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DA CINQUE STELLE A CINQUE SBERLE - ECCO COME LA DEMOCRAZIA LIQUIDA DEI GRILLINI È DIVENTATA DI COLPO SOLIDISSIMA

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Glauco Benigni per Dagospia

ORELLANA hsGetImage jpeg

Se la Democrazia Liquida sta al flusso particelle/onda come le votazioni in Parlamento stanno alla formazione di corpi solidi (le maggioranze)... se assumiamo che il Movimento 5 Stelle sta alla meccanica quantistica come la Repubblica Italiana, con tutti i suoi annessi e connessi sta alla meccanica newtoniana... se Grillo-Casaleggio stanno ad Heisenberg come gli altri leaders di partito stanno a Newton... ci si rende maggiormente conto di una serie di questioni e si può arrivare a capire che quanto sta accadendo ha in sé il carattere dell'inevitabilità.

1) tutto va bene per il Movimento sin quando Grillo-Casaleggio giocano la partita in una dimensione digitalizzata, caratterizzata dall'indeterminazione: la Rete. Un cybermondo in cui la Rappresentanza si forma grazie a un continuo flusso di partecipazione in progress; in cui le affermazioni di Ognuno, che vale Uno, si esaltano o si annichilano a ridosso delle affermazioni di Un'altro che vale Uno; in cui la "direzione" si ottiene (idealmente) quale sommatoria compensata di ogni indicazione.

Un posto dove Niente è di Nessuno e Tutto è di Tutti, e dove si trasferisce coscienza e conoscenza ad una velocità prossima a quella della luce in uno Spazio privo di confini fisici. "E' la Rete bellezza": il nuovo Eldorado della Democrazia Liquida.

Movimento Cinque Stellearticle

2) All'uscita dalle urne, quando si cominciano a contare i pesci rimasti nella Rete, si esce dall'indeterminazione e si comincia a "definire" la prima questione newtoniana: troppi voti. Il sogno di un'ostinata opposizione si tramuta nell'incubo amletico del fare o non fare le maggioranze. E a questo non si era pensato nel Movimento. O forse, si sperava accadesse in una seconda tornata elettorale, ma non così presto. Non con un risultato così "solido" e così (che orrore!) negoziabile.

3) Questo aspetto però "definisce" la linea. Forse un po' frettolosamente, forse "di default", ma la definisce. E' una linea che si sforza di restare indefinita: un progress continuo di NO o, in alternativa: "dateci la Presidenza del Consiglio altrimenti una risata vi seppellirà". In questa visione si rinvengono alcune delle componenti situazioniste che innervano il Movimento e ancor più innervano da sempre la strategia di Grillo-Casaleggio:

GRASSO hsGetImage jpeg

il ribaltamento di prospettiva ad infinito, lo sberleffo alla Società dello Spettacolo, il gioco dei ruoli, il chiamare Banco comunque (fin quando si vince). Solo che a questo punto non si punta più solo il consenso/dissenso al Movimento digitalizzato, ma si cominciano a puntare pezzi d'Italia: disoccupati, esodati, restituzione del debito pubblico, Euro sì o no, etc.. Ci si ritrova, un po' controvoglia, nella materia pesante newtoniana.

4) Dal gran mazzo dei voti nel frattempo spuntano i Parlamentari... e anche qui si può dire: è stata la Rete a selezionarli. Tutti tranquilli, siamo ancora in Democrazia Liquida. Ma già non è più così. La "Rappresentanza" ex liquida si mette la cravatta e comincia ad assumere caratteri solidi e definiti: newtoniani. Hai voglia a dire: restituiamo la metà dello stipendio (che è certo importante) ma non basta. Quei 163 umani cambiano status: da rappresentanti digitali del Movimento diventano (anche) "solidi" Parlamentari della Repubblica Italiana.

5) I rappresentanti entrano in Parlamento... e qui cominciano i veri problemi . Il Parlamento è una dimensione completamente newtoniana. Si discute è vero, talvolta anche a lungo, ma ad un certo punto si taglia corto e si vota... sembra la stessa cosa che avviene in Rete ma non è affatto così. Lo Spazio tempo è circoscritto, gli incontri e gli scontri tra gli Umani sono fisici, gli scambi di opinione avvengono a voce e non nei fora dei Blogs, i tempi delle decisione sono fissati, i numeri sono indeterminati ma lo restano solo fino al punto in cui diventano irreversibili.

6) Grillo lancia appelli e minaccia anatemi, ma in questo suo fare comincia ad invalidare alcune delle Leggi grazie alle quali ha raggiunto il risultato.

7) Quei 16 rappresentanti divenuti "solidi" che hanno deviato dall'indeterminazione, in quello Spazio Tempo newtoniano del voto al Senato, potevano sottrarsi è vero e non concedere il sostegno al mondo di Bersani & Co. Ma non l'hanno fatto! Dimostrando in tal modo tante cose e, fra l'altro, che la Realtà osservata e partecipata (il Parlamento) modifica l'Osservatore (la testa dei Parlamentari), specialmente se essi provengono da una tradizione di democrazia liquida.

casaleggio E GRILLO

8) A questo punto il crack si riverbera nel Movimento. Inevitabile. Del resto se fosse avvenuto il contrario , ovvero se le "raccomandazioni" di Grillo fossero state osservate puntualmente, ovvero se Grillo avesse ottenuto la solidificazione della propria volontà a discapito della libertà di indeterminazione, si sarebbe verificato un crack all'interno della strategia originaria. Uno vale Uno o Grillo vale molto di più? Oggi i crack comunque appaiono essere ambedue. Domani si vedrà.

 


CHE DIO PROTEGGA I “GORILLA”-CUSTODI DEL PAPA

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CHE DIO PROTEGGA GLI ANGELI CUSTODI DEL PAPA
Andrea Tornielli per "la Stampa"

"Speriamo che dopo 'sti primi giorni se normalizzi, sennò qua ce fa' impazzire tutti quanti». Uno degli uomini addetti alla sicurezza del Papa ha uno sguardo a metà tra il divertito e lo sconcertato. Francesco ha appena terminato di salutare uno a uno tutti i parrocchiani di Sant'Anna, la piccola chiesa dentro le mura vaticane dove ha celebrato la messa domenicale.

PAPA BABY hsGetImage jpeg

E ora sguscia tra prelati e gendarmi per raggiungere la folla assiepata dietro le transenne. Vuole essere libero di avvicinare la gente, non desidera essere ingabbiato né eccessivamente protetto. Cerca il contatto diretto. Fa il vescovo che sorride e benedice le persone, stringe mani, ascolta richieste di preghiere, benedice. E intende fare tutto questo senza eccessi di protocollo, senza che si creino barriere e distanze.

Che succede se il Papa non si «normalizza»? «Guardi, io ricordo il primo periodo di Giovanni Paolo II, che ruppe tutti gli schemi. Ma questo Papa è ancora più difficile da seguire». Gli «angeli custodi» di Bergoglio, i gendarmi vaticani che insieme alle guardie svizzere devono vegliare sulla sicurezza del Pontefice, stanno cercando di adeguarsi al nuovo stile.

Certo, la sicurezza del Papa è importante, c'è da vegliare su di lui, c'è da evitare che qualche squilibrato compia gesti inconsulti, come accadde la notte di Natale del 2009, quando una giovane svizzera saltando la transenna trascinò a terra Papa Ratzinger mentre procedeva con la processione all'inizio della veglia.

Allora fu la prontezza del generale Domenico Giani, che l'agguantò, ad evitare il peggio. Ma non c'è dubbio, d'altra parte, che in nome della sicurezza si è rischiato talvolta di creare una gabbia eccessiva attorno al Papa. Persino Oltretevere: quando doveva passare l'auto del Pontefice, all'interno della stessa città del Vaticano, si bloccava il passaggio, le persone venivano fermate, era tutto un dispiegarsi di forze non sempre giustificato.

PAPA BABY CON AMICO hsGetImage jpeg

Francesco non sembra affatto disposto a vivere blindato in una gabbia protettiva che negli ultimi anni è andata aumentando. Sabato mattina, prima dell'udienza concessa agli oltre seimila giornalisti, davanti all'ingresso della Casa Santa Marta, dove il Pontefice alloggia, è accaduto un episodio illuminante. Francesco è sceso e affacciandosi all'esterno ha trovato ad attenderlo la berlina e un'altra macchina di scorta.

Un gendarme teneva già aperta la portiera posteriore dell'auto con la quale avrebbero percorso poco qualche centinaio di metri per arrivare all'aula Paolo VI. Il Papa ha guardato i gendarmi, ha sorriso, e ha fatto un eloquente gesto con la mano, come per dire: «Ma non crederete mica che io monti in macchina per fare cento metri». Quindi con il suo passo spedito si è avviato da solo verso l'aula Paolo VI, seguito dal Prefetto e dal reggente della Casa Pontificia, nonché dal capo del gendarmi vaticani. Mentre le macchine rimanevano ferme dov'erano e gli sportelli venivano richiusi.

Nei primi quattro giorni del suo pontificato, Francesco ha sottolineato in ogni modo il suo ruolo di vescovo di Roma: ha voluto accanto a sé il cardinale Vicario Agostino Vallini al momento del primo affaccio dalla Loggia di San Pietro; ha celebrato la sua prima messa pubblica fuori dalla Sistina nella parrocchia vaticana di Sant'Anna; nel suo primo Angelus si è espresso soltanto in italiano. C'è da prevedere che il nuovo Papa intensifichi le uscite romane, le visite alle parrocchie, alle mense dei poveri. E a questa normalità di rapporto con la città dovrà adeguarsi il pur necessario apparato di sicurezza.

papa

Il 17 ottobre 1978, il giorno dopo l'elezione, a sorpresa Giovanni Paolo II si recò al Policlinico Gemelli per visitare l'amico vescovo polacco Andrej Deskur. Francesco il giorno dopo l'elezione ha visitato Santa Maria Maggiore (chiedendo ai gendarmi di essere discreti) ed è passato alla casa del clero di via della Scrofa per pagare il conto e ritirare la valigia. Il giorno successivo si è recato a far visita all'amico cardinale Jorge Mejia, colpito da infarto e ricoverato in una clinica sull'Aurelia. Chi conosce il Papa, dice che siamo soltanto all'inizio. Sarà davvero difficile «ingabbiarlo» nel nome della sicurezza.

 

ALTA FROCERIA: JAMES FRANCO E LA PORNO ART

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Simone Porrovecchio per "l'Espresso"

spring breakers james franco

l'icona gay James Franco svela sogni e progetti. Tutti intorno a un unico argomento: il mon
do a luci rosse

Con 2.893.000 euro che "Il grande e potente Oz", regia di Sam Raimi, ha incassato in Italia nel primo weekend di programmazione, il protagonista della pellicola James Franco si è imposto come il dominatore del nostro immaginario delle prossime settimane. E non è solo un fenomeno italiano. Il film uscito in contemporanea in 46 Paesi, ha fatturato in soli quattro giorni oltre 150 milioni di euro.

Un colpo di fortuna per l'attore americano (è nato 35 anni fa a Palo Alto in California), considerato che Franco a quel progetto è approdato per caso? Inizialmente, il regista Sam Raimi aveva scelto Robert Downey jr per il ruolo di Oscar Diggs, un illusionista, fenomeno da baraccone, che si guadagna da vivere esibendosi su palcoscenici di serie B e che cerca di sedurre giovani assistenti, fino ad approdare al magico mondo di Oz, appunto. Downey aveva altri impegni, e allora Raimi aveva pensato che quel ruolo potesse essere adatto a Johnny Depp, ma la "chimica" tra i due non ha funzionato. Così ha finito per scegliere Franco, che ora sbanca il box office.

MOSCA: MILA KUNIS, JAMES FRANCO E MICHELLE WILLIAMS

Una nuova vita dell'attore? O la conferma della sua leggendaria (ma talvolta sottovalutata) bravura? In realtà, dicono a Hollywood, la seconda vita di James Franco è iniziata a letto con Sean Penn. Da quando ha recitato nel grande successo "Milk" di Gus Van Sant (2008), si è laureato due volte, è diventato docente alla New York University e alla University of California, si è trasformato in regista, artista multimediale, scrittore e poeta. «Ma continuo a recitare con la passione di sempre, anche se non più a tempo pieno», dice. Secondo il "New York Times" è lui oggi «il multitalento più curioso che ci sia in circolazione».

Il filo rosso che lega tutti gli aspetti della sua vita è il sesso. Precisa Franco: «Mi interessa l'esplorazione visuale della sessualità». Franco è infatti l'inventore di quella che il "Time" ha chiamato "PornArt". Sesso non da guardare né desiderare, ma da capire. Per questo, oltre a imprese tipo "Oz" che gli portano soldi e una vita senza preoccupazioni economiche, accetta di lavorare in pellicole scabrose e indipendenti, da attore o regista, come quelle in arrivo nelle nostre sale, "Lovelace", "Cherry", "Interiors" e un documentario sull'industria porno appena realizzato, "Kinky". "Lovelace" è firmato da due maestri del documentario Usa: Rob Epstein, Oscar per "The times of Harvey Milk", e Jeffrey Friedman, altro Oscar per la storia dell'omosessualità a Hollywood: "Common threads: stories from the quilt".

JAMES FRANCO

"Lovelace" racconta la vicenda tragica di Linda Lovelace, pornostar, protagonista, nel 1972 di "Gola Profonda", la pellicola che scandalizzò il mondo. Franco ha il ruolo di Hugh Hefner, padrone di "Playboy". Linda Lovelace ha invece il volto conturbante di Amanda Seyfried, ma tutto il cast si fa onore per il coraggio dimostrato. Peter Sargaard è il marito delinquente di Linda, c'è una magnifica Sharon Stone, Adam Brody è un attore porno: ci sono la giovanissima Juno Temple e la conturbante Chlöe Sevigny.

Franco inizialmente doveva recitare nel ruolo di Chuck Taynor, il marito della Lovelace, appunto. Poi ha rinunciato a favore di Sarsgaard. L'impatto di "Gola Profonda" sull'opinione pubblica fu immenso. Il titolo entrò nel lessico politico a partire dalla faccenda del Watergate. «Oggi Hefner sostiene i matrimoni gay, appoggia una seconda rivoluzione sessuale, ha istituito con la moglie Christie il "Hugh Hefner First Amendment Award", per onorare le pesonalità impegnate a proteggere il primo emendamento della nostra Costituzione», dice Franco.

L'attore, è affascinato dalla figura di Hefner. Anche lui mette a rischio la propria reputazione per portare avanti al cinema e nell'arte un discorso esplicito su certi temi. Ma abbiamo davvero, gli chiedono in molti, bisogno di un'altra iniezione di sesso? Oltretutto se da "Milk" Franco è diventato un'icona gay, il pubblico femminile è sempre più disorientato. Franco chiarisce senza chiarire.

A partire dalla mostra delle sue opere da artista che sta facendo il giro del mondo da Los Angeles a Berlino a New York: «Su circa 380 tele bianche proietto o dipingo con stampante laser commenti di blogger, articoli di giornali, risultati dei motori di ricerca. Gioco con la mia immagine mediatica e le speculazioni sulla mia sessualità». Aggiunge: «La Rete è oggi l'unica vera entità a decidere gusti, indirizzi, destini della cultura». Ma trasformare il pettegolezzo in arte è la soluzione? «Le speculazioni e manipolazioni perdono potere se ad esse si reagisce con l'arte», spiega.

JAMES FRANCO IN INTERIOR LEATHER BAR jpeg

Una star che si mette al centro della propria opera assomiglia a un profilo da paziente neurotico... «No. Io sono sempre stato artista figurativo e scrittore. Il fatto che abbia avuto successo come attore è stato un caso». Intanto anche il MoMa di New York prepara una retrospettiva su di lui, voluta dal direttore Klaus Bisenbach.

Per ora comunque Franco resterà sullo schermo, a un ritmo di cinque, sei pellicole all'anno, optando soprattutto per il "mocumentary", il genere metà documentario e metà fiction perfetto per raccontare le vite degli altri. Il prossimo a luci rosse si chiamerà "Cherry" e vi reciterà insieme a Heather Graham. Ancora una volta con l'obiettivo dichiarato di choccare e confondere, il pubblico. Qui Franco sarà un avvocato cocainomane legato a una diciottenne appena arrivata a San Francisco che si dà all'industria del porno.

interior leather bar james franco sundance

Nel cast anche Lili Taylor, la madre della ragazza, e Dev Patel, il suo migliore amico. Franco è partito dall'esperienza di "Lovelace" per mettere insieme anche un nuovo progetto, interamente prodotto, scritto e girato da lui. Si tratta di un documentario sull'immensa e potente industria dell'intrattenimento a luci rosse americana dal titolo, appunto "Kinky". E non è tutto. Al Festival del Cinema di Berlino il suo "Interiors", film quasi pornografico di cui è regista e produttore, anche se non presentato in concorso, ha fatto il pieno di pubblico e critiche intrigate. Si tratta dei 60 minuti mancanti, perché censurati, del film cult "Cruising" con Al Pacino del 1980.

 

MONTI CHE SORGI, LIBERO E GIOCONDO! (IL POTERE FA MALE, DIGLI DI SMETTERE)

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Marcello Sorgi per "la Stampa"

FRANCOIS HOLLANDE E MARIO MONTI jpeg

Se è dispiaciuto, non vuol certo darlo a vedere. Lo studio del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi è aperto anche di domenica, le pile dei dossier ordinate con cura sulla scrivania non danno certo l'idea di uno che sta per andarsene. «Lo so, è tempo di organizzare il trasloco - sorride Mario Monti -. Ma dicono che non sarà tanto presto».
La trattativa per le presidenze delle Camere, che lo ha visto potenziale candidato al Senato in una candidatura mai decollata, è stata più lunga e tortuosa del previsto. Monti accetta di ripercorrerla.

Presidente, in questa occasione lei è apparso a molti come uno che voleva a tutti i costi aggiudicarsi una poltrona. Un'immagine ben diversa da quella alla quale lei ci aveva abituati.
«Vediamo un po'. Nel gennaio 1995, quando il presidente Scalfaro, spinto dal centrosinistra, mi propose di guidare il governo dopo le dimissioni di Berlusconi abbandonato da Bossi, dissi che avrei accettato solo con l'accordo dello stesso Berlusconi, che mi aveva da poco nominato Commissario europeo.

Il Cavaliere disse no e nacque il governo Dini. In seguito declinai l'offerta, questa volta di Berlusconi, del ministero degli Esteri nel 2001 e di quello dell'Economia nel 2004. Non mi pare di aver rincorso poltrone. Nel novembre 2011 ho accettato la presidenza del Consiglio ma solo perché me lo ha chiesto il presidente Napolitano, con l'accordo delle tre principali forze politiche, in condizioni di emergenza».

MARIO MONTI CON IL CANE ALLE INVASIONI BARBARICHE

E stavolta cosa è successo? Non sarà che l'essere diventato un politico ha complicato tutto? Standosene tranquillo a Palazzo Chigi - è opinione generale - lei sarebbe stato in pole position per il Quirinale o per un nuovo governo. Come mai, di colpo, questa voglia di presidenza del Senato?
«Me lo chiedo anch'io! Non ho mai espresso, né avuto, questo particolare desiderio. Ma, dato che la proposta a Scelta Civica e a me era stata prospettata, abbiamo voluto approfondire in quale contesto politico avrebbe avuto senso accettarla e in quale no».

Proviamo a ricostruire dall'inizio. Lei ha trattato, e con chi, per la presidenza del Senato?
«Quando ho invitato Pierluigi Bersani a Palazzo Chigi il 7 marzo in preparazione del Consiglio Europeo, il segretario del Pd mi ha semplicemente espresso il suo orientamento per decisioni condivise in merito ai vertici delle istituzioni, sul quale mi sono dichiarato d'accordo. Il 13 marzo Luigi Zanda ha incontrato Andrea Olivero, coordinatore di Scelta Civica, ed è stato confermato un consenso sul metodo. In parallelo, alcuni esponenti del Pd in via informale erano più espliciti, proponendo la presidenza del Senato a me a fronte di un appoggio al Pd per la presidenza della Camera.

Nel frattempo, all'interno di Scelta Civica era stato convenuto che avremmo insistito per una convergenza larga sulle cariche istituzionali, in coerenza con l'impostazione affermata fin dalla nascita del movimento dati i gravi problemi che l'Italia ha di fronte a sé e le profonde riforme necessarie; e che, se ci fosse stato consenso su ciò, saremmo stati disponibili ad una mia candidatura al Senato, proprio per contribuire ad un quadro ampio di governabilità».

MARIO MONTI VERSIONE ALICE COOPER CON LOGO LISTA MONTI

E poi cosa è accaduto? Ha avuto ulteriori contatti con Bersani?
«Sì. Mi ha telefonato nel pomeriggio del 14 mentre ero a Bruxelles per il Consiglio europeo. Ha accennato alle sue difficoltà ad allargare il gioco al Pdl, all'indisponibilità del M5S e all'importanza che almeno Scelta Civica partecipasse alle decisioni condivise, indicando un proprio nome per il Senato o per la Camera, purché non fosse il mio poiché gli risultavano obiezioni da parte di ambienti del Quirinale».

Ma lei era al corrente di queste riserve del Capo dello Stato?
«Me ne aveva fatto cenno, alcuni giorni prima, Napolitano. Gli avevo fatto presente che difficilmente si sarebbero verificate le condizioni politiche che avrebbero indotto Scelta Civica a contribuire alle decisioni; ma che, in quel caso, avrei ritenuto importante non sottrarmi al compito di far evolvere il quadro politico nel senso desiderato.

Lamberto Dini

L'attività del governo, con il Consiglio europeo che si sarebbe svolto da lì a poco, il 14-15 marzo, avrebbe potuto considerarsi conclusa e vi sarebbe stato modo di continuare per i giorni, o le poche settimane, ancora necessari affidando la guida del governo al ministro più anziano o a un vicepresidente del Consiglio.

In quell'incontro, e in un altro avvenuto la sera del 15 marzo al mio rientro dal Consiglio europeo, il Presidente mantenne ferma la sua obiezione, motivata su elementi giuridici (dai quali, fatti fare a mia volta approfondimenti, mi permisi di dissentire rispettosamente) ma soprattutto, mi è parso, su valutazioni di ordine politico-istituzionale, in seguito espresse in un comunicato».

Insomma non è riuscito a convincere Napolitano.
«Non mi restava che "obbedire" al capo dello Stato che così grande fiducia aveva dimostrato di avere in me, affidandomi la guida del Paese nel tempestoso novembre 2011. Dato il rapporto di stima e, se mi è permesso dire, di amicizia che il presidente mi ha consentito di avere con lui, non gli ho nascosto la mia amarezza.

Mi sono sentito onorato dalle valutazioni del Presidente sul mio ruolo al governo ma al tempo stesso un po' "prigioniero". E mi dispiace che, su due piani completamente diversi di dignità e di senso di responsabilità verso il Paese, il divieto impostomi dal Quirinale possa aver fatto piacere a più d'uno degli "uomini di Stato" subdoli e manovrieri, che a volte si ritengono anche depositari esclusivi dei criteri della "moralità" nella politica».

A quel punto perché non ha proposto un altro nome di Scelta Civica?
«Infatti ho prospettato questa possibilità ai miei colleghi il mattino del 16 marzo, prima della terza votazione. Ho anche detto loro che dal Quirinale mi era giunto il suggerimento di valutare l'ipotesi di indicare un nome per la Camera. Poi, anche perché si sentissero completamente liberi da ogni possibile disagio, mi sono assentato. Ma i gruppi parlamentari riuniti hanno escluso di indicare un altro nome».

SILVIO BERLUSCONI jpeg

Dopo di ciò è stato il Pdl a premere su di lei per ottenere che i voti dei senatori di Scelta Civica si spostassero su Schifani. Com'è andata questa seconda tornata di trattative?
«Ne ho parlato con Gianni Letta. La trattativa riguardava esclusivamente la possibilità che Scelta Civica sostenesse la candidatura del Pdl per il Senato, a condizione però che il Pdl dichiarasse che non avrebbe frapposto ostacoli pregiudiziali alla nascita di un eventuale governo di centrosinistra presieduto da un esponente Pd (verosimilmente Bersani), sia pure senza votargli la fiducia, nell'interesse della governabilità. Proposta respinta. Così Scelta Civica, in coerenza con se stessa, ha votato scheda bianca, al Senato come alla Camera».

Resta un'ultima domanda da farle: dica la verità, non è un po' pentito di essere entrato in politica?
«Me lo hanno detto in tanti e mi hanno fatto capire che se ne fossi rimasto fuori avrei potuto aspirare ad altre e più importanti collocazioni. Eppure non sono affatto pentito. Al contrario penso di aver realizzato, insieme a quelli che mi hanno aiutato a mettere su un partito in pochi giorni, un risultato importante: se non ci fossero stati i nostri tre milioni di voti, Berlusconi avrebbe vinto le elezioni e oggi sarebbe lui a scegliere se tornare a Palazzo Chigi o farsi eleggere al Quirinale.

BERSANI

Quanto a Bersani, al centrosinistra e al tentativo di allearsi con M5S, dovrebbero pensarci bene: il cammino che abbiamo fatto insieme per ritrovare un posto in Europa è stato tutto in salita. Si fa presto a rimettere in gioco un patrimonio di credibilità per timore di un nuovo passaggio elettorale e per un pugno di voti. Spero che ci riflettano bene».

 

CRIMI-NAL MINDS: MA QUESTI GRILLINI CI SONO O CI FANNO?

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Jacopo Iacoboni per "la Stampa"

Il primo risultato della giornata di sabato - in cui una parte del Pd ha cercato il cambiamento che poteva ma un'altra utilizzava l'insegna del cambiamento, come ha detto qualcuno, per «aprire come una scatola il M5s» - è che lo staff di Beppe Grillo e Casaleggio s'è irrigidito. Da questo punto di vista, risultato negativo. «È ancora peggio di prima per noi», dicono.

Vito Crimi jpeg

I nomi di Boldrini e Grasso, hanno postato sul blog senza firma, ossia con la firma più nota, «sono foglie di fico», come Doria a Genova e Ambrosoli a Milano. Nomi nuovi di una politica vecchia e di un partito «impresentabile» sempre guidato da... D'Alema. Tra l'altro, a Milano - punto terminale dell'intelligenza collettiva dei cinque stelle - sono convinti che D'Alema sia il vero candidato del Pd per il Quirinale, previo accordo con il Pdl. «La sua candidatura sarebbe irricevibile dall'opinione pubblica, il Paese non reggerebbe sette anni di inciucio», scrive Grillo. E nello staff spiegano «ci tenteranno; se non è vero siamo lieti, possono smentire».

grillo casaleggio

Insomma, nei giorni che verranno non c'è da aspettarsi un disgelo tra i due mondi, Pd e cinque stelle: quella di sabato è stata vissuta come una specie di aggressione al gruppo parlamentare del Movimento (definito «immaturo» anche da alcuni insider). È vero che in quel gruppo si discute, e il tweet di Grillo ad alcuni ha fatto drizzare i capelli, ma su questo nello staff sono intransigenti. Evitano accuratamente la parola «traditori» o «Giuda», la formula che viene più usata è «hanno commesso un errore».

Nessuno evoca «espulsioni», ma il ragionamento che si sente fare è: «Per coerenza dovrebbero dimettersi». Per i fondatori la cosa fondamentale è che gli eletti siano una cinghia di trasmissione con gli elettori, e tengano fede al regolamento sottoscritto a ottobre: quando ci sono opinioni diverse, il gruppo vota una posizione a maggioranza e poi tutti la rispettano.

Salvo casi singoli, che possono riguardare votazioni di coscienza, non voti politici come il presidente del Senato e, ancora di più, i prossimi sulla formazione di un governo o l'elezione del capo dello Stato. Il problema è che dal Parlamento non ci si dimette; se non per motivate ragioni. Semmai si finisce nel gruppo misto. Sarebbe la più classica deriva politichese. Una nemesi, per loro.

Roberta Lombardi e Vito Crimi jpeg

Neanche tanto paradossalmente, allora, il Parlamento è il terreno più difficile, dove dimostrano di avere tanto da imparare. E anche Crimi forse in futuro sarà più rigido. Fuori, invece, i cinque stelle si sentono ancora su un'onda. Venerdì - il giorno prima dello scacco al Senato - circolavano a Milano numeri impressionanti sui consensi attuali. Non i sondaggi di istituti tradizionali, ma una convinzione, informata, di viaggiare al 32 per cento. Ecco perché sono scettici su elezioni a giugno, «non ci faranno tornare a votare».

Certo la strada per un governo con il Movimento è chiusa. A Milano prevedono, nonostante tutto, che alla fine «faranno un governo che chiameranno del presidente, o istituzionale». E, anche se non lo dicono, forse a loro converrebbe. Ma «se si vota naturalmente siamo felici». È l'unica vera via per risolvere lo stallo, spiegano.

In effetti una delle caratteristiche poco colte, di fronte a questo Movimento per tanti sconosciuto, è che per la prima volta nelle dinamiche politiche italiane - lo staff dei garanti è anche più radicale della base (per dire, nel Pci, o nella Fgci, è sempre stato il contrario). Se alcuni parlamentari si mostrano possibilisti, non si può dire che sensazione analoga si ricavi a Milano. Claudio Messora, il blogger byoblu, dice che quelli che hanno votato Grasso sono «quindici uomini sulla cassa del morto». Ma persino quelli che chiedevano più libertà, ieri si affrettavano a dire: è chiaro che sulla fiducia voteremo tutti uniti.

CLAUDIO MESSORA

Questa è al momento la fotografia. Ne dobbiamo ricavare che ogni strada è chiusa? Forse l'unica sfida a questa posizione sarebbe un incarico a un premier stimatissimo da tutti (Rodotà, o un nome di questo tipo), pronto però ad andare in parlamento direttamente, senza passare dai partiti, e facendo in sostanza un «governo del M5s». È facile capire quanto questa strada sia ai limiti dell'impossibile.

 

RIASSUNTO DI 80 ANNI DI TOMAS MILIAN: “SONO UN FIGLIO DI MIGNOTTA”

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Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"

Tomas Milian

Anyway, cada dìa e tutte le supplenze linguistiche che 80 anni da randagio del controcampo trasformano in inalienabile diritto. Con il timbro musicale di una Spagna di frontiera, il basco da esistenzialista, le felpe larghe e il codino di un'epoca che fu, Tomás Milian è una voce che ti porta altrove e non è mai la stessa. Oltre cento film, molti premi.

Discese ardite e risalite. Cannes, Venezia, Visconti, Antonioni, Bertolucci, Spielberg. Il mondo del Monnezza o di Er Pirata, popolato dai Sergio Marazzi e dai Nico Giraldi, dai pregiudizi e dalla popolarità, su cui sta scrivendo un libro di memorie, Monnezza amore mio. E poi il Milìan di Cuba, quello che con voce sofferta e generosa apertura, proietta spezzoni di adolescenze in presa diretta e senza lieto fine:

"È il 31 dicembre 1945, ho 12 anni e siamo invitati a un veglione di mezzanotte. Prima di uscire mio padre, un militare severo e un uomo malato, mi dà un colpetto sulla gamba e fa segno di sedermi. Penso, ‘adesso mi fa il discorso da bravo papà e da domani me le dà di nuovo. Invece parla come non aveva fatto mai. "Tommy, ormai sei un ometto. Io sono molto stanco, occupati di tua madre e di tua sorella".

Dopo la festa torniamo nel maniero coloniale dei nonni con il grande patio al centro e le architetture moresche. A un certo punto, vedo riflessa in uno specchio la figura di mia madre che corre. Sta piangendo. Senza chiedere il permesso raggiungo il piano superiore e inizio a gridare: "Papà, papà". Nessuna risposta. Allora apro la porta della sua stanza e lo trovo in divisa. La pistola nella fondina. Guarda davanti a sé, tira fuori la 45 automatica e la punta verso di me. "Adesso mi uccide" penso.

TOMAS MILIAN

Poi si gira e si spara. Istintivamente mi precipito al telefono e mentre do l'allarme, mi accorgo di una cosa terribile. Non provo dolore, ma un senso di liberazione. Sto fingendo. Sto recitando. Fingo un piglio insincero. Faccio cadere la cornetta e mi mostro sconvolto. E quando inizio a correre verso casa della nonna accelero perché la fatica si trasformi in pianto e nel momento dell'abbraccio, non si intuisca l'artificio. Mio padre aveva fatto carriera nell'esercito. Era un duro. Ricordo che ero infelice. Scrivevo piccole commedie di teatro, papà le detestava: "È roba da froci".

A Cuba torna mai?
Io non mi sento cubano, ma italiano. Da voi sono arrivato da ragazzo, mi sono fermato, ho raggiunto la maturità. La chiave, se esiste, della mia bravura. Sono un figlio di mignotta, magari un furbo, ma ho un difetto. Credo a tutto, non dubito di niente e mi fido dell'istinto.

L'isola la lasciò presto.
Ho abbandonato Cuba per Miami a 22 anni con un biglietto di sola andata. Sapevo che non sarei tornato indietro.

marina cicogna Luchino Visconti

Persone fondamentali?
Se mi concentro su quell'epoca vedo la mia ricchissima zia, la chiave della mia carriera, la vedova di Josè Pepe Cadenas, il rettore dell'Università. Io disegnavo e sui libri di scuola non riuscivo a concentrarmi. Li guardavo e invece di leggerli viaggiavo da un'altra parte. Mia zia l'aveva capito. Un giorno mi prese da parte: "Che vuoi fare nella vita? Lo chaperon di una diva, il ballerino con tacco 12, il conquistatore?". Dopo aver visto La Valle dell'Eden e Jimmy Dean avevo una sola certezza. Avrei fatto l'attore. La zia mi aiutò a raggiungere Miami e lì mi andò bene. La mia insegnante in Florida mi segnalò all'Actors Studio. NewYork. Una stanza ad Harlem, in un'atmosfera da West Side Story. Neri e portoricani dominavano l'orizzonte.

Si trovò bene?
Ho sempre creduto al destino. C'era un filosofo che diceva: "Go with the flow". La corrente mi ha sempre portato nel posto giusto. Io ero l'irredimibile. Pecora nera della famiglia. New York era un sogno. Non parlavo inglese e stavo per entrare senza valigia, punti fermi e stabilità nel tempio di Brando, Mongtgomery Clift e Paul Newman. Ritiravo piatti sporchi, consegnavo lettere, mi spaccavo la schiena. Se penso che oggi dell'Actors Studio sono membro a vita mi sento male.

MICHELANGELO ANTONIONI

Lei frequentava i corsi?
L'Actors era un'oasi speciale e guai a chi la chiamava scuola. Lì non si studiava, ma al centro delle illusioni, come ci dicevano con aria da intellettuali, si esplorava. Lee Strasberg ci catechizzava: "Recitare seriamente". Una sera incontro Marilyn Monroe, mi presento, vedo che si mette il cappotto. Azzardo: "Sei di corsa?". E lei: " Vado a prendere un caffè". Mi offro, le porto un espresso, diventiamo amici.

Nel '58 arriva in Italia.
Jean Cocteau e Gian Carlo Menotti mi stimavano. Con Menotti avevo avuto un incontro surreale in un albergo di New York pochi mesi prima. Sapevo che si sarebbe fermato per poche ore e decisi di farmi avanti. Non sapevo nulla di frequentazioni mondane, ero pallidissimo e pensai di farmi bello. Chiesi aiuto a un'amica, mi cosparsi il volto di crema al carotene e andai dal maestro. Piombai in hotel con la faccia chiazzata di arancione. Mi presentai, Menotti mi trattò freddamente e a me scappò un insulto di rara grevità. Mentre andavo via, mi sentii richiamare a gran voce. Era lui.

bertolucci carrozzella

Tornò indietro?
Certo e feci benissimo. Mi abbracciò. Mi commossi. Arrivare lì non era stato semplice. In un certo senso iniziavo a vendermi. Non si può avere dignità in questo mestiere e la superbia è vivamente sconsigliata.

Ebbe la parte ne "Il poeta e la musa"e volò a Spoleto.
"Non so cantare" dissi e loro: "Il personaggio è sordomuto". Dovevamo mettere in scena un testo di Jean Cocteau, ma presi l'occasione troppo sul serio e ingelosii il mimo che recitava con me. A due giorni del debutto me la fece pagare. Mi tese una trappola facendomi cadere dal palco. Un volo tremendo, 28 punti di sutura. Avrei dovuto tenere con il braccio un lembo di sipario. Impossibile in quelle condizioni. Così cambiai il copione tagliando una scena e alterando il finale. Il produttore scioccato contattò Cocteau e Jean spedì un telegramma: "Complimenti per il coraggio". Ce l'ho ancora. Alla prima vennero Ferreri e Bolognini, il resto è storia.

Riscrivere le battute è un vizio antico.
Ho sempre rispettato il valore dello sceneggiatore, ma girando a Roma, usare le frasi che avrebbero detto i veri romani, per me era troppo importante. Modificare il copione mi sembrava naturale.

Questione di osservazione?
Io non osservavo gli altri. Li studiavo. Avevano un linguaggio tutto loro, i romani. Un gusto per la freddura. Per la poesia della parolaccia. Al regista Umberto Lenzi devo veramente molto, però capitava di discutere. Di litigare, anche, per una battuta da inserire all'ultimo istante. In Roma a Mano Armata, quando mi fermo a far benzina, la trovata di sceneggiatura non mi convinceva. Lo faccio notare a Lenzi e mi chiudo nella roulotte: "Due minuti di pausa, ho bisogno di pensare". Esco e vado dal regista: "Qual è il nome del benzinaio? Diamogliene uno che mi permetta la rima con cazzo, per esempio Galeazzo".

BRANDO

Lenzi è contrario?
Furibondo: "Tu sei pazzo, è volgarissimo". Allora chiamo Luciano Martino, il produttore e ottengo il via libera: "L'importante è che non litighiate". Così giriamo. Alla prima del film, quando chiedo al benzinaio come si chiama, lui risponde "La Pira Galeazzo" e io fuggo senza pagarlo: "Non ho una lira e tu ti attacchi al cazzo", venne giù il cinema. Con Lenzi qualche frizione esisteva. Io improvvisavo e lui protestava: "Ma sul copione c'è scritta una cosa precisa" e io: "Mi va di dirla in un altro modo". La parolaccia dette bene piaceva. Avevo ragione, ma una cosa a Lenzi la concedo.

Quale, Milian?
A volte mi comportavo da gran rompicoglioni. Ma se devo essere retorico, le dico che per capire chi c'è dietro di me, basta guardare il dolore che ho negli occhi. Se sono lo specchio dell'anima, lì troverà tutto quello che ho visto e che non ho dimenticato. Quello che non ho voluto o potuto rimuovere. Sono sincero. E nelle cose che facevo mettevo tutto e anche di più. Il pubblico lo capiva.

I soldi erano importanti?
Dovevo mangiare, ma non resistevo alla tentazione di dividere con gli altri. Avevo per il denaro lo stesso attaccamento che si può nutrire per le banconote del Monòpoli. Mi ricordo il primo stipendio avuto da Cristaldi, 300.000 lire al mese. Bigliettoni larghi come lenzuola. Andavo a far festa in Piazza di Spagna con gli amici miei, tutti poracci. E dividevo con loro, regalando. A uno la cucina elettrica, all'altro il giradischi. Mi faceva star bene, limitava i sensi di colpa, il peccato originario, l'estrazione borghese.

LIZ TAYLOR E MONTGOMERY CLIFT

L'impatto con Roma?
Una stanza miserabile in via Due macelli, di fronte a casa Zeffirelli. Nei primi tempi mi diseducai. Parlavo più spagnolo che italiano e gli amici mi insegnavano il dialetto e l'intero alfabeto delle formule sconvenienti. Passava una bella ragazza e il gruppo diventava una voce sola: "Tòmas, quella a Roma si chiama bella fregna". Qualche sera dopo, a un ricevimento a fitta densità aristocratica, mi presentano una contessa. Mi lascio andare "Bellissima, bellissima, gran bella fregna". La mia vicina sbianca: "Tòmás, ma che dice?".

Poi cambiò casa?
Dopo Via Due Macelli, venne la tana di Villa Borghese, 60.000 lire al mese, una specie di capanna dello Zio Tom nascosta nei misteri di via Margutta, dietro una porticina che tra le felci introduceva a un sentiero coperto dalla vegetazione. Era una sistemazione assurda, fantastica, c'era un via vai frenetico. Per vedere di persona l'uccello esotico venivano tutti. Non ero male, va detto. L'Harpers's Bazar fece fotografare i 10 ragazzi più ambiti del mondo. Io e nella stessa pagina Warren Beatty: "Bello e perverso".

Bandito, perdigiorno o poliziotto, il Tomas di Roma guarda al popolo.
C'era una canzone di Antonello Venditti che adoravo. Una poesia che volli a tutti i costi mettere in alcune sequenze de La Banda del gobbo. Si intitola Sora Rosa. Parla di indignazione, rabbia e rivolta. Rubai due righe al testo e le misi in un lungo monologo al centro del film.

Quasi un comizio politico. Il bandìto di borgata sequestra i clienti di un night e prima di rapinarli e purgarli con il sale inglese gli propina una lezione su diritti, soprusi, ricchezza e povertà.
Sono sempre stato comunista. Il cuore a sinistra e il portafogli a destra. Ero strano, avevo dei primàti. Sono stato l'unico cubano capace di far credere a tutti che fossi nato a Roma. Alcuni attori italiani mi consideravano un usurpatore. Ero il cubano che occupava il posto di un indigeno. L'abusivo. Un riflesso umano. Capivo.

Centodieci film.
Mi ricordo la prima volta. Bolognini che mi offre un ruolo per La notte brava e mi avverte "qui si doppia". E io: "Che vuol dire? Che c'è un altro che parla al posto mio?". Avevo dei dubbi, ma non potevo fare troppo lo schizzinoso. Iniziò così.

Cristaldi la mise sotto contratto con la Vides.
In pochi anni girai film importanti. Visconti, Lattuada, Pasolini, Maselli, Loy. A Nanni e a Citto sono molto affezionato. Maselli era intelligentissimo. Durante la lavorazione de I delfini e poi sul set de Gli indifferenti mi sussurrò i consigli che mio padre non mi diede mai. Con i registi di solito avevo un rapporto dialettico. Alcuni sostenevano che fossi difficile da dirigere. Non sapevano come prendermi, optavano, sbagliando per il salamelecco inutile. In ogni caso, era una vita da nomadi. Finito il film, finiva anche l'amicizia.

Sul set dei western all'italiana conobbe Sollima.
Altro signore meraviglioso. Il genere mi divertiva molto. Si girava in Almería e a Madrid. Solo più tardi, per risparmiare, il circo traslocò a Manziana. Poche settimane, ritmi frenetici, molta azione, cavalli, pistole e un cotè di fondo, sorprendentemente iperintellettuale verso cui il produttore Cristaldi covava una passione sincera.

Bounty Killer, La resa dei conti, Tepepa, Corri uomo corri, Se sei vivo spara.
Erano grandi successi, sui set capitava di tutto. Avventure, litigi, sperimentazioni avanguardiste. Nel grande duello con Lee Van Cleef, feci un tuffo non metaforico nella merda. Il porcile era vero e non ci fu il tempo di trasformare il fango in cioccolata. Discussi aspramente con Orson Welles che si era presentato svogliatissimo per girare Tepepa e divenni grande amico di Franco Nero, simpaticissimo, sul set di Vamos a Matar Compañeros.

PAUL NEWMAN

Sul tema Manlio Gomarasca racconta una storia stupenda.
Franco era un maniaco del trucco. Passava ore a rifinire dorature di capelli e ciglia, a farsi disegnare rughe che non aveva. Mi incuriosii: "Franco perché vuoi sembrare più vecchio della tua età?". La risposta mi fulminò: "Non voglio che tra 30 anni si dica ‘quanto è invecchiato', voglio fare l'attore per sempre".

Tarantino lo ha dipinto nella sua rilettura di Django.
Sono contento, quel cinema del decennio '60, '70 avversato dalla critica parruccona aveva bravi attori e straordinari tecnici. I migliori artigiani della nostra tradizione.

Lei passava da "Er Pirata" a Bertolucci, dal Monnezza ad Antonioni. Contestualmente.
Mai fatta una classifica dei miei personaggi. Al Monnezza, a Bombolo e a quel periodo vorrò bene per sempre. Un ciclo finì, desideravo cambiare e tornai in America. Adesso nonostante avessi deciso di ritirarmi, sono tornato per girare a Roma con Giuseppe Ferrara. In Come tutto ebbe inizio ho messo l'anima. Spero si veda, spero si capisca.

markevitch jean cocteau34Villars

Un crudo prepoliziottesco, non troppo dissimile da quelli che girava con Maurizio Merli. Altro rapporto dialettico, vero?
Furbo. Allora è un po' figlio di mignotta anche lei?

Non lo escludo.
Le hanno raccontato che io e Merli ci siamo presi a cazzotti, giusto? E magari vorrebbe che glielo confermassi.

Più o meno.
Non è vero niente. Adesso Maurizio non c'è più e parlarne non è delicato. Su alcune cose mi sono confuso, ma del rispetto ho sempre avuto un'idea precisa.

 

NEL NAUFRAGIO DI MONTI A FARGLI COMPAGNIA C’È IL “CORRIERE DELLA SERA”

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DAGOANALISI

mario monti

"Il cadavere sollecita un'autopsia", sentenzierebbe il saggista James Hillmann nell'esaminare lo stato di salute (politico) e l'Ego (suicida) del premier uscente, Mario Monti. Nemmeno Sua Eternità, Giulio Andreotti, che della massima: "meglio tirare campare che tirare le cuoia" aveva fatto una sorta di filosofia di vita (governativa) può competere con l'ottusa pretesa di Rigor Mortis di restare aggrappato alla scala (dell'insuccesso) da cui presto dovrà scendere con sollievo del Bel Paese.

Nel giro di appena un anno, e per grazia ricevuta da Re Giorgio, il Professore ha salito tutti i gradini istituzionali (senatore a vita e premier), accompagnato dalla fanfara dei giornaloni dei Poteri marci che vedevano in lui l'ultimo leader "a saldo" del partito "dell'antipolitica".
Il cane da guardia di un bipolarismo (mai nato) che con la sua agenda del rigore, elaborata da mani forti in terra d'Europa, ha portato l'Italia ha battere solo il record del debito pubblico.

MARIO MONTI A BERGAMO

Ma l'apprendista stregone della Bocconi pur di prolungare la sua vita a palazzo Chigi, tradendo le aspettative del Quirinale e della sua generosa maggioranza alle Camere (Pd-Pdl-Udc), si è candidato anche alle ultime elezioni politiche uscendone però con le ossa rotte. E portato al suicidio (politico) sia l'ex furbo Casini sia l'ex presidente di Montecitorio, Gianfranco Fini.

In quest'impresa disastrosa (governabilità a rischio) da cui si è sottratto abilmente Luca Montezemolo, in tanti sono naufragati (i vari& avariati Riccardi, Cazzola, Ichino e compagnia libera&bella) sotto gli occhi addolorati ma compiacenti dei media, che avevano accompagnato la traversata trionfale del nocchiero Rigor Mortis (tua, vita mea). Ma c'è soprattutto un giornale, il "Corriere della Sera", che dopo l'endorsement ("al buio" come nel poker) con il bocconiano Monti è aggrappato ancora alla sua "zattera della Médusa", destinata a sicuro naufragio.

GIULIO ANDREOTTI

Mentre i giornali concorrenti ("la Repubblica" e "la Stampa", in primis) hanno abbandonato al proprio "Io" (voglio una poltrona) il premier cadente che al Senato era pronto a mettersi all'incanto di sinistra e destra, in via Solferino la parola d'ordine è sempre la stessa di prima del voto: resistere, resistere, resistere.

Altrimenti meglio andare a (ri)votare a giugno con Bella Napoli ancora sul Colle più alto. Utopie dal respiro corto.
Come vecchi soldati in trincea, convinti che Caporetto sia stata un riparabile incidente di percorso, nella Fortezza Bastiani di buzzatiana memoria, al generale Cadorna-Monti, sconfitto anche nell'ultima battaglia per la presidenza del Senato, vengono riservati ognidì picchetti d'onore.

Grazie al contributo attivo di quelli che il mai troppo compianto saggista Edmondo Berselli, chiamava "i fornitori di opinioni", allevati e coltivati alla scuola serale di Paolino Mieli.
I politologi à la carte, mandati in campo da Flebuccio de Bortoli nel tentativo di salvare "il soldato Mario" e infliggere violente scosse elettriche sulla pelle dell'inerme Culatello Bersani, che non vuole un Monti bis.

GIANFRANCO FINI jpeg

Il leader piddì della "mancata vittoria", nonostante l'assenza di una maggioranza certa vorrebbe riportare un "politico-politico" (magari lui) alla guida del nuovo governo. E mandare così finalmente a casa l'"esecutivo dei tecnici", tanto caro al Corrierone e ai Poteri marci.

Ecco, allora, cosa scriveva a dir poco imprudente e preveggente Angelotto Panebianco dopo che Napolitano (seccato) aveva bocciato l'auto-canditura di Monti al Senato e nel giorno stesso in cui alle Camere erano eletti - anche con il sostegno dei grillini -, Pietro Grasso Laura Boldrini: "Come era prevedibile, il matrimonio Pd e 5 Stelle non si celebrerà (...) nei giorni e nelle settimane che hanno seguito la ‘non vittoria' elettorale il Pd è apparso in preda al cupio dissolvi...".

Ma chi aveva parlato mai di "matrimonio" tra Bersani e Beppe Grillo? Dove se l'era sognato Panebianco quell'incestuoso ménage? Al più si sussurrava di un possibile flirt alla Camere tra le due controparti su alcune scelte istituzionali. Al di fuori, comunque, dai giochi di partito. Tant'è.

PIERFERDINANDO CASINI E GIANFRANCO FINI

Il giorno dopo, il settantenne Ernesto Galli Della Loggia, invece di prendere atto che il centro sinistra di Bersani alle Camere aveva evitato l'autogol e vinto una difficile partita alle Camere (magari pure di Pirro), tornava alla carica contro il Partito democratico. E s'inventava la "frattura storica" che si sarebbe consumata con la nomina, a sua insaputa?, di Grasso e Boldrini.

Una sinistra, rilevava gaudente Della Loggia, "convinta di non poter trovare al proprio interno, nella propria storia, né volti né voci (...) capaci di rappresentarla veramente".
Già, quanta nostalgia si poteva leggere nello scritto dellalogiolestico per i vecchi compagni Ingrao, Iotti e Napolitano, che una volta presiedevano le Camere. Ma non in nome del partito e delle sua storia, come sembra voler far credere invece l'ex professorino in pensione.

riccardi monti

La scelta delle due alte cariche dello Stato è stata sempre figlia di larghe intese istituzionali. E non ha mai provocato "strappi" storici "alla Della Loggia".

Tanto per stare all'oggi, a dopo la caduta del Muro di Berlino, al cambio del nome del partito e alla cancellazione di falce e martello dal simbolo, al Senato la sinistra ex comunista - in contrapposizione al candidato della destra -, è stata determinante sia per la scelta dell'ex Dc Mancino al Senato (1996) sia del Ppi Franco Marini (2006). E se tu vuoi, chiamalo pure "strappo"...

GIULIANO CAZZOLA

Quanto all'ex magistrato Luciano Violante, iscritto al partito che fu di Togliatti soltanto nel 1979 ma citato dal Della Loggia tra i presidenti della Camera insieme a Ingrao e Nilde Iotti, non apparteneva di sicuro all'album storico della nomenclatura dell'ex Pci. Forse aveva ragione il vecchio e acuto direttore del Corrierone, Mario Missiroli, quando sosteneva che per essere veramente dei bravi editorialisti non "bisogna avere alcuna idea".

 

I GRILLINI FANNO SCUOLA: VERSO UN’EUROPA A 5 STELLE?

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Emiliano Liuzzi e Ferruccio Sansa per "Il Fatto Quotidiano"

Europa si chiama l'obiettivo di Beppe Grillo. Mentre la politica italiana stenta a capacitarsi dello tsunami che l'ha travolta, il leader del Movimento 5 stelle dalla sua casa di Genova, con la mente vola già oltre confine. Il suo obiettivo, dichiarato, è quello di esportare l'esperienza in altri Paesi europei dove i nodi della crisi politica ed economica sono molto simili a quelli italiani.

Beppe Grillo

"Non possiamo pensare di aver fatto tutto questo e rimanere qui, a Roma. Dobbiamo andare oltre, e l'obiettivo è Strasburgo, anno 2014, parlamento europeo.
Perché c'è una necessità simile a quella italiana, e perché se troviamo sponda in Europa, il cambiamento sarà epocale", dice ai suoi. Velleitario o visionario? L'obiettivo è diventato molto più concreto in queste ultime settimane, quando la discussione sui Meetup ha abbattuto confini e lingue. Una "rivoluzione", dicono i protagonisti, "Una specie di Sessantotto che abbia come collante la Rete".

"Abbiamo appena iniziato"

Grillo e i suoi - e lo sta spiegando molto ai pochi che lo sentono in questi giorni - hanno già contatti soprattutto con i Paesi dell'Est, dalla Slovacchia, a Romania e Bulgaria. Ma poi spostano gli occhi su Grecia, Spagna e Portogallo. "Questo intendo quando dico che abbiamo appena iniziato".

Beppe Grillo

I temi sono l'ambiente, soprattutto. Ma anche la decrescita. I gruppi che guarda sono gli Indignados, ma anche il Movimento verde tedesco. No, non gli estremisti di destra o sinistra tipo Alba Dorata o Syriza o magari Front National in Francia. Piuttosto, come in Italia, quei milioni di cittadini legati da battaglie comuni più che da ideologie e appartenenze. Europei che finora non hanno trovato - o non hanno più - una casa politica. Anche moderati. Giovani, ma non solo, come in Italia. "É ovvio che non sarà usato il marchio a Cinque stelle, ma i programmi e gli strumenti sono esattamente i medesimi. In ogni Paese troveranno i loro rappresentanti".

Grillo, in Europa, divide la stampa. Manuel Castells, su La Vaganguardia, tradotto in Italia da Internazionale, scrive come "sia chiaro il carattere sperimentale di questo progetto di antipolitica tradizionale. Ma è stato sostenuto da milioni di persone e da gran parte dei giovani che si identificano con il desiderio di uscire dal vicolo cieco della manipolazione e dell'opacità della delega di potere. Un fenomeno, quello della distanza tra la società civile e le istituzioni politiche diffuso anche in Spagna".La Spagna, appunto. Uno dei punti di partenza in quello che nelle intenzioni sarebbe uno sbarco in Europa.

Grillini entrano alla Camera jpeg

Occupy e indignés

Era il 15 ottobre del 2011 e si riempivano le piazze di giovani che protestavano chiedendo un mondo diverso. Erano gli indignados spagnoli, gli indignés francesi o gli Occupy Wall Strett di oltre oceano. Erano migliaia a riempire le strade. In Italia ci furono saccheggi e qualche manganellata, poi il nulla. Che fine hanno fatto quelle stesse proteste? Si sono affievolite, spente nei social network in attesa di darsi una nuova organizzazione.

L'Italia, il paese che declina ogni fenomeno politico a suo modo, si è ritrovata così a non avere indignati per le strade, ma un movimento che nelle istituzioni voleva entrare. E così è stato. Ora la sfida è farsi portatore di un linguaggio comune che unisca i Movimenti dentro e fuori l'Europa e che, dicono in casa 5 Stelle, possa essere costruttivo . Deciso nei toni, ma rispettoso delle istituzioni. "Nessuna ospitalità", dice chi sta vicino a Grillo, "a estremismi e, peggio, razzismi. Perché i vaffanculo e i cori da "li mandiamo tutti a casa", non servono più, ora che c'è da entrare in Parlamento".

Ingresso alla Camera dei deputati grillini jpeg

Aggiungono: "Sarà uno sconvolgimento della situazione politica contemporanea che passa per l'esaltazione di quello che è politico". Chissà. All'estero le reazioni sono contrastanti: "L'Italia non ha soltanto fatto entrare i clown", dice Jonathan Hopkin , professore di Politica Comparata alla London School of Economics su Foreign Affairs. Risponde in tono duro all'Economist, che aveva visto nell'avanzata di Grillo e nell'ennesima riconferma di Berlusconi, un'altra delle figuracce all'italiana . "Non è solo una sfida all'austerity, ma allo stesso sistema del partito tradizionale. La crisi economica ha aiutato, ma l'offensiva di Grillo contro i politici italiani corrotti ed egoisti era partita già prima dell'inizio del declino".

E poi ancora: "In tutta Europa, l'adesione ai partiti politici ha raggiunto il livello più basso dalla Seconda Guerra Mondiale". E la prova sarebbe il successo dell'Uk Independence Party in Gran Bretagna, del Partito Pirata in Svezia, del partito anti-islamico di Geert Wilders in Olanda e di partiti populisti come il Front National francese. Conclude: "L'Italia potrebbe fare da apripista a un cambiamento che interesserà l'Europa intera". Mai fino ad ora, aveva vinto le elezioni un partito contro l'austerità in un paese europeo, da quando la grave crisi economica è arrivata nel vecchio continente.

ATTIVISTI DI ALBA DORATA

Spagna di Rajoy e Portogallo di Spassos Coehlo, alcuni degli Stati dove il rigore è sempre stato la regola. Solo una settimana fa il primo ministro portoghese scriveva un lungo post su Facebook, dove si firmava Pedro e chiedeva ancora una volta al suo popolo di fare sacrifici. Gli hanno risposto oltre 36mila, e il più apprezzato è stato chi ha citato Reagan: "Non sperate che la soluzione venga dal governo. Il governo è il problema". La stanchezza è tanta nei paesi di un'Europa che chiede di tirare la cinghia da anni.

Dai 5 Stelle la proposta che potrebbe allettare è quella di creare un'Unione Europea che sappia spiegarsi ai suoi cittadini. "Mai detto - sostiene Grillo - che voglio essere dentro o fuori dell'euro, ma voglio informazioni corrette. Voglio un piano B per la sopravvivenza per i prossimi dieci anni. E poi, con un referendum decidiamo. Prima è necessario informare: cerchiamo di capire cosa sono i costi e i benefici. Solo suggerendolo dicono : sei un demagogo, sei pazzo, vuoi trascinare l'Italia in default, sei irresponsabile. Solo perché si dice di esaminare questa ipotesi".

ALEXIS TSIPRAS DEL PARTITO SYRIZA

Ma il pensiero accomuna tanti cittadini, che vedono l'Unione Europea come qualcosa di lontano, disperso nelle aule di Bruxelles o Strasburgo. E questo nuovo tentativo di dialogo all'italiana potrebbe piacere a molti.

La sorpresa è quella di scoprire all'improvviso che la democrazia partecipativa esiste e che, altrove nel mondo, sta già dando buoni risultati. C'è chi la fa e chi pure la potrebbe praticare. Gli esempi li raccontano i siti internet, perché la partecipazione nell'epoca delle nuove tecnologie corre sul filo della rete. Rigorosamente. É la storia di Belo Horizonte, in Brasile, dove i cittadini si ritrovano periodicamente a discutere per fare quello che noi chiamiamo un "bilancio partecipato". Dire all'amministrazione locale dove e perché si vuole che si spendano i soldi.

Marine Le Pen nominata leader del Front National

L'esperienza australiana

Oppure c'è l'Australia e la prima esperienza di parlamento cittadino del 2009: tre giorni di consultazioni tra persone scelte at random, a caso nel mucchio, che hanno portato all'elaborazione di tredici proposte concrete poi presentate in parlamento. Oppure la Columbia, con l'assemblea civica per cambiare la legge elettorale: 160 cittadini che si sono ritrovati per un anno fino alla scrittura di una proposta, poi votata in un referendum. Ma più semplicemente, ci si può fermare a Grenoble, poco dopo il confine italiano.

GEERT WILDERS

Lì dal 2010 hanno una commissione locale dove a parlare sono i cittadini. Così come i consigli di quartiere francesi, che si eleggono e si incontrano in ogni regione da Parigi a Bordeaux fino a Toulouse. Politica dal basso che dai consigli comunali arriva ai ciclisti di Bucarest in Romania, troppo spesso dimenticati, come dicono, e che si sono riuniti per dare corpo alle proprie posizioni. Così, mentre oggi tutti guardano al Parlamento italiano in affanno, c'è chi pensa già alle elezioni europee. Appuntamento al 2014.

 


LA GUERRA DEL CDR CONTRO GLI AZIONISTI DEL “CORRIERE”

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Stefano Cingolani per "Il Foglio"

Nei tempi eroici, quelli di Raffaele Fiengo per intenderci, gli avversari lo chiamavano il soviet di via Solferino. Poi le cose sono cambiate, il comitato di redazione del Corriere della Sera è rientrato nei ranghi e Fiengo, il suo storico capo, è andato in pensione. Finché, all'improvviso, il cdr è tornato al centro della scena. Non più come soviet, questa volta, semmai come una sorta di Consob, la commissione che controlla le operazioni finanziarie in Borsa e dintorni.

ccc11 montezemolo antonello perricone ph riccardi

Una serie di articoli e comunicati, frutto di un lavoro da giornalismo investigativo, hanno messo sul banco degli imputati niente meno che manager e soci del gruppo Rcs. Il casus belli è il piano industriale che vede minacciati 800 posti di lavoro e una decina di periodici. Persino la sede storica del Corriere, la mitica via Solferino, rischia di essere venduta, la redazione emarginata in periferia per far posto magari a un grande albergo destinato ai modaioli del quartiere Brera. Orrore. Per il cdr la colpa di tutto ciò risale a una operazione clamorosamente fallimentare: l'acquisto nel 2007 del gruppo editoriale spagnolo Recoletos a un prezzo ritenuto esorbitante (1,1 miliardi di euro) che ha fatto balzare i debiti della Rcs da zero a 880 milioni.

La vicenda è ricca di personaggi e interessi. Non c'è dubbio, però, che la notizia è nella forma, non solo nella sostanza. Non si era mai vista una cosa del genere in nessun giornale o gruppo editoriale. La controinformazione per mettere alla berlina gli azionisti. La risposta alla ristrutturazione non con gli scioperi, ma con l'arma dell'inchiesta. Ve l'immaginate il Times di Londra fare le bucce a Rupert Murdoch o il Financial Times con Pearson e il New York Times con la famiglia Ochs Sulzberger? Allora, chi sono i protagonisti di questa storia nella storia?

Il Corriere alberga molte anime, tante quante la proprietà divisa in coriandoli. In posizione prevalente restano Mediobanca e Fiat, ma senza il carisma dell'Avvocato e la mano forte di Cesare Romiti, il consiglio di amministrazione è diventato soprattutto un salotto litigioso in cui si incrociano relazioni, amicizie e rivalità, interessi spesso in conflitto. Secondo una scuola di pensiero, ciò dà più autonomia alla direzione e alla redazione: tanti padroni, nessun padrone. La scuola opposta, al contrario, sostiene che tanti padroni, troppi padroni.

EMILIO BOTIN

I corrieristi camminano sulle uova, ma hanno imparato come pochi a muoversi tra tutte queste insidie grazie all'indipendenza garantita da direttori di alto profilo professionale, da Piero Ostellino a Ugo Stille, da Paolo Mieli a Stefano Folli e Ferruccio de Bortoli. Negli anni hanno introdotto uno stile più nervoso, urticante, aggressivo, anche nel giornalismo economico che, visto l'assetto proprietario, è senza dubbio il mestiere più rognoso in via Solferino. Sono fiorite le inchieste, le analisi, le frecciate "con la schiena diritta e senza guardare in faccia a nessuno", come invitava a fare Carlo Azeglio Ciampi nelle sue visite pastorali da capo dello stato e supremo garante, come egli stesso si definì.

Un economista allora poco conosciuto, Alessandro Penati, smontò punto per punto il salvataggio della Ferruzzi da parte di Mediobanca. Cuccia era ancora in vita. Non fece una piega, ma certo non gli piacque. Qualche tempo dopo Penati è andato alla Repubblica. E che dire della operazione Casta? Una delle più dure ed efficaci campagne giornalistiche, condotte da Gian Antonio Stella e da Sergio Rizzo: fatti, cifre, denunce; sprechi, inefficienze, privilegi. Paginate sul Corriere, un libro di grande successo, un bestseller pubblicato dalla Rizzoli.

de bortoli

Ma soprattutto un impatto politico con pochi precedenti. Era il 2007 e i due autori hanno interpretato lo Zeitgeist. Paolo Mieli che dirigeva il giornale con arte manovriera e sensibilità politica, dopo aver firmato (tra un mare di critiche) l'inusuale sostegno a Romano Prodi nel 2006, ha colto il vento che spirava dalla folla, la nuova rivolta delle masse contro l'élite. Quella politica, certo. Non erano ancora i tempi di Occupy Wall Street. I banchieri vivevano in Italia l'ultima delle loro grandi stagioni al centro del sistema e la Casta divenne la bandiera dell'anti-politica.

Quanto all'establishment economico, il Corriere ha trattato con britannico aplomb i pasticci combinati dall'Avvocato quando venne fuori la faccenda dell'eredità e del "tesoretto" nei paradisi fiscali. Ha raccontato con distacco il blitz con il quale Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti misero al sicuro il controllo della Fiat per conto dell'erede John Elkann, in barba alle banche che nel 2005 avrebbero voluto farla da padrone.

Quando Massimo Mucchetti, allora all'Espresso, nel 2004 pubblicò un libro graffiante, intitolato "Licenziare i padroni?", venne assunto da Cesare Romiti. E furono guai anche per alcuni dei padroni del Corsera. Il duello con Marco Tronchetti Provera è finito persino in tribunale. Ma in tempi più recenti, Mucchetti ha rovesciato come un guanto i piani di Sergio Marchionne, suscitando il malumore dell'intero clan Fiat. Fino a spingere il compunto Elkann a irritate reazioni contro il direttore.

JAIME CASTELLANOS

Il giornalista ora è senatore per il Pd. Ma al Corriere c'erano e ci sono altre validissime penne ben attrezzate nel vigilare sulle eventuali malefatte della finanza e del capitalismo nostrano. Anche per questo oggi colpisce tanto la controinchiesta del comitato di redazione.

Tutto comincia, in realtà, molto prima del piano lacrime e sangue, ma rimane a lungo sotto traccia.

Riceve, per esempio, pochissima pubblicità la notizia che nel 2008 la Consob commina a Rcs una multa di 200 mila euro per la mancata trasparenza nell'affare Recoletos. Il gruppo era in utile, le vendite andavano bene, perché preoccuparsi? E' vero, i periodici mostravano la corda. E in bilancio erano improvvisamente emersi debiti massicci. Ma il boccone spagnolo era grosso e sembrava naturale che ci volesse tempo per smaltirlo. Poi, arriva il grande crac, la recessione, scoppia la bolla immobiliare, le banche sono sull'orlo del collasso, crollano le entrate pubblicitarie e le vendite.

Un mostro dopo l'altro azzanna i bilanci della branca iberica di Rcs e si scarica sulla casa madre. Così Antonello Perricone, allora amministratore delegato, spiega il precipitare della situazione nell'assemblea del 2011 e in quella del 2012, rispondendo alle domande di un socio tutto particolare, un giornalista del Corriere che lavora a Bruxelles: il suo nome è Ivo Caizzi. Assunto dal settimanale il Mondo (sempre Rcs) si era distinto per le sue inchieste finanziarie spesso scomode. E non aveva avuto molte promozioni. Finché non era stato inviato a seguire la Commissione europea e da allora aveva mollato l'aspetto della professione che più lo appassiona.

Per spiegare quest'altra bizzarria del giornalista-azionista, bisogna tornare ai tempi di Fiengo. L'allora capo carismatico del sindacalismo di via Solferino aveva deciso di far acquistare una manciata di azioni dal comitato di redazione, in modo da esercitare un "controllo democratico e professionale" sui manager, avendo gli strumenti per contestare cifra su cifra, qualora ve ne fosse bisogno.

Poi la vigilanza militante era caduta in disuso, tanto che quei titoli di proprietà si erano persi in qualche cassetto. Caizzi, preso dall'antica febbre e allarmato dai debiti della Rcs, aveva riproposto al cdr di esercitare i diritti dei soci. Non trovando il pacchettino collettivo, aveva comperato mille azioni (spendendo un migliaio di euro) e aveva cominciato a chiedere spiegazioni (per iscritto perché scripta manent) sugli aspetti più controversi dell'operazione Recoletos.

RECOLETOS

Dai verbali, risultano alcuni punti chiave che vanno riassunti. Recoletos è una società spagnola che pubblica il giornale sportivo Marca e il quotidiano economico-finanziario Expansion. Nel 2004 il gruppo inglese Pearson (edita il Financial Times e l'Economist) la mette in vendita. Gli analisti finanziari del Santander consideravano illiquida la società e suggerivano di accettare l'unica offerta, quella di Retos Cartera, il cui primo azionista era Jaime Castellanos, rappresentante di Lazard in Spagna e cognato di Emilio Botín il patron del Santander (avevano sposato due ricche ereditiere, Patricia e Paloma O'Shea).

Pearson incassa 743 milioni di euro per il 79 per cento di Recoletos. Poco più di un anno dopo, Castellanos offre il gruppo a Vittorio Colao, amministratore delegato di Rcs il quale lo giudica troppo caro. Tre anni prima la Rizzoli aveva già comprato da Castellanos la quota del 30 per cento nel quotidiano il Mundo del quale possedeva già il 52 per cento, consigliato da Lazard Italia che allora era guidata da Gerardo Braggiotti.

Il 12 settembre 2006, Colao viene defenestrato. Non si era mai inteso né con gli azionisti né con i giornalisti. Al suo posto arriva Perricone dalla Stampa. Cugino in secondo grado di Francesco Rutelli, sposato a una ex campionessa di nuoto (Chicca Stabilini), amico fin dalla giovinezza di Luca di Montezemolo che accompagnerà in gran parte della sua carriera: da Publikompass alla Cinzano fino alla Maserati. Ma in mezzo c'è anche Publitalia, Sipra, cioè Rai. Insomma non si può dire che non s'intenda di pubblicità che è il sale dell'editoria. E Perricone nel febbraio 2007 compera Recoletos.

Massimo Mucchetti

L'inchiesta collettiva del cdr (composto da Giuseppe Sarcina, Alfio Sciacca e Biagio Marsiglia a Milano e da Andrea Garibaldi e Lavinia Di Gianvito a Roma) mette in risalto l'intreccio di relazioni che accompagnano l'operazione. Gli advisor sono: di nuovo Gerardo Braggiotti (che nel frattempo guida la Banca Leonardo) e Mediobanca principale socio di Rcs (per i loro servigi intascano 4 milioni a testa).

Ivo Caizzi nella terza puntata della propria rubrica Offshore (uscita in parallelo alla controinchiesta del cdr), ricorda che John Elkann, presidente della Fiat e secondo azionista Rcs, è anche socio e consigliere di Banca Leonardo. Mentre Perricone ammette che il parere determinante fu quello di Mediobanca. Insomma, il capitalismo relazionale nella sua massima espressione.

"Rcs paga a Castellanos 1,1 miliardi nonostante Recoletos abbia fatturato solo 304 milioni nel 2006", scrive il cdr. La società non ha né immobili né gioielli di famiglia. Come fa a valere tanto? Dietro incombe l'ombra di don Emilio la cui figlia Ana Patricia Botín presiede la banca Banesto, azionista di Recoletos e, a quel tempo, è amministratrice delle Assicurazioni Generali a loro volta azioniste di Rcs. Lo stesso Botín in quel famigerato 2007 aveva venduto Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena per dieci miliardi, con un guadagno di ben tre miliardi tondi tondi. E' la plusvalenza sulla quale indagano (finora senza frutto) i magistrati di Siena.

"Attenti ai polveroni, chi non ha preso un bagno in Spagna?", dicono alcuni giornalisti dello stesso Corriere che conoscono bene le materie economiche. D'altra parte, le difficoltà della Rcs fanno parte di una crisi strutturale. La stampa (ma si può dire il giornalismo nel suo insieme) è colpita dal salto tecnologico, dal cambiamento generazionale, dalla competizione di nuovi media su un mercato più aperto e non più solo nazionale.

Editori e giornalisti, particolarmente in Italia, lo hanno capito troppo tardi e stentano a trovare un nuovo paradigma produttivo e culturale. Il cdr del Corsera non è che non sappia tutto questo, tuttavia vuole veder chiaro in casa propria e ricorda che il gruppo Recoletos venne rivalutato a ogni passaggio di mano e Castellanos lo aveva comperato da Pearson solo per rivenderlo.

"Due anni per un pelotazo (una pallonata alla lettera, un colpaccio diremmo noi). Castellanos incassa una plusvalenza di 350 milioni", scrisse nel 2007 la stampa spagnola. Ma allora il mercato era in crescita. E Rcs, già ben piazzata con il Mundo, aveva scelto di giocare un ruolo di primo piano in Spagna. Un errore? Sì, col senno di poi. Replica Perricone: "Il miglior posizionamento sul mercato a seguito dell'acquisizione ha permesso di affrontare meglio la crisi". Lo dice a Caizzi nel 2011.

Mario Calabresi

Poi lo ripete all'assemblea del 2 maggio 2012. Se la prima volta poteva peccare di ottimismo, la seconda volta è quanto meno incauto, insiste il cdr, perché i debiti e i buchi erano già venuti fuori. Tanto che Perricone si dimette (con una buona uscita di "circa tre milioni di euro in aggiunta alle normali competenze di fine rapporto") e va a presiedere Italo, la compagnia ferroviaria di Montezemolo. Il quale nel frattempo ha lasciato la presidenza della Confindustria e anche quella della Fiat. Al suo posto, Elkann porta Pietro Scott Jovane, un manager preso da Microsoft Italia, il quale mette al primo posto della sua strategia ridurre i debiti e tagliare, facendo economie fino all'osso.

Le vendite cominciano nel settembre 2012 con la casa editrice Flammarion: entrano in cassa 239 milioni. Ma non basta. Rcs deve avviare un aumento di capitale (stimato in una forchetta tra 400 e addirittura 800 milioni), mentre i soci sono in fibrillazione. Diego Della Valle sfida Elkann e si dice pronto a comprare il comprabile (non c'è molto fuori dal sindacato di blocco). Giuseppe Rotelli, primo azionista fuori dal patto, sostiene Giovanni Bazoli, al quale l'Avvocato sul letto di morte chiese di vegliare sul giornale. Il presidente di Intesa è l'unico ad aver dato ascolto al grido di dolore che s'è alzato dai giornalisti e si è dichiarato contro la vendita della sede di via Solferino.

Il duello finanziario, professionale (e politico) si svolge sulle colonne del giornale. E questa è un'altra peculiarità. Non in prima, a pagina 19. Ma tant'è. De Bortoli ha accettato di dare il debito spazio alla singolare iniziativa, con gran fair play. Ed è stato interpretato dalla redazione come un ramoscello d'ulivo, una prova di sensibilità da parte di un direttore che ha cominciato la sua carriera al Corriere dei Ragazzi e quindi si sente un primus inter pares, anzi un capitano in mezzo alla ciurma. Il momento è difficile per quello che in molti, compreso Romiti, giudicano il miglior direttore degli ultimi tempi.

Sede del Corriere della Sera in via Solferino

Viene fatto filtrare che sia in uscita per far posto a Mario Calabresi il quale porterebbe in dote la Stampa, non solo la società di pubblicità ma il quotidiano della Fiat da integrare nel gruppo, così come oggi la Gazzetta dello Sport. Grandi rumors per grandi manovre. Il cdr su questo non entra. Per il momento gli basta aver messo in piazza i conflitti di interesse. E intende distinguere il destino del Corriere.

La testata soffre come gli altri quotidiani, dicono, ma resta il gioiello della corona. Perché gettare la perla nel truogolo? Alcuni accarezzano di nuovo l'ipotesi cara a Bazoli: mettere il giornale della borghesia al sicuro in una fondazione. In mancanza di capitalisti che vogliano fare gli editori, come nel mondo anglosassone. Purché non sia una fondazione in salsa senese.

 

I DUBBI DI CASELLI SU GRASSO: “PIACE ANCHE AL CAV.”

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Giampiero Calapà per "Il Fatto Quotidiano"

Gian Carlo Caselli


Pietro Grasso, da capo della procura di Palermo, a super-procuratore antimafia, fino alla presidenza del Senato. Applausi ed elogi non si contano, addirittura l'ex pm Antonio Ingroia - tra i due c'è stata più di qualche ruggine - sembra voler voltare pagina: "È notorio che tra noi ci sono state divergenze. Ma non vorrei più parlarne. Grasso è ormai la seconda carica dello Stato. Il passato è passato". L'applauso che arriva da Torino, invece, quello del procuratore Gian Carlo Caselli, non è altrettanto fragoroso, dopotutto "si è complimentato anche Berlusconi".

pietro grasso

Dottor Caselli, non è felice dell'elezione di Grasso alla presidenza del Senato?

In un coro unanime di elogi, non vorrei sembrare stonato. Se l'hanno eletto vuol dire che se lo merita. Però, scoprire che si complimenta anche il Cavaliere - che i magistrati di solito non li ama - forse significa che Grasso è sempre stato molto fortunato, molto bravo o molto cauto (pardòn, si dice equilibrato). Comunque sia, sono doti preziose anche queste.
Continua a dividervi la famosa legge contra personam voluta proprio da Berlusconi per sbarrarle la strada alla Superprocura antimafia nel 2005? Abbassarono il limite di età, mettendola fuorigioco, proprio a favore di Grasso.

A costo di sembrare "ingeneroso", a me continua a non piacere quella strana vicenda: la legge "contra personam" fu anche dichiarata incostituzionale, e fece a pezzi il mio diritto di partecipare al concorso per la Direzione nazionale antimafia. Ho letto in questi giorni che tanto Grasso avrebbe vinto lo stesso. Nessuno può saperlo, ma la moda di mettersi nella scia del vincitore si manifesta anche con queste singolari, improbabili certezze. In ogni caso, al nuovo presidente del Senato, auguri. E ad maiora.

 

IL CINEMA DEI GIUSTI - VIVA LA MAMMA, PURE SE È UN FANTASMA!

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La madre di Andy Muschietti.

Mai aprire gli armadi delle figlie, non sai cosa ne può uscire. "La madre", ma è più bello il titolo originale, "Mama", opera prima dell'argentino Andrés o Andy Muschietti, che lo ha scritto insieme alla sorella Barbara e a Neil Cross, nato sotto l'ala produttiva del grande Guillermo Del Toro ("Il labirinto del fauno", "Hellboy"), è un ottimo film di fantasmi quasi tutto al femminile, dominato da una Jessica Chastain per una volta mora, rockettara e tatuata, che in America ha funzionato moltissimo, incassando 48 milioni di dollari con un budget di soli 15 milioni.

LA MADRE FILM HORROR

Guillermo Del Toro era rimasto affascinato da un piccolo cortometraggio, "Mama" appunto, girato da Muschietti nel 2008, dove due bambine, Victoria e Lily, in un solo piano sequenza, si muovono in una casa infestata da una presenza materna fantasma. E' lei la Mama in questione. Partendo da questo cortometraggio, Del Toro ha deciso di far sviluppare a Muschietti, che aveva al suo attivo un paio di corti e una carriera di assistente regista in Argentina, un'intera storia che confluisse in un film vero e proprio.

Le due bambine, che si chiamano ancora Victoria e Lily, vengono trascinate fuori dalla loro casa dal padre, Jeffrey, l'ottimo attore danese Nicolaj Coster-Waldau ("Games of Thrones"), che si presume abbia ucciso la mamma, che non vedremo mai. Jeffrey, totalmente alterato, finisce fuori strada in un bosco innevato e porta le bambine in una casa misteriosa dove da subito ci par di capire che viva un fantasma. Quando il padre cercherà di uccidere Victoria, il fantasma glielo impedirà. Cinque anni dopo, il fratello gemello di Jeffrey, Lucas, non si è ancora dato pace della scomparsa delle ragazzine e del loro padre. Quando viene avvisato che sono vive, anche se in uno stato selvaggio, farà di tutto per crescerle a casa sua.

LA MADRE FILM HORROR

E qui parte il film vero e proprio, perché le due ragazzine, interpretate dalle fantastiche Megan Charpentier (già una veterana del cinema, "Resident Evil", "Cappuccetto rosso sangue") e Isabelle Nélisse, un misto di dolcezza e violenza, si porteranno dietro, nella casa dello zio, il fantasma che le ha cresciute come una vera madre. Se i maschi del film, dai due fratelli gemelli allo psicanalista che cerca di risolvere il caso, il dottor Dreyfuss, non riescono a penetrare più che tanto nel mondo delle bambine, la ragazza di Lucas, la chitarrista rock Annabel, interpretata da Jessica Chastain, una volta rimasta sola a casa con loro, visto che il suo uomo è stato corcato di brutto dal fantasma, si ritroverà a dover affrontare la situazione in tutti i suoi aspetti più profondi e assurdi.

LA MADRE FILM HORROR

In fondo siamo interamente dentro a un film sulla maternità dove la vera mamma è assente, la nuova madre deve accettare il suo ruolo e il fantasma di una madre mostruosa cerca di difendere le sue figlie. Anche se la sceneggiatura ha molte lacune, l'idea è nuova e notevole, Jessica Chastain come eroina in lotta col male costruisce un personaggio per nulla ovvio e già visto, capovolgendo il suo ruolo da sergente di ferro visto in "Zero Dark Thirty", le piccole attrici sono estremamente accattivanti e Andy Muschietti si muove molto bene quando è alle prese con un horror magico all'interno della casa, meno quando deve mostrarci troppo del suo fantasma o quando cerca di darci delle spiegazioni plausibili.

Molto si sente il peso di un produttore forte e creativo come Benicio Del Toro, ma resta il fatto che "La madre - Mama", nel panorama dell'horror attuale, per essere un'opera prima, è comunque una bella scoperta. In sala dal 21 marzo.

 

ADELPHI, LA BIBLIOTECA CHE MANDÒ L’ÉLITE NEL CAOS - ROBERTO CALASSO RIPERCORRE IN UN LIBRO I 50 ANNI DELLA CASA EDITRICE

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Antonio Gnoli per "la Repubblica"

Vado a trovare Roberto Calasso a Milano dopo aver letto L'impronta dell'editore:
una raccolta di saggi, che ha dentro alcune analisi sottili e più di qualche ricordo personale. È un libro che colpisce per la forza con cui scardina dall'interno il mondo dell'editoria. Dando vita a una storia parallela unica. L'"impronta" è personalissima, ma rimanda altresì al marchio. E il marchio Adelphi sta per compiere cinquant'anni.

Roberto Calasso

Dopo circa due ore di conversazione nel suo studio in casa editrice, Roberto Calasso si gira verso la parete di libri che ha alle spalle ed estrae un volume. Lo fa con una certa sorpresa, esclamando un «ma tu guarda dov'era finito!». In copertina un disegno di Kokoschka ritrae Adolf Loos. «È una biografia che Claire Loos scrisse con l'intento di tirare su un po' di soldi per la tomba del marito. Un libro delizioso, ricco di fotografie e di piccoli fatti. Diceva Josephine Baker che Adolf Loos era il miglior ballerino di charleston in tutta Parigi». Sublime aneddotica che esce fuori da un gesto casuale come è quello di ritrovare senza volerlo un libro creduto perso.

Quando nacque la casa editrice?
«Posso dire il giorno preciso in cui Bazlen me ne parlò per la prima volta, perché era quello del mio ventunesimo compleanno, maggio 1962. Ci trovavamo nella villa di Ernst Bernhard, sul lago di Bracciano. Il nome Adelphi non c'era ancora. Bazlen mi disse che stava per nascere la casa editrice dove avremmo potuto vedere pubblicati i libri più importanti per noi. E mi diede subito qualcosa da leggere».

Quali erano i libri che Bazlen aveva in mente?
«Quando parlava dei libri che gli premevano di più, Bazlen li chiamava i libri unici».

Joseph Roth

Unici in che senso?
«Scritti da chi, per una ragione o per l'altra, aveva attraversato un'esperienza unica, che si era depositata in un libro. L'esempio più eloquente fu in questo senso il romanzo di Alfred Kubin L'altra parte. Un libro che nasceva da un delirio durato alcuni mesi. Nulla di simile Kubin aveva scritto prima, né scriverà dopo. Il romanzo uscì nel 1965 e inaugurò insieme a Padre e figlio di Edmund Gosse e al Manoscritto trovato a Saragozza di Potocki la "Biblioteca Adelphi"».

Da allora a oggi la collana ha pubblicato oltre 600 titoli. E solo a ripercorrerla mentalmente si nota una certa sconnessione.
«In un primo momento ci fu qualche sconcerto. Alcuni non capivano che cosa tenesse insieme un testo tibetano, un libro popolare di etologia, un trattato sul teatro. No, un libro vittoriano di memorie familiari. Erano libri come meteore. Poi, col tempo, la situazione si rovesciò. Oggi le connessioni e le tensioni percepibili fra i titoli della Biblioteca sono più fitte e più forti che in qualsiasi altra collana editoriale. Questo fu capito da molti lettori, che sapevano di trovare qui molte sorprese attraenti e affini. Così la connessione divenne un punto di forza».

Fissiamo qualche dettaglio. Nei primi anni l'Adelphi fa dei bei libri ma prevale la sensazione di una raffinatezza fine a se stessa: un piccolo club per pochi eletti. Poi, verso la metà degli anni Settanta, la svolta. Improvvisamente si accendono i riflettori su un autore che avevate cominciato a pubblicare: Joseph Roth.
«Non so che cosa possa voler dire "raffinatezza fine a se stessa" e certamente si tratta di una categoria che solo i più stolidi avrebbero potuto applicare ad Artaud, Milarepa o sant'Ignazio. È vero però che, intorno a Joseph Roth, ma anche a Hofmannsthal, Kraus, Schnitzler, si cristallizzò una passione nei lettori: scoprivano una parola magica, Mitteleuropa, e in particolare la Vienna dei primi trent'anni del Novecento. Con buone ragioni: è lì che si sono addensate, in tutti i campi, dalla letteratura alla scienza, alla psicoanalisi, all'arte, alcune scoperte centrali di cui viviamo ancora. E non credo che siamo andati molto avanti rispetto ad allora».

Gaston Gallimard

Ma perché proprio Roth - e penso a Fuga senza fine - diventò uno dei punti di riferimento per i giovani di allora?
«Perché grazie a lui scoprirono, limpidamente tracciato sulla pagina, il caos, il sovvertimento, lo scompiglio mentale che è poi lo stato cronico in cui il mondo si trova da allora».

Ne L'impronta dell'editore definisce il Novecento il secolo dell'editoria. Perché?
«Certamente è stato un secolo di grande editoria, ben più dell'Ottocento. Tra la fine dell'Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, figure come Kurt Wolff, Gaston Gallimard, Alfred Vallette, Ernst Rowohlt, Allen Lane, James Laughlin, Samuel Fischer hanno inventato profili nuovi per l'editoria in genere. Con loro ha inizio, spesso in una stretta cerchia di amici, un gusto, un modo di intendere e di giudicare che prima non esisteva».

Sono figure che spesso oscillano tra l'azzardo, il rischio e la seduzione.
«È un mestiere pericoloso, dove è facilissimo perdere soldi. Ma dove ci si può anche molto divertire».

Tra le figure di primo piano dell'editoria del Novecento lei ha inserito Giulio Einaudi.
«È stato uno dei grandi editori europei e anche quello con il quale ci siamo trovati in evidente contrasto. Una situazione che ha fatto molto bene a entrambe le parti. Ed è particolarmente triste constatare che oggi non c'è quasi più nulla con cui contrastare».

In che cosa fu grande?
«Nel capire la situazione particolarmente favorevole che esplose dopo il 1945, con l'Italia liberale e di sinistra, oscillante tra Croce e Amendola. Einaudi riuscì in un brillante gioco di prestigio: essere protettivo verso il Pci e intanto farsi proteggere dal partito. L'Einaudi fu la forma più alta del sovietismo europeo. Adelphi invece con il sovietismo non ha mai avuto a che fare».

Nietzsche

A dividervi ci fu anche l'edizione Nietzsche.
«Non ci fu nessuna contesa. Einaudi aveva capito che pubblicare qualcosa di Nietzsche era una buona idea. Ma dovette, diciamo per "ragioni di Stato", tornare sui suoi passi. Gli apparve chiaro che l'edizione critica di Nietzsche voluta da Colli e Montinari avrebbe cambiato radicalmente la sua casa editrice. Mentre Luciano Foà capì subito che l'edizione di Nietzsche sarebbe diventata l'asse di Adelphi».

Se il Novecento è stato il grande secolo del libro cartaceo, il nostro rischia di rappresentarne la tomba. Come interpreta quello che sta accadendo?
«Tuttora esistono editori intelligenti che fanno libri meglio che possono. Certo, il clima intellettuale non mi sembra memorabile. Fa spavento confrontare ciò che accadde negli anni 1900-1913 con quanto è successo tra il 2000 e il 2013».

Eppure c'è la medesima impetuosa radicalità con cui il nuovo si presentava allora.
«Quello che si nota è la macroscopicità dei fatti che avvengono e una palese incapacità di elaborarli e assorbirli. Imponenti e invadenti, questi fatti non hanno trovato finora un
corrispettivo sulla pagina. Negli anni Quaranta, Auden parlava di Età dell'Ansia. Oggi parlerei di Età dell'Inconsistenza. È questo il carattere dominante, ovunque intorno a noi. E in Italia con particolare evidenza. Comunque, se oggi uno fa l'editore e vuole continuare, non mancano certo le cose - anche enormi - da pubblicare. Ma bisogna esercitare l'occhio».

C'è qualcosa che la preoccupa nella situazione attuale?
«Più che gli ebook e il self-publishing, che sono soprattutto oggetto di tediosissime tavole rotonde, il mio cruccio è che certi libri tendono a sparire dalle librerie, se non hanno vendite costanti, semplicemente perché il libraio non ha lo spazio per esporli. Così un ragazzo di 18 anni ha molte probabilità di non avere mai visto una copia di certi libri magnifici che hanno il difetto di essere usciti venti anni prima. E magari sono i libri di cui più avrebbe bisogno».

Giulio Einaudi

Può darci qualche esempio fra i libri Adelphi?
«Parlavamo di Vienna e credo che non molti conoscano Alfred Polgar e le sue Piccole storie senza morale. Forse nessuno apparteneva così intimamente alla fisiologia di quella città, al suo ritmo, al suo respiro. Ma possono essere poco visibili anche libri che metterei fra i dieci indispensabili per chiunque, come il Zhuang-zi, uno dei tre grandi classici taoisti. È più utile leggere il Zhuang-zi che affannarsi sui manuali di filosofia. Comunque, i generi adelphiani sono variegati. Non credo, per esempio, che molti ragazzi di oggi conoscano quello stupendo romanzo di Edward Dahlberg che si chiama Poiché ero carne.

Dahlberg è l'unico americano del secolo scorso che abbia immesso nella sua prosa l'incanto dei grandi classici greci e latini, riscoperti come da un barbaro. E poi consiglierei anche le trascinanti memorie della regina del burlesque Gypsy Rose Lee, libro che finora è rimasto all'interno di una piccola cerchia (forse il solito club di "raffinati"?), o un racconto come Senza domani di Vivant Denon, provocato da una scommessa: come scrivere una storia altamente erotica senza usare parole indecenti. Scommessa vinta».

 

AHI! TECH - UNA METÀ DI MELA IN PIÙ: APPLE AUMENTA IL SUO DIVIDENDO DEL 56%

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A cura di Andrea Andrei per Dagospia
(Twitter: @andreaandrei_ )

1 - UNA METÀ DI MELA IN PIÙ: APPLE AUMENTA IL SUO DIVIDENDO DEL 56%. E C'È CHI DICE CHE IN COMUNICAZIONE DOVREBBE APPRENDERE DA MICROSOFT

Da "Bloomberg.com" (http://bloom.bg/WQCwiq) e "Business Insider.com" (http://read.bi/YC3bts)

JEAN-LOUIS GASSéE

La pressione dei risultati non esaltanti in Borsa e l'attacco sempre più violento della concorrenza sta scompigliando le carte in casa Apple. "Bloomberg" riporta che l'azienda sarebbe pronta ad alzare il suo dividendo trimestrale distribuito ai propri azionisti di oltre la metà, e più precisamente del 56 per cento, arrivando a una quota annuale di 15,7 miliardi di dollari (4,14 dollari ad azione). Il payout, in tal modo, arriverebbe alla percentuale del 3,7.

Intanto c'è chi pensa che oltre al potere commerciale, l'azienda della mela stia rischiando di perdere anche quello che con Steve Jobs è stato sempre il suo principale punto di forza: la capacità di parlare alla gente. E a dirlo è addirittura un ex pezzo grosso di Cupertino, Jean-Louis Gassée. Lui sostiene che Apple dovrebbe in questo senso apprendere dai Microsoft, assumendo una società esterna per curare la comunicazione. Gassée ha sottolineato come l'uscita del capo del marketing Phil Schiller il giorno precedente alla presentazione del Samsung Galaxy S4 sia stata una dimostrazione di debolezza, soprattutto perché Schiller, nella foga di parlare dei difetti di Android, ha anche sbagliato la versione del software di Google montata sul Galaxy S4.

C'è da scommetterci: Steve Jobs si sarebbe arrabbiato.


2 - ASPETTA E XPERIA: SONY PRESENTA I SUOI DUE NUOVI SMARTPHONE DI FASCIA MEDIO-BASSA, "XPERIA SP" E "XPERIA L"

Da "Mashable.com"
http://on.mash.to/Yjv5P0

SONY XPERIA SP

Come già anticipato a gennaio, Sony ha presentato i suoi due nuovi smartphone di fascia medio-bassa, "Xperia SP" e "Xperia L". Il primo ha uno schermo da 4,6 pollici per 720p, con una risoluzione di 1280 x 720, una fotocamera da 8 megapixel e un processore dual-core Snapdragon da 1.7Ghz. Sony in particolare sembra aver puntato soprattutto sulla fotocamera e sull'estetica. Xperia SP è completamente di alluminio e nella parte inferiore ha anche un led lampeggiante il cui colore e la cui intermittenza è personalizzabile.

L'Xperia L è invece ancor più orientato alla fotografia e offre, a detta della stessa Sony, "l'esperienza fotografica perfetta su uno smartphone". Monta una fotocamera da 8 megapixel, un supporto HDR, un pulsante dedicato alla fotocamera e ha "RS Exmor", una tecnologia che garantisce "colori vividi" e "grande nitidezza". Ha uno schermo da 4,3 pollici con una risoluzione di 854 x 480.

Entrambi gli smartphone hanno una memoria interna di 8GB espandibile a 32 GB con microSD e saranno disponibili fra aprile e giugno nei colori bianco, rosso e nero.
Ancora sconosciuto il prezzo.


3 - ITALIAN GAME: L'ITALIA ESPORTA I SUOI VIDEOGIOCHI IN AMERICA

GAME CONNECTION AMERICA 2013

L'alunno nella casa del maestro. Anche l'Italia sta per entrare nell'olimpo del game development. Grazie all'ICE, l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, alcune aziende del Bel Paese andranno in America per partecipare all'importantissimo "Game Connection America 2013", appuntamento che si svolge tre volte l'anno in cui si ritrovano i principali sviluppatori di videogiochi del mondo per confrontarsi e incontrare potenziali editori.

La fiera, che si terrà dal 25 al 27 marzo a San Francisco, vedrà la partecipazione di 10 aziende italiane del circuito AESVI: 93 Steps, Digital Tales, Forge Reply, Imagimotion, Interactive Project, Just Funny Games, NuOxygen, Reludo, Studio Evil e TiconBlu, le quali avranno un padiglione dedicato e si presenteranno sotto il brand "Games in Italy". Sperando che un giorno, viste le potenzialità italiche in questo settore, smetteremo di essere considerati "Little Italy".


4 - LA CLASSIFICA DEI VIDEOGIOCHI PIÙ VENDUTI (SETTIMANA DAL 4 AL 10 MARZO)

Fonte: GfK Retail and Technology

TOMB RAIDER

È tornata Lara Croft, e non ce n'è più per nessuno. Nella sua settimana d'esordio, Tomb Raider di Square Enix vola dritto dritto in cima alla classifica dei videogiochi per console più venduti, registrando una doppietta nelle versioni per PlayStation 3 e Xbox 360.
A seguire, altra interessante doppietta, stavolta firmata Namco: al terzo e quarto posto si piazza il fumetto giapponese Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm 3.
Dal quinto posto in giù restano ancorati alla classifica gli habitué Fifa 13, Just Dance 4, Assassin's Creed III e Call of Duty Black Ops II. Da segnalare anche New Super Mario Bros 2 per Nintendo 3DS, settimo in graduatoria, e la Survival Edition di Tomb Raider, al nono posto.

Per pc al primo posto regna Simcity Limited Edition, che nemmeno Tomb Raider, piazzatosi secondo, è riuscito a spodestare. A seguire, The Sims 3 University Limited Edition, la World of Warcraft prepaid card 2 mesi, Football Manager 2013 (per cui la prima posizione è solo un lontano ricordo), Crysis 3, Call of Duty Modern Warfare 3, Assassin's Creed III, Age of Empire 3, X-Plane 8.

 

CHI È IL PAPÀ SPOSATISSIMO DEL FIGLIO DELL'ECONOMISTA IN DOLCE ATTESA, NEW ENTRY IN PARLAMENTO?

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1. Chi è il papà del figlio dell'economista in dolce attesa, new entry in Parlamento? Lei non svela il mistero forse perchè lui è sposato e ha altri figli...

IL BACIAMANO DI GUBITOSI A PAPA FRANCESCO BERGOGLIO

2. Il suo sponsor Rigor Montis e' sempre più evanescente, quasi invisibile tra i banchi di Palazzo Madama, alla ricerca di un posto al sole. Cosi', nel giorno dell'elezione dei presidenti di Senato e Camera, che mette il sigillo all'irrilevanza del professore nell'attuale scenario politico, Luigi Gubitosi cambia piazza. Da viale Mazzini parte alla volta di San Pietro e cerca conforto nella benedizione apostolica di Papa Francesco, durante l'incontro con la stampa di tutto il mondo nell'aula Paolo VI.

L'accredito in Vaticano viene fatto in tutta fretta ma al direttore generale della Rai spetta, comunque, la prima fila, accompagnato dall'amico Andrea Vianello, che ha nominato a capo di Raitre, in barba a Bersani, e dal direttore di Rai uno Giancarlo Leone. Una telefonata al direttore del Tg1 Mario Orfeo e il gioco e' fatto, secondo il collaudato stile Prima Repubblica. Così, tra i quasi seimila giornalisti presenti, le telecamere del Tg1, casualmente, puntano l'obiettivo proprio su Gubitosi and friends. Per ben tre volte, nell'edizione principale delle 20.00 con tanto di saluti finali del dg al Papa, inchino e primo piano del bacio dell'anello .
PS - Se volete potete cercare il video dell'edizione Tg1 ore 20.00 del 16 marzo 2013, minuto 26.15 bacio anello Gubitosi

3. Intervista a Salman Rushdie - Da "la Repubblica"
[...] In quel periodo è nata la sua amicizia con Umberto Eco.
«Fu dolcissimo. Avevo stroncato il suo Pendolo di Focault. Ci conoscemmo a un meeting a Parigi. Mi venne incontro a braccia aperte "sono bullshit Eco". Siamo diventati amici io, lui e Vargas Llosa. Eco ci ha battezzato i tre moschettieri. Perché io avevo stroncato Eco, Umberto aveva criticato Mario perché era di destra, Llosa aveva criticato me perché troppo di sinistra. Siamo diventati un trio inseparabile».

UMBERTO ECO CON IL DITO NEL NASO

4. Corriere.it - È diventato un tormentone su Twitter «Gallo Afflitto», il cognome del deputato che ieri, alla votazione per il presidente della Camera, è stato votato da due deputati. Riccardo Antonio Gallo Afflitto, 46 anni, è stato eletto nelle liste del Pdl in Sicilia. Si ignora per quale ragione sia stato indicato ieri. Ma quei tre voti ottenuti sono bastati per farne una star in Rete. Molti navigatori pensano che il cognome del parlamentare sia uno scherzo.

Giovanni Verduci commenta «Ci sono anche voti per Gallo Afflitto. Che mattacchioni questi deputati italiani!!». Qualcuno si indigna (Abbie Normal: «Quelli che hanno votato Gallo Afflitto perché non vanno a Zelig invece di occupare un posto in Parlamento?»). Mentre Jenni Morelli forse centra il problema: «A qualcuno è piaciuto talmente tanto il cognome Gallo Afflitto che l'ha anche votato come presidente!».

Ornella Muti con il ceceno Kadyrov

5. Corriere.it - Fabrizio Corona trasferito al carcere di Opera. il fotografo dei vip, condannato a cinque anni per estorsione al calciatore Trezeguet, si trovava in cella a Busto Arsizio (Varese) dalla sera del 25 gennaio, dopo quattro giorni di latitanza seguiti alla condanna definitiva in Cassazione.
Il suo trasferimento rientra in un normale spostamento collegato alla lunghezza della pena detentiva e alla necessità di una struttura carceraria adeguata. Ad Opera in tutte le celle vivono uno o due carcerati al massimo a parte poche stanze, nel centro clinico.

6. Dal "Corriere della Sera" - Ornella Muti a Grozny sabato sera con il leader ceceno Ramzan Kadyrov e il tenore russo Nikolai Baskov. Lo scatto è stato pubblicato sull'account Instagram del capo della Repubblica caucasica, già nel mirino dei difensori dei diritti umani. Kadyrov scrive: «La festa è finita, i nostri ospiti ritornano a casa! Una tiepida sera di primavera accompagna Ornella e Nikolai! Da noi sono sempre i benvenuti!»

fabrizio corona carcere su Diva Donna

7. Da "Vanity Fair" - Dicono che una conduttrice che ama far domande, ma non riceverne, abbia messo in guardia il nuovo fidanzato. Dicono che gli abbia intimato di non parlare con i giornali, pena l'abbandono. Dicono.

8. Assemblea al Corriere dopo incontro Cdr-azienda proposti subito 2 giorni sciopero contro i tagli giornalisti e abolizione benefit

 

MA GRASSO È LO STESSO CHE VOLEVA PREMIARE IL BANANA PER LA LOTTA ALLA MAFIA?

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Riceviamo e pubblichiamo:

logo fratelli ditalia

Lettera 1
Caro Dagospia,
questa volta purtroppo la bufala l'hanno rifilata a te.. e non sono stati i Fratelli. A quella riunione io ci sono andato ma purtroppo la collega che l'aveva promossa ha ritenuto non potessi partecipare. Non le sono andate giù alcune passate divergenze, piuttosto note agli operatori balneari ma forse di scarso interesse su queste pagine.

Il diverbio degno di due vicini d'ombrellone stava degenerando e, temendo per la tenuta nervosa della vicina e per la conseguente possibile figura di sabbia all'arrivo del bagnante francese, ho preferito richiudere ombrellone e sdraio e tornare al lavoro.. altro che "a spasso per Strasburgo"!

E infatti nel testo del comunicato congiunto che ho firmato non c'é alcun riferimento a una mia presenza durante l'incontro. A me interessa la tutela di trentamila imprese balneari... i castelli (anch'essi di sabbia) li lascio ad altri. Certamente una fonte migliore di quella originaria non avrà difficoltà a segnalarti l'identità della vicina d'ombrellone. Saluti "fraterni".
Carlo Fidanza
Europarlamentare Fratelli d'Italia

Lettera 2
gentile Dago,
Bersani può fare quello che vuole per far partire un governo. Mi sta bene tutto, anche Zagrebelsky arrivo a dire. Ma Saviano no ti prego, Saviano è troppo, non ce la potrei fare. Se Saviano diventa ministro giuro che voto Berlusconi per la prima volta nella vita.
felipe

saviano-versione-lenin

Lettera 3
Caro Dago, Napolitano userebbe la collaudata formula del disappunto, Grillo quella del vaffanculo, Bersani quella dell' impresentabile, Alfano quella dell' irresponsabile, Berlusconi quella dell' eversivo, Repubblica e l' Annunziata quella dell' indecente, Monti quella del non condivido.
Toni, che stamane mi ha chiesto se potevo dargli un passaggio in macchina, quella della DISPERAZIONE.
Max

Lettera 4
Dago mitico ,
ma Grasso è lo stesso che voleva dare un premio al Banana ed Angelino x la lotta alla mafia?
tarcisio pollaroli

Lettera 5
Dago mio ,
se la politica del pompino fosse efficace noi potremmo tirar su il corpo diplomatico più influente del mondo
finger in the ass

contini

Lettera 7
L'altra sera a Servizio Pubblico si è cosparsa il capo di cenere affermando a gran voce, e facendosi portavoce della direzione del PD (dice lei), che non avrebbero dovuto fare l'errore dell'altra volta di voler sia la Presidenza della Camera sia quella del Senato..e che erano pronti a un passo indietro per il "bene del paese".... E meno male!!!! Complimenti per la coerenza e auguri per un buon governo (che equivale a buona caccia e buona pesca....)!!!

Lettera 8
L'Alabama sta ai grillini come l'Albania ai leghisti
Pietro@ereticodarogo

Lettera 9
Caro Dago,
sui Marò non condivido la tua posizione, come è possibile che questi dopo un anno non avessero ancora emesso una sentenza. Un paese dove lo stupro è legalizzato, esiste la pena di morte, la maggior parte delle sentenze si comprano etc., oltre al fatto che hanno inquinato le prove, non ci sono certezze delle modalità in cui è avvenuto il delitto etc.

Se ci arrestano l'ambasciatore noi arrestiamo il loro...ma figuriamoci...questa questione l'hanno mandata avanti fin troppo per le lunghe questi indiani, sarebbe anche l'ora che si dessero una regolata e accettassero di porre la questione davanti a un tribunale internazionale, e non davanti a un sistema di giustizia lento e medioevale...
in amicizia, Alessandro

Lucia Annunziata

Lettera 10
Egregio Direttore,
Protestare contro la giornalista Rai Lucia Annunziata? Inutile! Lo faccio dal 1994, quando fece la diretta della sfilata fino a S. Giovanni dei moderati italiani: ne disse di tutti i colori e sarebbe il caso di ritrovare le registrazioni e farle rivedere e risentire per essere convincenti. Ho un solo rammarico: non posso esprimermi su di lei come ha fatto oggi Sallusti su Il Giornale, gli elementi di giudizio ne ho e a sufficienza, ma non sono un collega. Ringrazio però il Direttore del quotidiano per aver scritto esattamente il mio pensiero. Esattamente! E' una prima pagina da incorniciare e lo farò, appendendola alle mie spalle a lato della laurea. Grazie per l'attenzione e buon lavoro
Leopoldo Chiappini Guerrieri
Roseto Degli Abruzzi (Te)

Lettera 11
Caro Dago,
Horacio Verbitsky non è solo un giornalista e scrittore, ma soprattutto il superconsulente della presidenta di secondo letto Christina Kirchner, dopo esserlo stato del fu marito Nestor. La campagna del fango contro papa Bergoglio la conduce da tempo, perchè il Cardinale non ha perso occasione per denunciare sprechi, malversazioni e incapacità della presidenta, che ha mandato a ramengo la già fragile economia argentina, oggi vicina al secondo default .
Molti baci,
maurizio milano

DANIELE MANCINI TRA SALVATORE GIRONE E MASSIMILIANO LATORRE jpeg

Lettera 12
Caro Dago,
che abbiano esautorato per le corsie della Camera, Senato e colle, Amato, D'Alema, Bindi, Franceschini e Finocchiaro è una notizia che non può che fare piacere a tutta la popolazione italiana, che è stufa di vedere le solite facce ai posti di comando. L'elezione del procuratore Grasso al Senato ci fa molto piacere e se dovesse lasciare per il colle ne saremmo molto lieti, poichè lo si ritiene, anche se del Pd, una persona retta, obiettiva e al disopra delle parti. Potrà essere un ottimo Presidente della Repubblica. Cordiali saluti.
Annibale Antonelli

Lettera 13
Dago... visto noi italiani abbiamo trattenuto due MARO'.... perchè non gli rimandiamo indietro due COGLIONI? I nomi penso siano scontati.........
Così prendiamo due piccioni con una fava........ cioè ... due coglioni con una fava.... e le fave e i coglioni ci stanno bene insieme...
Destino....
Corrado da Reggio Emilia

Lettera 14
Caro Dago,
possiamo avere le norme internazionali dalla nostra parte, ma la Parola data è Sacra. Sempre. E se i nostri governanti non ci arrivano, che ci pensino i due Marò a salvare l'Onore dell'Italia, comportandosi da Galantuomini e tornando in India spontaneamente.
Recondite Armonie

Lettera 15
Caro Dago,
volevo ringraziare Antonio Polito per il magistrale distillato di politica che ci ha instillato domenica 17 marzo in merito alla spaccatura interna al Movimento 5 Stelle nelle scelte da compiere in merito alle presidenze delle Camere. É stato un "pezzo" illuminante e perfetto dal punto della scienza politica, non potrebbe essere diversamente, il Dott. Polito verga i suoi articoli sul quotidiano della intellighenzia italiana. 
Per questo motivo chiedo al Capo dello Stato, come ultimo atto del suo supremo Magistero, di nominare al Governo di questo paese il Patto di Sindacato del Corriere della Sera.
Saluti
IL LANCIANESE

Lettera 16
Signori di Dagospia, non avevo dubbi che vi siete montati la testa da mo'. Sono gli scherzi di questi tempi folli dove si eleggono deputati, senatori,presidenti di camera e senato presi dalla strada. E' un momento di pura incoscienza generale, di obnubilamento delle menti per cui tutto e' possibile. Sono i tempi che precedono le catastrofi epocali ( le vedrete tra qualche mese quando saremo colleghi della Grecia) e dunque leggere la vostra lettera a Bersani ci sta dentro, eccome, in questo quadro.

EFFETTO DOMINO SULLO SPREAD jpeg

Pero' fa ridere la presunzione, la megalomania che ha spinto dagoreport a vergarla. E' incredibile. Se e' uno scherzo può starci e allora ditelo. Se e' fatta sul serio, stop con le pipiate. Per stare in tema, dovreste candidarvi anche voi alla Presidenza della Repubblica: sarebbe n segno di discontinuità. Forza, i voti li prendete di sicuro.
Luciano

Lettera 17
Caro DAGO, è innegabile che lo spread, che la "legittimato" la caduta di Berlusconi e lo (si spera) irripetibile anno di Monti, è condizionato dalle grandi centrali del potere internazionale a scopo di ingerenza politica. Oggi, con Bersani incapace di formare un governo, e un parlamento inservibile, lo spread dovrebbe andare alle stelle; invece, non servendo alla caduta di un governo sgradito, se ne sta buono. Se questo è vero, è ancora difficilmente misurabile il danno colossale che la smania di far cadere Berlusconi prima della fine della legislatura ha prodotto al paese: un ignobile anno di governo "tecnico", una strozzata fiscale da KO, e poi? un parlamento ingovernabile e incapace di svolgere le sue funzioni. Sarebbe bastato a napolitano,Merkel e UE aspettare ancora un annetto e Bersani, che aveva tutti gli assi in mano, si sarebbe portato via il piatto del poker in maniera irreprensibile. Complimenti davvero. Tanto paghiamo noi.Saluti BLUE NOTE

Lettera 18
Caro Dago, mentre tu scrivi il tuo Dagoreport della domenica io vengo a te con questa mia (Totò e Peppino lettera ndr). Magari ti fa un po' male, ma comunque te la dovevo spedire, a perenne ricordo. Anche tu (sic) insieme ad altri, sei preoccupato per le possibili nuove elezioni a giugno. E allora io vi dico: mettete da parte tutte le vostre preoccupazioni! Vedrete presto che, pur di non andare a nuove elezioni, assisteremo a valanghe di "responsabilità", slavine di "preoccupati per l'economia reale" provenienti da tutti i partiti e movimenti, grillini compresi. Nell'attesa scaldano i motori "i competenti".

Ascolteremo le giustificazioni più incredibili da coloro che si dovranno sporcare via via le mani per tenere in piedi la legislatura, ma non si andrà a votare né a giugno né entro un anno. Anzi, i leader che per loro sventura dovessero chiedere nuove elezioni si gireranno e scopriranno di trovarsi... con nessuno dietro.

Roberta Lombardi e Vito Crimi jpeg

Ma ragiona un po'. Le hai viste le facce degli eletti? E tu vuoi che questi qui rinuncino volontariamente a 5 anni di parlamento? Non ci crederò neanche quando lo avrò visto. Alla faccia di tutti i pirla che "l'Europa ci chiede questo", "i mercati ci chiedono quello", "occorre fare le riforme strutturali per il paese". Il problema non è solo che sono boiate pazzesche. Il fatto è che fino ad oggi queste boiate sono state la scusa per fare la qualunque con il governo Monti e sono state il leit-motiv della campagna elettorale. E adesso che non si possono più fare per mancanza di numeri? Si rivota? Ma quando mai. Dormite pure sonni tranquilli.
Tiziano Longhi

Lettera 19
Gentil Dago,
Spero che il messaggio e il bel discorso di Laura Boldrini vengano compresi da tutte le donne, impegnate in politica. Anche da quelle del Pdl che, sinora, si son dovute sottoporre a prove, a cenone eleganti, ma imbarazzanti, e ad esami non trasparenti per emergere. E han dovuto dimostrare, soprattutto, obbedienza a Berlusconi, molto esigente nella selezione e nella scelta delle parlamentari.

Positiva anche l'elezione a Presidente del Senato di un altro, autorevole rappresentante della "società civile", Pietro Grasso. E, forse, ancora più positiva la bocciatura della Finocchiaro, che un osservatore acuto, Antonello Caporale, ha definito la "tenutaria dei vecchi equilibri". Senza la vittoria elettorale di Grillo, le novità ai vertici delle istituzioni non si sarebbero verificate.

BOLDRINI

E il cupo Rigor Montis che, insieme al Cavaliere, è stato travolto dall' "effetto tsunami" provocato in Parlamento dal voto di febbraio ? Al prof. Mario, all'affannosa, quasi fantozziana, ricerca di una poltrona, come uno Scilipoti qualunque, vorrei evidenziare una celebre frase contenuta in un discorso, che fu pronunciato dal Presidente USA, J.F. Kennedy, ucciso a Dallas nel 1963 : " Cari connazionali, voi non dovete chiedere che cosa il vostro Paese possa fare per voi. Ma dovete chiedervi cosa voi possiate fare per l'America !". Ossequi.
Pietro Mancini

 


SE QUELLA ROBA SULLA CONTINI, INVECE DELL’’’ESPRESSO’’, L’AVESSE SCRITTA “IL GIORNALE”

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Riceviamo e pubblichiamo:

GIAN MARCO CHIOCCI contini finiana

Caro Dago
sfogliando (avidamente) il tuo inarrivabile sito, leggo con un certo raccapriccio i fatti riportati in un articolo riguardanti Barbara Contini e sue presunte performance diplomatico-sessuali risalenti al lontano 2001. Ai di là dell'interesse del lettore per la presunta fellatio de relato mi chiedo cosa sarebbe accaduto se fosse stato il Giornale per il quale scrivo a pubblicare una "notizia" del genere, posto che la Contini era peraltro poi finita anche tra le braccia di Fini nel Fli.

Ce la prendiamo coi magistrati che si dimenticano di stralciare le telefonate intime, personali e non attinenti alle indagini (che puntualmente finiscono sui giornali) ma non dovremmo restare indifferenti quando siamo noi giornalisti a sputtanare dettagli (veri o falsi che siano) molto personali e vecchi di una dozzina di anni oltreche frutto non di intercettazioni ma di dichiarazioni di una funzionaria dell'Osce che quegli eventi avrebbe raccontato in un rapporto che non è chiaro che fine abbia fatto e che effetti abbia avuto.

Se anche lo scoop fosse finalizzato a dimostrare che la Contini era stata in grado di compromettere la missione bosniaca, era proprio necessario dettagliare così meticolosamente quelle profferte sessuali?
Tuo
Gian Marco Chiocci

barbara contini candidata del centro democratico

 

“FAMOLO STRANO, CAZZO!” TUTTI A MIAMI PER “ULTRA MUSIC FESTIVAL”

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Foto da:
http://www.dancingastronaut.com/
www.villagevoice.com
www.miamiherald.com
http://www.nydailynews.com/
http://blogs.westword.com/

ULTRAMUSICA


DAGOREPORT
Al grido di "Let's get fucking weird", che si può tradurre con un "famolo strano, cazzo!" ma applicato a tutto e non solo al sesso, venerdì scorso è partito a Miami "Ultra Music Festival", il più grande raduno di musica elettronica al mondo. Arrivato alla quindicesima edizione, per la prima volta si svolgerà in due weekend, aprendo e chiudendo la "Winter Music Conference" (WMC), che dal 1986 raccoglie il meglio dei professionisti della disco-culture: dj, musicisti, produttori indipendenti e grandi etichette, promoter, radio e stampa specializzata.

ULTRAMUSIC

Esattamente come nel caso di Art Basel Miami, qualcuno deve essersi chiesto: dove possiamo fare la nostra mega-convention invernale? A Berlino, capitale mondiale dell'elettronica, dove a Marzo le temperature oscillano tra 0 e 8 gradi, o a Miami, che sarà pure la capitale dei pensionati e dei ballerini latinoamericani, ma il tanga si porta anche dopo le 10 di sera?

E così dal 1999 si ficca nel frullatore la Winter Music Conference con la settimana più calda dello "spring break" americano, chilometri di spiagge smutandate, e il più grande crocevia di droghe ricreative del continente, e si ottiene un frappè fosforescente a metà tra un rave e Woodstock, con meno vestiti e ancora meno pretese politiche o sociali.

Uno sballo pieno di colori "fluo" e con nessun colore politico o razziale, per quanto ci sia una netta maggioranza di bianchi, perché il pubblico della musica elettronica e degli spring breaks è borghese e mediamente benestante. E il biglietto più economico costa 300 dollari...

ULTRAMUSIC

Senza slogan e senza battaglie, l'unico modo di esprimersi è con i vestiti. E il pubblico dell'Ultra non si fa mancare niente, purché fosforescente: braccialetti, tutù per uomini e per donne, treccine per capelli, bikini. Ma quest'anno dominava un accessorio fuori posto e perciò fondamentale: lo stivale moon boot.

L'edizione 2013 è partita con un incidente: giovedì sera un gigantesco schermo LED è crollato su un palco, ferendo gravemente due operai che lo stavano allestendo. Niente paura: lo show è partito il giorno dopo come se nulla fosse. Con 7 diversi palchi, è bastato transennare l'area e aggiustare il calendario.

Nel cartellone, solo per citare i più famosi, c'erano l'italiano Benny Benassi, Martin Solveig, Armin Van Buuren, Avicii, Carl Cox, David Guetta, Fatboy Slim, Swedish House Mafia, Tiesto, Faithless, Snoop Dog, Eric Prydz,

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Poi Alesso, Dirty South, Dog Blood (Skrillex and Boys Noize), Fedde Le Grand, Hardwell, Loco Dice, Luciano, Laidback Luke, Pretty Lights, Steve Aokiand Sven Väth, Afrojack, Kaskade, Knife Party, Richie Hawtin, Bassnectar, Calvin Harris, Azealia Banks, Sleigh Bells, The Weeknd, Bloody Beetroots, Booka Shade, Boys Noize, Crystal Castles, deadmau5, Disclosure, Hot Chip, Major Lazer, Thievery Corporation, Yeasayer Matt & Kim, e Icona Pop.

 

ULTRAMUSIC ULTRAMUSIC ULTRAMUSIC

 

GUBITOSI BACCHETTA L’ENERGUMENA ANNUNZIATA

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1- SCONTRO ANNUNZIATA-ALFANO
Video - Lucy ad Alfy: "Siete impresentabili"


LUCIA ANNUNZIATA CONTRO ALFANO: IMPRESENTABILI


2- GUBITOSI BACCHETTA LUCIA ANNUNZIATA
Da Corriere.it

LUCIA ANNUNZIATA da BRUNO VESPA

La Rai prende formalmente posizione dopo la polemica per la frase detta dalla giornalista Lucia Annunziata al segretario del Pdl Angelino Alfano. «Mi dispiace molto per l'episodio della trasmissione In 1/2 ora. Fatte salve tutte le opinioni, nei programmi Rai nessuno deve sentirsi insultato o ospite sgradito. Anche a nome della Presidente Tarantola esprimo rammarico per quanto accaduto». Lo ha dichiarato il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi. «Sono cose che non dovrebbero accadere a nessun conduttore e stupisce che sia successo a una giornalista esperta come Lucia Annunziata», ha continuato il direttore generale.

LA RICHIESTA DI UN INTERVENTO - In mattinata il senatore Antonio Gentile, del Pdl, si era rivolto pubblicamente alla Rai. «Chiedo formalmente al direttore generale della Rai Gubitosi di evitare di far finta di non vedere, non sentire e non parlare: le parole pronunciate ieri da Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz'ora con il nostro segretario Alfano sono vergognose e inaccettabili». «A questa paladina della sinistra che Berlusconi elesse presidente della Rai - ha detto Gentile - viene consentito di usare la tv pubblica per insultare la seconda coalizione italiana e milioni di elettori».

IL BOTTA E RISPOSTA DELLA POLEMICA - Le frasi al centro della polemica sono state pronunciate domenica dalla conduttrice che, a proposito di un possibile candidato moderato al Quirinale, ha detto «Forse non è possibile perché voi siete impresentabili». La replica del segretario del Pdl: «Come si permette di definire impresentabili noi? Avete disprezzo per il voto di milioni di persone. Lei ha detto una cosa ingiusta». Al termine della trasmissione l'Annunziata ha provato a chiedere venia: «Mi scuso per il mio giudizio franco».

LUIGI GUBITOSI ALFANO, GASPARRI, CICCHITTO AL QUIRINALE

 

PAURA CIPRO, BORSE IN ROSSO. MILANO -0,8% - Spread risale a 323

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1 - BORSA: CIPRO SPAVENTA I LISTINI UE, BANCHE CHIUDONO IN FORTE CALO
Radiocor - I listini europei hanno chiuso in rosso spaventati dal salvataggio di Cipro. La decisione di procedere al prelievo forzoso sui conti correnti, su cui deve ancora esprimersi il parlamento di Nicosia, ha mandato in rosso le banche di tutto il Continente e solo l'apertura sulla parita' di Wall Street ha consentito di limitare le perdite che nel corso della giornata erano arrivate oltre il 2%. Milano ha comunque chiuso in calo con il Ftse Mib che ha ceduto lo 0,85% e il Ftse All Share lo 0,78%.

IL PRESIDENTE DI CIPRO NIKI ANASTASIADES CON MARTIN SCHULZ

In flessione tutti i bancari a partire da Mps (5,03%), Unicredit (-3,61%), Bper (-2,83%), Ubi (-2,64%), Intesa Sanpaolo (-2,52%) e Banco Popolare (-2,51%). In controtendenza, invece, Parmalat protagonista dell'ultima parte della seduta. Il titolo, che fra due giorni presenta i conti, ha chiuso a +8,26%. Sul mercato dei cambi, l'euro scivola nei confronti delle principali valute e scambia a 1,2983 dollari (1,306 venerdi') e a 123,407 yen. Il rapporto fra dollaro e yen si attest a a 95,053. Per quanto riguarda il petrolio, il Wti cede lo 0,06% a 93,76 dollari.

2 - SPREAD BTP CHIUDE IN RIALZO A 323 PUNTI BASE
(ANSA) - Chiude in rialzo lo spread tra il Btp e il Bund tedesco a causa della vicenda Cipro. Il differenziale sale a 323 punti base dai 314 di venerdi, col tasso al 4,63%. Nel corso della seduta la forbice Roma-Berlino si è allargata fino a 344 punti. Si attesta a 355 punti base lo spread della Spagna col rendimento dei Bonos al 4,96%.

BANCOMAT CIPRO

3 - CIPRO: BANCA CENTRALE, BANCHE CHIUSE MARTEDI' E MERCOLEDI'
Radiocor - Le banche di Cipro rimarranno chiuse fino a giovedi'. Lo si e' appreso da una fonte della Banca centrale, alla vigilia della sessione cruciale del Parlamento dell'isola che ha rinviato per ben due volte il suo voto sul piano di salvataggio europeo offerto in cambio di una tassazione dei depositi bancari. 'Le banche resteranno chiuse martedi' e mercoledi'', ha spiegato un funzionario della Banca centrale. Oggi a Cipro e' una giornata festiva e le banche hanno osservato un giorno di chiusura dopo l'annuncio del piano di salvataggio di sabato scorso.

4 - CIPRO: MOODY'S, DA PRELIEVO FORZOSO A RISCHIO RATING BANCHE EUROPA
Radiocor - Il prelievo forzoso su conti e depositi delle banche cipriote, deciso a Bruxelles nel quadro di piano di salvataggio del Paese, potrebbe avere conseguenze negative per i rating delle banche europee. Lo scrivono gli analisti di Moody's in un rapporto, aggiungendo che la decisione ha, comunque, 'pesanti conseguenze' per i risparmiatori non solo a Cipro ma anche per i creditori di banche in altri Paesi europei, aumentando nel contempo i rischi di una fuga di capitali da altri Paesi in difficolta' dell'Eurozona.

ENRICO CUCCHIANI A CERNOBBIO jpeg

La decisione sul prelievo forzoso, continua l'agenzia di valutazione del merito di credito, si distingue nettamente come un caso unico nei confronti di precedenti piani di salvataggio, ad esempio quello delle banche spagnole o della olandese Sns Reaal. Le conseguenze dirette del prelievo dovrebbero restare limitate, dice Moody's, ma si tratta di un punto di svolta a livello di politiche europee: 'con la decisione - scrive Moody's - si e' avviato un passo importante per limitare, o addirittura eliminare, la tutela sistemica dei creditori bancari in tutta Europa'. In questo modo, i responsabili politici europei 'dimostr ano di essere disponibili a rischiare turbolenze piu' consistenti sui mercati finanziari, nel perseguimento di obiettivi politici'.

5 - BANCHE: DOPO ITALIA FITCH RIVEDE RATING, DECLASSA UNICREDIT E INTESA
Radiocor - Dopo il declassamento dell'Italia, Fitch ha rivolto la propria attenzione alle banche italiane e 'per riflettere l'impatto diretto del calo del rating dell'Italia' a BBB+ con outlook negativo dell'8 marzo scorso, ha declassato il rating a lungo termine Idr di Intesa SanPaolo e Unicredit a 'BBB+' da 'A-' e il viability rating (Vr) a 'bbb+' da 'a-'.

FEDERICO GHIZZONI E GIUSEPPE VITA

L'outlook e' negativo. I rating a breve dei due istituti di credito sono stati invece confermati a 'F2' e il rating di supporto a '2'. Sono stati abbassati anche il rating del debito a lungo Idr di Agos Ducato e Banca Nazionale del Lavoro ad 'A-' da 'A' con outlook negativo. Confermati invece i debiti a breve di queste due banche. Resta invariato anche il support rating di Monte dei Paschi (Mps), Banco Popolare, Iccrea Holding e Ubi Banca e il rating a lungo di Mps e di Banco Popolare con l'outlook rivisto da negativo a stabile.

6 - FIAT: IHS STIMA -20,5% VENDITE EUROPA FEBBRAIO, MERCATO -10%
Radiocor - Le vendite del gruppo Fiat in Europa occidentale (inclusa Svizzera e Paesi scandinavi) sono previste in calo a febbraio con una flessione superiore a quella del mercato. Lo anticipa a 'Radiocor' Pierluigi Bellini, associate director di Ihs Global Insight, che prevede per il Lingotto una contrazione del 20,5% delle vendite nell'area a quasi 53.580 unita' il mese scorso con una quota del 6,9% (7,8% un anno prima) su un mercato previsto giu' del 10,2% a 775.530.

SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN FOTO ANSA

Cali anche maggiori attesi per Ford (-21,7%) e General Motors (-21,2%), mentre contengono i danni i costruttori del segmento premium (Bmw -1,1%, Daimler -3,2%). Per il gruppo Volkswagen prevista una flessione del 7,5%, per Renault del 7,3%, per Psa Peugeot Citroen dell'11,8% e per Toyota del 9,1%, mentre Hyundai, l'unica tra i primi 10 costruttori, dovrebbe segnare +1,8%. L'Acea rendera' noti domani i dati di febbraio.

7 - TELECOM ITALIA: TRONCHETTI PROVERA CITA IN GIUDIZIO IL GRUPPO DI TLC
Radiocor - Marco Tronchetti Provera ha citato in giudizio Telecom Italia. E' quanto comunicato in una nota, nella quale si precisa che la decisione e' stata presa 'in relazione ai comportamenti tenuti da quest'ultima nei suoi confronti, dopo l'uscita dal gruppo nel 2006, che hanno causato gravi danni alla propria immagine e onorabilita''.

8 - FONDO QATAR PRONTO OFFERTA 8 MLD STERLINE PER MARKS&SPENCER
(ANSA) - La Qatar Investment Authority sta valutando un'offerta di 8 miliardi di sterline per la catena distributiva britannica Marks & Spencer. Lo scrive il Sunday Times. Secondo fonti avvicinate dal giornale, la Qatar Investment Authority, fondo sovrano dello stato del Golfo, avrebbe avvicinato società finanziarie e banche per costituire un consorzio per l'operazione M&S. Operazione che se dovesse avere successo vedrebbe il Qatar assicurarsi un'altra grande 'istituzione' del commercio britannico, dopo l'acquisizione di Harrods nel 2010 e l'acquisto della quota del 26% in J Sainsbury, terza catena di supermercati Gb.

tronchetti telecom

9 - JPMORGAN: NYT; DIMON TORNA IN MIRINO, CRITICHE INVESTITORI
(ANSA) - L'amministratore delegato di JPMorgan, Jamie Dimon, torna nel mirino per le maxi perdite da sei miliardi di dollari per la 'Balena di Londra', il trader Bruno Iksil che ha accumulato posizioni talmente importanti sul mercato dei derivati da influenzarne l'andamento. Il rapporto della Sottocommissione del Senato e le audizioni della scorsa settimana hanno rimesso al Dimon al centro dell'attenzione.

Alcuni azionisti criticano - riporta il New York Times - la sua "scoraggiante arroganza" e una minoranza all'interno del consiglio di amministrazione della banca non è soddisfatta di lui ed è preoccupata per i suoi rapporti con Washington. Alcuni esponenti del governo americano, infatti, affermano che Dimon sta perdendo la sua influenza sulle autorità. "E' improbabile che Dimon si trovi ad affrontare reali minacce in momento in cui sta ottenendo profitti record" mette in evidenza il New York Times, precisando che la maggioranza del board lo sostiene.

JAMIE DIMON jpeg

10 - MERIDIANA: PRESENTATO A CONSOB DOCUMENTO SU OPA A 0,6 EURO
(ANSA) - Meridiana ha presentato alla Consob il documento relativo all'Opa su Meridiana Fly a 0,6 euro per azione annunciata lo scorso 26 febbraio. Lo annuncia lo società controllata dall'Aga Khan in una nota. L'operazione è a servizio dell'aumento di capitale in opzione di Meridiana Fly, che la società si è impegnata a sottoscrivere con il sostegno di Akfed, il fondo dell'Aga Khan, che la controlla con l'89,91% del capitale. Meridiana Fly ha chiuso l'esercizio 2012 con una perdita di 190,23 milioni di euro e ricavi totali per 579,52 milioni.

 

CAFONALINO - PAPA FRANCESCO COME IL “CHE”: “TENEREZZA” - UN SALUTO A BIMBI E DISABILI E PURE A MUGABE

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Ernesto "Che" Guevara: "Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza"


FRANCESCO PREDICA: 'NON TEMETE TENEREZZA'
Da Ansa.it

SUORE

E' durata quasi due ore la messa per l'inizio del pontificato di Papa Francesco. Bergoglio al termine della funzione è andato a pregare alla statua della Madonna, poi si è soffermato a lungo, in piedi e senza ermellino, a salutare i capi di stato e di governo, primi fra tutti Napolitano e Monti, ma anche Biden, Merkel ed il controverso presidente dello Zimbabwe Mugabe. Al
termine un dito passato sulla fronte come a dire 'ce l'abbiamo fatta'. E un tweet ai fedeli: 'Custodiamo Cristo nella nostra vita, abbiamo cura gli uni degli altri, custodiamo il creato con amore'.

La celebrazione complessiva per l'inizio del Pontificato è durata meno di due ore, mentre la Messa vera e propria è durata un'ora e mezza.

SUORE

Subito dopo la benedizione impartita in piazza San Pietro da papa Francesco, dalla piazza si è levato il grido 'Viva il Papa' e subito dopo sono seguiti molti applausi.
Alla Messa di inizio pontificato di Papa Francesco hanno partecipato tra i 150 e i 200 mila fedeli'.

Si passa un dito sulla fronte come si fa quando si dice: "finalmente" o "ce l'abbiamo fatta". Dopo un'ora e mezzo termina il saluto delle delegazioni a Papa Francesco ma il Pontefice non ha mai ceduto alla stanchezza. Solo alla fine fa quel gesto scherzoso. Nel corso dei saluti ha solo chiesto un paio di bicchieri d'acqua e non si é mai seduto. Alla fine si è avvicinato alla transenna dove c'erano alcuni religiosi e i custodi della basilica e li ha salutati.

PIAZZA SAN PIETRO ATTESA PER IL NUOVO PAPA

NON ABBIATE PAURA DELLA BONTA', NE' DELLA TENEREZZA - "Non dobbiamo avere paura della bontà, neanche della tenerezza". Lo ha detto papa Francesco nell'omelia della messa di inaugurazione del pontificato. "Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza", ha aggiunto il Pontefice.
La tenerezza, ha detto Bergoglio, "non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità di amore". "Non dobbiamo avere timore della bontà - ha poi ripetuto -, della tenerezza".

E DA TWITTER: AVERE CURA DEGLI ALTRI,CUSTODIRE CREATO - "Custodiamo Cristo nella nostra vita, abbiamo cura gli uni degli altri, custodiamo il creato con amore". E' il messaggio lanciato oggi da papa Francesco su Twitter dopo la messa di inizio del pontificato.
"Il vero potere è il servizio. Il Papa deve servire tutti, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli". E' il testo di un secondo tweet diffuso da papa Francesco.

L INAUGURAZIONE DI PAPA BERGOGLIO

'OGGI SAN GIUSEPPE, SIAMO VICINI A PAPA EMERITO' - "Gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza". Così il Papa, nella messa di inaugurazione del pontificato, ha ricordato Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, definendo una "coincidenza molto ricca di significato " il fatto che oggi sia l' onomastico del "venerato predecessore".

'PER FAVORE', POTENTI, CUSTODITE CREATO E UOMO - Il Papa chiede 'per favore' a chi ha 'ruoli di responsabilita' in ambito economico, politico o socialé e a tutti gli uomini di buona volontà di essere 'custodi della creazione,del disegno di Dio iscritto nella natura, dell'altro e dell'ambiente'.

PREGHIERE IN CINQUE LINGUE, ANCHE IN ARABO E CINESE - Sono cinque le lingue scelte per la preghiera dei fedeli nella Messa di inizio pontificato di Papa Francesco: russo, francese, arabo, swahili, cinese.

RATZINGER SEGUE MESSA IN TV A CASTELGANDOLFO - Benedetto XVI sta seguendo in televisione la messa di inizio del pontificato di papa Francesco. Ratzinger si trova nel palazzo di Castel Gandolfo, dove risiede dalla sera del 28 febbraio.

PARAMENTI SACRI E MITRA SEMPLICI ED ESSENZIALI - Paramenti sacri improntati alla semplicità per Papa Francesco, anche nella messa di insediamento in San Pietro. Casula bianca con bordature dorate al centro a simbolizzare la croce, e mitra con lo stesso motivo spiccano per l'essenzialità anche rispetto ai paramenti indossati dai cardinali. Il Papa ha anche un pastorale a forma di croce.

INAUGURAZIONE DI PAPA FRANCESCO BERGOGLIO

CARDINALE SODANO GLI CONSEGNA ANELLO DEL PESCATORE - Il cardinale decano, Angelo Sodano, consegna a Papa Francesco l'anello del pescatore. E' uno dei simboli del ministero petrino e Papa Bergoglio lo ha voluto in argento e non in oro.

Prima di iniziare la messa, Papa Francesco si è inginocchiato per pregare sulla tomba di San Pietro.

Centinaia di migliaia di fedeli e 132 delegazioni internazionali in Vaticano per la messa d'inaugurazione del pontificato di Francesco. Previsti poi rappresentanti delle altre chiese cristiane e delle altre religioni, ebrei e musulmani ma anche buddisti, sikh. Dopo quasi mille anni sarà presente alla celebrazione anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo. Gli verrà consegnato il pallio e l'anello piscatorio, che il papa dei poveri ha voluto d'argento e non d'oro. La presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner è seduta in prima fila tra i banchi dei capi di Stato, davanti all'altare dove tra poco Papa Francesco dirà la messa di inaugurazione del pontificato. La Kirkhner, in completo e cappellino nero, si è alzata in piedi ed ha salutato con la mano i fedeli in Piazza San Pietro tra i quali sventolano molte bandiere argentine.

papa super

PAPA SCENDE DA JEEP PER SALUTARE UN DISABILE - Papa Francesco è entrato in piazza San Pietro a bordo della jeep. La folla lo accoglie con un boato di gioia. Applausi, saluti, bandiere che sventolano. Francesco è sceso dalla jeep per salutare un disabile dietro la transenna. Lo ha accarezzato e gli ha sorriso per alcuni momenti. Poi ha voluto accarezzare e baciare due bambini che gli sono stati allungati dalla folla. "Da lontano sei arrivato e con la semplicità ci hai conquistato".

E' uno dei tanti piccoli cartelli che hanno come protagonista papa Francesco. Sono innalzati da singoli fedeli e scritti su cartelli bianchi vergati a mano con pennarelli neri. Alla Messa di inaugurazione del Pontificato di Papa Francesco non sono presenti le sue sorelle ma ci sono invece alcuni amici tra i quali Sergio Sanchez, rappresentate dei 'Cartoneros', José Maria del Corral, direttore di programmi educativi e Suor Ana Rosa, familiare del Papa. Lo riferisce la sala stampa vaticana.

PAPA CHIAMA PLAZA DE MAYO, PIAZZA ESPLODE IN BOATO DI GIOIA - Una grande emozione si è diffusa in Plaza de mayo a Buenos Aires nella folla di fedeli radunata davanti alla Cattedrale in attesa della messa di insediamento di Papa Francesco quando dal palco si è diffusa la sua voce. "Camminiamo tutti uniti, prendiamoci cura gli uni degli altri e continuate a pregare per me" ha detto il Papa. "So che state pregando, grazie per le preghiere", ha detto il Papa ai fedeli argentini riuniti in Plaza de Mayo, a Buenos Aires, riferisce il sito del quotidiano La Nacion.

INAUGURAZIONE DI PAPA FRANCESCO BERGOGLIO

"Grazie per esservi riuniti a pregare, è tanto bello pregare, guardare verso il cielo, guardare al nostro cuore e sapere che abbiamo un padre buono che è Dio, grazie per questo", ha continuato il Pontefice mentre le migliaia di presenti ascoltavano ammutoliti dalla sorpresa. "Voglio chiedervi un favore - ha detto ancora papa Francesco -, camminiamo tutti uniti, prendiamoci cura gli uni degli altri, prendetevi cura tra di voi, non facciamoci del male, curiamo la vita, curiamo la famiglia, curiamo la natura, curiamo i bambini, curiamo gli anziani".

"Non ci sia odio - ha proseguito -, non ci siano contrasti, lasciamo da parte l'invidia, dialoghiamo. Tra di noi, questo desiderio di aiutarci a vicenda vada crescendo nel cuore e avviciniamoci a Dio". Quindi Bergoglio ha dato la sua benedizione: "per intercessione di Santa Maria sempre vergine, dell'angelo custode di ciascuno di voi, del glorioso patriarca San Giuseppe, di Santa teresina, del bambino Gesù e dei vostri santi protettori, vi benedica Dio Onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo".

INAUGURAZIONE DI PAPA FRANCESCO BERGOGLIO

PAPA SALUTA NAPOLITANO E MONTI - Papa Francesco ha salutato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la consorte. Lo scambio di saluti è durato diversi minuti.

Ha salutato e stretto la mano anche al presidente del consiglio Mario Monti, accompagnato dalla moglie Elsa, scambiando con lui alcune parole.

Papa Francesco saluta i capi di Stato e di governo nella basilica di San Pietro rimanendo in piedi davanti alla poltrona, posta presso l'altare centrale, e indossando la talare bianca, senza la mozzetta bordata di ermellino usata in analoghe occasioni dai precedenti Pontefici.

ALEMANNO, BENE MACCHINA ORGANIZZATIVA, CITTA' HA RETTO - "Per le informazioni che abbiamo finora tutto ha funzionato bene, non ci sono stati particolari disagi, la macchina organizzativa allestita da prefettura, questura e Roma Capitale ha funzionato e anche questa volta la città ha retto alla prova". Lo afferma il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, anche lui in piazza San Pietro per la Messa di inaugurazione di pontificato di papa Francesco.

PIAZZA SAN PIETRO ATTESA PER IL NUOVO PAPA

PAPA SALUTA IL PRESIDENTE DELLO ZIMBABWE MUGABE
(ANSA) - Tra le delegazioni straniere il Papa ha salutato anche il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, accompagnato dalla moglie. Mugabe è sottoposto alle sanzioni di Bruxelles che gli impediscono di viaggiare se non per "obblighi religiosi".

MUGABE ACCANTO A DELEGAZIONE UE
(ANSA) - E' seduto proprio accanto alla delegazione europea, il controverso presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, sottoposto alle sanzioni di Bruxelles che gli impediscono di viaggiare se non per "obblighi religiosi". Sul sagrato di San Pietro chi ha commissionati le sanzioni e chi le ha ricevute si trovano quindi fianco a fianco per rendere omaggio a papa Francesco nel giorno dell'inaugurazione del suo pontificato. Mugabe, in completo grigio, è accompagnato dalla moglie che indossa un vistoso cappello verde acido.

INAUGURAZIONE DI PAPA FRANCESCO BERGOGLIO

 

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