubai.

Oggi i cinquanta uomini in divisa tornano a Montecitorio. Ad ascoltare il presidente del Consiglio Monti. «Ascolteremo in religioso silenzio - dice il generale Cotticelli -. Continueremo a cercare di capire chi sia responsabile di questa pagina brutta».

 

 

PICCOLI BERLUSCONI INVESTONO: I TRE FIGLI DI VERONICA LARIO USANO LA LORO FETTA DI PATRIMONIO PER INVESTIRE

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Marigia Mangano per "Il Sole 24 Ore"

Mediaset per la prima volta dalla sua quotazione in Borsa, che risale al 1996, ha chiuso quest'anno il bilancio in profondo rosso. Naturale non distribuire alcuna cedola. Ma ai piani alti del Biscione, nelle holding della famiglia Berlusconi, il 2012 rappresenta già il terzo anno consecutivo senza dividendi.

Barbara Berlusconi LUIGI BERLUSCONI

Non a caso solo Marina, tra i figli del Cavaliere, ha deciso quest'anno di attingere alle riserve straordinarie della Holding italiana quarta per incassare un assegno di 6 milioni di euro. Silvio Berlusconi, il primogenito Piersilvio e Luigi, Barbara ed Eleonora, hanno invece deciso di accantonare il «magro» utile generato dal sistema holding.

MARINA BERLUSCONI IN ROSA

In attesa di tempi migliori, però, almeno i più giovani della famiglia di Arcore hanno iniziato ad attrezzarsi per cercare fuori dalla galassia Fininvest altri proventi. Tanto che sono pronti, come spiega la relazione del bilancio 2012, a bussare per la prima volta alla porta delle banche: «In epoca successiva alla chiusura dell'esercizio - spiega il documento - si segnala il ricorso a finanziamenti esterni al fine di incrementare le risorse finanziarie disponibili concedendo garanzie sui titoli frutto del loro investimento».

Insomma, sembra che la squadra guidata da Luigi, da sempre appassionato di finanza, sia intenzionata a proseguire in quella strategia di diversificazione attuata dalla Holding italiana quattordicesima negli ultimi anni.

PIERSILVIO BERLUSCONI

Anche a costo di indebitarsi, ma di certo facendo anche affidamento su quei 200 milioni di euro «distribuibili» delle riserve straordinarie.
Basta scorrere il bilancio della società per capire quanto le attività «esterne» su cui hanno investito i figli di Berlusconi siano cresciute in termine di peso sugli asset totali della società.

silvio eleonora berlusconi

Se infatti la quota detenuta nella Fininvest, pari al 21,4%, è contabilizzata per 39 milioni, il totale delle immobilizzazioni finanziarie arriva a 51,3 milioni. Questo significa che il portafoglio partecipazioni diverso dai titoli Fininvest iscritto in bilancio pesa per il 24%. Quasi un terzo.

Ne fanno parte diverse società che spaziano dall'immobiliare a start up Internet, passando per il private equity. Per esempio, figura la partecipazione nella Bel Immobiliare Srl (acronimo di Barbara Eleonora e Luigi), il cui valore è cresciuto a bilancio da 446.240 a 463.401 euro a causa del ripianamento della perdita della controllata al 100% attiva nel real estate.

Negli ultimi dodici mesi i figli di Veronica Lario hanno poi aumentato la presa su Facile.it, società che offre servizi di comparazione di polizze assicurative, raggiungendo il 20 per cento del capitale. In bilancio questa partecipazione è iscritta per 6,3 milioni. Tra le new entry del 2012, compare la società Belfin Uno, partecipata al 79,6%, che a sua volta controlla il 27% di Happyprice.

bit27 matteo arpe

Si tratta di una società proprietaria del sito www.prezzofelice.it la cui attività si concentra nel couponing e retailing online a prezzi vantaggiosi. Belfin ha in tasca delle opzioni fino al 40%. E ancora: dopo la chiusura del bilancio è stata costituita la società B Cinque Srl, partecipata al 66,7% dalla holding quattrordicesima e per il resto dagli altri due figli del Cavaliere Marina e Piersilvio.

Questo veicolo ha già chiuso la prima operazione: con un finanziamento erogato dalla holding di 2 milioni di euro ha acquistato il 7,69% di Payleven Holding Gmbh, una società tedesca specializzata nel settore dei pagamenti con carte di debito e di credito tramite smartphones. Completano il portafoglio dei Berlusconi Junior la quota investita in Sator, il fondo di private equity di Matteo Arpe, ExpoBee Incorporated, attiva nel business delle fiere e la partecipazione (quasi storica) nella società biomedicale MolMed.

 

 

SOLO CASALEGGIO PUÒ PREMERE IL GRILLINO

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Da "Parioli Pocket"

Beppe Grillo

GRILLINI 1
Duri e puri, ma fino a un certo punto. Hanno sfidato la casta, chiesto la riduzione degli stipendi, preteso un taglio dei privilegi. Eppure... Eppure qualche "grillino" non ha resistito alla tentazione di approfittare di uno dei servizi presenti in Senato: la banca. Quella filiale della Bnl che - nell'immaginario collettivo - offre condizioni impareggiabili. In realtà costi e tassi non sono molto diversi da quelli di altre banche, tranne che per i mutui per i quali le condizioni sono davvero vantaggiose.

Ma dopo la denuncia di un deputato dell'Idv, quella banca è diventata uno dei simboli dei privilegi della "casta". Vantaggi indebiti, a detta del Movimento di Beppe Grillo, che vanno eliminati. Eppure, almeno stando a fonti concordanti, almeno un paio di senatori grillini si sarebbero già affacciati allo sportello per aprire un conto. Nulla di male, a nostro avviso. Purché ci si ricordi che per scagliare pietre è bene essere senza peccato.

Vito Crimi jpeg Angelino Alfano

GRILLINI 2
Primo "giorno di scuola" a Palazzo Madama. Una senatrice entra dall'ingresso principale. Ai giornalisti che la assediano non dice una parola. Varcato il portone si identifica ad un commesso come neo-eletta del M5S. Il funzionario gentilmente la accompagna lungo il corridoio. L'uomo, stretto nell'elegante divisa nera, attende con lei l'ascensore che porta al piano Aula. Per ingannare l'attesa prova a rompere il ghiaccio: "Benvenuta al Senato, è la prima volta che viene qui?". Lei lo guarda sospettosa, riflette un secondo e poi risponde: "No comment". Appunto, no comment.

boldrini

GRILLINI 3
Aula di Montecitorio. Laura Boldrini sta per fare il suo primo discorso dopo l'elezione a presidente della Camera. I commessi informano con discrezione i deputati che per rispetto al neo-presidente, il bon ton istituzionale prevede che eventuali manifestazioni di dissenso siano limitati a restare seduti, senza applaudire. Roberto Fico ascolta. Poi prende il telefono e chiama qualcuno. Terminata la conversazione impartisce l'ordine di scuderia: tutti i grillini devono restare seduti, senza applaudire.

La Boldrini inizia il discorso. I deputati del Movimento, così come quelli del Pdl, restano seduti. Nessuno applaude, neanche ai passaggi più condivisibili dal Movimento. Ma quando la presidente ricorda le vittime della strage di via Fani, nel giorno del rapimento di Aldo Moro, persino i berlusconiani si alzano e tutto l'emiciclo applaude. Tranne i grillini. Francesco Boccia, del Pd, se ne accorge. Si gira verso di loro e allarga le braccia come a dire: almeno ora potete applaudire!

Due deputate del M5S si guardano e scattano in piedi in un applauso liberatorio. Fico fa loro cenno di restare sedute, ma altri seguono l'esempio e si alzano in omaggio alle vittime. È l'anarchia grillina. Poco dopo, al Senato, una pattuglia di M5S, in barba alle indicazioni del vertice, voterà per Pietro Grasso.

LA SPERANZA DEL PD
Roberto Speranza, il giorno dopo la sua elezione a capogruppo del Partito Democratico alla Camera, entra nell'Aula di Montecitorio. Si guarda intorno, l'emiciclo è mezzo deserto. Imbocca il corridoio che lo porta verso uno scranno parlamentare. Continua a guardarsi in giro, in cerca di una faccia amica: davanti a lui, di spalle, siede un deputato. Quando si gira, sul volto di Speranza si legge sconcerto. L'uomo che gli tende la mano è Angelino Alfano.

ROBERTO SPERANZA

Il segretario del Pdl non lo riconosce e lo saluta con un sorriso. Speranza capisce: ha sbagliato lato dell'Aula e si è seduto negli scranni di quei "berlusconiani" con i quali, in Tv e sui giornali, ripete di non voler avere nulla a che fare. Ma non ha scelta: imbarazzato stringe la mano di Alfano, mentre si guarda intorno nella speranza (è il caso di dirlo) che non ci siano fotografi appollaiati in "galleria". Non ne vede e tira un sospiro di sollievo, convinto che nessuno lo abbia pizzicato. Nessuno tranne qualche collega, che sorridendo racconta l'imbarazzante episodio.

TUTTA COLPA DI FRANCESCA
Una foto, si sa, vale spesso più di mille parole. E quella di Silvio Berlusconi con gli occhialoni da sole anti-uveite - stile Robert De Niro ne "Gli Intoccabili" - che entra in Senato per votare il futuro presidente di Palazzo Madama, è sicuramente uno scatto che non aiuta l'immagine del Cavaliere. Tanto che in diversi si sono domandati chi gli abbia consigliato quel modello, un po' datato, che gli ha scatenato contro l'ironia di mezzo Parlamento. Anche nel Pdl. Dove in molti accusano Francesca Pascale, la fidanzata ufficiale del Cavaliere. "Sei un figo", gli avrebbe detto, convincendolo che quello era il modello azzeccato per il gran ritorno sulla scena politica dopo il ricovero al San Raffaele.

Silvio Berlusconi and Francesca Pascale article C B DC x

LA MODESTIA DELLA BOLDRINI
"Piacere, Laura Boldrini". L'avesse detto qualche giorno prima, non avrebbe fatto notizia. Ma la neo-presidente di Montecitorio si è rivolta così agli stupefatti giornalisti che la attendevano al termine di un incontro con Nancy Pelosi, ex speaker della Camera Usa. Un approccio umile, quasi imbarazzato, che ha piacevolmente sorpreso diversi cronisti presenti. Nessuno dei quali, ovviamente, ha avuto il coraggio di esternare ciò che tutti pensavano: "Sì, lo sappiamo chi sei...".

 


L’IRRESISTIBILE (CATTIVO) GUSTO DELLA FICTION REALE - IL PROCESSO AD AMANDA E RAFFAELE È MEGLIO DI UNA FICTION

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Natalia Aspesi per "la Repubblica"

RAFFAELE SOLLECITO E AMANDA KNOX

Prima colpevoli, poi innocenti: e adesso? Non sufficientemente innocenti, né colpevoli oltre ogni dubbio; il giudizio è sospeso, la corte di Cassazione ha accolto la richiesta del procuratore generale di annullare la sentenza di assoluzione del processo d'Appello: dovrà decidere del futuro della ragazza americana Amanda Knox e del ragazzo italiano Raffaele Sollecito, la corte d'Appello di Firenze, probabilmente entro l'estate.

AMANDA KNOX E RAFFAELE SOLLECITO

Ormai sono passati poco meno di sei anni dal feroce assassinio, a Perugia, della ventenne studentessa inglese Meredith Kercher; il suo viso paffuto e ridente sarà inciso nel cuore straziato e offeso dei suoi familiari che non hanno avuto giustizia, ma anche Amanda e Raffaele, fuori dall'incubo della prigione, nei ventidue mesi di ritorno alla loro giovinezza tutta da vivere, non l'hanno dimenticata: avrebbero potuto, i giovani istantanei amanti di allora, cancellarla, negarla, come il ricordo fastidioso di un tempo sbagliato, di un vivere sbandato, forse, ma lo sanno solo loro e lo decideranno i nuovi giudici, di una immagine spaventosa di sangue e follia.

STEPHANIE KERCHER SORELLA DI MEREDITH

Ma, come si può dire lugubremente, non tutto il male viene per nuocere, almeno a loro, e per ora. Sollecito ha già pubblicato le sue memorie dal titolo altisonante "Honor bound: my journey to hell" che sta avendo successo negli Stati Uniti: il libro della Knox "Waiting to be heard" che le ha fruttato un anticipo di 4 milioni di dollari, uscirà alla fine di aprile. Ad Amanda per ora, sono stati dedicati altri due libri, "The fatal gift of beauty" e "Angel face. Sex, murder and the inside story of Amanda Knox".

MEREDITH KERCHER

Non tutto ciò che raccontano è favorevole alla ragazza angelica col dono prezioso della bellezza: e il secondo, per esempio, sostiene che la famiglia durante il processo d'appello, si prese una star delle pubbliche relazioni che li metteva in contatto solo con giornali favorevoli, distorcendo spesso i fatti e dando del sistema giudiziario italiano un'immagine
sbagliata e offensiva, per influenzare l'opinione pubblica americana.

Sollecito, che adesso vive a Verona, ha recentemente incontrato a Seattle Amanda, fornita di nuovo fidanzato, proprio per la presentazione del suo libro. Vita bella di successo, con un futuro da progettare e un passato da non dimenticare, almeno perché utile a trasformare la fama di pazzi assassini, nata dagli eventi di Perugia e dal primo processo, in quella di vittime innocenti sancita dalla giustizia, per quanto italiana, del secondo.

AMANDA DECOLLA, NEL RIQUADRO , IL FRATELLO E LA SORELLA DI MEREDITH

Durante i due processi, la cronaca di tutto il mondo era impazzita, una storia nera e diabolica di violenza, sesso, droga, crudeltà e follia, che lasciava a terra, avvolto in una coperta, il corpo dilaniato e seminudo di una delle tante studentesse straniere che invadono la città: per laurearsi ma anche per divertirsi, per trovare amici, per innamorarsi, per sperimentare la vita.

Del delitto furono immediatamente accusati Amanda e Raffaele che a loro volta accusarono Patrick, un amico nero, subito scagionato (e Amanda sarà processata anche per calunnia) e Rudy, il solo che ha pagato con 16 anni di galera, dimenticato sino all'altro giorno: quando il procuratore generale lo ha definito "lombrosianamente indicato di volta in volta come ladro, delinquente, sbandato. Nemmeno lui confesso, ma riconosciuto colpevole di un delitto in concorso forse con ectoplasmi".

la madre di meredith

Ma i presunti colpevoli di una notte horror formavano una coppia giovane
e bella, come quella degli amati vampiri adolescenti che trionfano al cinema, che bevono sangue ma si amano e non muoiono mai.

Subito, come sempre, la gente si divise in colpevolisti e innocentisti, prevalendo questi ultimi negli Stati Uniti per ragioni patriottiche, da noi perché l'immaginario televisivo e il rincorrersi di centinaia di talk show sul caso, imponeva che una ragazza con un volto angelico e puro come quello di Amanda non poteva essere associato alla gola tagliata e al corpo scomposto di una coetanea, neanche tanto carina, quindi per forza non del tutto innocente, almeno nei telefilm che come si sa sostituiscono spesso la realtà. Ma il tempo passa, i delitti efferati si accavallano, addirittura paiono passare di moda; i gusti cambiano, quel che conta nell'informazione sembra ormai l'efferatezza dello scontro politico.

Rudy Guede

Comunque dopo l'assoluzione nell'ottobre del 2011 (condannati in primo grado a 26, lei, e 25, lui, anni di carcere, di cui ne avevano scontati quattro), non risulta che siano ricominciate le ricerche degli eventuali veri colpevoli. La fiction finiva lì, con una happy-end necessaria in ogni storia di successo, adorna delle lacrime della bella Amanda e del suo ritorno a casa, a Seattle, in famiglia, lontano dai brutti ricordi italiani; le puntate precedenti, con la condanna e la prigione, non erano soddisfacenti, le nuove avevano ristabilito una verità più gradevole. Da quel momento, nessuno aveva previsto un sequel.

Che invece ci sarà, e lo si immagina già carico di suspense, soprattutto di scontri fiammeggianti tra magistrati. Tra le tante accuse davanti alla Corte di Cassazione del procuratore generale Riello, furibondo contro le "disattenzioni, violazioni di legge e illogicità" dei giudici della Corte d'Appello, ce ne è una addirittura "politica", che definisce "approssimativa e superficiale" la loro analisi, "con una buona dose di snobismo che ha finito col riconoscere una specie di immunità antropologica e sociale degli imputati" rispetto a un delitto così orribile che potrebbe essere stato commesso da un diseredato "ma non da due persone per bene come Amanda e Raffaele".

È ovvio che Amanda non tornerà in Italia per il nuovo processo, quindi l'interesse mediatico non sarà molto acceso, neppure se ci sarà Raffaele, che pure era presente, sconvolto, l'altro giorno, in Corte di Cassazione. Ma come in tutte le coppie supposte infernali, è la donna la vera protagonista, quella che dirige il gioco delle crudeltà e che tutti vogliono innocente.

 

TUTTI AL BUFFETT DI GOLDMAN SACHS - IL MILIARDARIO-ORACOLO DIVENTA UNO DEI PRIMI AZIONISTI DELLA BANCA D’AFFARI

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Marco Valsania per "Il Sole 24 Ore"

WARREN BUFFETT

Warren Buffett si appresta a prendere un posto d'onore tra i primi dieci azionisti di Goldman Sachs. Per l'esattezza il nono, con una quota dell'1,9% nella storica banca d'investimento di Wall Street.

Il nuovo ruolo formale dell'Oracolo di Omaha e della sua corazzata finanziaria Berkshire Hathaway è il frutto del suo intervento di salvataggio a fianco di Goldman nel 2008. Buffett, in cambio di un investimento da cinque miliardi di dollari e del suo sostegno pubblico, durante la crisi aveva ricevuto un pacchetto di warrant, di diritti ad acquistare azioni a un prezzo prestabilito. Il recupero in Borsa messo a segno da allora da Goldman li ha adesso resi più preziosi alla vigilia della loro scadenza, in ottobre.

lloyd blankfein

Il prezzo pattuito nel 2008 era di 115 dollari per azione, mentre oggi Goldman è quotata ben di più, 146 dollari. Contando che Buffett può accampare diritti su quasi 43,5 milioni di azioni, la sua partecipazione vale 6,4 miliardi, con un guadagno che si aggira sugli 1,4 miliardi qualora decidesse di intascare la differenza in contanti.

Goldman e Buffett hanno però preferito emendare i loro accordi e il guadagno a Buffett verrà versato interamente in titoli, inserendo appunto di diritto l'Oracolo di Omaha nell'elite dei soci della regina di Wall Street con 9,3 milioni di azioni. Il nuovo accordo, con la consacrazione a socio di primo piano di Buffett, entrerà in vigore il primo di ottobre.

WARREN BUFFETT

Ma se per Buffett l'operazione si è dimostrata un indubbio successo finanziario, anche Goldman ne esce rafforzata, in reputazione, dopo anni che l'hanno vista al centro delle polemiche sulle responsabilità negli eccessi che hanno scosso economia e mercati. Buffett è spesso cauto quando si tratta di esporsi a grandi banche: vanta partecipazioni significative soltanto in Wells Fargo e US Bancorp.

In passato pacchetti azionari in Goldman e Bank of America, che aveva rilevato sempre in cambio di aiuti anti-crisi, erano stati composti di titoli privilegiati, che garantivano elevate cedole. Goldman ha ricomprato non appena possibile, nel 2011, quelle «preferred share» che le costavano troppo, un dividendo da 500 milioni l'anno. A Buffett sono però rimasti i warrant.

WARREN BUFFETT

La nuova intesa è stata tenuta a battesimo da prese di posizione dei protagonisti. Buffett ha messo in chiaro di voler investire in Goldman nel lungo periodo. «Intendiamo mantenere un significativo investimento in Goldman Sachs, società con la quale ho effettuato la mia prima transazione oltre 50 anni or sono» ha detto l'Oracolo di Omaha.

GOLDMAN SACHS

«Ho il privilegio di aver conosciuto e ammirato la leadership dei dirigenti di Goldman dal giorno del mio primo incontro con Sidney Weinberg nel 1940». Weinberg, storico top executive di Goldman, era stato soprannominato dalla stampa americana il «Signor Wall Street». Da parte sua, l'attuale presidente e amministratore delegato di Goldman, Lloyd Blankfein, ha fatto sapere di apprezzare il continuo appoggio di Buffett. Ha indicato di essere «soddisfatto che la Berkshire Hathaway intenda rimanere un investitore di lungo periodo».

 

MISSIONE COMPIUTA: I CAPITALI FUGGONO DALL’EUROPA DEL SUD VERSO GERMANIA, OLANDA E FINLANDIA

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Fabio Pavesi per "Il Sole 24 Ore"

Cipro-dice-no-al-prelievo-sui-depositi

Più si accendono focolai di crisi, più i capitali tendono ad andarsene. Capitali affluiti copiosamente, dall'avvio dell'euro, dai Paesi del Nord Europa verso la periferia a finanziarne la crescita. Basti pensare alla Spagna che ha visto un afflusso enorme di capitali esteri che hanno drogato la più gigantesca bolla immobiliare della storia di Madrid.

PROTESTE A CIPRO - CIPRO NON E' IN VENDITA

Ma come sono arrivati, tanto facilmente se ne tornano se il ciclo economico volge all'ingiù. Se poi - il caso greco insegna - la recessione diventa strutturale, acuita anche dalle misure di austerità, quella fuga di capitali esteri diventa irrefrenabile.

Michael Sarris ministro finanze Cipro

Basti pensare all'esodo di massa da Spagna e Italia all'apice della crisi dei debiti sovrani. Come ha rilevato a suo tempo il Fondo monetario internazionale dai due Paesi mediterranei sono usciti capitali tra il giugno del 2011 e il giugno del 2012 per la bellezza di oltre 200 miliardi ciascuno. Una vera e propria emorragia, tamponata successivamente dal rientro degli allarmi e dalla rete di protezione predisposta dalla Bce con il varo del piano Omt.

proteste-cipro

Ma ora il caso cipriota e domani, chissà, il caso sloveno rischiano di far ridecollare il fly to quality dei capitali. Dal Sud Europa, dalle banche in particolare verso Germania, Olanda, Finlandia, insomma il cuore dell'eurozona. Del resto basta analizzare le posizioni nette tra creditori e debitori all'interno dell'Eurosistema.

La Germania ha toccato il picco di 751 miliardi di credito netto all'interno del sistema Target2 nell'agosto del 2012. Al contrario Spagna, Italia e Grecia avevano posizioni debitorie rispettivamente per 429 miliardi, 289 e 108 miliardi. Questo fu lo Zenith, poi il rientro della fase più acuta della crisi sovrana dell'eurozona ha mitigato quelle esposizioni. Ma non le ha ribilanciate.

PROTESTE A CIPRO jpeg

A fine gennaio del 2013 la Germania vanta ancora un credito per 617 miliardi con uno sbilancio in negativo (debito) dell'intera periferia dell'eurozona per 822 miliardi. Un disequilibrio pericoloso, vissuto con ansia dai tedeschi. Che hanno finanziato ampiamente negli ultimi anni, grazie al saldo crescente delle loro partite correnti, i deficit dei paesi periferici e ora temono di rimanere con il cerino in mano. Ma la soluzione non è certo quella di spingere ulteriormente con misure sempre più drastiche di rigore e austerità quei paesi verso recessioni ancora più acute.

Il presidente cipriota Nicos Anastasiades jpeg

La cura rischia di uccidere il paziente e la Germania corre a questo punto il rischio più che concreto di perdere i propri crediti. Ma con questo neo-protezionismo finanziario che vede i Paesi forti riportare a casa i propri capitali, non si va da nessuna parte. O meglio si finisce per acuire le difficoltà, scavando un fossato sempre più profondo tra Nord e Sud Europa. Il caso delle banche è sintomatico.

Se togli fondi alle banche del Sud abbassi la loro base di depositi, costringi le banche a un brusco calo dei prestiti e avviti l'economia reale nella spirale recessiva. È accaduto in Grecia dove sono usciti dalle banche elleniche 70 miliardi di liquidità. È accaduto in Spagna dove gli stranieri si sono affrettati a riportare a casa oltre 60 miliardi. Ed è accaduto anche in Italia, dove secondo le stime dell'Abi il calo dei depositi stranieri è tuttora del 12% su base annua.

Draghi, Merkel e Monti PROTESTE DEGLI INDIGNADOS A MADRID

La frammentazione del sistema del credito in Europa continua a essere una seria minaccia per la tenuta dell'euro. E se poi a Cipro si ricorre ai prelievi forzosi allora la frittata è fatta. Sarà un caso isolato, riguarda una piccola isola e capitali stranieri di dubbia provenienza, ma si infrange un tabù. Quella dell'inviolabilità dei depositi bancari.

 

DOPO OLTRE 750 GIORNI, CROLLA IL MONUMENTO A MONTI ERETTO DAL CORRIERE

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Ultima Parola - Andrea Romano vs DAGO

DAGOANALISI
Forse Dagospia, almeno a dare ascolto al professor Andrea Romano, non aveva l'"autorità morale" per bocciare brutalmente l'operato del governo di Rigor Mortis.

Andrea Romano

Questo sito (libertario e impertinente), a dissomiglianza dell'ex ragazzo spazzola del compagno Massimo D'Alema e del marchese Luca Cordero di Montezemolo, non appartiene infatti né alla chiesa cattolica né all'ideale comunista.

Due parrocchie che l'ex "futurista" da riformatorio, invece, ha ben frequentato cadendo pure nel peccato grave di simonia (soldi&potere).

Massimo Dalema

Dunque, se l'"autorità morale", secondo logica, è un'opzione trascendente alta (Dio) o immanente bassa (il montismo "alla Romano") per giudicare cosa sia il bene o il male, Dagospia si trova un tantino a disagio a misurarsi con l'Altissimo Triglione, simbolo della sua città natia.

L'Andreuccio da Livorno che in tv, all'"Ultima parola" di Gianluigi Paragone, ci aveva accusato, en passant, di praticare la "pornografia e calunnia" a mezzo web. Sì, proprio lui il maestro insuperabile nell'arte del kamasutra (politico) che dopo essersi accoppiato (a pagamento) con l'ex comunista Massimo D'Alema si è dato anima e corpo al suo nuovo amante, Luca Montezemolo, prima di finire tra le braccia voluttuose di Mario Monti. E potersi sedere finalmente tra i velluti rossi di Montecitorio.

MARIO MONTI E LUCA DI MONTEZEMOLO jpeg

Di fronte a tanta fatica erotica (non orwellianamente eroica!) sulle spoglie del suo ultimo amante, ci siamo domandati se non era un tantino sconveniente anche da parte nostra, abusare ancora del "cadavere" ancora caldo di Rigor Mortis.

Un premier "moribondo afflitto da longevità" (Emile Cioran), dal quale hanno cominciato a prendere le distanze anche chi, da settimane, lavorava per la sua imbalsamazione (riconferma) a palazzo Chigi. Forse anche a causa degli afrori emanati dai suoi resti sui cui infierisce pure il nobile ministro degli Esteri, Terzi di Sant'Agata, dimessosi dall'incarico dopo la doppia figuraccia internazionale dei due marò prima sottratti e poi riconsegnati all'India come merce pericolosa.

Gianluigi Paragone

E nell'opera d'impagliatura di Monti in prima fila c'era il "Corriere della Sera" di Flebuccio de Bortoli, il quale ha aspettato ben settecentocinquanta giorni prima di sferrare il classico "calcio dell'asino" al premier ormai in via di completa decomposizione.

Per chi non legge i giornali (e sono la stragrande maggioranza dei cittadini) ricordiamo che nel suo editoriale di domenica scorsa il professore in pensione, Ernesto Galli Della Loggia, ha tirato giù dal piedistallo il monumento a Rigor Mortis che era stato eretto e puntellato, anche con la saliva, dei suoi colleghi dal Corrierone dei Poteri marci.

Per dirla con il codice osceno tanto caro in tv al professor Andrea Romano, sulle pagine del quotidiano milanese abbiamo assistito così alla "sodomizzazione" del premier più amato nell'harem di via Solferino.

FLEBUCCIO DE BORTOLI

Dopo tanta riverenza intellettuale, il Corrierone di Flebuccio de Bortoli con la stroncatura di Ernesto Galli Della Loggia arrivava, sia pure ultimo e con un avversario ormai alle corde, a sferrare a Monti, appunto, il classico "calcio dell'asino".

Andrea Riccardi

Uno sport in cui sono maestri i politologi à la carte e i Gabibbo alle vongole dell'ex casa Rizzoli.
Così lunedì mattina anche il mitico Don Vincenzo Paglia, considerato dal Corrierone una reliquia da rispettare e venerare in nome di Sant'Egidio e del montismo cattolico di Andrea Riccardi, è finito nell'inferno delle cronache giudiziarie (accusa a Terni di bancarotta).

VINCENZO PAGLIA

Già, c'era una volta a palazzo Chigi il Monti(no) bianco che sfornava leccornie (indigeribili) che il "Corriere della Sera" sponsorizzava tra i suoi poveri lettori... Ma avuto sentore che la rinomata fabbrica governativa aveva esaurito le scorte (e le speranze di produrne ancora) anche Flebuccio de Bortoli è stato costretto a rinnegare il "marchio Monti", che fin lì voleva dire fiducia.

EDMONDO BERSELLI

Che poi sia l'autodifesa del prof. Monti sul Corriere sia quella in tv del suo sprezzante assistente, Andrea Romano, siano state più penose dell'inflizione riservata a Monti dai suoi criticoni, non abbiamo davvero l'autorità e soprattutto l'ironia saggistica del mai tanto rimpianto Edmondo Berselli per metterci ancora becco.

Soltanto al grande Edmondo, all'autore dell'operetta immorale "Venerati Maestri" (Mondadori, 2006), tra le tante "figurine" (o "figuracce") dell'intellighenzia italiana non era sfuggita quella esuberante del giovane editor dell'Einaudi, Andrea Romano: "Adesso, quelli come Andrea Romano e gli altri modernisti e blairiani, che sono stati ipnotizzati dalla modernizzazione e costituiscono la prova, che dico l'incidente probatorio che la modernizzazione fa male, tanto che hanno pure cambiato le copertine, ritoccando il bianco...".

Capovolgendo allora un geniale paradigma di Alberto Arbasino, su Andrea Romano si potrebbe solo aggiungere che è passato in fretta: "da giovane stronzo a mancata promessa".

 

 

 

CASELLI E GRASSO DIVISI DALLA MADRE DI TUTTI I PROCESSI: QUELLO AD ANDREOTTI

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Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

GIANCARLO CASELLI E PIERO GRASSO

Il 4 agosto 1999 Gian Carlo Caselli, direttore generale delle carceri, prese un aereo da Roma a Palermo per partecipare alla cerimonia di insediamento del suo successore alla guida della Procura antimafia del capoluogo siciliano. Poi andò a pranzo con i ragazzi di una comunità giovanile, e a chi gli chiedeva notizie sul nuovo procuratore rispose: «È un bravissimo magistrato, la scelta migliore che si poteva fare».

Caselli quel giorno lasciò tranquillo la Sicilia, e tranquilli rimasero i magistrati che avevano lavorato con lui e si apprestavano a lavorare con Grasso. Fiduciosi di proseguire le loro inchieste nel segno della continuità.

Appena un anno dopo il clima era tutto un altro. I principali collaboratori di Caselli si sentivano messi da parte, soppiantati dalle scelte di Grasso che aveva delegato gran parte delle indagini al procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, il quale nella stagione precedente (dopo aver partecipato all'inchiesta che portò all'individuazione degli autori della strage di Capaci) aveva scelto l'«esilio» alla Procura circondariale.

PIERO GRASSO E GIANCARLO CASELLI

Nell'agosto 2000 Caselli confidò a La Stampa le proprie preoccupazioni per una politica giudiziaria antimafia che - sosteneva - appariva un po' troppo accomodante con i rappresentanti delle istituzioni. Grasso gli rispose a stretto giro, sempre sul quotidiano torinese. E lì alluse all'«azione repressiva precedente che, nonostante gli sforzi e l'impegno, è riuscita a ottenere condanne solo sulla stampa, nella fase delle operazioni di cattura, e non sempre nelle sedi giudiziarie e in via definitiva».

Da quella polemica è passato tanto tempo, quasi tredici anni. Ma a leggere gli ultimi botta e risposta siamo sempre lì, fermi alla contrapposizione tra risultati valutati in modo opposto, a seconda dei punti di vista. Alle schermaglie che, gira e rigira, continuano a ruotare intorno alla madre di tutte le indagini su mafia e politica, il processo a Giulio Andreotti, il simbolo del potere trascinato alla sbarra.

GIULIO ANDREOTTI

All'epoca c'era solo l'assoluzione in primo grado secondo la formula che riecheggia la vecchia «insufficienza di prove»; in seguito arrivò la prescrizione per i «reati commessi» fino al 1980, in base alla quale si può dire che quel lavoro non era affatto campato in aria. Intanto si accavallavano le sentenze contraddittorie per Mannino, Carnevale, Contrada (esiti finali opposti, i primi assolti e il terzo condannato), il processo Dell'Utri arrancava (ma alla fine tutte le sentenze di merito sono state di condanna, fino all'altra sera), le assoluzioni del presidente della Provincia Musotto e altre ancora.

CALOGERO MANNINO

E le polemiche - che da queste parti prendono spesso la forma e la definizione di «veleni» - proseguirono. Ma più che i risultati giudiziari dalle differenze per molti versi fisiologiche, ad alimentarle erano i nuovi rapporti di forza dentro la Procura. Con divergenze in cui i confini tra questioni di lavoro e personali si facevano spesso labili, tanto che non era difficile trovare pubblici ministeri che - nella divisione quasi cronica tra «grassiani» e «caselliani» - transitavano da uno schieramento all'altro. A volte con passaggi doppi.

Dalla gestione del pentito Giuffrè all'indagine sul presidente della Regione Cuffaro, i contrasti sono divenuti pubblici, con relativi scambi d'accuse. Tanto che nel 2007 (due anni dopo essere passato da Palermo alla Procura nazionale antimafia, mentre Caselli, stoppato in quella corsa dalla legge contra personam, faceva il procuratore generale a Torino) in un libro intitolato non a caso Pizzini, veleni e cicoria, Grasso denunciò le «calunnie di chi mi colloca tra i "magistrati furbi" che strillano sui giornali contro mafia e politica ma non le perseguono a dovere nella prassi giudiziaria». Sembra di leggere la replica alle accuse di Marco Travaglio, ma sono parole scritte sei anni fa.

MARCELLO DELL'UTRI

Nel frattempo a Palermo era approdato il procuratore Messineo (tuttora seduto su quella poltrona) e i «caselliani» avevano riconquistato spazio. E uno dei pm siciliani più vicini al magistrato piemontese, Antonio Ingroia, disse: «Si sta ripristinando un clima positivo e di collaborazione, le polemiche non servono a nessuno, meglio guardare avanti».

Sono bastate un paio di candidature alle elezioni politiche - di Ingroia e di Grasso -, seguite dalla sconfitta di uno e l'ascesa dell'altro alla seconda carica dello Stato, per ricominciare a guardare indietro. Sempre con gli stessi argomenti, Non immaginati da nessuno quel giorno d'inizio agosto del 1999.

 

 

IL CASO-CIPRO È L’ESTREMA UNZIONE ALLA FOLLIA CHIAMATA EURO

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Martin Wolf per "Il Sole 24 Ore"

La crisi cipriota sarà pure una tempesta in un bicchier d'acqua, ma offre insegnamenti importanti per vascelli di ben altre dimensioni, tra cui la zona euro nel suo insieme. Alcuni di questi insegnamenti sono incoraggianti, altri inquietanti. Eurolandia resta impantanata in un brutto pasticcio, anche se l'ultimo piano per Cipro è più vicino alle caratteristiche che la soluzione ordinata di una crisi bancaria dovrebbe avere.

Cipro-dice-no-al-prelievo-sui-depositi

Che indicazioni trarne? Io ne suggerisco almeno quattro. La prima è che l'Eurozona alla fine riesce effettivamente a trovare la forza per fare la cosa giusta, anche se solo dopo aver esaurito tutte le alternative. Quando dico che questo piano è "la cosa giusta" non voglio dire che sia impossibile immaginare alternative migliori: ma tutte queste alternative presuppongono un livello di solidarietà fra gli Stati membri e i popoli europei che al momento (e nel futuro preventivabile) non è dato vedere.

CIPRO - TROIKA GO HOME

In secondo luogo, un euro non ha lo stesso valore ovunque. Le banconote sono le stesse, ma di fatto quasi tutti gli euro sono passività delle banche. Quello che è successo a Cipro mostra chiaramente che il valore di un euro di passività bancarie dipende dalla solvibilità della banca stessa e dalla solvibilità del Governo che sta dietro a quella banca.

PROTESTE A CIPRO - CIPRO NON E' IN VENDITA

Se tanto la banca quanto lo Stato sono insolventi, i prestatori hanno buone probabilità non solo di perdere una grossa fetta dei loro soldi, ma anche di scoprire che il resto è congelato sotto la cappa dei controlli di capitale, introdotti per impedire il collasso del sistema bancario di un Paese. Come fa notare Guntram Wolff del Bruegel, un'unione monetaria con controlli valutari interni è una contraddizione in termini.

protesta a cipro contro merkel jpeg

La terza indicazione che viene da Cipro è che la relazione fra banche, Stati sovrani e zona euro è più complicata di quanto apparisse un tempo. La conclusione ideale che si dovrebbe trarre dal pasticcio cipriota è che tutte le banche dell'Eurozona dovrebbero avere più capitale. Anzi, considerando la limitata capacità finanziaria di uno Stato che fa parte di un'unione monetaria, le loro banche dovrebbero essere meglio capitalizzate di quelle di altri Paesi.

MARTIN WOLF

Ma la conclusione che si trarrà probabilmente è diversa, ed è che le banche più solide saranno quelle che si trovano nei Paesi con conti pubblici più solidi. L'alternativa a un esito di questo tipo sarebbe una vera unione bancaria. Ma per giungere a questo ci vorrebbe o un'unione di bilancio o la disponibilità ad applicare lo stesso severo regime di risoluzione a tutte le banche: e nessuna delle due cose è probabile.

proteste-cipro

Un ultimo insegnamento di questa crisi è che quello che ho definito il "cattivo matrimonio" che tiene insieme i membri dell'euro, da cattivo che era è diventato pessimo. Cipro conta poco per la zona euro nel suo complesso. Ma questa crisi è un'altra occasione per far affiorare la rabbia dei cittadini. I vecchi timori che l'euro avrebbe finito per minare l'unità dell'Europa, invece di rafforzarla, sembrano più plausibili. E così l'Europa avanza zoppicando, crisi dopo crisi. Può andare avanti all'infinito? Non lo so.

merkel-mangia

Sono quasi certo che la strategia dell'austerità competitiva non è in grado di restituire la salute economica alla zona euro: è garanzia di economia e debito fragili, crisi bancarie e occupazionali nelle economie più deboli a tempo indefinito. Al contempo va detto che c'è una volontà fortissima di non infrangere l'euro. Siamo quindi di fronte a uno scontro tra una forza irresistibile e un oggetto irremovibile. La crisi cipriota è un episodio piccolo, e per certi versi poco rappresentativo, di una storia lunga e dolorosa, il cui ultimo capitolo è ancora lontano dall'essere scritto.

 

COME SI DICE MARÒ IN TEDESCO? - DUE MARINAI TEDESCHI SONO STATI ARRESTATI IN INDIA

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Da "Rainews24.rai.it"

TERZI E MARO

Due marinai tedeschi sono stati arrestati ieri, 10 giorni dopo che la nave cargo su cui erano a bordo si e' scontrata con un peschereccio, provocando la morte di una persona, al largo della costa del Chennai, in India. Successivamente, come riferisce il "Times of India", un tribunale ha concesso la liberta' su cauzione ai due uomini, ma obbligandoli a non lasciare il Paese.

Come sottolinea il sito del quotidiano indiano, la storia ricorda l'inizio della vicenda dei due maro' italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, risalente al febbraio del 2012. Anandan, 45 anni, e' annegato mentre gli altri due pescatori sono stati tratti in salvo dopo che la nave MV Grietj, battente bandiera di Antigua e Barbuda, ha speronato la loro barca lo scorso 16 marzo, a circa 18,5 chilometri al largo della costa indiana.

Un funzionario della polizia ha affermato che il capitano della nave, Albrecht Wolsgang, 46 anni, ed il secondo ufficiale, Steffen Hinksoth, 38 anni, entrambi di Monaco, sono stati arrestati con l'accusa di negligenza che ha portato alla morte dell'uomo. I due uomini hanno dovuto depositare i loro passaporti e il tribunale ha stabilito che devono rimanere al Seafarers Club, nel porto di Chennai, in attesa di ulteriori ordini.

Alcune fonti hanno riferito che un'ispezione subacquea della nave non ha riscontrato segni visibili di collisione, ma c'erano evidenze circostanziali per arrestare i due marinai. Se ritenuti colpevoli, riferisce l'agenzia di stampa Dpa, i due marinai rischiano fino a due anni di carcere. "Abbiamo in programma di rilasciare la nave in un giorno o due, ma i marinai dovranno rimanere a Chennai finche' il caso non sara' risolto", ha spiegato un agente della polizia locale.

 

MERKEL ARRABBIATA jpeg

MATTEO RENZI : ROTTAMATE TUTTO, MA NON LA MIA PENSIONE

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Marco Lillo per "il Fatto Quotidiano"

MATTEO RENZI CON LA MANO NELL'OCCHIO

Il Comune e la Provincia di Firenze da quasi 9 anni pagano i contributi per la pensione del dirigente di azienda Matteo Renzi. Il problema è che l'azienda che ha assunto il giovane Renzi come dirigente 8 mesi prima di collocarlo in aspettativa (scaricando l'onere previdenziale sulla collettività) è della famiglia Renzi. Lo si scopre leggendo un documento del 22 marzo scorso: la risposta a un'interrogazione presentata dai consiglieri Francesco Torselli (Fratelli d'Italia) e Marco Semplici (Lista Galli).

MATTEO RENZI IN BICI

"Il dottor Matteo Renzi è inquadrato come Dirigente presso l'azienda Chil srl", scrive il vicesindaco Stefania Saccardi e aggiunge "alla società presso cui risulta dipendente in aspettativa il dottor Renzi sono erogati i contributi previsti all'art. 86 comma 3 del Testo unico sugli enti locali". La legge in questione impone all'Ente locale di provvedere al versamento dei contributi previdenziali, per gli amministratori locali che, in quanto lavoratori dipendenti, siano stati collocati in aspettativa non retribuita per assolvere al mandato.

MATTEO RENZI VOTA ALLE PRIMARIE

La tentazione di farsi assumere poco prima dell'elezione per caricare sull'ente i versamenti pensionistici è forte. Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, è stato al centro di uno scandalo perché era stato assunto da un Comitato legato al Pd il giorno prima del 16 febbraio 2008, data in cui comunicava la sua candidatura a presidente della Provincia. Ora si scopre che anche Renzi fruisce della stessa legge.

MATTEO RENZI VERSIONE PIERINO CONTRO TUTTI

"Renzi", scrive il vicesindaco nella sua risposta all'interrogazione "risulta inquadrato come dirigente dal 27 ottobre 2003 nell'azienda CHIL srl, gestita - prosegue il vicesindaco - dai familiari fino al 2010. Dopo la cessione di ramo d'azienda la nuova società Eventi 6 Srl è costituita da soggetti privati estranei a rapporti di parentela". In realtà, come il Fatto ha già scritto, la Eventi 6, che fattura 4 milioni di euro all'anno nel settore della distribuzione della stampa, è di proprietà delle sorelle Matilde e Benedetta Renzi (36 per cento a testa), della mamma Laura Bovoli (8 per cento) e del fratello del cognato, Alessandro Conticini, 20 per cento.

MATTEO RENZI FA LO STARTER ALLA FIRENZE MARATHON

L'assunzione di Renzi, a differenza di quella di Zingaretti, è avvenuta 8 mesi prima dell'elezione a presidente della provincia, il 13 giugno 2004. Fino a 8 mesi prima dell'elezione, la società di famiglia pagava molto meno di quanto poi provincia e comune verseranno per la sua pensione. Spiega il vice-sindaco Saccardi nella sua risposta: "Renzi ha avuto un contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino al 24 ottobre 2003 presso la Chil srl. Dal 27 ottobre 2003 è stato inquadrato come dirigente".

Fonti vicine al sindaco spiegano al Fatto: "L'assunzione non era finalizzata a lucrare i contributi. La società della famiglia Renzi in quel periodo viveva una fase di ristrutturazione. L'acquisto della qualifica di dirigente da parte di Renzi era legata alla cessione delle sue quote. Prima era socio ed era inquadrato come collaboratore. Nel periodo in cui cede le quote diviene dirigente".

 

Nicola Zingaretti

IL CINEMA DEI GIUSTI - JASMINE TRINCA DO BRASIL (STRACCIONE) - “UN GIORNO DEVI ANDARE” DI GIORGIO DIRITTI DIVIDERÀ LA CR

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Marco Giusti per Dagospia

UN GIORNO DEVI ANDARE DI GIORGIO DIRITTI CON JASMINE TRINCA

"Girare un buon film in Brasile è facile", diceva Gustavo Dahl, teorico del Cinema Novo, "basta andare in viaggio per il paese, è l'India". In fondo le parti più riuscite di "Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti, regista di opere cupe e serissime, come "Il vento fa il suo giro" e "L'uomo che verrà", sono proprio quelle di puro viaggio per il Brasile povero e selvaggio intorno al Rio delle Amazzoni, il fiume, gli indios, le palafitte di Manaus.

UN GIORNO DEVI ANDARE DI GIORGIO DIRITTI CON JASMINE TRINCA

C'è un funzionamento rosselliniano che agisce al di là dei desideri di cinema e di racconto cattolico di Diritti. Il viaggio nel cuore del Brasile, lo scontro con una natura selvaggia che assorbe le tue domande è già un film. E' lì, comunque, che la bella Augusta, una ben ritrovata Jasmine Trinca dopo troppi film morettiani, meno cupa delle consuete reginette della sfiga dei film italiani visto che si esibisce anche in una partita di calcio, è finita alla ricerca di una risposta, di una illuminazione, forse di una fede che non ha più.

UN GIORNO DEVI ANDARE DI GIORGIO DIRITTI CON JASMINE TRINCA

Trentenne abbandonata dal marito perché non può avere figli, vive il suo stato di non procreatività come la maledizione di tutta la borghesia occidentale in un mondo dove i maschi sembrano inesistenti o sfuggenti e le donne costrette a soffrire. Un po' come nell'ultimo film di Alina Marazzi, che ha meno complicazione cattoliche, la crisi della nostra società sembra riversarsi interamente nel senso di colpa delle donne che non riescono a avere figli. Una società sterile.

"Ormai per noi è difficile essere felici sconfitti da millenni di sensi di colpa", dice la stessa Augusta all'inizio del film come se fosse Martin Sheen in "Apocalypse Now" mentre risale il Mekong. Questa maledizione, nel film, colpisce diverse generazioni di donne. Sia quelle rimaste a Trento per dovere di copione e di Film Commission Trentina, cioè la tristissima madre di Augusta, l'intensa Anne Alvaro già eroina dei film di Raoul Ruiz e di Noémie Lvovky, la più allegra nonna Sonia Gessner, già vecchia ai tempi di "Colpire al cuore" di Gianni Amelio e nella vita vedova dell'architetto Aldo Rossi.

UN GIORNO DEVI ANDARE DI GIORGIO DIRITTI CON JASMINE TRINCA

Sia quella che divide il viaggio con lei, Sorella Franca, la notevolissima Pia Engleberth già suora comica nella sitcom tv "Belli dentro", che ha visto nella fede l'unica risposta ai disastri del mondo: "La fede sei tu, quello che senti, nel profondo della tua anima". Per rispondere alle sue domande e trovare una soluzione alla sua crisi, non riuscendo a sentire la chiamata della fede, Augusta lascia Franca e si butta tra i più poveri di una favela sulle palafitte di Manaos.

"Se vuoi cambiare le cose, devi andare dove le cose vanno cambiate" le dice un militante cattolico molto serio. Ma neanche lì, alla ricerca di un inserimento in una comunità povera e primordiale, Augusta riuscirà a trovare le sue risposte e finirà per ripercorrere il fiume, naufraga su una spiaggia dove potrà essere illuminata solo dal volto del bambino che non può avere. Tristissimo, con qualche pesantezza, ma ottimo film da esportare senza fare brutte figure, interpretato con grande intensità e freschezza da Jasmine Trinca e da tutto il bel cast femminile, soprattutto da Pia Engleberth, "Un giorno devi andare", come i precedenti film di Diritti, dividerà la critica.

UN GIORNO DEVI ANDARE DI GIORGIO DIRITTI CON JASMINE TRINCA

Troppo facile, troppo cattolico, troppo dichiarato per alcuni, perfetto per altri. Diciamo subito che la prima parte del film, con Augusta e Sorella Franca in giro sulla barchetta per il Rio delle Amazzoni alla ricerca di indios da indottrinare, è la migliore. Proprio perché è vero quello che diceva Gustavo Dahl, agisce l'effetto l'India, il viaggio rosselliniano in un paese ancora naturale e selvaggio dove le contraddizioni occidentali si scontrano con una realtà della terra e dell'acqua.

Nella prima parte del film poco e niente sappiamo di Augusta e del perché del suo viaggio e la coppia delle donne sul fiume che mangiano riso e fagioli è misterioso e poetico. Quando entriamo in contatto con la storia alle spalle di Augusta, la mamma e la nonna che vivono a Trento e si tormentano a vicenda, e arriva un esercito di suore, il film perde intensità e diventa banale.

UN GIORNO DEVI ANDARE DI GIORGIO DIRITTI CON JASMINE TRINCA

La storia nelle palafitte di Manaus per il nostro cinema è notevole, anche se nel reparto tragedia della miseria nelle favele nei festival si vede di meglio. Il film riprende quota però nella parte finale con la crisi di Augusta, grazie anche a Jasmine Trinca. Certo, la copia Adelphi del libro di Simone Weil che non si rovina dopo tempeste e situazioni disperate alla "Lost" ai critici più bastardi fa un po' ridere, per non parlare dell'invadenza della Film Commission Trentina, ma abbiamo visto di molto peggio. In sala dal 28 marzo.

 

NON È LUI CHE SCAPPA, MA LA GIUSTIZIA - CHE DELL’UTRI CASCHERÀ SEMPRE IN PIEDI ORMAI LO SI È CAPITO

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Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Marcello Dell'Utri

Hanno avuto ragione, i difensori di Marcello Dell'Utri, a suggerire al loro assistito di farsi vedere dai giudici alla lettura della sentenza. Perché la sua presenza in aula al momento della nuova condanna per mafia è uno dei motivi che hanno convinto la Corte d'Appello di Palermo a negare la richiesta di arresto dell'ex senatore.

«Va escluso il pericolo di fuga in relazione al comportamento dell'imputato che ha partecipato alle udienze dibattimentali, compresa quella odierna - hanno scritto i magistrati nel provvedimento di rigetto -, e non ha mai mostrato di volersi sottrarre all'esecuzione della pena». Tanto più ora che non ha più l'immunità parlamentare a proteggerlo, e dunque ben poteva temere l'arresto. Il sostituto procuratore generale riteneva (e probabilmente ritiene ancora, sebbene non abbia ancora deciso se rivolgersi o meno al tribunale del riesame) il contrario.

Ricordando, con tanto di note redatte dalla questura di Milano, i viaggi all'estero di Dell'Utri in Spagna e Centro America alla vigilia del verdetto della Cassazione che un anno fa poteva spalancargli le porte della galera. Quel che probabilmente tentò nel 2012 potrebbe rifare adesso, in vista del nuovo giudizio definitivo previsto, a occhio e croce, per l'inizio del prossimo anno. Perciò il rappresentante dell'accusa suggeriva la carcerazione preventiva. Ma i giudici hanno risposto no.

MARCELLO DELL'UTRI

«Si tratta di notizie imprecise e generiche, apprese dalla polizia da fonti confidenziali - ha replicato la Corte d'Appello -, che non dimostrano la volontà di un allontanamento definitivo». Ma il pubblico ministero aveva sottolineato anche un altro motivo per arrestare l'ex senatore: la possibile reiterazione del reato di concorso in associazione mafiosa, giacché dal suo punto di vista Marcello Dell'Utri non ha mai smesso di essere legato a Cosa nostra.

Marcello Dell Utri

Anche questo argomento, però, è stato respinto dai tre giudici che hanno condannato l'imputato. L'ultima condotta dimostrativa di colpevolezza, hanno scritto, risale al 1992, come stabilito dalla Cassazione nel precedente verdetto. E il fatto che a partire da quella data non siano emerse «condotte penalmente rilevanti o rapporti significativi» con esponenti mafiosi, «costituisce elemento concreto per escludere la sussistenza dell'esigenza cautelare».

Infine, dopo due giudizi di appello sostanzialmente conformi, non c'è pericolo di «inquinamento probatorio». Così, nonostante la terza condanna di fila, l'imputato Dell'Utri resta libero. In attesa di quella definitiva o - come lui chiederà e si augura - di un nuovo annullamento.

Marcello Dell'Utri

Oppure della prescrizione, che scatterà comunque nel 2014.
La decisione sottoscritta dai tre giudici della Corte d'Appello Raimondo Loforti, Daniela Troja e Mario Conte è arrivata già nella serata di lunedì, poco meno di un'ora dopo l'istanza del sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio. Ma solo ieri mattina è stata comunicata ai difensori, dopo che Dell'Utri aveva lasciato l'albergo palermitano ed era salito su un volo diretto a Milano.

Marcello Dell'Utri

«Hanno rigettato la richiesta del mio arresto? Beh, che dire, l'ammalato prende un brodino», ha commentato l'ex senatore quando l'hanno avvertito, rifugiandosi in una delle battute con le quali cerca di sdrammatizzare la vicenda giudiziaria nella quale è coinvolto da quasi vent'anni e che si sta avvicinando al traguardo finale. Senza che, per adesso, sia riuscito a uscirne scagionato. Anzi. Insieme all'ultima condanna a sette anni di carcere, l'altra sera, s'era materializzato anche lo spettro del carcere preventivo.

Che lui cercava di allontanare, intorno alla mezzanotte, assaporando un sigaro cubano e un bicchiere di rosso nella penombra del bar dell'albergo. «Mi parrebbe una misura abnorme, ma in questo Paese di cose abnormi ne capitano parecchie», commentava mostrandosi rassegnato e teso allo stesso momento. I giudici avevano già deliberato di non arrestarlo, ma lui ancora non lo sapeva.

 

MONTI SCARICA TERZI E GLI DÀ DEL PARA-GURU: “LA SUA DECISIONE HA ALTRI SCOPI”

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1. VIDEO - MONTI PARLA ALLA CAMERA: "STUPITO DA TERZI"
http://video.corriere.it/bersani-m5s-non-mi-rompo-testa-loro/13a835de-96f6-11e2-b7d6-c608a71e3eb8

2. MARÒ, MONTI ALLA CAMERA: STUPITO DA DIMISSIONI TERZI, CON L'INDIA NESSUNO SCAMBIO
Da www.ilmessaggero.it

VIGNETTA BENNY DA LIBERO VICENDA DEI DUE MARO MONTI E TERZI DESTINAZIONE INDIA

Le dimissioni del ministro Giulio Terzi «rassegnate in aula» sono state un «atto inconsueto», ha detto il premier Mario Monti, riferendo a Montecitorio sul caso dei Marò e delle dimissioni del ministro degli Esteri Terzi. «Sono rimasto stupefatto per ciò che il ministro Terzi ha fatto e per ciò che non ha fatto». Lo ha detto il premier, spiegando che Terzi non aveva informato nessuno e non si era opposto pur potendo «preannunciare le proprie decisioni».

TERZI E MARO

«TERZI HA ALTRI SCOPI».
«Sappiamo anche tutti - ha proseguito il premier uscente - che può essere utilizzato lo strumento delle dimissioni per indurre gli altri partecipanti o anche il presidente del Consiglio a cambiare orientamento. Niente di tutto questo è avvenuto, né alla riunione del Cisr nè alla riunione di ieri mattina a Palazzo Chigi. Abbiamo messo a punto il testo che i due ministri avrebbero presentato qui ieri pomeriggio e niente mi è stato detto dal ministro degli Esteri sul suo dissenso e men che meno l'intenzione di dimettersi. Sulla base di questi fatti ho motivo di ritenere che l'obiettivo non fosse modificare una decisione ma forse - ha aggiunto - quello più esterno di conseguire altri risultati che magari nei prossimi tempi diverranno più evidenti».

I DUE MARO GIRONE E LATORRE

DICHIARAZIONI PRECIPITOSE.
La decisione di non rimandare in India i due marò «non avrebbe dovuto essere oggetto di precipitose dichiarazioni alla stampa, che il ministro Terzi ritenne invece di rilasciare, anticipando un risultato finale che non poteva ancora darsi per scontato», ha sottolineato Monti, aggiungendo che «la puntuale ricostruzione dei fatti e del percorso che ha ispirato l'azione del governo, è stata pienamente condivisa dall'allora ministro Terzi, come da lui stesso pubblicamente affermato, basta vedere numerose dichiarazioni alla stampa».

TERZI DI SANTAGATA E MARIO MONTI

NIENTE SCAMBI.
«Obiettivo del governo è stato di tentare di isolare questa vicenda dall'insieme complessivo dei rapporti con l'India e la nostra priorità è stata di la sicurezza, l'incolumità e la dignità dei nostri due marò e di tutti gli italiani che si trovano in India. Consentitemi di respingere con forza qualsiasi illazione su possibili scambi o accordi riservati» con l'India o sul fatto che «interessi economici» abbiano «influenzato» l'attività del governo sul caso dei marò, ha detto Monti.

 

 

DOPO PALAZZO CHIGI E QUIRINALE, TOCCA RIEMPIRE LE POLTRONE CHE CONTANO DAVVERO

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Gianni Dragoni per "Il Sole 24 Ore"

Lorenzo Bini Smaghi

È cominciata con una doppia conferma la stagione delle nomine pubbliche 2013. L'assemblea dei soci della Snam ha confermato ieri Lorenzo Bini Smaghi presidente, nella carica che ricopre dal primo gennaio 2012. Il nuovo consiglio di amministrazione della Snam ha confermato l'a.d. Carlo Malacarne.

Tutto come prima al vertice della società dei metanodotti, anche nel nuovo assetto che vede la Cassa depositi e prestiti (Cdp), con il 30%, nel ruolo di azionista di controllo al posto dell'Eni. Del resto l'azionista finale, della Cdp come dell'Eni, è sempre lo Stato.

FRANCO BASSANINI

La campagna nomine di primavera è ritmata da un'agenda che vede avvicinarsi appuntamenti importanti quasi in ogni settimana in aprile. Quello che oggi manca è un nuovo governo. Quindi si profilano due possibilità, a meno che l'incarico affidato a Pier Luigi Bersani non approdi in pochi giorni a una svolta.

MAURO MORETTI CON UN CANE

La prima ipotesi è che sia il governo Monti, pur dimissionario da più di tre mesi, a muovere le pedine. Avrebbe un ruolo chiave il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, che era direttore generale con l'ex ministro Giulio Tremonti quando i vertici in scadenza sono stati nominati.

La sensazione che Grilli tenti un'accelerazione per evitare sconvolgimenti è venuta dalla convocazione anticipata di qualche settimana, al 17 aprile, dell'assemblea della Cdp. È la società pubblica sempre più importante perché ha impiegato il risparmio postale (233 miliardi) per l'acquisto di partecipazioni azionarie dal Tesoro come Eni, Terna, Sace, Fintecna e Snam dall'Eni (con effetti cosmetici sul debito pubblico) e per finanziamenti ai Comuni e a imprese. Cdp è una quasi-banca molto ricca e nel capitale ci sono 64 fondazioni bancarie.

GIUSEPPE GUZZETTI resize

La Cdp si può definire "la madre di tutte le nomine". Grilli vorrebbe confermare a.d. Giovanni Gorno Tempini, il banchiere che ha scelto insieme a Tremonti nel 2010, espressione del mondo di banca Intesa, ex Jp Morgan, amico del presidente di Intesa, Giovanni Bazoli.

Gorno è inoltre presidente della controllata Fondo strategico italiano. Per la presidenza della Cdp è in pole position per la conferma Franco Bassanini, voluto dal presidente dell'Acri Giovanni Guzzetti in base a un accordo informale con il Tesoro, ora le fondazioni (di cui Guzzetti è il capo) hanno il diritto a indicare il presidente.

Sulla Cdp ci sono molti appetiti, tra gli aspiranti al timone ci sarebbe l'a.d. della Sace Alessandro Castellano, anche lui in scadenza. Se il nuovo governo tarderà a insediarsi o nascerà fragile, il vertice della Cdp potrebbe essere confermato senza esitazioni, salvo inevitabili variazioni tra i consiglieri semplici. L'altra ipotesi è che se il nuovo governo si insedierà a ridosso del 17 aprile l'assemblea Cdp potrebbe rinviare le nomine.

VITTORIO GRILLI FOTO ANSA

Lo stesso vale per altre società, tra cui Finmeccanica. È vacante la poltrona di presidente dopo le dimissioni di Giuseppe Orsi conseguenti all'arresto per corruzione: l'assemblea si
riunirà il 15 aprile per nominare tre consiglieri.

Una delle caselle vacanti è stata coperta con la cooptazione di Ivan Lo Bello, scade con l'assemblea e il cda ne propone la conferma. Per le altre due caselle si attende un'indicazione dai soci. Tra i nuovi consiglieri dovrebbe essere scelto il nuovo presidente di Finmeccanica.

VITO GAMBERALE jpeg

Questa nomina potrebbe incidere sugli equilibri stabiliti dopo l'arresto di Orsi e il passaggio dei poteri al d.g. Alessandro Pansa, che adesso è anche a.d. Le ipotesi spaziano dalla nomina di un interno come Giuseppe Zampini (Ansaldo Energia) alla nomina dell'ambasciatore Gianni Castellaneta, presidente della Sace in scadenza o di un altro uomo forte espresso dal futuro governo. Tra le figure forti che potrebbero atterrare in Finmeccanica il numero uno delle Fs, Mauro Moretti, anch'egli in scadenza.

Finmeccanica deve rinnovare la presidenza di Ansaldo Sts, probabile una scelta interna. In ballo anche il rinnovo del consiglio di F2i, il fondo partecipato dalla Cdp (8%), da banche e fondazioni. Vito Gamberale dovrebbe essere confermato a.d., controversa la posizione di Ettore Gotti Tedeschi, l'ex presidente Ior (indagato per riciclaggio) e già consigliere di Tremonti: dovrebbe uscire dal cda della Cdp, ma potrebbe rimanere presidente di F2i, con l'appoggio delle fondazioni. Le vie della conferma sono infinite.

 

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