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CAMERON CON VISTA SULLE MALVINAS DI PAPA FRANCESCO

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Nicol Degli Innocenti per "Il Sole 24 Ore.com"

David Cameron non ha resistito: a meno di 48 ore dall'insediamento di Papa Francesco I, il primo ministro britannico ha criticato il Pontefice, colpevole di avere dichiarato in passato che le contese isole Falkland/Malvinas sono territorio argentino. "Non sono d'accordo con lui, - ha dichiarato Cameron.- Con rispetto, naturalmente."

"La fumata bianca sulle Falkland è stata piuttosto chiara", ha scherzato il premier ricordando l'esito del referendum di questa settimana nel quale il 99,7% dei residenti delle isole ha scelto di restare sudditi della Regina. Solo tre persone hanno votato contro. "Il referendum è stato straordinariamente chiaro, - ha detto il premier - e questo é un messaggio a tutto il mondo che il popolo di queste isole ha scelto il futuro che vuole e la sua scelta dovrebbe essere rispettata da tutti." Papa compreso, secondo Cameron.

Il Governo argentino ha definito il referendum "una farsa", dato che i 1.500 abitanti delle isole sono stati "impiantati" e dipendono in toto dalla Gran Bretagna. La questione non riguarda i residenti, ha sottolineato Buenos Aires, ma il territorio delle isole che è argentino.

Negli anni in cui era Arcivescovo di Buenos Aires, l'attuale Papa aveva spesso descritto le isole come parte integrante della "patria argentina", e aveva organizzato le cerimonie religiose per commemorare i soldati argentini morti nel conflitto con la Gran Bretagna del 1982. L'allora premier Margaret Thatcher aveva optato per l'intervento armato dopo l'invasione delle isole voluta dalla giunta militare argentina, e la vittoria conseguita aveva rilanciato la sua carriera politica.

Lo scorso anno, in occasione del trentesimo anniversario della guerra, l'allora Cardinale Jorge Maria Bergoglio aveva dichiarato che i soldati argentini "erano andati a difendere la loro madre, la loro patria, a riprendersi ciò che a loro appartiene" e aveva definito la riconquista delle isole come una "usurpazione". La presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, ha fatto capire che spera che il nuovo Papa possa aiutarla a convincere la Gran Bretagna ad avviare trattative sul futuro delle isole, mossa che Cameron ha finora rifiutato categoricamente.

 


GRILLOLOGY: CHI HA TRADITO SI DIMETTA - SE RESTANO UNITI È (PIERO) GRASSO CHE COLA

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1 - TRASPARENZA E VOTO SEGRETO
Da "www.beppegrillo.it"

grillo vuole

Nella votazione di oggi per la presidenza del Senato è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso, l'eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini con un voto palese. Se questo è vero in generale, per il MoVimento 5 Stelle, che fa della trasparenza uno dei suoi punti cardinali, vale ancora di più. Per questo vorrei che i senatori del M5S dichiarino il loro voto.

Nel "Codice di comportamento eletti MoVimento 5 Stelle in Parlamento" sottoscritto liberamente da tutti i candidati, al punto Trasparenza è citato:
- Votazioni in aula decise a maggioranza dei parlamentari del M5S.
Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo ha mentito agli elettori, spero ne tragga le dovute conseguenze.

2. L'IRA DI GRILLO: CHI HA TRADITO SI DIMETTA
Fabrizio Roncone per "Corriere della Sera"

Lo sguardo scorre sui ranghi impietriti dei senatori grillini (intanto c'è Pietro Grasso che quasi accenna un inchino, allarga le braccia, e l'applauso così cresce, ci sono le grida di evviva che rotolano dai banchi del Pd, c'è una piccola bolgia di allegria che travolge l'emiciclo di Palazzo Madama).

APRISCATOLE IN SENATO FOTO TWITTER BEPPE GRILLO

Vito Crimi, il capogruppo del M5S, è però pallido nonostante le luci gialle dei lampadari, ha gli occhi socchiusi, lentamente abbassa la testa.
Luis Alberto Orellana, che il M5S aveva candidato alla presidenza del Senato, si morde il labbro, stringe i pugni.

Ornella Bertorotta si asciuga una lacrima.
Nunzia Catalfo fa un gesto con la mano, come di chi vuol scacciare un pensiero brutto.
Vincenzo Santangelo si siede, esausto.

GRILLO IN COPERTINA SU L ESPRESSO

I grillini ora sanno cosa è la politica. Cosa significa confrontarsi, scegliere, litigare, decidere, votare e dividersi. Perché si sono divisi.
Lo sanno, lo sapevano da prima di entrare in Aula, che sarebbe accaduto: adesso c'è la certezza dei numeri. Almeno dieci di loro, e forse undici, e magari dodici - dipende dal tipo di calcolo che si effettua sul voto segreto - hanno voluto eleggere Pietro Grasso. Lo hanno votato nonostante l'ordine di Vito Crimi, e si suppone l'ordine di Beppe Grillo e Casaleggio - Crimi è stato per venti minuti filati al cellulare - fosse quello di votare «scheda bianca».

Avreste dovuto sentirlo, Crimi (al voto finale mancavano ancora un paio d'ore). «Noi non facciamo la stampella di nessuno». E, naturalmente, inutile insistere, chiedere. Lui subito molto sprezzante, molto grillino. «Dovete rispettarci! Cos'altro vorreste sapere, eh? Noi siamo diversi, dagli altri! Noi ci stiamo andando a riunire... Noi decideremo per alzata di mano!».

Vanno su, al terzo piano di Palazzo Carpegna. Da tre giorni, in attesa di avere ciascuno la propria stanza, i grillini hanno scelto di fare base nell'aula della commissione Agricoltura.
Entrano, sbarrano la porta (altro che trasparenza, altro che diretta streaming).

GRILLO IN PARLAMENTO MENTRE GLI ALTRI LITIGANO

Cinque minuti. Ed ecco che cominciano a rimbombare voci alterate. Molto alterate.
Una cronista appunta pezzi di frasi eloquenti. «Dobbiamo mantenere la nostra linea...» (sembra la voce dello stesso Crimi). «Ma guardate che Grasso è una persona perbene!». «Basta! Dobbiamo evitare che la presidenza del Senato vada a uno come Schifani!».

Esce Bartolomeo Pepe (quello che a La Zanzara, su Radio24, disse: «Bersani? Un assassino. Con lui, nessun accordo!»). È nervoso, racconta che sono soprattutto i sei senatori eletti in Sicilia (Francesco Campanella, Mario Giarrusso, Vincenzo Santangelo, Nunzia Catalfo, Fabrizio Bocchino e Ornella Bertorotta) «a spingere per Grasso... temono che l'agevolare un eventuale ritorno di Schifani non gli sarebbe perdonato sulla loro isola». Ornella Bertorotta, in effetti, scrive su Facebook: «Libertà di voto. È questo che abbiamo deciso».

grillo mascherato

Esce anche Andrea Cioffi.
Questo senatore napoletano è sempre tra i meno ruvidi con noi cronisti (stavolta parlava però con voce tremante).
«Ci siamo confrontati...».

Avete litigato.
«Litigato? Mah... No... Cioè... Vedete... Io...».

Avete litigato, si è sentito da fuori.
«Eh... la verità è che noi siamo ancora... noi siamo come dei bambini... bambini che non hanno esperienza».

BEPPE GRILLO CON MARIO MEROLA NELL OTTANTADUE

La riunione è durata un'ora abbondante. Molti senatori grillini l'hanno vissuta con l'Ipad acceso, leggendo il dibattito che, contemporaneamente, è deflagrato sul web. Un dibattito assai controverso. Prima, i militanti sembravano spingere verso una scelta, auspicando un voto in favore di Grasso; poi, improvvisamente, non appena Grasso è stato proclamato presidente della Camera, il senatore a vita Emilio Colombo ha letto i numeri della votazione e s'è intuito che l'elezione era avvenuta anche grazie al voto di alcuni senatori del M5S, il tono dei militanti è mutato radicalmente.

GOVERNO DI SCOPO E SCOPONE BERSANI GRILLO BERLUSCONI NAPOLITANO

Su Facebook e Twitter toni sprezzanti. «Venduti alla prima occasione!». «Vergogna!». E insulti, addirittura, a Grillo, sul suo blog.
Lui, alle 23,03, risponde con un messaggio: «Nella votazione di oggi è mancata la trasparenza. il voto segreto non ha senso, l'eletto deve rispondere delle sue azioni con un voto palese. Per questo vorrei che ogni senatore del M5S dichiari come ha votato».
Poi, la conclusione, praticamente un ordine: «Nel codice di comportamento del M5S al punto "trasparenza" è scritto: votazioni in Aula decise a maggioranza dai parlamentari. Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo, spero ne tragga le dovute conseguenze».
Molto chiaro, vediamo ora che succede.

3 - LA SCOMUNICA DI GRILLO "CHI HA TRADITO SE NE VADA"
Andrea Malaguti per "La Stampa"

È il ventunesimo punto, quello che il papa ligure non ha scritto sul programma del MoVimento, a mettere in crisi la muraglia cinese del nuovo mondo e scatena l'ira funesta di Beppe Grillo. Una crepa di buonsenso autarchico che si insinua nel monolite 2.0 nel momento esatto in cui la democrazia smette di scivolare sul web e si trasforma nella vita reale. Quando il sassolino da appoggiare sulla bilancia può decidere se a guidare il Senato debba essere una bandiera dell'antimafia o un signore incardinato al sistema e dal passato mille volte discusso. Volete Gesù o Barabba? Grasso o Schifani?

VITO CRIMI

Il popolo dei cyberguardiani si divide e a sorpresa sceglie Gesù, sconfessando la linea dell'equidistanza dalla casta. Il rabbioso pontefice di Genova annuncia la scomunica per tredici cittadini-iscariota con un durissimo tweet notturno: «Nel voto di oggi è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso, l'eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini. Il nostro codice dice: votazioni in aula decise a maggioranza dei parlamentari. Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo ha mentito agli elettori. Spero ne tragga le conseguenze». Che fai, li cacci?

Roberta Lombardi e Vito Crimi jpeg

Un passo indietro aiuta a capire. Il giudice di Licata Pietro Grasso e il palermitano Renato Maria Giuseppe Schifani sono sempre stati su lati opposti sulla lavagna dei Cinque Stelle. E nessuno ha mai avuto dubbi su chi fosse il buono e chi il cattivo. Non puoi fischiettare guardando in alto quando il tuo voto è destinato a incoronare il Diavolo o l'Acqua Santa. Così, non bastano presunti ordini dall'alto o discutibili strategie collettive per cancellare l'idea individuale del bene e del male. «I grillini sono come Scientology», giurava incautamente Silvio Berlusconi arrivando a Palazzo Madama inseguito dai fischi. Non poteva immaginare che di lì a poco tredici franchi tiratori l'avrebbe smentito. La setta non c'è più. O comunque è fuori controllo.

È il triplo carpiato rovesciato di Pierluigi Bersani - che curiosamente azzecca una mossa - a costringere la pattuglia antisistema a fare i conti con la propria coscienza. Boldrini e Grasso, non sono Franceschini e Finocchiaro, non li puoi respingere a priori. Per questo lo scontro interno al MoVimento esplode sotto traccia alla Camera e con evidenza sorprendente al Senato, dove la seduta d'urgenza convocata prima del ballottaggio Grasso-Schifani si trasforma presto in un gigantesco Far West. Le grida invadono il corridoio al terzo piano di Palazzo Madama sopperendo alla mancanza della diretta streaming. I siciliani sono compatti. Schifani non lo vogliono. E non vogliono neppure passare per quelli che se ne sono lavati le mani. «Votiamo Grasso. Guardate il web. Sono i nostri elettori a chiederlo».

La senatrice del Movimento Stelle Enza Blundo jpegRoberto Fico alla Camera durante la seduta di insediamento del parlamento della XVII legislatura jpeg


«Se vince Schifani al ritorno in Sicilia ci fanno un mazzo così». Il Sud è con loro. Il Nord svicola. Ma l'accusa di cinismo-pilatesco o, peggio, di vicinanza «a chi puzza di malaffare», è arrivata così violenta e all'improvviso da non lasciare il tempo a nessuno di celare la sofferenza. Il portavoce Vito Crimi (dopo una lunga e misteriosa telefonata) insiste per il sostegno al proprio candidato, il venezuelano-pavese Luis Alberto Orellana.

Banchi con deputati del M S alla Camera jpeg CRIMI E LOMBARDI

«Tra Grasso e Schifani vincerà comunque Grasso», riflette. Gli pare che il rischio sia calcolato. «Non faremo la stampella di nessuno, il nostro atteggiamento non cambia», dirà ai media da vero talebano. Ma sarà lo stesso Orellana a fornire una versione diversa. «Ci affideremo alla nulla o alla bianca. Poi, nel segreto dell'urna, ognuno farà quello che crede». Libertà di voto?

Il siciliano Bartolomeo Pepe risolve il dubbio con un post su Facebook. «Amici, libertà di voto. Senza contrattazioni e senza trucchi. Borsellino ci chiede un gesto di responsabilità». Grillo si aspetta il contrario. È il caos. Il napoletano Andrea Cioffi, i capelli ispidi e la giacca di due misure più grandi, continua a sostenere che «esiste una linea comune» ingollando acqua. Non ci crede neanche lui. Sono bastati due giorni per consegnare la certezza che anche la democrazia-orizzontale-delle-ideeche-valgono-più-dei-singoli cammina sulle gambe di uomini e donne che non puoi gudare col joystick. Il pidiellino Lupi parla di primo inciucio «BersaniVendola-Grillo» e chiede le dimissioni del papa ligure (da che cosa?) nel momento in cui Vito Crimi lascia il Palazzo amareggiato.

Roberto Fico alla Camera jpeg

«L'unica decisione presa all'unanimità è stata quella di non votare Schifani. Dentro l'urna il voto è segreto e qualcuno ha agito secondo coscienza». E' ancora Bartolomeo Pepe a chiudere il cerchio: «Da persone libere, siamo stati coerenti con l'articolo 67 della Costituzione». Libere? Allons Enfants de la Patrie. Il Pd esulta. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. «Il MoVimento ha perso la sua verginità», ulula Calderoli. Magari è un bene. Ma chi glielo spiega a Grillo? Chi glielo dice che i suoi fedeli non capiscono più la loro guida?

4 - ORELLANA: "NON AVEVAMO L'ORDINE DI VOTARE BIANCA"
Andrea Malaguti per "La Stampa"

MARCELLO DE VITO MOVIMENTO CINQUE STELLE

Senatore Orellana, ha sentito che cosa ha detto Calderoli?
«Che cosa?»

Che avete perso la verginità. E non per amore.
«Una fesseria».

Per Formigoni siete crollati?
«Chi?».

Grillini entrano alla Camera jpeg

Formigoni.
«In questo Parlamento gli unici ad avere idee chiare e condivise siamo noi, Si figuri se mi preoccupa Formigoni».

Quello che dicono i suoi colleghi 5 Stelle la preoccupa invece?
«Guardate che non c'è stata nessuna spaccatura. Anzi. L'idea di fondo e r a chiara: nessun appoggio a Schifani».

Grilo in macchina dopo la riunione con gli eletti del M S jpeg

Pareva di aver capito: nessun appoggio a nessuno.
«Non siamo telecomandati. Ognuno di noi ha una propria sensibilità. Segue la propria coscienza. E certamente Pietro Grasso non faceva, e no fa, parte del vecchio apparato».

Dunque le piace?
«Non ho idea di come si comporterà alla guida del Senato. Ma ho idea di come si è comportato Schifani in passato. In un modo che a me non è mai piaciuto».

Grasso l'ha votato anche lei?
«....». Silenzio imbarazzato.

Roberta Lombardi capogruppo alla Camera del Movimento Cinque Stelle arriva in Senato per il vertice tra il Movimento e il Pd jpeg

Senatore, svicola?
«Lasci perdere. Piuttosto vorrei sottolineare una cosa che non è piaciuta a me».

Dica.
«Questi modi da vecchia politica. Noi siamo stati chiari dall'inizio. Avevamo una linea e dei candidati. Gli altri hanno cercato accordi con chiunque giorno e notte. Poi il Pd è saltato fuori all'ultimo momento con due nomi. Non ci hanno neppure dato il tempo di riflettere. Viva la coerenza».

Voleva una consultazione sul web?
«Volevo la possibilità di una analisi più matura. È anche per questo che dal nostro capogruppo è arrivato solo un invito a votare scheda bianca o nulla. Di sicuro il suo non era un ordine. Noi non ragioniamo così».

 

 

RATZINGER-BERGOGLIO: IL PASSAGGIO DEL TESTIMONE DON GEORG

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Giacomo Galeazzi per "la Stampa"

CAMPAGNA ELETTORALE PER IL PROSSIMO CONCLAVE PADRE GEORG DA QUINK jpeg

Presenza discreta e per nulla scontata alla vigilia dell'elezione pontificia, don Georg è costantemente accanto a Francesco nelle prime uscite pubbliche: dalla preghiera a Santa Maria Maggiore all'incontro coi giornalisti nell'Aula Paolo VI. Il ruolo dell'arcivescovo Gaenswein in questo inizio di Pontificato va ben al di là di quello ufficiale di prefetto della Casa pontificia: traspare infatti una partecipazione affettiva che dice molto sulla sua personalità e fa venire alla mente le parole che qualche mese fa aveva detto circa il suo lavoro con Benedetto XVI confidando di voler essere trasparente come il vetro per non oscurare in alcun modo il Papa.

RATZINGER E PADRE GEORG

E se il più stretto collaboratore di Joseph Ratzinger piangeva vistosamente quel pomeriggio del 28 febbraio quando insieme (come padre e figlio) hanno lasciato l'Appartamento della Terza Loggia, altrettanto emozionante per lui, giovedì pomeriggio quando finalmente sono stati tolti i sigilli, è stato il rientro con Francesco, che ha avuto bisogno del suo aiuto per spingere la porta che non si apriva. Una volta entrati i ricordi debbono averlo assalito e don Georg era tanto assorto che a un certo punto il reggente della Casa Pontificia, padre Leonardo Sapienza, ha dovuto riportarlo alla realtà dicendogli di accendere la luce.

BERGOGLIO RATZINGER

Questo Pontefice così diverso dal «suo» tuttavia piace molto a Gaenswein e ieri mentre Francesco diceva che lo Spirito Santo ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa, don Georg era davvero commosso. Sotto i riflettori monsignor Georg accompagna sempre il nuovo Pontefice in cerimonie ed udienze, poi dietro le quinte mette a sua disposizione le conoscenze di 8 anni di pontificato ratzingeriano. Anche sulle questioni lasciate in sospeso: scandalo Vatileaks, rientro dei lefebvriani in comunione con Roma, riforma della Curia, sacre finanze.

PADRE GEORG CARDINALE

È lui il «traghettatore» tra i due pontificati. Figura del tutto inedita nella storia ecclesiastica, don Georg è il punto di contatto tra il Papa regnante e quello emerito. Conserva la funzione di segretario di Ratzinger e continua ad abitare con lui a Castel Gandolfo ma al tempo stesso regge la «Pontificalis Domus» del suo successore Bergoglio. Oltre ogni protocollo, agisce sostanzialmente da cinghia di trasmissione nell'insidiosa fase d'avvio del pontificato.

«Sta svolgendo un compito delicatissimo- spiega un capodicastero - Don Georg è con Francesco non tanto per le sue attuali mansioni nel Palazzo Apostolico quanto perché sta facendo, per conto di Ratzinger, il passaggio delle consegne su temi delicati». Insomma, la presenza (e il consiglio) di monsignor Gaenswein è il modo con cui Benedetto XVI aiuta Bergoglio nei meandri della Curia romana e lo «protegge» nella scivolosa fase di transizione.

«È don Georg ad avere il dossier Vatileaks da consegnare a Francesco», precisa il porporato, riferendosi alla relazione dei tre cardinali inquirenti Herranz, Tomko, De Giorgi sul furto dei documenti dall'appartamento papale. Martedì Gaenswein è stato l'occhio di Ratzinger all'extra omnes: ha lasciato tra gli ultimi la Sistina nell'istante in cui ha preso il via il conclave.

Padre Georg e Mariano Crociata VANITY FAIR CON GEORG GANSWEIN

Già giovedì era con il neoeletto nella basilica mariana di Roma, poi alla messa «pro Ecclesia» celebrata nella cappella affrescata da Michelangelo assieme ai 114 elettori. Venerdì nella Sala Clementina ha partecipato alla cerimonia di saluto dei cardinali, molti dei quali hanno consegnato lettere e doni per il nuovo Pontefice. Francesco li ha affidati a Gaenswin, che alla sua destra, ha fatto da immaginario ponte con il Papa emerito ripetutamente citato da Francesco.

PADRE GEORG CARDINALE

Don Georg è stato protagonista anche di un curioso fuori programma: il polacco Nycz, dopo l'atto d'omaggio a Bergoglio, non è tornato direttamente al suo posto ma si è fermato a chiedere a don Georg di portare i suoi saluti a Ratzinger (mentre ha evitato di compiere lo stesso gesto il cardinale Stanislao Dziwisz successore di Wojtyla a Cracovia e predecessore di Georg nei suoi incarichi vaticani). In qualità di prefetto della Casa Pontificia, don Georg gestisce l'agenda degli impegni del Pontefice, però continua ad essere il braccio destro del suo predecessore.

Un'altra situazione anomala riguarda chi assumerà un ruolo, nell'ufficio di Francesco, monsignor Alfred Xuereb, secondo segretario di Benedetto XVI e anch'egli attualmente a Castel Gandolfo con Ratzinger. Intanto da don Georg arrivano a Francesco buoni consigli su come muoversi nell'ambiente della Curia e a quali persone fare riferimento anche per possibili incarichi di fiducia.

 

DUE MARO’ COSI’! L’INDIA PUO’ ARRESTARE IL NOSTRO AMBASCIATORE

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Ansa.it

La Corte suprema indiana puo' ''teoricamente ordinare l'arresto'' dell'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini ritenendolo responsabile del non ritorno dei maro' in India. Lo sostiene Harish Salve, l'avvocato che fino all'11 marzo ha difeso gli interessi italiani per poi rinunciare in disaccordo con la decisione di Roma.

Intervistato nel programma 'Devil's Advocate' della tv CNN-IBN, Salve, che non ha condiviso la decisione di trattenere in Italia Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha sostenuto che Mancini non rispettando la dichiarazione giurata depositata presso la Corte Suprema si e' reso responsabile di ''oltraggio alla Corte''.

IL MINISTRO TERZI A KOCHI CON I DUE MARO LATORRE E GIRONE I DUE MARO ALL ALTA CORTE DEL KERALA

Secondo Salve l'ambasciatore non potrebbe far valere una immunita' diplomatica perche' ''la nostra Costituzione stabilisce che tutti agiscano in aiuto e secondo gli orientamenti della Corte Suprema''.

Dopo essersi detto certo che i giudici del massimo tribunale ''agiranno'' nei confronti di Mancini (una udienza e' stata fissata per domattina a New Delhi, ndr.), Salve ha ribadito che ''teoricamente'' il diplomatico potrebbe ''andare in prigione''.

Sul piano pratico, ha concluso, ''dipende da come (i giudici) vorranno regolarsi con lui. Ma possono, se vogliono, mandarlo in carcere''

 

MONTE DEI FIASCHI DI SIENA! INTERCETTAZIONI E SCARCERAZIONI

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Fiorenza Sarzanini per "Il Corriere della Sera"

È tornato in libertà per un errore del giudice. Gianluca Baldassarri, l'ex direttore dell'Area finanza del Monte dei Paschi accusato di associazione per delinquere, truffa, appropriazione indebita e turbativa del mercato, ha lasciato ieri pomeriggio il carcere di Sollicciano.

IL FERMO DI GIANLUCA BALDASSARRI jpeg

E per l'indagine sulle spericolate operazioni finanziarie che sarebbero state compiute dai vertici della banca senese è stata un'altra giornata campale. L'irritazione dei pubblici ministeri si manifesta con una nuova richiesta urgente di misura cautelare. Ma a questo punto nulla è scontato e anche la difesa è pronta a dare battaglia.

La svolta arriva venerdì scorso quando il giudice Ugo Bellini ordina la scarcerazione dell'indagato, ritenuto dall'accusa il capo di quella banda che percepiva il 5 per cento di ogni affare concluso da Mps. Il fermo di Baldassarri risaliva al 14 febbraio. I pubblici ministeri lo avevano bloccato a Milano motivando il provvedimento d'urgenza con il pericolo di fuga. Il giudice del capoluogo lombardo aveva convalidato la misura e trasmesso gli atti per competenza ai colleghi di Siena. Ed è qui che è accaduto il pasticcio.

GIANLUCA BALDASSARRI jpeg

L'8 marzo Bellini conferma la detenzione del manager ma non fissa l'interrogatorio entro cinque giorni, come invece prevede la legge. Un'occasione che il difensore Filippo Dinacci non si lascia scappare. Presenta istanza di annullamento dell'ordinanza e il giudice gli dà subito ragione.

Due giorni fa il fax viene trasmesso al penitenziario che si trova a Firenze, ma la cella di Baldassarri rimane chiusa. «È sconcertante - protesta Dinacci - l'esecuzione del provvedimento deve essere immediata». Mentre l'avvocato sollecita la remissione in libertà, i magistrati cercano di correre ai ripari, convinti che per l'indagato ci siano ancora «il pericolo di fuga e quello di reiterazione del reato, oltre al rischio di inquinamento delle prove».

LANCIO DI MONETINE A MUSSARI IN PROCURA jpeg

Venerdì sera i pubblici ministeri Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso depositano una nuova richiesta di custodia cautelare.
Alle 14 di ieri, Baldassarri esce da Sollicciano. Due ore dopo è di nuovo davanti al giudice per l'interrogatorio. La sua linea di difesa non cambia: «Tutte le operazioni effettuate per conto di Mps sono regolari». Nelle scorse settimane i magistrati dell'accusa gli avevano sequestrato circa 18 milioni di euro.

«Quei soldi sono miei - ha sempre affermato il manager - ma sulla loro provenienza mi avvalgo della facoltà di non rispondere». I pubblici ministeri ritengono che siano i proventi di attività illecite e per questo sono convinti che Baldassarri dovesse rimanere in carcere. Una linea che anche il gip, almeno apparentemente, aveva sposato.

MUSSARI

Nell'ordinanza di custodia cautelare dell'8 marzo Bellini aveva scritto: «A prescindere dalla gravità del reato per cui si procede, dei gravissimi indizi di responsabilità in capo a Baldassarri, gli elementi sintomatici del pericolo di fuga rendono difficilmente percorribile la strada di una misura cautelare non detentiva, ovvero della misura degli arresti domiciliari.

In questo caso si finirebbe infatti per fornire una garanzia assolutamente inadeguata stante le condizioni e le qualità personali di Baldassarri che ha lavorato all'estero, conosce perfettamente l'inglese, ha uso e dimestichezza con viaggi e relazioni internazionali, possiede all'estero interessi e immobili, è in contatto con numerosissimi esponenti del mondo finanziario che gli possono fornire ospitalità e protezione, ha concluso affari avendo come interlocutori istituti finanziari esteri - soprattutto americani, tedeschi e giapponesi - come JpMorgan, Dresdner, Deutsche Bank, Nomura». Era dunque convinto, il giudice, che il carcere fosse l'unica soluzione. Ma poi con un errore di procedura, ha vanificato quanto lui stesso aveva deciso.

 

SCUDO ANTIMISSILE IN ALASKA: È COMINCIATA LA CORSA AL RIARMO

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Maurizio Molinari per "La Stampa.it"

BARACK OBAMA E GIORGIO NAPOLITANO ALLA CASA BIANCA

Gli Stati Uniti rafforzano la difesa antimissile nello scacchiere del Pacifico, dimostrando di prendere sul serio le minacce di attacchi da parte della Corea del Nord. È il ministro della difesa, Chuck Hagel, ad annunciare la decisione di destinare un miliardo di dollari per aumentare il numero dei missili intercettori da 30 a 44 entro il 2017. Tutti i nuovi 14 vettori saranno posizionati in silos nella base di Fort Greely, in Alaska, dove ve ne sono già 26, mentre altri 4 si trovano nella Vandenberg Air Force Base della California.

L'espansione dello scudo anti-missile include anche la realizzazione di un radar di ultima generazione in Giappone, a cui spetterà di «illuminare» i missili per consentire agli intercettori di colpirli. Il Pentagono ha deciso di procedere in tale direzione sulla base dei risultati dei recenti test svolti dalla Corea del Nord che hanno dimostrato notevoli progressi non solo nella realizzazione di ordigni nucleari ma anche di vettori intercontinentali progettati per colpire gli Stati Uniti.

Il missile classe «Taepodong» di Pyongyang ha una gittata di circa 6000 km e può dunque potenzialmente raggiungere tanto l'Alaska che le isole delle Hawaii. Sebbene gli intercettori americani abbiano durante i test dimostrato un'affidabilità ridotta - colpiscono l'obiettivo solo nel 50 per cento dei casi - non si può escludere che l'ampliamento ordinato porti a un miglioramento del sistema d'arma.

KIM JONG UN E I MISSILI COREANI NORD COREA MISSILI jpegMISSILI COREA DEL NORD

La Nord Corea vede nelle mosse dell'amministrazione Obama una conferma della propria pericolosità, di cui va orgogliosa. «Stiamo dimostrando agli americani che non siamo dei polli come l'Iraq e la Libia» scrive il «Rodong Sinmun», giornale del partito comunista.

COREA DEL NORD VS COREA DEL SUD

Finanziare l'ampliamento dei silos nonostante i pesanti tagli al bilancio della Difesa - 46 miliardi di dollari solo nell'anno corrente - obbliga Hagel a rivedere gli stanziamenti per lo scudo antimissile in Europa: le batterie di intercettori in Polonia e Romania verranno realizzate entro il 2018 ma senza l'aggiunta del vettore SM-3 II, come era stato invece programmato. Per illustrare il riassetto strategico, alcuni inviati del Pentagono sono in partenza per Mosca e Berlino al fine di condividere le valutazioni sul riarmo di Pyongyang.

Sebbene l'amministrazione Obama sottolinei che alla radice della decisione vi sono i recenti test nordcoreani, lo scudo che nascerà sul Pacifico appare destinato a mutare l'equilibrio strategico fra Washington e Pechino diventando una protezione di fatto anche dal rischio - al momento puramente teorico - di minacce balistiche da parte delle forze armate cinesi.

 

obama con netanyahu e abbas jpeg

RACIST INSTINCT! SHARON STONE RINVIATA A GIUDIZIO

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Francesco Tortora per "Corriere.it"

Nuovi guai giudiziari per Sharon Stone. Non bastava la denuncia presentata appena una settimana fa dall'ex colf Angelica Castillo che ha accusato l'attrice di Basic Instinct di averla costretta a lavori massacranti nonostante fosse reduce da un infortunio alla schiena e il medico le avesse ordinato di stare a riposo almeno 15 giorni. Venerdì scorso il Tribunale di Los Angeles ha dichiarato legittime le accuse «di discriminazioni razziali, molestie e di ingiusto licenziamento» presentate dalla sua ex collaboratrice domestica Erlinda Elemen e ha rinviato a giudizio la popolare attrice statunitense.

SHARON STONE TRASPARENTESHARON STONE

ACCUSE - Nonostante le proteste degli avvocati della Stone, il giudice Mary Strobel ha stabilito che le prove presentate lo scorso maggio dalla domestica sono sufficienti per sostenere le accuse e ha fissato al prossimo 30 luglio la data del processo. La Elemen era stata assunta dall'attrice nel 2006 e più tardi divenne la tata di Roan, Laird e Quinn, i tre figli adottati dalla Stone. Il rapporto tra la cinquantacinquenne e la sua dipendente si sarebbe incrinato nell'agosto del 2010 fino a deteriorarsi con il licenziamento avvenuto all'inizio del 2011. In questi mesi Sharon Stone non solo avrebbe più volte accusato la filippina di averla truffata perché - a suo dire - si sarebbe fatta pagare ore supplementari mentre era in viaggio con i bambini nei giorni di congedo, ma l'avrebbe anche insultata ripetutamente con epiteti razzisti. La Stone avrebbe preso di mira l'accento della donna e avrebbe chiesto alla dipendente di parlare il meno possibile con i figli perché temeva che questi prendessero la sua cadenza filippina.

SHARON STONE E MARTIN MICAsharon stone in atto di forza

COMMENTI - L'accusa - si legge nei documenti rilasciati dal Tribunale - ha dimostrato come più volte la Stone ha fatto commenti ingiuriosi sull'accento filippino della signora Elemen, sul cibo filippino e ha equiparato l'essere filippino con l'essere stupido. Inoltre l'attrice avrebbe offeso le credenze religiose della sua dipendente, negandole la possibilità di leggere la Bibbia in casa sua. Da parte loro i legali della Stone hanno tentato, invano, di far cadere le accuse sostenendo che i suoi commenti non potevano essere considerati molestie e hanno sostenuto che le denunce sono state presentate troppo tardi: «Tutto quello di cui è accusata la nostra assistita è che ha fatto commenti sul cibo e sull'accento filippino», taglia corto Daniel Gutenplan, uno dei legali dell'attrice. Di diverso parere Salomone Gresen avvocato dell'ex dipendente della Stone che si è dichiarato soddisfatto del rinvio a giudizio: «Siamo felici che il giudice abbia riconosciuto la legittimità delle nostre accuse e abbia deciso di procedere con il processo».

 

 

MONTI È PAZZO O C’È UN PAZZO IN GIRO CHE SI SPACCIA PER MONTI?

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MONTI

Fabio Martini per "La Stampa"

La solitudine del Professore si misura a vista d'occhio. Pochi minuti prima delle 17 Mario Monti entra nell'aula foderata di mogano e velluto cremisi di palazzo Madama, per partecipare alla votazione per l'elezione del presidente del Senato. Attorno a lui, che è pur sempre il Presidente del Consiglio dei ministri, si forma una cortina di silenzio. Monti si a va a sedere negli scranni dentro l'emiciclo quelli di solito occupati dai senatori a vita, e nessuno osa avvicinarsi, salutarlo, dirgli un parola.

MONTI - SCHIFANI - NAPOLITANO - FINI

Lui - mentre il presidente di turno Emilio Colombo prosegue la chiama - inizia a sfogliare una rassegna stampa e alza la testa soltanto una volta, quando sente le parole: «Si prepari Berlusconi». Ma Berlusconi non c'è, arriverà più tardi, con i suoi occhiali neri. Si racconta che col Cavaliere, Monti avesse parlato in precedenza al telefono, ma senza reciproca soddisfazione.

In aula a un certo a Monti si avvicina Mario Mauro, già vicepresidente del Parlamento europeo, uno dei personaggi di maggior spessore della sua truppa. I due parlottano, ma il presidente del Consiglio non sembra appassionarsi alla votazione in corso. Non si cura di dare uno sguardo ai suoi, neanche quando sono chiamati a votare, passando sotto la cabina-catafalco.

MARIO MONTI CON LATTRICE VALENTINA CORTESE jpegmonti berlu bersani voto

L'indicazione di voto data da Monti è stata scheda bianca e dunque, chi scruta i tempi di ingresso e di uscita dalle tendine della cabina, può capire se i singoli senatori siano stati ligi alle indicazioni dei partiti. E infatti i senatori Pd, Pdl e Lega, mediamente, restano dentro tra i 10 e i 13 secondi, quelli di Scelta civica e buona parte dei grillini si soffermano per 4-5 secondi.

E Monti? A passo lento entra nella cabina e ci resta 9-10 secondi. Poi, prima che sia reso noto l'esito della votazione, il premier lascia l'aula, ma nelle ultime 48 ore si era capito che a lui sarebbe piaciuto restarci a lungo a palazzo Madama: da presidente del Senato. Sin da lunedì - con una disponibilità che aveva spiazzato tutti, dal presidente della Repubblica ai leader di partito - Monti aveva fatto conoscere questa sua disponibilità a guidarla lui l'assemblea di palazzo Madama. Pronto a lasciare di punto in bianco palazzo Chigi.

MONTI E FASSINA DALLA ANNUNZIATA

Una "bulimia" che ha preso in contropiede. Anzitutto perché inattesa in un personaggio che ha sempre dimostrato di avere un profilo da civil servant, forte di due poco noti rifiuti di guidare un governo (1992, 1999). Inattese anche le motivazioni, che Monti ha confidato in un colloquio delle ultime ore con Pier Luigi Bersani: «Voi mi volete tenere inchiodato al mio ruolo di senatore a vita!».
Frase rivelatrice di uno stato animo e di una forma mentis.

Da alcune settimane Mario Monti si sente "ingabbiato" a palazzo Chigi, in qualche modo frustrato nelle sue potenzialità. E dunque fatica a capire come mai leader di partito e istituzionali non facciano il possibile per liberarne le "risorse". Una incomprensione certo non dissipata dal duro comunicato del Quirinale di ieri mattina: Monti resti al suo posto.

MARIO MONTI E LUCA DI MONTEZEMOLO jpeg

Frase rivelatrice, quella detta a Bersani, perché rivela una inquieta ambizione che nessuno era riuscito ad intuire. Neppure l'amico che otto mesi fa, parlando con Monti all'apice del suo successo e non immaginando la futura salita in politica gli aveva detto: «Una volta finita la legislatura, puoi tranquillamente aspettare la chiamata dall'Europa...». E Monti: «Nel frattempo che faccio?».

Nel frattempo, da fine dicembre fino a ieri. Monti si è messo a far politica. Cavalcando tigri di carta. La partecipazione alle elezioni. La decisione di due notti fa di rinunciare alla presidenza della Camera per uno dei suoi (Lorenzo Dellai), decisione che ha messo Scelta civica nel limbo e gli ha provocato critiche feroci da parte dei suoi.

MONTI STAMANE A NAPOLI

Gran parte dei quali ieri sera (a microfoni spenti) sottoscrivevano le parole di Giuliano Cazzola: «Sarebbe stato meglio che alle conclusioni del Capo dello Stato, Monti ci fosse arrivato da solo, evitando una brutta figura davanti al Paese. Quando si "sale in politica" non si può pensare soltanto a se stessi e alla propria carriera. Si deve mettere in conto anche la possibilità di dover aspettare un'altra occasione. Anche perché Monti si è assunto delle responsabilità nei confronti di coloro che lo hanno votato».

 


PASSERA TRAPASSATO! LA RESA DEL FU “SUPER-MINISTRO”

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Antonella Baccaro per "Il Corriere della Sera"

«Se ne occuperà il prossimo governo». Ormai anche il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, getta la spugna sul pagamento dei 70 miliardi di euro di crediti vantati dalle imprese fornitrici della pubblica amministrazione (senza dire che i debiti delle amministrazioni locali sono prossimi ai 140 miliardi).

CORRADO PASSERA E PIERFERDINANDO CASINI

Proprio il ministro che un anno fa, al convegno Ambrosetti di Cernobbio, di fronte al pressing della Confindustria e di artigiani e commercianti, annunciò un intervento risolutivo del governo Monti, quello che poi si tradusse nel meccanismo della certificazione dei crediti.

Al gennaio scorso il bilancio di quella operazione parla chiaro: 1.227 amministrazioni abilitate all'utilizzo della piattaforma di certificazione (oltre 900 sono Comuni del Centro Nord, solo 70 sono enti del servizio sanitario); 71 certificazioni rilasciate per circa 3 milioni di euro su 467 istanze presentate dalle imprese, per circa 45 milioni di euro. «Una goccia nel mare dei 70 miliardi» ammette lo stesso Passera.

PASSERA MUSSARI GRILLI o jpeg

Che però non ci sta a portare da solo la croce del fallimento dell'operazione, essendo stato peraltro a lungo sostenitore di un'altra modalità di pagamento dei debiti, quella attraverso l'emissione di titoli di Stato, bocciata dal ministero dell'Economia.

Ed è sempre il Mef, a ben guardare, che ha predisposto la parte più importante della macchina per la certificazione dei crediti: i decreti. «Saranno pronti entro pochi giorni» diceva il ministro Vittorio Grilli il 13 maggio scorso. Ma è il 2 luglio quando vengono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale numero 152.

Corrado e Giovanna Passera

Le norme illustrano le modalità di certificazione del credito da parte delle imprese e la compensazione dei crediti «certi, liquidi ed esigibili» con i debiti di natura fiscale iscritti a ruolo. Nel frattempo l'Abi (l'associazione delle banche) si è seduta a un tavolo con le imprese e le cooperative dando finalmente disponibilità a mettere a disposizione 10 miliardi di euro per consentire alle imprese di avere un anticipo immediato sui crediti.
Ma purtroppo non basta neanche questo a sbloccare la situazione: a ottobre scorso infatti mancava ancora il regolamento del Fondo di garanzia.

CLINI E PASSERA

Quanto alla piattaforma, che doveva essere predisposta dalla Consip, è il 20 ottobre quando viene resa disponibile per l'accreditamento delle pubbliche amministrazioni e il 28 novembre, quando le imprese possono fare altrettanto. E manca sempre l'interfaccia tra la piattaforma e le banche...

passera ogg GetContent

Intervistato dal Corriere domenica scorsa il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, ha lanciato accuse precise circa le lungaggini dell'operazione-certificazione dei crediti. «I ritardi della messa in opera del meccanismo hanno un nome e cognome - ha detto -: è la Consip che ha fornito solo adesso le modalità per la certificazione. Per non parlare delle banche che fanno molte difficoltà a anticipare il pagamento se il debito non è tracciabile».

passera ogg GetContent.asp

Ma l'Abi non ci sta e accusa la Consip di aver inviato solo il 20 febbraio al consorzio Cbi, che lavora per le banche all'interfaccia, «le informazioni essenziali» per portare a termine il necessario collegamento. La Consip respinge a sua volta l'addebito: «Non può esserci imputato alcun ritardo dal momento che il collegamento tra la piattaforma per la certificazione e il sistema Cbi è stato collaudato a partire dal 29 novembre, in base alla tempistica concordata con il ministero dell'Economia».

passera e punzo

Quanto al passaggio dalla fase di collaudo all'operatività della connessione piattaforma, «è avvenuto il 2 febbraio 2013, in quanto il certificato digitale di sicurezza necessario per il collegamento, richiesto da Consip il 23 novembre, è stato rilasciato dalla Cbi il 23 gennaio». Insomma per Consip è il consorzio che lavora per le banche che deve ancora chiudere il cerchio «portando a termine le azioni necessarie» per avviare la piattaforma. 
Nel frattempo è passato un anno, e quelle 71 aziende che a gennaio hanno ottenuto la certificazione dei crediti stanno ancora aspettando...

PASSERA

 

PRANDELLI D’ITALIA: “TOTTI? SE CONTINUA COSÌ, LO PORTO IN BRASILE”

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Da Repubblica.it

"Se Totti l'anno prossimo manterrà questa condizione, lo prenderemo in considerazione. Sembra un giovincello". Cesare Prandelli per la prima volta apre concretamente le porte ad una possibile convocazione ai Mondiali del Brasile per il capitano della Roma. Proprio ieri Totti ha superato Nordahl nella graduatoria dei marcatori di sempre in serie A, raggiungendo quota 226.

super totti foto mezzelani gmt

Prandelli ha anche analizzato il clima di tensione che si respira nel calcio italiano: "Lo sfogo di Conte? Questo clima non mi piace ma dobbiamo dare un contributo perchè possa migliorare, anche parlando. Conte ha ragione queste situazioni sono talmente esasperate e violente che possono dare fastidio e far pensare ad un allenatore di cambiare. All'estero rimarcano il fatto che questi aspetti non ci sono. La partita viene vissuta come evento sportivo e con forte emozione e finisce li. In Italia c'è molta violenza, esasperazione, provocazione. Il nostro compito è essere corretti e non accettare provocazioni sul terreno di gioco per 90 minuti", prosegue il ct azzurro. "Andare all'estero? Ragionando a mente fredda potrei dire che all'estero hai la possibilità di fare il tuo lavoro e non disperdere energie per queste cose".

Un esempio che deve arrivare dagli stessi protagonisti del calcio: "Noi siamo responsabili del nostro comportamento in campo, è determinante. Dobbiamo iniziare noi e avere un grandissimo rispetto nei confronti di tutti. Se ci sono provocazioni bisogna avere la forza di
reagire in maniera ferma. L'esultanza? Ognuno è libero di esprimere le proprie emozioni, ma c'è una linea sottile tra l'esultanza e il mancare di rispetto degli avversari". Sulla corsa scudetto: "I bianconeri correranno fino all'ultimo e non daranno vantaggi a nessuno, anche se onestamente hanno un vantaggio straordinario".

Parlando dei singoli, il ct ha avuto parole di elogio per Balotelli: "Ha grande motivazione, riesce ad essere più concentrato in partita. Abbiamo sempre detto che era un'opportunità straordinaria e la sta sfruttando bene. Mario - prosegue Prandelli - aveva bisogno di giocare con continuità, si sta allenando molto meglio, lavorando sui dettagli e su questo ruolo. Sa che nel Milan deve giocare in quella posizione". "Cassano? L'altra sera è stato straordinario", continua il commissario tecnico in riferimento al match disputato dall'attaccante dell'Inter contro il Tottenham. "Ma non devo fare appelli: prenderemo in considerazione tutti, non solo Antonio. Come è successo con Di Natale, nessuno pensava che agli Europei l'avrei convocato".

prandelli

Da Totti al campionato, ma Prandelli non perde certo di vista le due gare che aspettano gli azzurri, l'amichevole di lusso con il Brasile e le gara con Malta, valevole per le qualificazioni ai Mondiali: "L'idea è quella di giocarsi queste due partite come se entrambe valessero una qualificazione. Affrontare il Brasile è sempre una grande emozione, ma non vorrei che questa tensione ci facesse perdere di vista la gara contro Malta, che per noi è il match più importante". Sulla Nazionale fondata sui blocchi di giocatori di Juventus (8 elementi) e Milan (5). "Mi piace lavorare sui blocchi, perchè penso che lo spirito di squadra della Nazionale ne possa solo trarre beneficio".

 

CIAK! “IL GRANDE E POTENTE OZ” DOMINA SU RAUL BOVA

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1. "IL GRANDE E POTENTE OZ" DOMINA, RAUL BOVA SECONDO
Marco Giusti per Dagospia

IL GRANDE E POTENTE OZ

Era ovvio che tra il James Franco in 3D di "Il grande e potente Oz" di Sam Raimi e l'ultimo film con Raoul Bova, la commedia "Buongiorno papà" di Edoardo Leo, non ci fosse storia. Oz spacca tutto e domina la settimana cinematografica con 2 milioni e 110 mila euro, arrivando così a un totale di 5 milioni e 700mila in due settimane. Sarà il 3D, certo, ma sarà che è anche un ottimo film per famiglia e non la solita minestra riscaldata.

Onore delle armi a "Buongiorno papà" che è, più o meno, secondo con 1 milione e 50mila euro di incasso. Come riporta "Box Office Cup" supera di soli 8000 euro il notevole "Il lato positivo" di David O. Russell, forse la migliore commedia dell'anno che raggiunge un totale di 2 milioni e 700mila. Come risultato a copia, però, è molto più avanti "Il lato positivo", visto che ha 2.700 euro a copia e "Buongiorno papà" solo 2.500. Ma siamo lì.

IL GRANDE E POTENTE OZ

Ovvio che il pubblico italiano non resiste al richiamo del forte e potente Bova, che funziona anche in veste di puttaniere e neo-padre. Miracolo del cinema. Intanto in tv ripassavano il suo cultissimo "Francesco" in onore del nuovo papa. Il quadro è completo.

Quarto con 858mila euro la new entry "La frode", raffinato thriller sull'alta finanza di Nicholas Jarecki con Richard Gere e Laetitia Casta. Quinto "Educazione siberiana" con 531 mila euro, che arriva così a un totale di 3 milioni e 700 mila. Scivola al sesto posto il molto lanciato "Amiche da morire" di Giorgia Farina con 435mila euro, malgrado gli articoli positivi di tanti critici italiani, come Paolo Mereghetti e Roberto Escobar.

buongiorno papà - Film Raul Bova

"Il principe abusivo", dall'alto dei suoi 14 milioni totali di incasso, è settimo con 422mila euro, pronto a lasciare spazio a Claudio Bisio con "Benvenuto Presidente" questa settimana. Il bell'horror "Sinister" è solo ottavo con 301mila euro, ma un ottima media a copia, 2.100 euro, mentre il curioso thriller "Dead Man Down" con Colin Farrel e Noomi Rapace è un totale disastro anche in Italia, nono con 276mila euro.

In America, dove aveva esordito assieme a Oz è già scomparso dalla top ten. Va detto che Oz domina gli incassi di tutto il mondo con un risultato globale di 281 milioni di dollari, e di questi 145 in America e 42 solo questa settimana.

Spring Breakers

Peccato, davvero, per il mezzo disastro italiano di "Spring Breakers" di Harmony Korine, uno dei migliori film dell'anno, che uscirà questa settimana in America. Il film non è facile, non è un'avventura rosa di quattro ragazze pazzerelle, ma un'operazione decisamente più artistoide, ma aveva molte chance di successo anche da noi e un cast formidabile capitanato da James Franco e Selena Gomez. Niente da fare. Il nostro pubblico preferisce essere tranquillizzato da Oz e da Raoul Bova.


2. BOX OFFICE USA: LA CLASSIFICA DEI 10 FILM PIÙ VISTI NEL WEEKEND
Da www.movieplayer.it - Dopo l'eccellente week end d'esordio, Il grande e potente Oz tiene facilmente la vetta della classifica degli incassi USA anche al secondo fine settimana di programmazione. Debutta oltre le aspettative, al secondo posto, il thriller con Halle Berry The Call, mentre deve accontentarsi della terza piazza la commedia "magica" The Incredible Burt Wonderstone.


3. TOP 20 ITALIANA
Da Comingsoon.it, dati Cinetel

1 - IL GRANDE E POTENTE OZ
Distribuzione:
Walt Disney Pictures Inc. week-end: € 2.116.009
Inc. Totale € 5.701.372 2 settimane
589 schermi

2 - BUONGIORNO PAPÀ
Distribuzione:
Medusa Film Inc. week-end: € 1.059.740
Inc. Totale € 1.059.740 1 settimane
420 schermi

EDUCAZIONE SIBERIANA

3 - IL LATO POSITIVO - SILVER LININGS PLAYBOOK
Distribuzione:
Eagle Pictures Inc. week-end: € 1.051.238
Inc. Totale € 2.658.485 2 settimane
282 schermi

4 - LA FRODE
Distribuzione:
M2 Pictures Inc. week-end: € 858.370
Inc. Totale € 858.370 1 settimane
274 schermi

5 - EDUCAZIONE SIBERIANA
Distribuzione:
01 Distribution Inc. week-end: € 531.935
Inc. Totale € 3.668.082 3 settimane
281 schermi

6 - AMICHE DA MORIRE
Distribuzione:
01 Distribution Inc. week-end: € 435.063
Inc. Totale € 1.388.679 2 settimane
275 schermi

Un brindisi per Amiche da morire

7 - IL PRINCIPE ABUSIVO
Distribuzione:
01 Distribution Inc. week-end: € 422.791
Inc. Totale € 13.959.323 5 settimane
187 schermi
8 -
9 - SINISTER
Distribuzione:
Koch Media Inc. week-end: € 301.647
Inc. Totale € 301.647 1 settimane
142 schermi

10 - DEAD MAN DOWN - IL SAPORE DELLA VENDETTA
Distribuzione:
Lucky Red Inc. week-end: € 276.682
Inc. Totale € 276.682 1 settimane
212 schermi

il principe abusivo sarah felberbaum

11 - CI VUOLE UN GRAN FISICO
Distribuzione:
Medusa Film Inc. week-end: € 225.458
Inc. Totale € 889.611 2 settimane
191 schermi

12 - UPSIDE DOWN
Distribuzione:
Notorious Pictures Inc. week-end: € 208.915
Inc. Totale € 1.809.924 3 settimane
108 schermi

13 - SPRING BREAKERS
Distribuzione:
BIM distribuzione Inc. week-end: € 179.626
Inc. Totale € 833.425 2 settimane
127 schermi

alessandro siani e de sica il principe abusivo jpeg

14 - VIVA LA LIBERTÀ
Distribuzione:
01 Distribution Inc. week-end: € 162.497
Inc. Totale € 1.684.012 5 settimane
68 schermi

15 - ARGO
Distribuzione:
Warner Bros. Inc. week-end: € 118.280
Inc. Totale € 3.945.909 19 settimane
49 schermi

16 - LA CUOCA DEL PRESIDENTE
Distribuzione:
Lucky Red Inc. week-end: € 93.400
Inc. Totale € 311.893 2 settimane
55 schermi

jack the giant slayer IL CACCIATORE DI GIGANTI

17 - IL FIGLIO DELL'ALTRA
Distribuzione:
Teodora Film Inc. week-end: € 89.361
Inc. Totale € 94.104 1 settimane
30 schermi

18 - ANNA KARENINA
Distribuzione:
Universal Pictures Inc. week-end: € 85.414
Inc. Totale € 2.262.534 4 settimane
58 schermi

19 - LA SCELTA DI BARBARA
Distribuzione:
Warner Bros. Inc. week-end: € 85.352
Inc. Totale € 85.352 1 settimane
52 schermi

Halle Berry in The Call

20 - PINOCCHIO
Distribuzione:
Lucky Red Inc. week-end: € 74.679
Inc. Totale € 1.258.650 4 settimane
122 schermi

21 - NON APRITE QUELLA PORTA 3D
Distribuzione:
Moviemax Inc. week-end: € 36.288
Inc. Totale € 1.221.023 3 settimane
24 schermi

 

SEMPRE AMATO, MAI PRIMA SCELTA (IL TAPPABUCHI DELLA REPUBBLICA)

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Giancarlo Perna per "Il Giornale"

Se c'è una carica in scadenza, puntuale si affaccia la candidatura di Giuliano Amato a fare da tappabuchi. Amato non è mai considerato una prima scelta, ma una riserva per tempi bui. Questo perché ha le due caratteristiche di fondo dello sbrogliatore di matasse: è molto capace e, soprattutto, capace di tutto.

GIULIANO AMATO

Questa volta, per il Quirinale, si fa il suo nome da sinistra mentre nel 2006 - quando vinse Napolitano - era il pupillo della Cdl per un vago innamoramento del Cav che aveva sentenziato: «È il migliore di tutti». Prudente e insinuante, il Dottor Sottile sa entrare nelle grazie di coloro cui offre i suoi servigi, lesto però, al primo allarme, ad abbandonare la nave che affonda.

Memorabile, vent'anni fa, il voltafaccia con Bettino Craxi, di cui era la creatura, ma che rinnegò ai tempi della morsa giudiziaria con la frase più maramalda dell'epoca: «Non immaginavo tanto marciume», riferita alle malversazioni che il pool di Milano rinfacciava al Psi. In realtà, sapendo tutto del partito di cui era il factotum, quel finto cadere dal pero dette intera la misura del suo cinismo.

Superato solo dalla pavida indifferenza con cui assistette alla fuga in Tunisia del Cinghialone e alla lunga malattia, senza mai recarsi al capezzale ed evitando di partecipare al funerale. Il tutto, per un preciso calcolo: non pregiudicarsi l'avvenire con una compromettente visita al latitante. Una cautela che portò i suoi frutti.

Giuliano Amato

Appena quattro mesi dopo la morte di Bettino nel gennaio 2000, Giuliano tornò, infatti, con pifferi e tamburi alla guida di Palazzo Chigi. Era la sua seconda volta. Ma che differenza dalla prima! Nel 1992, era diventato premier come socialista - l'ideale degli anni giovanili - e per volontà di Craxi, il suo leader. Nel 2000, era invece sulle spoglie di Bettino che rientrava nel giro.

Tornava premier grazie alla presa di distanza da lui, alla protezione di D'Alema & Co, alla sostituzione della tessera Psi con quella degli ex comunisti. Il baratro politico che divide i due soggiorni a Palazzo Chigi riassume l'opportunismo di Amato e la sua capacità di essere uomo di opposte stagioni. A fissarne il giudizio per i posteri, due giorni prima di morire, fu lo stesso Bettino: «Alla fine, è quello che si è comportato peggio». E includeva nell'amaro confronto anche i propri aguzzini giudiziari.

Dopo essere stato molto in vista per oltre due decenni - da braccio destro di Craxi negli anni Ottanta, alla guida del Viminale dell'ultimo governo Prodi -, Giuliano è defilato dal 2008 quando proclamò di avere chiuso con la politica. Lì per lì, la promessa non fu creduta perché l'aveva fatta più volte, continuando imperterrito ad accumulare cariche.

GIULIANO AMATO

Effettivamente però, da ultimo, si è accontentato di quisquilie: la presidenza della Treccani, una consulenza Deutsche Bank e la guida della Commissione sul futuro di Roma che Gianni Alemanno gli ha offerto ma che ha presto abbandonato, offeso dal rifiuto del sindaco di definire il fascismo «male assoluto».

Anche in questo collaborare con un ex missino, mantenendosi però entro i confini del politicamente corretto di sinistra, c'è tutta la bramosia di Giuliano di ritagliarsi - ormai settantacinquenne - la silhouette neutrale di riserva della Repubblica, uomo di raccordo e conciliatore degli opposti. L'identikit ideale per il Colle.

Curiosamente, non avendo più ruoli precisi, l'attenzione verso Amato negli ultimi anni si è concentrata sulla sua sovrabbondante pensione. Giuliano gode infatti, come ex parlamentare (cinque legislature), di 9mila euro mensili, più altri 22mila per cumulo tra vitalizio di ex docente universitario e l'indennità di ex presidente dell'Antitrust. Un totale di 31mila euro lordi il mese (più di mille il giorno) che sono la gioia di tutti i lanciatori di strali sui privilegi della casta. Stufo di essere preso di mira da ogni sponda, Giuliano ha dichiarato di «non essere un topo nel formaggio e di fare beneficenza».

GIULIANO AMATO

Ha precisato di tenere per sé solo i 22mila euro - che netti sono la metà - e di versare gli altri 9mila ai bisognosi. Ciononostante, ogni due per tre, la questione riaffiora. Tanto che il Dottor Sottile ha preso carta e penna e in una lettera al Corsera ha difeso se stesso con un'oratoria da libro Cuore - a cavallo tra ideali socialisti e individualismo liberale - che a parere del sottoscritto è la cosa più onesta che sia uscita dal suo in genere contortissimo cervello. «Io - scrive - nella mia vita mi sono fatto largo con le mie qualità. Non avevo alle spalle una famiglia altolocata, mio nonno era muratore, mia madre aveva fatto le elementari, mio padre (esattore siciliano, ndr) era diplomato».

Spiega poi come sia emerso senza protezioni lavorando il doppio (se ad altri, sotto l'ala dei baroni, bastava un libro per salire in cattedra, a lui toccava scriverne due), fino a sfondare. E, giunto alla conclusione della sua arringa di uomo artefice di sé, pone un interrogativo: «Un curriculum così va additato ai giovani come esempio da non seguire o, invece, come un modello di mobilità sociale per chi non ha vantaggi di partenza?». Non fa una grinza.

amato e craxi

Ma non dice tutto. La capacità, infatti, non è il solo ingrediente dei successi giulianei. All'origine, ci sono il suo genio manovriero e i leggendari salti della quaglia. Il ruolo che Amato, tra gli altri, ha svolto nella strana carriera imprenditoriale di Carlo De Benedetti, illumina nuovi aspetti della sua personalità.

Negli anni '80, l'Ingegnere stava per acquisire dall'Iri di Romano Prodi il gruppo alimentare Sme per pochi spicci. Su incarico di Craxi, Amato silurò il progetto con un duro intervento parlamentare. Consumata però la rottura con Bettino, metà anni '90, si fece perdonare lo sgarbo favorendo sfacciatamente gli affari dell'editore di Repubblica, beniamino dei Ds. Erano i tempi delle privatizzazioni.

Le ferrovie di Lorenzo Necci, volendo fare cassa, avevano stipulato con la Telecom (allora pubblica) la cessione della rete telefonica ferroviaria per 1.100 miliardi sull'unghia. Amato, però, allora presidente dell'Antitrust, bloccò la vendita, con la scusa della posizione dominante di Telecom, e indicò in De Benedetti (già beneficato come secondo gestore dei telefonini da Ciampi nell'ultimo giorno del suo governo, prima dell'ingresso del Cav a Palazzo Chigi) l'acquirente perfetto.

berlusca

L'Ingegnere, esaltato dal favoritismo, fece un'offerta assai micragnosa: 750 miliardi (350 meno di Telecom), rateati in 14 anni. Un bidone che le Ferrovie (non Necci, già travolto innocente dalla giustizia all'italiana) trangugiarono, in ossequio al potente Amato e al famelico clientelismo che sperpera il bene comune. Ma vogliamo davvero, sfiancati come siamo dal debito di Stato, mandare al Quirinale chi ce lo ha inflitto?

 

IN FRANCIA LA LIBERTÉ È S-BOCCIATA! - IL GOVERNO DI HOLLANDE HA PROPOSTO CHE LA BOCCIATURA A SCUOLA DIVENTI L’ECCEZIONE

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Alberto Mattioli per "la Stampa"

Dal vietato vietare di sessantottina memoria al vietato bocciare. Gli obbiettivi della gauche diventano meno ambiziosi ma più realisti. Nella scuola francese, far ripetere l'anno diventa fuorilegge. O quasi: «Nel quadro dell'acquisizione di conoscenze, competenze e metodi prevista alla fine del ciclo e non più dell'anno scolastico, far ripetere un anno dev'essere eccezionale». Così recita l'articolo primo della «legge di rifondazione» della scuola, fiore all'occhiello del programma di François Hollande, attualmente in discussione all'Assemblée nationale.

HOLLANDE VERSIONE NAPOLEONE

Con un emendamento, i deputati socialisti sono andati anche più in là di quanto proposto dal loro governo, che si era limitato a scrivere che si deve «proseguire la riduzione progressiva» dei ripetenti. Invece adesso la bocciatura diventa l'eccezione che dovrebbe confermare la regola di una scuola migliore. Liberté, égalité, fraternité e promozione.

Il benefattore della peggio gioventù è il controverso responsabile dell'Educazione nazionale, il filosofo socialista Vincent Peillon, una specie di mina vagante nelle acque governative, un ministro iperattivo che una ne fa e cento ne propone, compresa quella di legalizzare le droghe leggere (si spera non in classe). Però la sua crociata contro le bocciature non è così eccentrica. Fra i Paesi dell'Ocse, la Francia detiene saldamente il record del «redoublement», la ripetizione dell'anno: tocca a più di uno studente su tre, quando la media nel resto del mondo è di meno di uno su sette.

HOLLANDE

Da tempo, gli esperti vanno ripetendo che la misura è, ai fini pedagogici, del tutto inutile. Di certo, è disastrosa per quelli economici: nel 2009, per esempio, ha rappresentato un aggravio di più di due miliardi di euro per le esauste casse pubbliche. E del resto la mitica «circolare della rentrée», cioè l'editto del ministero che indica obiettivi e modalità dell'anno scolastico che inizia, già nel 2010 spiegava ai professori recalcitranti che far ripetere l'anno «costituisce l'ultima risorsa». Ma i docenti francesi finora non se ne sono dati per inteso e proseguono le loro stragi di discenti.

Sulla scuola, Hollande si gioca molto. Quello dell'Educazione nazionale è uno dei tre ministeri (gli altri sono gli Interni e la Giustizia) dove lo Stato continuerà a investire. Delle 60 mila persone che assumerà nei prossimi cinque anni, 54 mila saranno nella scuola.

VINCENT PEILLON

Se finora tutte le riforme erano partite dal liceo per «scendere» verso le elementari, la filosofia di Peillon è opposta: gli sforzi e i mezzi saranno concentrati sulla «primaire», specie per gli alunni che per ragioni di estrazione sociale o provenienza territoriale sono svantaggiati. Secondo le statistiche, alla fine delle elementari è scolasticamente «fragile» un ragazzino su quattro e questo ritardo, nell'implacabile logica selettiva della scuola francese, in seguito non viene colmato quasi mai.

Certo, l'Educazione nazionale è un tale mastodonte (850 mila insegnanti, 12 milioni di studenti) che chi la tocca deve armarsi di pazienza e prudenza. Peillon ha già scatenato un putiferio proponendo di passare alle elementari dalla settimana di quattro giorni (ovviamente pieni) a quattro giorni e mezzo. E anche il dibattito sulla sua legge si sta svolgendo in un'atmosfera da per chi suona la campana, anzi la campanella. La destra giudica la riforma «ideologica» e «chiacchierona» e cerca di soffocarla sotto 1.400 emendamenti. La gauche più a gauche la trova non abbastanza audace e non la voterà. I Verdi avevano addirittura proposto di vietare i voti alle elementari, ma il loro emendamento è stato respinto. I voti restano, la bocciatura no.

 

BERGOGLIOSI E FIERI: RIECCO I CATTOLICI IN PISTA

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Paolo Rodari per "la Repubblica"

ANDREA RICCARDI E MARIO MONTI FOTO INFOPHOTO

E adesso una «nuova Camaldoli». I leader delle associazioni cattoliche e dei movimenti ecclesiali che nei mesi scorsi si sono radunati a Todi non hanno dubbi: occorre ricominciare da zero. L'appuntamento è per il prossimo autunno, ma più che la data e il luogo conta lo spirito.

È finita l'era dei cattolici sottomessi alla logica dei partiti, dalla Democrazia Cristiana alla destra di Berlusconi fino al centro di Monti. Inizia una cosa nuova, un movimento che dal basso - come fu tra il 18 luglio e il 23 luglio del ‘43 quando cinquanta esponenti cattolici stilarono a Camaldoli un documento programmatico che servì da linea guida poi decisiva per la costruzione dell'Italia - lavori alla ricomposizione del Paese.

Trascinati nei mesi scorsi dalla segreteria di Stato vaticana del cardinale Tarcisio Bertone, con tanto di endorsement in pagina dell'Osservatore Romano, dal leader di Sant'Egidio Andrea Riccardi e dall'oggi ex presidente delle Acli Andrea Olivero a un appoggio per il rassemblement di Centro di Mario Monti, sconfitti alle urne e senza più nemmeno l'ombrello di un partito piccolo, ma di dichiarata ispirazione cristiana, come l'Udc sotto cui eventualmente rifugiarsi, si leccano le ferite e si dicono decisi a «una nuova stagione» nella quale a decidere linee e strategie saranno i laici e non più le gerarchie: il tempo della Chiesa ingerente in politica attraverso le lobby sponsorizzate dalla Cei - Scienza & Vita, Forum Famiglie e Retinopera - sembra alle spalle.

MONTI RICCARDI MONTEZEMOLO

I cattolici parteciperanno ai raduni a titolo personale, non più dunque anzitutto in rappresentanza delle associazioni e dei movimenti di riferimento. Stileranno, con votazione finale, dei punti di lavoro non incentrati tanto sui valori cosiddetti «non negoziabili» ma su quelli «negoziabili».

Dice Carlo Costalli, leader del Forum delle associazioni che organizzò il raduno di Todi: «I valori non negoziabili hanno già luoghi d'eccellenza in cui sono difesi, i discorsi papali e i testi ufficiali anche della Cei. Noi discuteremo e voteremo una piattaforma sui temi "negoziabili", anzitutto i temi sociali, e chiederemo un confronto con tutte le forze politiche.

Il nostro scopo è di partecipare alla costruzione di un progetto per la rinascita morale, economica e sociale del paese insieme alle forze più moderate di Pd e Pdl».
Gli fa eco Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, già direttore dell'ufficio episcopale per i problemi sociali e del lavoro, autore di libri dedicati all'impegno dei cattolici in politica e fra gli estensori della bozza dell'enciclica di Ratzinger "Caritas in veritate": nei mesi scorsi «abbiamo assistito a una vasta gamma di comportamenti sorprendenti» fra i cattolici.

ANDREA OLIVERO ACLI

Fra questi «chi ha utilizzato l'appartenenza a movimenti ecclesiali per lanciarsi in politica dentro raggruppamenti che avrebbero portato avanti istanze contrarie all'ispirazione del movimento ecclesiale originario. Ne è conseguito un quadro disorientante e deludente». Per questo, dicono le associazioni, «serve un nuovo inizio».

Dall'alto si dice che Angelo Bagnasco, presidente della Cei, guardi «con favore» la nuova iniziativa, consapevole anch'egli che nulla sarà come prima. È soprattutto l'elezione di Papa Francesco a contribuire a un clima diverso. Oggi Bagnasco apre il consiglio permanente della Cei e per la prima volta dopo anni rinuncia a tenere una prolusione.

ANDREA OLIVERO ACLI

Certo, lo fa per rispetto al nuovo Papa che non ha ancora celebrato la messa d'inaugurazione del Pontificato e anche per il fatto che con lui ancora non ha potuto incontrarsi.

Eppure il silenzio dei vescovi in questa fase resta una coincidenza significativa. Francesco è portatore di un'idea nuova della presenza dei cattolici nella politica e nella società. In Sudamerica, come in Argentina, il Paese da cui proviene, i cattolici spingono dal basso sui temi sociali e contano perché sono popolo e non altro. Spingono sempre in opposizione al potere e alle classi dirigenti.

CARDINALE TARCISIO BERTONE

L'Italia dovrà adeguarsi in scia al Papa e a colui che verrà scelto come nuovo segretario di Stato. Ma già l'idea di una «nuova Camaldoli », in qualsiasi parte d'Italia avrà luogo, dice molto.

 

I “GRANDI” DEL MONDO A ROMA PER BERGOGLIO

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M.Antonietta Calabrò per "Il Corriere della Sera"

La fede e la piazza. Papa Francesco uscirà domani dalla Domus Sanctae Marthae sulla jeep bianca intorno alle 8.50 del mattino. La cerimonia per l'imposizione del pallio, la consegna dell'anello del Pescatore e la Messa per l'inizio del ministero petrino del nuovo vescovo di Roma, inizierà, così com'è previsto e annunciato, alle 9.30. Cosa farà intanto Francesco? La risposta è semplice e sorprendente, nonostante le sorprese cui già ci ha abituato.

PAPA BERGOGLIO

Ebbene, per un mezz'ora abbondante il Papa girerà sulla sua jeep tra la folla radunata sulla piazza. Nonostante le previsioni del tempo non siano buone. Andrà incontro al popolo, ancora una volta. E a lungo. Tanto più a lungo rispetto alle precedenti occasioni, tanto più importante è il momento che si appresta a vivere. Il sagrato della Basilica, la piazza abbracciata dal Colonnato e la via della Conciliazione saranno strapiene di oltre duecentomila persone.

Ma tutto intorno «siamo pronti ad accogliere un milione di persone», ha detto il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro. Centotrenta delegazioni ufficiali stanno arrivando da tutto il mondo. Questa volta la lingua più parlata sarà senza dubbio lo spagnolo. I presidenti dei Paesi Sud e Centro Americani stanno giungendo in massa.

Non solo il presidente argentino Cristina Fernandez de Kirchner, ma il presidente del Brasile Dilma Rousseff - alla guida del Paese con il maggior numero di cattolici - il presidente cileno Sebastian Pinera, quello del Paraguay Federico Franco e quello messicano Enrique Pena Nieto. A essi si aggiungeranno dalla Spagna il principe della Asturie Felipe, con la moglie Letizia e il premier Mariano Rajoy, dal Portogallo il presidente Aníbal António Cavaco Silva, dalla Germania la cancelliera Angela Merkel.

DIBATTITO BIDEN RYAN

Sarà il vicepresidente cattolico Joe Biden a rappresentare gli Stati Uniti, e porterà con sé il governatore del New Mexico, Susan Martinez, oltre a Nancy Pelosi (leader della minoranza democratica alla Camera). Martinez è considerata un astro nascente, ispanico, del Partito repubblicano. Farà parte della delegazione anche John J. DeGioia, presidente della Università di Georgetown di Washington, un'università dei gesuiti in cui si sono formati anche alcuni presidenti degli Stati Uniti.

La delegazione italiana sarà composta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (accompagnato dalla signora Clio), dal presidente del Consiglio Mario Monti (accompagnato dalla signora Elsa), dai nuovi presidenti delle Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini, e dal presidente della Corte costituzionale. Poi ministri, in tutto 16 persone. Sei gli appartenenti a famiglie regnanti o eredi al trono. E mai come questa volta, saranno presenti i rappresentati delle Chiese cristiane non cattoliche, a partire dal patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo.

ANGELA MERKEL E FRANCOIS HOLLANDE

Ben quattordici saranno le altre delegazioni ortodosse, a cominciare dal metropolita Hilarion del patriarcato di Mosca (e poi rappresentanti dei patriarcati di Alessandria, di Cipro, della Grecia, dell'Albania, dell'Ucraina). Foltissima la rappresentanza ebraica: a cominciare dal rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, dal presidente della Comunità di Roma, Riccardo Pacifici, e da Roberto Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Poi, Oded Wiener, direttore generale del Gran rabbinato di Israele, esponenti del World Jewish Congress, e dall'anti Defamation League.

Ma anche i musulmani, saranno numerosi. Dall'Argentina arriverà Mohamed Youssef Hajar, segretario generale dell'Islamic Organization of Latin America, in ottimi rapporti con papa Bergoglio. E dall'Italia il presidente della Comunità religiosa islamica, Coreis, l'imam Yahya Pallavicini.

Giorgio Napolitano

Le misure di sicurezza saranno importanti, con divieto di sorvolo su Roma, ma l'apparato di protezione si basa soprattutto su prevenzione e intelligence, limitando al massimo interventi «invasivi». Il modello è il piano sicurezza che è stato messo in atto per i funerali di Giovanni Paolo II. È solo una leggenda metropolitana che vengano schierati i cecchini sui tetti. «I cecchini non ci saranno domani ma non ci sono mai stati. Tutto quello che si affaccia sulla piazza San Pietro e su via della Conciliazione è nostro, del Vaticano. Figuriamoci se autorizziamo i cecchini», dicono Oltretevere.

 


IL CINEMA DEI GIUSTI - CHE SUCCEDE SE IN UN’IMPASSE DI GOVERNO GIUSEPPE GARIBALDI CONQUISTA LA MAGGIORANZA DEI VOTI?

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Benvenuto Presidente! di Riccardo Milani.

Marco Giusti per Dagospia

Non ci bastava "Habemus Papam" di Nanni Moretti, no? Dobbiamo proprio farci del male. Così dopo il Papa che non si sente all'altezza del mandato, arriva anche un Presidente che è proprio preso a caso dalla strada. Un'idea anche carina, se vogliamo, anche se non originalissima. Ma è perfetta per tempismo, visto che ci troviamo nella stessa identica situazione di impasse.

BENVENUTO PRESIDENTE DI RICCARDO MILANI LOCANDINA

Un Governo dove nessuno ha vinto e c'è un nuovo Presidente da eleggere, ma che non è facile trovare. Così qualcuno vota Totti o qualche altra facezia, fino a quando la maggioranza va a Giuseppe Garibaldi, l'Eroe dei Due Mondi. Solo che un Giuseppe Garibaldi in Italia esiste davvero, non ha un vero e proprio lavoro, e vive nelle montagne del cuneese pescando trote e bevendo tamarindo con gli amici.

Diciamo che la trovata di base di questo "Benvenuto Presidente!", diretto da un bravo professionista come Riccardo Milani, già aiuto di Moretti e Luchetti, diviso tra cinema ("Auguri professore", "Piano, solo") e tanta tv di successo ("Tutti pazzi per amore", "Volare"), è più che graziosa. Soggetto e sceneggiatura sono dell'attivissimo Fabio Bonifacci, già coeneggiatore di "Benvenuti al Nord", che negli ultimi mesi ha firmato già altre due commedie, "Il principe abusivo" di Alessandro Siani e "Amiche da morire" da Giorgio Farina, mentre la produzione è addirittura della prestigiosa Indigo Film di Nicola Giuliano e Francesca Cima che ci ha dato i film di Paolo Sorrentino e "La ragazza del lago", assieme a Rai Cinema.

Cast di tutto rispetto, dai protagonisti Claudio Bisio e Kasia Smutniak a fior di attori di serie A di cinema e tv come Beppe Fiorello, Massimo Popolizio, Cesare Bocci, Omero Antonutti, Piera Degli Esposti. Anche troppo, magari, visto che siamo di fronte a una commedia, anche se politica, e forse la commedia funziona meno bene con certi attori importanti. Ha bisogno di Bombolo e non di Piera Degli Esposti.

E così vedere Omero Antonutti, l'attore sacro dei Taviani, usato come l'Ivano Marescotti nei film di Checco Zalone ci stranisce un po', anche se un altro attore nobile e teatrale come Massimo Popolizio, invece, funziona benissimo come leader di partito romano e cafone alla Fiorito, ruolo che aveva già messo a punto con "Il Divo" di Sorrentino.

BENVENUTO PRESIDENTE DI RICCARDO MILANI

E comunque, certo, siamo contenti di vedere in un piccolo ruolo un grande del teatro napoletano (e del cinema trash: "Arrapaho") come Gigio Morra. Insomma. Siamo finiti dentro un'operazione curiosa e studiato molto a tavolino. Dopo il grande successo di "Benvenuti al Sud e al Nord" con Siani e Bisio, si è ben pensato di raddoppiare quei successi con un nuovo film per Siani e uno per Bisio, dove si recupera anche il "Benvenuti" del titolo.

Lo sceneggiatore, del resto, è lo stesso. Solo che mentre "Il principe abusivo" siamo in una favoletta leggera, con la principessa vera e il cafone napoletano che diventerà il suo sposo, che funziona proprio nella sua semplicità e trova, inoltre, in Christian De Sica una spalla potente per il protagonista, quando passiamo a "Benvenuto Presidente", troviamo che non solo ha pretese di favoletta politica con morale, situazioni più pesanti sull'Italia di oggi e un ovvio avvitamento di copione nel voler stare sull'attualità, ma non regge né la stessa trama romantica, con Bisio neo Presidente ingenuo e cafone in via di rieducazione che si innamora della serissima segretaria Kasia Smutniak, fredda e elegante ma troppo più giovane di lui, né trova una vera e propria spalla alla De Sica nei pur notevoli attori di supporto, da Antonutti a Remo Girone.

BENVENUTO PRESIDENTE DI RICCARDO MILANI

Non potendo giocare, quindi, come "Il principe abusivo", sulla stessa costruzione di racconto e di rapporti tra personaggi, si butta sulla satira politica. Pericolosa, come ha dimostrato il secondo dei "Cetto Laqualunque" o "Viva la libertà" e come dimostra la rapidità dei fatti rispetto a copioni scritti due o tre anni fa. Non a caso nulla si poteva prevedere dei grillini del loro sviluppo.

Se certe cose nel film sono giuste e riuscite, anche le più banali, come la battuta di Bisio "Voglio andare a letto con la coscienza pulita" e la risposta di Popolizio "Tranquilla... Coscienza... no, questa non la conosco", o la perfetta trovata iniziale del neo Presidente che decide di togliersi i troppi soldi che guadagna, 239.000 euro all'anno, altre, come l'entrata in scena dei Poteri Forti, un quartetto che vede assieme Gianni Rondolino, Lina Wertmuller, Pupi Avati e Steve Della Casa, o quella dell'agente deviato Gianni Cavina, che sogni gli anni '70 quando la gente si poteva liquidare con un caffettino, sono trovate che non dico due maestri come Age e Scarpelli, ma nemmeno Castellacci e Pingitore in "Attenti a quei P2", maledetto film su Licio Gelli e i suoi confratelli, avrebbero mai fatto.

BENVENUTO PRESIDENTE DI RICCARDO MILANI

O, meglio, avrebbero anche potuto farlo. Solo che, dentro un contesto comico e sgangherato tutto questo diventa buffo e accettabile. All'interno di un film di costruzione più realistica invece stride. Come stridono le scene di sesso fra Kasia Smutniak e Claudio Bisio. O tutta la complessa trama della costruzione degli scheletri nell'armadio del protagonista. O l'affogare tutta la storia con le paginate alla "Repubblica" che abbiamo sentito e risentito in questi ultimi anni.

Esattamente come nei due "Cetto Laqualunque", il film parte bene e si ferma poi nelle ovvietà da stampa democratica, ingarbugliandosi sulla storia, che non riesce a svilupparsi come dovrebbe né a divertirci e basta, come in film più lineare come "Il principe abusivo", e allora ogni passo falso si somma come pesantezza e finisce per non accettare più il film con quella leggerezza che ci saremmo aspettati.

BENVENUTO PRESIDENTE DI RICCARDO MILANI

E più che il film si arricchisce di attori noti e citazioni firmate, c'è pure Filippo Ceccarelli fra i ringraziamenti, più che fa l'occhiolino a un "Divo" in versione comica, più che sogniamo Pippo Franco e Bombolo pidduisti nelle satire ingenue di trent'anni fa. "Fanno cento milioni più Iva.... Sì... i vaffanculo!". Peccato. Peccato per Bisio, per Popolizio, per Beppe Fiorello che è bravissimo, per Kasia Smutniak che ci regala una versione alla chitarra da urlo di "Hasta Simpre" di Carlos Puebla... In sala dal 21 marzo.

 

BERSANI, IL BREVE: “GOVERNO ANCHE SOLO DI DUE ANNI”

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Maria Teresa Meli per "Il Corriere della Sera"

PRANZO RENZI BERSANI A ROMA

«Ragazzi, si può andare avanti: c'è la concreta possibilità di fare un governo». Pier Luigi Bersani è convinto che dall'altro ieri si sia aperto uno spiraglio e cerca di galvanizzare i suoi.

Con questa spiegazione: «Ieri tutti quelli che volevano il governissimo sono stati sconfitti: l'elezione di Grasso al Senato dimostra che non c'è una maggioranza alternativa alla nostra. Insomma, ora siamo più forti e legittimati per chiedere un mandato». Bersani è fiducioso: «Sono pochi quelli che vogliono veramente andare a votare. La Lega, per esempio, ha bisogno di tempo».

Già, il Carroccio. Raccontano che l'elezione di Laura Boldrini sia stata interpretata da Roberto Maroni come una chiusura. Ma così non è. Tant'è vero che Stefano Fassina, intervistato dall'Avvenire, dichiara: «La Lega sa che Bersani ha una cultura autonomista non improvvisata ed è un interlocutore affidabile, ci può essere attenzione reciproca».
Quindi c'è il capitolo Grillo.

Come spiega il segretario del Pd: «Lì dentro si è aperto un confronto politico e questo è un fatto positivo. La verità è che se si va sul loro terreno si aprono delle brecce. Perché ci saranno delle occasioni in cui dovranno decidere se stare con il centrosinistra o con Berlusconi».

BERSANI RENZI ballottaggio BIG

Infine, i montiani, perché servono anche loro per un futuribile governo. Bersani non nasconde «l'amarezza» per l'atteggiamento del premier, tant'è vero che l'altro ieri si è negato al telefono quando Monti lo cercava. Però da politico pragmatico sa che con il centro bisognerà comunque arrivare a un accordo se si vuole dare vita a un governo. Che, secondo Bersani, potrebbe durare non meno di due anni, due anni e mezzo, «nonostante la fragilità di questa legislatura».

BERSANI RENZI

Infatti nel programma su cui il leader del Pd intende far convergere anche le altre forze politiche sono previsti: il «superamento del finanziamento pubblico», compensato da «un sistema di piccole contribuzioni private assistite da parziali detrazioni fiscali»; il dimezzamento dei parlamentari (da 630 deputati a 300, da 315 senatori a 150); l'equiparazione dello stipendio dei parlamentari a quello di un sindaco di un capoluogo di provincia; l'istituzione di un tetto per i dirigenti pubblici.

Un governo che deve fare queste riforme ha bisogno di tempo, perciò, per dirla con Bersani, «una volta che è partito, poi è difficile staccargli la spina, perché chi si prende la responsabilità di affossare le riforme? Grillo?». Il quale Grillo, sia detto per inciso, continua a crescere nei sondaggi a disposizione del Partito democratico.

Giorgio Napolitano

Ormai ha oltrepassato quota 30 per cento. Certo, bisogna vedere se dopo le ultime mosse di Bersani (l'elezione di Laura Boldrini e Piero Grasso) e il confronto interno che si è avviato dentro il Movimento 5 stelle i nuovi sondaggi, tra qualche giorno, registreranno un'inversione di tendenza. Ma per ora la situazione è questa.

Perciò una parte non indifferente del Pd dubita che in caso di insuccesso di Bersani si vada a votare a giugno. Perché per il centrosinistra le elezioni anticipate possono rivelarsi un azzardo pericoloso. Quindi c'è chi - non Bersani - ipotizza un governo del Presidente presieduto da Grasso o un altro esponente estraneo ai partiti. Ma c'è pure chi - tra i bersaniani - in caso di fallimento punta alle elezioni con Renzi candidato. Il sindaco, invece, non ci pensa. Come ha spiegato ai suoi l'altro giorno: «Se si fa un governo che dura una legislatura per me è anche meglio. Mi ricandido a sindaco e ho il tempo di rafforzarmi nel partito e all'esterno».


2- TINAGLI, MOSCA E MARZANO: CARICA DI DONNE NEL TOTOMINISTRI E PER GOTOR L'IPOTESI ISTRUZIONE

Monica Guerzoni per "Il Corriere della Sera"

SILVIO BERLUSCONI

«Ho buttato via due ministri!». Nella battuta con cui Bersani commenta l'elezione di Boldrini e Grasso c'è in nuce la lista che spera di consegnare al Quirinale, se e quando sarà. Dopo aver portato «una boccata d'aria fresca» in Parlamento, il segretario del Pd progetta la stessa rivoluzione per Palazzo Chigi. Un «governo di cambiamento» dove al posto di D'Alema, Veltroni, Fioroni, Bindi, Vendola o Visco siedano talenti che poco o nulla hanno a che fare con la politica di professione.

«Gente nuova e di esperienza», è la formula magica che ronza nella testa di Bersani. I nomi? Lui non li fa, ma al Nazareno le voci si rincorrono. Il leader vuole «giovani sperimentati» e molte donne ed ecco che nel totoministre entrano Maria Chiara Carrozza, rettore del Sant'Anna di Pisa e la filosofa Michela Marzano, Paola Muti del Regina Elena e Irene Tinagli: l'onorevole economista montiana potrebbe tornare utile nella chiave della «corresponsabilità».

Berlusconi

Se mai toccherà a lui il segretario si muoverà con il «metodo Boldri- ni» cercando figure autorevoli come Stefano Rodotà, figure che possano incrinare la rigida obbedienza dei grillini. Intelligenze esterne alla logica partitocratica: da Gianpaolo Galli a Salvatore Settis.

Il socialista Riccardo Nencini ha in tasca una rosa di papabili: il campione delle nanotecnologie applicate alla medicina Mauro Ferrari per la Sanità e Alessandro Cecchi Paone per un futuribile ministero dei Diritti civili. E i «giovani turchi»? Matteo Orfini e Stefano Fassina, pur apprezzati da Bersani, pensano più alla segreteria che al governo.

E Andrea Orlando, il cui nome riecheggiava per la Giustizia, è in corsa per guidare il gruppo alla Camera: sfida ardua, perché la sua area ha giocato duro nella partita delle presidenze. Si dice che Bersani abbia proposto a Franceschini e Finocchiaro di re- stare ai loro posti almeno per un po', ma tra i giovani bersaniani c'è chi propone di spariglia- re lanciando due renziani: Richetti e Marcucci.

GRASSO E BOLDRINI

Per lo storico Gotor si parla dell'Istruzione, mentre il cammino verso Palazzo Chigi di Erra- ni e Migliavacca è tutto in salita: con Bersani vittorioso sarebbero entrati al governo da sotto- segretari alla presidenza del Consiglio, ma col nuovo schema anche «gli emiliani» rischiano di dover fare un passo indietro. Bersani è stato chiaro: «Io, Franceschini e Finocchiaro siamo di una generazione che è capace di non metter- si davanti al bene collettivo...».
La novità è che ora il leader include anche se stesso nel novero dei «rottamandi» e apre all'ipotesi di gazebo in estate: «Spero che non si vada a votare a giugno. Quanto alle primarie, siamo talmente collaudati che non vedo problemi». Gli elettori potrebbero trovare sulla scheda due nomi, Matteo Renzi e Fabrizio Barca, che è in corsa anche per i ministeri economici. Ma se gli elettori del centrosinistra fossero chiamati a scegliere il candidato premier anche Laura Boldrini potreb- be essere un bel nome.


Per gli Interni si è vociferato di Emanuele Fiano e per il Lavoro di Guglielmo Epifani, ma chissà: forse anche l'ex leader della Cigl appartiene ormai ad un'altra era... E se pure Enrico Letta dovesse fare le spese del nuovo che avanza, il vicesegretario ha due discepoli che godo- no della stima di Bersani, Francesco Boccia e Alessia Mosca.

 

BEPPUZZO CORRE AI RIPARI CON MARTINELLI E MESSORA

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(ASCA) - Daniele Martinelli e Claudio Messora sono da oggi i due coordinatori dei due gruppi di comunicazione per la Camera e il Senato del M5S. Lo ha reso noto Beppe Grillo su Twitter.

Beppe Grillo

MESSORA IERI SU FB
Quello che è successo ieri al Senato è grave. Alcuni senatori del Movimento Cinque Stelle non hanno ottemperato al loro obbligo di votare in base alle decisioni assunte della maggioranza. Tuttavia, i risultati raggiunti dal Movimento Cinque Stelle, con l'elezione a presidenti di Camera e Senato di due figure totalmente estranee sia al PD che al PDL, sono tangibili.

DANIELE MARTINELLI

In ogni caso, Errare Humanum Est. Ora bisogna individuare un meccanismo, un cuscinetto di interposizione tra gli eletti, gli elettori e il capo politico perché questi ragazzi non siano lasciati soli, allo sbando di fronte alla loro ancora acerba maturità politica

 

DIPLOMAZIA ALLA LEWINSKI: “VOGLIO FARTI UN POMPINO”!

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Stefania Maurizi per "L'Espresso"

«Questa notte, quando farò l'amore con mia moglie, penserò a te». «Bastardo!». «Vuoi fumare?». «Voglio far uscire fuori qualcos'altro da te». Questo scambio di frasi bollenti non è una scena di un film hard. Ma è uno stralcio di una trattativa diplomatica tra un leader croato e Barbara Contini, professionista italiana nota per la sua esperienza in aree di crisi: dai Balcani all'Iraq.

contini

Cinquantadue anni, sei master e sei lingue, Contini è stata eletta senatrice nelle liste del Pdl nel 2008. Oggi, però, si è ricollocata e nelle ultime elezioni era candidata alle regionali in Lombardia per il 'Centro Democratico' di Bruno Tabacci, che correva con il centro sinistra, ma non è stata eletta.

Tutti la ricordano per il suo incarico in Iraq, nel 2003, subito dopo la guerra di Bush, quando fu nominata responsabile della ricostruzione a Bassora e poi amministratrice della provincia di Dhi Qar, che includeva la città di Nassiriya, dove erano stanziate le truppe italiane.

contini finiana

Prima, però, Contini era stata in Bosnia per l'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Ed è lì che avrebbe condotto quella bizzarra negoziazione con un ras locale tra fiumi di whiskey e dialoghi hot. A rivelarlo a "l'Espresso" è Victoria Fontan, diplomatico che oggi insegna alla 'University for Peace' delle Nazioni Unite in Costa Rica, ma che all'epoca dei fatti era un funzionario Osce alla sua prima missione sul campo e, come ha raccontato nel suo libro fresco di pubblicazione ('Decolonising Peace', Dignity Press), assistette con sconcerto a quella trattativa, che non ha più dimenticato.

Diplomazia Hot. E' il settembre del 2001, sono passati 6 anni dagli accordi di pace di Dayton, che hanno posto fine alla guerra in Bosnia. Ma a Drvar, cittadina nel nord ovest della Bosnia, gli effetti della pulizia etnica sono ancora drammatici: costretti ad abbandonare le loro case occupate dai croati, i serbi sono ridotti a vivere in rifugi di fortuna, senza accesso a servizi, scuole, ospedali e in un clima di intimidazione che rischia di trasformare ogni giorno la cittadina in una polveriera. Né l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa sa come riportarli nelle loro case e tornare alla normalità.

barbara contini

A guidare il centro regionale dell'Osce di Mostar è Barbara Contini, che di fronte alla determinazione di alcuni suoi funzionari determinati a uscire dall'impasse, decide di voler incontrare il leader croato che di fatto controlla la città di Drvar, Drago Tokmadjia, nel tentativo di mediare. Ad assistere Contini nella trattativa, racconta Victoria Fontan a l'Espresso, è lei e un altro funzionario Osce, che oggi occupa una posizione di rilievo nell'Unione Europea, ma che all'epoca era come lei alle prime armi.

L'incontro non si svolge nelle stanze ovattate della diplomazia, quanto piuttosto in un locale molto in vista: il Rimini, una sorta di pubblica piazza della cittadina. «Credo che fosse voluto», spiega Fontan a l'Espresso, «fissare l'incontro in quel posto per lei era un modo di far sapere a tutti che avevamo il consenso del politico locale più estremo e che quindi a quel punto potevamo fare il nostro lavoro».

Ma «appena Tokmadjia e Contini si incontrarono, il meeting scivolò rapidamente su un piano sessuale», continua, «era chiarissimo che stava cercando di negoziare in un modo che lei pensava fosse attraente per lui». Poi il whiskey prese a scorrere e «alla fine, uno ha cominciato a rivolgersi all'altro in modo sessualmente esplicito».

barbara contini candidata del centro democratico

Ma com'è possibile che un incontro ufficiale possa finire subito su un piano di massima confidenza? Si conoscevano già?, chiediamo. «A quanto pare no», replica Victoria Fontan, che ricorda come lei e il collega stilarono un rapporto su quella strana negoziazione. Lo scambio di battute riportate nel documento - e che nell'intervista con l'Espresso Fontan conferma- è esplicito:

BARBARA CONTINI

«Questa notte, quando farò l'amore con mia moglie, penserò a te», dice Tokmadjia. «Bastardo», replica Contini gettando sul tavolo un pacchetto di sigarette. E lui: «vuoi fumare?». «Voglio far uscire fuori qualcos'altro da te», ( "I want to smoke something else out of you" ) dice, passando a parlare del caso Monica Lewinski «e ridendo in modo volgare e allusivo».

Fontan ricorda anche che Contini disse: «voglio farti un p...», una frase che, a differenza del collega, lei riportò nel suo report. E, a distanza di undici anni, non dimentica lo sbigottimento di allora: «Non avevamo idea di quello che stava accadendo. Lei [Contini] continuava a dirci: 'vi sto preparando un grande terreno su cui potete lavorare'. E così noi pensavamo che avesse una strategia. Era il nostro primo lavoro, una parte di me era veramente innocente e pensavo: forse sta facendo la cosa giusta, ma più avanti ci siamo resi conto che le cose non andavano bene e che quello che stava accadendo era assolutamente inaccettabile».

Il trofeo. I due giovani funzionari Osce non rimasero fino alla fine della trattativa: dovettero assentarsi per accompagnare un collega in ospedale. Al ritorno, però, vennero a sapere che nel corso dell'incontro, Barbara Contini era finita sulle ginocchia del leader croato, Tokmadjia, a cui imboccava delle fette di salame piccante, successivamente l'incontro si era spostato al Bastasi hotel.

BARBARA CONTINI

«Si trattava di un albergo in un villaggio vicino, l'unico della zona e rimasero soli per un po'», racconta Fontan, aggiungendo che «il giorno dopo Tokmadjia andava in giro per la città vantandosi di un souvenir: i suoi indumenti intimi». Lei pensò che si trattasse di un pettegolezzo, «quando il giorno dopo andammo in ufficio, il nostro staff ci disse quello di cui parlava l'intera città, ovvero che Tokmadjia aveva un trofeo e che di fatto da quel momento in poi la nostra posizione era completamente compromessa e che noi ci eravamo schierati con una delle due parti in conflitto».

Victoria Fontan era giovane e idealista: pensava che, denunciando l'accaduto, l'organizzazione avrebbe fatto chiarezza. E invece i due rapporti scritti da lei e dal collega furono probabilmente insabbiati: «ci fu detto che era un caso estremamente delicato, da gestire nella massima confidenzialità. E noi ci credemmo», racconta, «perché non conoscevamo l'organizzazione, eravamo dei principianti».

Comunque l'Osce inviò un investigatore di nome Michael Ilaria, annunciato dalla Contini al suo collega come "un buon amico", secondo quanto scrisse allora nel report la Fontan, che oggi spiega: «volevano sapere se [Contini] era andata o meno a letto con Tokmadjia, non erano interessati ad altro, per via del possibile scandalo». Ricorda anche di essersi sentita intimidita quando Ilaria le disse: «tutti sappiamo com'è Barbara» e quando ribadì gli stretti rapporti della Contini con il governo Berlusconi.

Ma se l'Osce secondo Fontan insabbiò, la forza multinazionale della Nato dispiegata in Bosnia si mosse, perché preoccupata che l'episodio potesse riaccendere le violente tensioni etniche che scuotevano Drvar. «Il capo della Nato a Sarajevo protestò ufficialmente con il capo dell'Osce», ricorda, «a quel punto doveva succedere per forza qualcosa», e Contini «fu messa in condizione di dare le dimissioni: era dicembre 2001 o gennaio 2002». L'anno dopo, Barbara Contini era di nuovo in pista: nell'inferno dell'Iraq.

fer11 barbara contini tiziana ferrario

Raggiunta al telefono da l'Espresso, Contini nega di conoscere e di ricordare Victoria Fontan: «Mi viene da preoccuparmi di qualcuno che immagina queste cose. Non so cosa potrebbe esserci dietro», dichiara: «E' sicura che sono io?», chiede, argomentando che l'episodio del salame piccante è «probabilmente un'invenzione totale», perché in quell'area geografica non si mangia affatto. Nel ribadire la sua totale estraneità ai fatti, parla di un attacco nei suoi confronti e ricorda «le difficili condizioni in cui mi sono trovata ad operare».

Si dice soddisfatta di ciò che ha fatto per le genti della Bosnia, «cui sono grata per la loro semplice riconoscenza». E a dimostrazione del buon lavoro svolto ci invia la lettera di elogio che ricevette dal suo capo del personale Osce al termine del mandato. Messa di fronte a queste dichiarazioni della Contini, Victoria Fontan ha ribadito a l'Espresso la sua versione dei fatti, già denunciata nel rapporto dell'epoca.

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BIDOGNETTI TIRA IN BALLO LA MUSSOLINI E BASSOLINO

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1-BIDOGNETTI: COSÌ I CLAN APPOGGIARONO MUSSOLINI E BASSOLINO ALLE ELEZIONI DEL '93
Da Corrieredelmezzogiorno.it

«Agli inizi degli anni '90, non ricordo bene la data, i Casalesi si rivolsero al clan Lago di Pianura per appoggiare alle elezioni la Mussolini e ciò per fare un dispetto al clan Moccia di Afragola che sosteneva Bassolino». Lo ha dichiarato il pentito Domenico Bidognetti all'udienza del processo Cosentino in corso di svolgimento al tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

ALESSANDRA MUSSOLINI ASPETTA SILVIO

RACCONTO
Il riferimento del pentito è alle elezioni comunali di Napoli, consultazioni svoltesi al primo turno il 21 novembre '93 e per il ballottaggio il successivo 5 dicembre. Al termine di quest'ultimo turno Antonio Bassolino divenne sindaco di Napoli sconfiggendo proprio Alessandra Mussolini.

Si tratta di un racconto, quello del pentito, tutto da verificare: su nessuno dei due sfidanti nelle elezione del 1993 si è mai parlato con evidenza di un intervento della malavita organizzata. Anzi si sostenne che sia Bassolino sia Mussolini fossero candidature «contro» il sistema criminale.

2-BASSOLINO: "SPERO CHE COSENTINO TORNI PRESTO LIBERO"

Marco Demarco per il Corriere del Mezzogiorno - 16 marzo 2013
Cosentino è stato per anni l'avversario diretto di Bassolino, l'uomo che più ne ha minato il sistema di potere con il dichiarato obiettivo di scalzarlo e di sostituirsi a lui al governo della Regione.

ALESSANDRA MUSSOLINI

Cosa pensa l'ex governatore dell'arresto del suo antagonista?
«Sono a Londra, in giro per la città e lontano dalle vicende locali e tuttavia ci tengo a dire la mia».

Prego.
«Io penso che un processo è già in corso e che Cosentino non è più parlamentare».

Dunque?
«Dunque, nel rispetto della magistratura, delle sue funzioni, delle diverse sedi in cui essa si esplicita e della sua autonomia, il mio augurio forte e sincero è che nei prossimi giorni il Tribunale del Riesame possa accogliere la richiesta avanzata dagli avvocati di Cosentino di revoca della custodia cautelare. Così che lo stesso Cosentino possa continuare stare nel processo senza dover essere privato della libertà».

E il suo parere sull'istituto della custodia cautelare?
«Nel caso specifico mi sono già espresso; nel caso generale penso che la custodia cautelare possa e debba esserci solo quando ce n'è davvero bisogno, cioè solo in caso in assoluta necessità».

Quando lei era governatore, Cosentino guidava l'opposizione. Che tipo di avversario è stato?
«Per un curioso caso della vita non mi è mai capitato di incontrarmi con lui, né in pubblico né in privato».

Mai?
«Ora che ci penso, neanche per dirci buongiorno o buonasera. Mai, neanche, chessò, in prefettura per una riunione o su un palco nel corso di una cerimonia pubblica».

E sul fronte politico?
«Be', ricordo che durante la crisi dei rifiuti del 2008 e anche negli anni successivi, mentre io continuavo a collaborare con i governi nazionali anche di centrodestra, e dunque con Berlusconi, lui, invece, in tante occasioni non mi ha mai risparmiato attacchi anche molto duri. Mi è rimasto impresso un manifesto affisso nel 2010, alla vigilia delle elezioni regionali: c'era il mio nome e sullo sfondo un cumulo di rifiuti.

ANTONIO BASSOLINO FEDERICO GEREMICCA

Detto tutto questo, però, c'è un problema di civiltà giuridica che ci riguarda tutti e io mi auguro che non si scenda mai sotto un certo livello di civiltà per opportunismo politico per interessi di parte. Da qui l'augurio, ripeto: forte e sincero, di un ritorno alla libertà di Cosentino per effetto di un'autonoma decisione della stessa magistratura».

 

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