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SCOLA SCONFITTO E FORMINCHIONI GODE (‘’MENO STRONZATE”)

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Emilio Randacio per "La Repubblica"

L'inchiesta giudiziaria, gli imbarazzi per le prime foto in vacanza in località da sogno. Le allusioni sulle amicizie e i favori dei faccendieri Simone e Daccò. Per difendere la propria immagine, Roberto Formigoni pretende la mobilitazione dei vertici di Comunione e liberazione. È lo spaccato che emerge dalle intercettazioni telefoniche disposte, nell'aprile scorso, dalla procura di Milano sull'ex governatore della Lombardia: chiamate a raccolta, consultazioni convulse, campagne stampa orchestrate a tavolino, interventi ad hoc per far tacere chi, come l'ex moglie di Antonio Simone, Carla Vites, ha accusato Formigoni di ipocrisia.

FORMIGONI SCOLA

«SCOLA DUBITA DI ME»
Per capire meglio la cronistoria di questo affaire, bisogna partire dal 13 aprile scorso. Due mesi prima della formale iscrizione di Formigoni tra gli indagati di corruzione per lo scandalo Maugeri, a Milano finisce in manette Antonio Simone. Insieme a Pierangelo Daccò è considerato dalla procura il faccendiere che intermedia tangenti o «utilità» (70 milioni di euro in tutto) da girare in parte al governatore. L'impero formigoniano sembra vacillare anche sotto i colpi di critiche di alleati, compagni del movimento e uomini a lui tradizionalmente vicini.

SCOLA E FORMIGONIformigoni_e antonio simone

Emblematica la telefonata del 29 aprile con la sorella. Il governatore è in vacanza in Sardegna. E si sfoga. «La sorella - scrivono nel brogliaccio gli uomini della sezione di Pg della procura di Milano - commenta la durezza delle vicende di questi giorni sui giornali. Formigoni dice "magari a cercare degli amici cardinali che non dicano troppe str.... "». Il riferimento è diretto all'arcivescovo Angelo Scola. Due giorni prima, il porporato durante un convegno, incalzato sugli scandali scoppiati in Regione aveva detto: «Formigoni un buon cristiano? Chiedetelo a lui». Per tutti una presa di distanze che, al telefono, il governatore non perdona. «Formigoni si lamenta che il cardinale ha pensato solo a se stesso. Formigoni dice che lui gli amici li ha sempre difesi e cita la difesa fatta di Antonio Simone... Formigoni dice di essersela presa perché Scola ha dato il segnale di avere qualche dubbio su di lui. Poi i due si lamentano del fatto che il cardinale in pubblico prenda le distanze da Cl. Formigoni continua a lamentarsi che altri amici non lo hanno difeso».

«LA VITES DA ABBATTERE»
Con una lettera al Corriere della Sera, il 19 aprile l'ex moglie di Antonio Simone, Carla Vites, si scaglia contro il governatore, raccontando cene lussuose e vacanze esotiche e accusandolo di rinnegare l'amicizia e la lunga frequentazione con la sua famiglia. L'attacco dall'interno di Cl sconcerta Formigoni. Parlando il giorno successivo con una donna, il governatore viene rassicurato che «un amico le ha consigliato (alla Vites, ndr) di andare via per un po', pare che accetti». Ma quando poco dopo si sparge la notizia che la consorte di Simone, in realtà, sarà ospite de l'Infedele di Gad Lerner, ai piani alti del Pirellone scatta il panico. Il 22 aprile, «Formigoni chiede a Piero se lui è amico di Carla, perché ha sentito che è stata invitata da Lerner». La polizia giudiziaria annota che Piero conferma e «Formigoni dice di verificare in incognito e di fargli sapere».

 

formigoni scola

Si mobilita anche il direttore di Tempi, Luigi Amicone, che alle 15 e 55 contatta Formigoni e gli conferma l'intervista, ma aggiunge di «non sapere cosa ha detto. Dice che l'ha accompagnata Perrone ma non ha presenziato ed è riuscito a convincerla a non andare in studio, ma a fare solo una registrazione». Quando tre ore dopo Formigoni viene messo al corrente del contenuto delle dichiarazioni della signora Vites, è furibondo, e chiama una donna, Anna Maria M., probabilmente anche lei di Cl, e sbotta. «La tua amica pazza impazza - esordisce Formigoni - si è fatta intervistare da Lerner... voleva andare là, qualcuno in extremis è riuscito a convincerla a non andare, a farsi intervistare». Avuta l'informazione, l'interlocutrice risponde sconsolata: «Oh, signur». E allora Formigoni è categorico: «Comunque quella lì o la si ferma o la si abbatte, non è che ci siano alternative, eh?».

CARLA VITES MOGLIE DI ANTONIO SIMONE EX ASSESSORE ALLA SANITA' LOMBARDA

LO SCUDO DI CL
I vertici di Comunione e liberazione, dopo un incontro di preghiera a Rimini, studiano una controffensiva. Il 21 aprile Formigoni «chiede il numero di una giornalista dell'Ansa in modo che possa farla chiamare da qualcuno». La strategia è ben orchestrata. Formigoni per primo contatta Alberto Garocchio, ex consigliere comunale del Pdl, uomo da sempre di Cl. Il governatore «chiede di rilasciare dichiarazioni all'Ansa». Ma Formigoni va oltre, sembra voler dettare l'intervento. «Avverte che hanno affidato a questa dell'Ansa il compito di riportare notizie relative alle reazioni all'interno di Cl e suggerisce di dire che è stato politico e di essere stato uno dei primi allievi di Giussani».

Non basta. Perché il messaggio sia ancora più chiaro, il governatore «dà delle direttive sugli argomenti da trattare: marginalmente Vites, il sostegno di Cl a Formigoni». Pochi minuti dopo la giornalista viene contattata puntualmente da Garocchio. E la stessa cosa succederà per Giancarlo Cesana, altro storico fondatore di Cl. Sul sito di Tempi, ancora oggi spicca proprio il suo intervento: «Cl non è una lobby, contro Formigoni un processo mediatico».

LUIGI AMICONE jpeg

CERCA L'APPOGGIO DI CARRON
Formigoni per essere sicuro, contatta anche il leader di Comunione e Liberazione, Juan Carron, che già aveva incontrato a Rimini, durante gli esercizi spirituali. Amicone, l'uomo più vicino al governatore, il 21 aprile a mezzogiorno chiede all'amico se «ha sentito stamane Carron». E il direttore di Tempi gli consiglia una nuova mossa per compattare intorno alla sua figura il livello più alto di Cl. «Allora Formigoni prende per la seconda volta penna in mano e fa parlare Carron attraverso gli appunti personalmente presi».

Il 22 aprile, Formigoni vuole ringraziare il numero uno di Cl di persona, e a un interlocutore spiega «di avere un vecchio numero. L'interlocutore dice di mandare un messaggio a lui che glielo gira». «Caro Julian, voglio ringraziarti per gli esercizi e per tutto il tuo lavoro». Formigoni è soddisfatto delle risposte ricevute. «Sappi - continua - che in questi tre giorni tantissimi dei nostri sono venuti a salutarmi, abbracciarmi, incoraggiarmi: gente qualunque, preti, conosciuti e no. Era quello che mi aspettavo. Ma averlo vissuto è stato travolgente». E la chiosa finale: «Lode al Signore».

 


SCHERZI DA PRETE: LA BALLA DI VIGANO’ A RATZINGER

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M.Antonietta Calabrò per "Corriere della Sera"

MONSIGNOR VIGANO

Un gesuita biblista aiuterà Papa Francesco, il primo papa gesuita, a dipanare la matassa di Vatileaks. Si tratta di Lorenzo Viganò, fratello maggiore (di due anni) del più noto monsignor Carlo Maria Viganò, attuale nunzio a Washington, ex numero due del Governatorato, le cui lettere di protesta a Benedetto XVI finite sui media hanno dato la stura al caso del Corvo. E che hanno fatto di Carlo Maria un eroe della trasparenza.

Dietro le quinte dello scandalo che ha flagellato il Vaticano per oltre un anno c'è infatti anche una storia di famiglia e di tre preti. Lorenzo, appunto, uno studioso di scienze bibliche (ha insegnato all'Istitutum Biblicum Franciscanum di Gerusalemme la lingua dell'antica città siriana di Ugarit, e, successivamente, l'ugaritico e l'eblaita all'Istituto Biblico di Roma, poi è stato ricercatore all'Oriental Institute dell'Università di Chicago, fino al 2008).

bertone vigano resizer jsp jpeg

Il vescovo è Carlo Maria Viganò. E il nipote di entrambi i Viganò, Carlo Maria Polvani, monsignore di Curia, è responsabile dei media della Segreteria di Stato, citato come testimone dal Tribunale vaticano nel processo al Corvo, in relazione all'imputato, giudicato per favoreggiamento, Claudio Sciarpelletti, di cui monsignor Polvani è capoufficio. Questa storia è affiorata nei giorni di preconclave, in quanto dimostrerebbe che la Curia romana è stata essa stessa vittima di intrighi.

Essa costituisce inoltre - così si dice - oggetto di una parte della «Relatio» dei tre Cardinali inquirenti sul caso Vatileaks, Herranz, Tomko e De Giorgi, il cui documento finale è stato sigillato da Papa Ratzinger e sarà consegnato al suo successore, Papa Bergoglio.

CARLO MARIA VIGANO

È una storia di soldi, di molti soldi, svariati milioni di euro (c'è chi parla di almeno un paio di decine, con molta liquidità in Svizzera). Soldi ereditati dai fratelli Viganò (con Lorenzo e Carlo Maria, Giovanna e altri tre fratelli viventi e gli eredi di un quarto) e gestiti sempre «pro indiviso» dal vescovo Carlo Maria.

«Mio fratello voleva indurmi a fare testamento a favore di mio nipote monsignor Polvani», dice Lorenzo, anche «se altre volte voleva intestare tutto ad una società perché, sosteneva, "se divento cardinale non sta bene che si sappia che abbiamo tutti questi soldi"». Affari di famiglia, si dirà.
Se non fosse che Lorenzo Viganò è stato tirato in ballo direttamente dal fratello vescovo nella lettera in cui il presule chiedeva al Papa di rimanere in Vaticano, proseguendo il suo cursus honorum che lo avrebbe visto diventare presidente del Governatorato e per ciò stesso cardinale.

Una lettera di protesta per il trasferimento a Washington che invece era stato deciso nei suoi confronti dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, dal momento che l'esito di un'indagine interna al Vaticano aveva dimostrato che le accuse di diffusa corruzione presentate da Carlo Maria si erano dimostrate senza solido fondamento. Viganò per resistere al trasferimento, si appellò direttamente al Papa e addusse come impedimento la necessaria, doverosa e diretta assistenza in cui era impegnato nei confronti del suo fratello gravemente infermo e praticamente incapace di intendere e di volere.

viganò

Il 7 luglio 2011, l'attuale nunzio scrisse a Papa Ratzinger: «Mi angustia poi il fatto che, dovendo purtroppo prendermi cura personalmente di un mio fratello sacerdote più anziano rimasto gravemente offeso da un ictus che lo sta progressivamente debilitando anche mentalmente io debba partire anche ora, quando ormai intravvedevo di poter risolvere in pochi mesi questo problema famigliare che tanto mi preoccupa».

lombardi bertone papa

In realtà le indagini e la testimonianza diretta di Lorenzo Viganò supportata da documenti di attività accademica, contratti d'affitto, utenze e quant'altro, mostrano una situazione completamente diversa. Lorenzo sostiene senza mezzi termini che suo fratello «ha scritto il falso al Papa» dal momento che lui vive da decenni a Chicago in assoluta autonomia e non è mai stato accudito dal fratello con il quale per di più - alla data della lettera - aveva del tutto interrotto i rapporti da più di due anni, cioè dal gennaio 2009. «Nel 1996 - ci spiega - ho subito un ictus, ma a distanza di poco tempo sono tornato indipendente e anche se con qualche difficoltà legata al fisico (un'emiparesi sinistra) sono tornato alla mia solita vita e ai miei studi a Chicago».

PAPA BENEDETTO XVI E TARCISIO BERTONE

«È un fatto certo che quando Carlo Maria ha scritto la lettera al Papa nel luglio del 2011, lui non solo non si occupava di me "personalmente" - continua - ma i nostri rapporti si erano già interrotti da tempo (inizio 2009) a seguito dell'acuirsi di tensioni tra noi a motivo della nostra eredità che sono sfociate addirittura in una causa civile da me intentata nel 2010 contro di lui presso il Tribunale di Milano, perché c'erano molte cose che al riguardo non mi convincevano».

Lorenzo aggiunge: «Trovo gravissimo che Carlo Maria abbia scritto il falso al Papa, strumentalizzandomi per fini personali: io non sono mai stato a Roma lì con lui, salvo che per tre mesi, ben tredici anni prima, nel 1998». Insomma, il documento centrale di Vatileaks contiene, secondo un diretto protagonista, un clamoroso falso.

 

SANTE-FICATE DAL BANANA: IL CASO DELLA GIORNALISTA TREVAINI

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Paolo Colonnello per "La Stampa"

Silvia Trevaini

Bisognava stare nella «piccioniaia» dei cronisti che seguono i processi sui bunga bunga di Arcore per capire l'effetto che fa sentire la «collega» Silvia Trevaini, 29 anni, in forza al Tgcom di Mediaset come giornalista, raccontare che, in quanto frequentatrice delle cene di Arcore e «amica» almeno dal 2006 di Silvio Berlusconi, «oltre allo stipendio di 2500-3000 euro al mese come giornalista assunta a tempo indeterminato, il presidente mi versa altri 2500 euro dal febbraio scorso, cioè dall'inizio delle udienze perché, come ha detto lui stesso, sono stata danneggiata da questo processo e la mia carriera è stata penalizzata».

Bisognava essere lì e guardare le facce basite dei giornalisti e delle giornaliste precarie che da anni ricevono poche centinaia di euro per svolgere un lavoro talvolta massacrante, che spesso li sottopone a rischi di querele e cause di risarcimento, quando la «collega» Trevaini ha raccontato, con nessun imbarazzo, che «sì, effettivamente nel 2007 Berlusconi mi ha versato 290 mila euro per comprare una casa a Milano Due, così, diceva, sarei stata più vicina alla redazione».

E poi, «visto che sono una ragazza molto solitaria, tutta casa e lavoro, e non amo spostarmi troppo la sera, mi ha versato altri 400 mila euro nel 2009 per comprare la casa dove vivo adesso, vicino al centro, in piazza Santo Stefano, così i miei amici mi possono venire a trovare senza attraversare tutta la città. La prima casa ovviamente l'ho venduta».

Si capisce: mica tutti hanno editori così sensibili. Al punto che, racconta la giornalista, «nel 2009 ho ricevuto altri due bonifici da 40 mila e 80 mila euro, e anche una macchina». Un'Audi TD, di quelle sportive fiammanti. Metti che le fosse venuta voglia di uscire di casa e andare a trovare qualcuno, o magari fare un servizio. Capita, a chi lavora.

Certo, il caso della giornalista Trevaini forse è un po' speciale perché lei - al processo che vede imputati Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti per induzione alla prostituzione - si sente una vittima. «Alle cene di Arcore ci andavo, certo, ma non succedeva niente di strano, si parlava di argomenti di attualità, ci si confrontava su temi politici, magari si parlava dei propri lavori. A volte si scendeva in discoteca, qualcuno ballava o si facevano spettacoli tipo Bagaglino, spettacoli ironici...» Mai visto Nicole Minetti ballare la lap dance? «Non ricordo». Ma... vestita strana? «L'ho vista vestita come alle ultime sfilate per l'intimo...».

Berlusconi E MINETTIBERLUSCONI TRA RUBY MINETTI PASCALE

E cosa ha pensato quando ha visto una consigliere regionale vestita così? «Niente. Ognuno si veste come vuole... Io frequento Berlusconi dal 2006, l'ho conosciuto in Sardegna, a Portorotondo. Stavo passeggiando nella piazzetta insieme ai miei genitori quando l'ho incontrato, da lì è nata un'amicizia». Lei aveva 23 anni, lui già quasi 70. «Mi dava consigli. Ma non abbiamo mai parlato della mia carriera, anzi non si è mai permesso d'intervenire». Sicuro. Lei da quel momento però è decollata. Dopo una partecipazione a «Miss Muretto» ad Alassio, nel 2005, eccola valletta e poi giornalista dal 2006 in Mediaset.

ruby BERLUSCONI BOCCASSINI FEDE MINETTI jpeg

Una carriera bruscamente interrotta dalle infami inchieste della procura milanese. «Lavoro a Mediaset da anni. All'inizio facevo la valletta, poi sono stata assunta al Tg4, quindi sono passata a Studio Aperto, poi al Tg5 e ora sono a Tgcom». Quindi lei non ha perso il lavoro! «No, ma la mia immagine è stata danneggiata, perché per una donna già è difficile fare carriera e adesso la mia carriera ha subito un arresto. E poi anche in famiglia... Pensi che da quando c'è questa storia mio padre, che lavora nel campo dell'edilizia, ha subito una serie di controlli fiscali...».

Così si è arrivati ai bonifici mensili: «Non so quanto dureranno. Non ne ho più parlato con il presidente. Non so nemmeno come sono iniziati». Scusi, ma lei si è trovata in banca dei soldi e nessuno l'ha avvertita? «Non so, non mi è stato detto nulla, l'ho letto sui giornali, lo ha detto il presidente in un'intervista, ma non me lo sarei aspettato...».

 

EX VOTO AL SENATO E ARIECCOLO IL MEZZOCECATO DI HARDCORE SUBITO FISCHIATO IN STRADA

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1. IL PATONZA ARRIVA A ROMA E SGOMINA LE ALFANO GIRLS
Carlo Tarallo per Dagospia

BERLUSCONI

Risolto il rebus del capogruppo Pdl: durante il viaggio di Berlusconi verso Roma, si sarebbe finalmente trovata la quadra. L'ha spuntata Renato Brunetta. Vice saranno Mara Carfagna e Beatrice Lorenzin. La decisione di affidare a Brunetta il ruolo di speaker dei Banana's alla Camera dei Deputati è una sconfitta per Alfano, che puntava sulla sua adoratissima Carfagna: nulla da fare, Mara si accontenterà del ruolo di numero 2.

BERLUSCONI-CARFAGNA

La corsa della ex Ministra è stata stoppata da una serie di "scivoloni" anti Cav, dei bei tempi del feeling con Bocchino. Stando agli spifferi, le prese di posizione a favore di Gianfranco Fini, quelle stilettate sul "privato" di Berlusconi non condivisibile, il tifo sfegatato per Angelino (condiviso dalla Lorenzin) quando le primarie del Pdl sembravano possibili.

BERLUSCONI

2. VOTO AL SENATO, BERLUSCONI FISCHIATO IN STRADA - LA REPLICA AI PASSANTI: «VERGOGNATEVI»
Corriere.it

Fischi in strada all'indirizzo di Silvio Berlusconi all'ingresso a palazzo Madama. Il presidente del Pdl ha raggiunto poco fa il Senato dove è in corso il voto per lo scranno più alto dell'aula, dopo aver lasciato palazzo Grazioli.

ANGELINO ALFANO MARA CARFAGNA

LA REPLICA - L'ex premier, che portava un paio di occhiali scuri, sceso dalla macchina e sentite le contestazioni è tornato sui suoi passi, si è voltato verso la folla e ha detto: «Vergognatevi». Quindi, Berlusconi si è diretto verso l'ingresso di Palazzo Madama.

nvgvn05 mara carfagna angelino alfano

LA SETTA - Il Movimento 5 Stelle è come «una setta» e i grillini «non dovrebbero essere ammessi qui dentro», ha rincarato Berlusconi, attaccando il movimento di Beppe Grillo. «Non so se Schifani vincerà tanto questa elezione non ha alcuna importanza», ha risposto il Cavaliere rispondendo se a suo avviso Renato Schifani ce la farà a battere Pietro Grasso al ballottaggio per la presidenza del Senato.

 

 

FLASH! - GRASSO CHE COLA SUL SENATO: BATTUTO SCHIFANI

BOSSI NON MOLLA: MA QUANTO È LARGO IL CULO DI MARONI?

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Silvio Buzzanca per "La Repubblica"

UMBERTO BOSSI E ROBERTO MARONI ELETTO SEGRETARIO DELLA LEGA NORD jpeg BOSSI E MARONI jpeg

Umberto Bossi e Roberto Maroni sono ai ferri corti. L'anziano leader della Lega rimprovera al suo successore di non avere rispettato i patti e di avere "conservato" la poltrona di segretario federale che aveva promesso di lasciare. E naturalmente lo fa nello stile di Bossi. «Maroni ha detto da 6 mesi che si dimetteva da segretario, ma poi deve essersi accorto di avere il culo più largo», dice il Senatur materializzatosi ieri mattina a Montecitorio.

Un riferimento, quello bossiano, allo slogan di Maroni che ha sempre assicurato di volere rispettare il principio "un culo una poltrona". Facendo capire di non volere ricoprire nello stesso tempo l'incarico di "governatore" della Lombardia e di leader federale della Lega. Ma lunedì scorso il Consiglio federale ha respinto le sue dimissioni dall'incarico e lo ha riconfermato fino al 2015. Dando modo a Bossi di affondare il colpo: «La Lega è in subbuglio perché è abituata ad avere segretari che mantengono la parola; bisogna mantenere la parola».

VIGNETTA BENNY MARONI E BOSSI SI CONTENDONO LA LEGA

Maroni non prende bene la sortita di Bossi. E affida il suo malumore al solito "cinguettio". «Lunedì scorso, come promesso, ho presentato le mie dimissioni al consiglio federale. Il consiglio le ha respinte all'unanimità: adesso basta», scrive l'ex ministro dell'Interno. Infastidito, un po' minacciato, dal ritorno sulla scena del Senatur e dalla ripresa dello scontro fra i bossiani dell'ex "cerchio magico" e i maroniani "barbari sognanti".

BOSSI E MARONI AL CONGRESSO DELLA LEGA jpeg

Maroni teme infatti che prenda corpo il progetto bossiano di convocare per il 7 aprile una sorta di congresso a Pontida che dovrebbe acclamare un nuovo segretario. Ovvero lo stesso Bossi. Spaccando il movimento, provocando una scissione che potrebbe trovare una sponda in Giulio Tremonti. Non è un caso che ieri Bossi abbia lanciato l'ex ministro del Tesoro come candidato al Quirinale. E non un caso che Maroni nei giorni scorsi abbia fatto intendere di avere stretto un'alleanza elettorale con l'ex ministro del Tesoro, inserendo nel simbolo il suo nome come candidato premier, proprio per evitare la saldatura Bossi-Tremonti.

ROBERTO MARONI E UMBERTO BOSSI SI STRINGONO LA MANO

Adesso però Maroni non vuole andare allo scontro. Anche perché ha già dei bei problemi con le turbolenze dei veneti dove anche Tosi e Zaia litigano sulle responsabilità di una pesante sconfitta. Allora il "governatore" fa sapere che se Bossi vuole andare via si accomodi pure. Perché lui ha in mente qualcosa di nuovo e di diverso dalla vecchia Lega. Prova ne sia che, dovendo scegliere l'iscrizione al gruppo consiliare lombardo, ha optato per la sua lista civica.

 

FLASH! - OPERA DI ROMA: MENTRE RICCARDO MUTI DIRIGE CROLLA LA SCENA

PER IL COLLE HA VINTO BERSANI, PER IL GOVERNO HA PERSO CULATELLO

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Corriere.it

È Piero Grasso il nuovo presidente del Senato nella XVII legislatura. Il candidato del Partito Democratico al quarto scrutinio, effettuato con ballottaggio, ha battuto il candidato del Pdl Renato Schifani (sostenuto anche dalla Lega) per 137 voti a 117, con 52 schede bianche e ben sette nulle. L'ex procuratore nazionale antimafia è andato ben oltre la quota del bacino di voti del centrosinistra, e al momento dell'ufficialità della vittoria il senatore decano Emilio Colombo ha dovuto interrompersi per consentire all'aula un lungo applauso. Allarga il consenso per Grasso anche l'appoggio di 16 voti provenienti dai bacini 5 Stelle e Monti.

IL TESTA A TESTA - Dopo una mattinata convulsa - alla fine della terza votazione il divario era di appena 9 voti, ma cinque deputati del Pdl (Silvio Berlusconi e Maria Rosaria Rossi, Luciano Rossi, Malan che si è sbagliato e Matteoli che non c'era) erano assenti al terzo scrutinio, quindi la differenza reale tra Pd e Pdl risultava di appena 5 voti. Il centrosinistra ottiene così il controllo delle due Camere, dato che in mattinata era stata eletta Laura Boldrini alla terza carica dello Stato.

DECISIVI 5STELLE E MONTIANI - Tutto girava, allora, intorno ai 53 voti, o non voti, del Movimento 5 Stelle e ai 19 della Scelta Civica di Mario Monti. Il ballottaggio, iniziato alle 16.40 e chiuso alle 18.02, poi dopo una richiesta di chiarimento sulle schede biance da parte di Roberto Calderoli, lo spoglio. Durante il voto, segreto, M5S aveva preso la decisione di lasciare libertà di coscienza ai suoi senatori. Anche gli uomini di Mario Monti avrebbero potuto non essere compatti, ma la rapidità con cui hanno espletato le operazioni di voto ha lasciato intendere l'astensione «obbligatoria».

LA RABBIA DI GASPARRI - Berlusconi e i big del partito, tra cui il segretario Angelino Alfano, si erano riuniti poco dopo pranzo in un vertice a Palazzo Grazioli (presenti, tra gli altri, anche Niccolò Ghedini, Renato Brunetta e Paolo Bonaiuti). Fonti vicine a Scelta civica avevano riferito che Berlusconi avrebbe incontrato Mario Monti a Palazzo Giustiniani prima del voto, ma il meeting non è avvenuto. Il senatore Monti ha però parlato con Schifani.

E poco prima dell'inizio del ballottaggio, comunque, il senatore Gabriele Albertini ha confermato la scheda bianca del suo schieramento. Questo ha scatenato le ire di Maurizio Gasparri, ex capogruppo del Pdl: «È spiacevole dover constatare che chi ha fatto una "Scelta civica" abbia ordinato ai suoi senatori di attraversare velocemente la cabina in modo da essere sicuro che non esprimano alcuna preferenza». Secondo Gasparri è stata così violata la segretezza del voto.

ASTENSIONE O LIBERTÀ DI SCELTA? È BAGARRE - Il capogruppo del Movimento 5 Stelle Vito Crimi nel primo pomeriggio aveva confermato la scheda bianca da parte dei 53 senatori perché «questo voto non è la scelta tra una persona e l'altra, ma tra due strategie politiche. Noi non facciamo la stampella di nessuno». Eppure, gravi malumori sono riemersi durante e dopo l'ultima riunione, e sul web, e pare sia prevalsa la scelta di «libertà di coscienza» con rabbia montante verso Crimi, "colpevole" di aver parlato prima della riunione.

Vito Petrocelli ha lasciato la riunione prima del voto per alzata di mano. La base, almeno sul blog di Grillo, ha invitato i suoi uomini a prediligere Grasso, ricordando che un voto oggi «non significa allearsi con il Pd». La scelta di puntare sulla scheda bianca, di fatto, «non è stata presa all'unanimità», ha spiegato l'ex candidato alla presidenza del Senato Luis Alberto Orellana: «Come persone Grasso e Schifani non sono equivalenti: una è una scelta in continuità con il passato. Mi sono espresso personalmente contro la scelta del collega Schifani».

LACRIME A 5 STELLE - Sulla stessa lunghezza d'onda anche diversi altri neosenatori, con molti dei neoeletti che, secondo i testimoni, «erano in lacrime». L'incertezza filtra vaanche sui social network, dove ad appello già iniziato Maurizio Bucarella ha scritto: «Stiamo per votare al ballottaggio... e la discussione accesa tenuta nel gruppo non è stata sufficiente a dipanare tutti i dubbi di tutti quanti...».

C'è stato anche chi, apertamente, ha sfidato la linea dell'astensione. Bartolomeo Pepe scrive, sempre su Facebook: «Amici. libertà di voto. Senza contrattazioni e senza trucchi. Borsellino ci chiede un gesto di responsabillità». Idem Ornella Bertorotta, che tuona: «Libertà di voto. È questo che abbiamo deciso. Ogni cittadino portavoce al Senato voterà secondo coscienza».

 

 


DITTATURA? BERGOGLIOSAMENTE INNOCENTE!

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Gian Guido Vecchi per "Corriere della Sera"

cristina fernandez de kirchner e bergoglio

La Santa Sede che «respinge con decisione» e replica alle «campagne calunniose e diffamatorie» di «elementi della sinistra anticlericale» sul comportamento di Jorge Mario Bergoglio ai tempi della dittatura militare dopo il golpe di Videla in Argentina («non c'è mai stata nessuna compromissione»); e il premier inglese David Cameron che «con rispetto» dice di «non concordare con il Papa» sulle Falkland- Malvinas, le isole contese che un anno fa l'allora arcivescovo di Buenos Aires - lo ricordavano ieri i quotidiani inglesi - aveva definito «usurpate». Anche nella «luna di miele» del suo pontificato, come del resto accadde a Ratzinger a proposito di un inesistente «passato nazista», Papa Francesco si trova a fronteggiare polemiche internazionali.

videla LA FAMIGLIA BERGOGLIO

La prima, già saltata fuori durante il conclave del 2005, riguarda il sequestro di due gesuiti, Orlando Yorio et Francisco Jalics, arrestati il 23 marzo 1976, torturati e imprigionati per cinque mesi ai tempi in cui padre Bergoglio non era vescovo ma il «provinciale» e quindi il superiore della Compagnia di Gesù in Argentina. Padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, tra l'altro è anche uno dei quattro «Assistenti ad providentiam» che coadiuvano il Padre generale dei gesuiti al vertice mondiale della Societas Iesu: «La campagna contro Bergoglio è ben nota e risale già a diversi anni fa. È portata avanti da una pubblicazione caratterizzata da campagne a volte calunniose e diffamatorie. La matrice anticlericale di questa campagna e di altre accuse è nota ed evidente», ha sillabato ieri leggendo una secca nota di replica.

BERGOGLIO bergoglio mannelli

Bergoglio non avrebbe protetto i suoi confratelli? «Non vi è mai stata un'accusa concreta credibile nei suoi confronti. La giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla. Egli ha negato in modo documentato le accuse. Vi sono invece moltissime dichiarazioni che dimostrano quanto Bergoglio fece per proteggere molte persone nel tempo della dittatura militare».

Del resto padre Lombardi ricorda che «è noto il ruolo di Bergoglio, una volta diventato vescovo, nel promuovere la richiesta di perdono della Chiesa in Argentina per non aver fatto abbastanza nel tempo della dittatura». Prima di scandire: «Le accuse appartengono quindi all'uso di analisi storico-sociologiche del periodo dittatoriale fatte da anni da elementi della sinistra anticlericale per attaccare la Chiesa e devono essere respinte con decisione».

bergo

Padre Yorio è morto nel 2000, Francisco Jalics vive in Germania, in questi giorni fa gli esercizi spirituali nella sua Ungheria e ha affidato una dichiarazione al sito dei gesuiti tedeschi jesuiten.org: «Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda è conclusa. Non posso prendere alcuna posizione riguardo al ruolo di Bergoglio», scrive.

Con lui i due gesuiti imprigionati si videro anni dopo, «celebrammo pubblicamente una messa insieme, ci abbracciammo solennemente», aggiunge padre Jalics: «A Papa Francesco auguro la ricca benedizione di Dio per il suo ufficio». Il portavoce vaticano ha citato ieri anche le parole del Nobel per la pace Pérez Esquivel, «non tradizionalmente favorevole alla Chiesa», che diceva: «Ci furono vescovi complici della dittatura, ma Bergoglio non è stato uno di loro». Il teologo della liberazione Leonardo Boff, mai tenero con le gerarchie, commenta: «Bergoglio? Salvò e nascose molti perseguitati dalla dittatura militare».

 

BERSANI NON FARÀ IL PREMIER MA HA INCASSATO DUE VITTORIE

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Dagoreport

BERSANI E NAPOLITANO

Bersani Pierluigi non farà il premier ma è riuscito a coinvolgere i voti grillini necessari all'elezione dell'ex magistrato Piero Grasso, non soltanto quelli dei sei senatori siciliani del Movimento 5 Stelle ma anche di altri quattro di essi in nome di una parola magica che si chiama "libertà di voto" e che i grillini useranno anche in altre occasioni.

GRASSO E BOLDRINI

Con le presidenze di Camera e Senato il marito della farmacista di Bettola ha piantato due clamorose bandiere comunque di rinnovamento poiché è difficile affermare che Grasso e Boldrin facciano parte della vecchia politica, si rafforza come segretario del Pd e, se rinuncia all'incarico di formare il governo facendo un passo indietro come l'hanno fatto Franceschini Dario e Finocchiaro Anna ed evitando di esporre se stesso facendosi impallinare da un Parlamento dove non ha i numeri, può giocare sul serio il ruolo di king maker del suo partito, del governo e della legislatura, archiviando oppositori interni di destra e di sinistra.

MONTI STAMANE A NAPOLI

Re Giorgio Napolitano (chi l'ha visto nelle ultime ore racconta di averlo trovato sereno e determinato sulle scelte da fare nei prossimi giorni. Questo significa che un piano in testa ce l'ha) ora può utilizzare la scia del voto di oggi per lavorare al governo.

Di fatto, il presidente della Repubblica può evitare di affidare anche un mandato esplorativo al capo del Pd per il semplice fatto che una minoranza, quale complessivamente il Pd e', non può avere contemporaneamente le presidenze delle Camere e il premier. Saltano allora tutti i vecchi schemi e servono davvero nomi nuovi, questo alla fine e' il merito vero di Bersani Pierluigi che ha indicato Boldrin e Grasso coinvolgendo, come aveva insistentemente annunciato tra lo scetticismo generale, i grillini al Senato.

Ora deve solo archiviare se stesso come candidato premier ma ha posto le premesse per avere due nomi nuovi a Palazzo Chigi e al Colle più alto. Per il governo si apre un'autostrada per lo stesso Grasso. Per il Colle saltano tutti i nomi vecchi, da Prodi, ad Amato, a D'Alema e chi più ne ha più ne metta.

GRILLO E CASALEGGIO ARRIVANO A ROMA

Anche per Grillo Beppe si tratta di un successo importante, ottenuto senza sporcarsi le mani. D'ora in poi sarà più difficile farlo, ma la libertà di voto può non avere limiti e confini se le proposte da votare diventano migliorative rispetto alla vecchia offerta politica.

Perde invece ancora una volta Monti Mario che aveva prefigurato per se' personalmente, nemmeno per Scelta Civica, il ruolo e il percorso che ora ha, e ha davanti, il nuovo presidente del Senato.

PIERLUIGI BERSANI PRESENTA LA CANDIDATURA DI PIETRO GRASSO

Grasso Piero ha esordito con un discorso di livello, già preparato per tempo (e questo e' significativo della sicurezza di avere almeno i voti dei grillini siciliani) con tutti i riferimento giusti, da Falcone e Borsellino, a Caponnetto, a Moro, agli uomini delle scorte morti facendo il proprio dovere, al disagio sociale, al lavoro che manca, agli esodati. E anche a Papa Francesco, cui per un attimo e' sembrato paragonarsi.

GOVERNO DI SCOPO E SCOPONE BERSANI GRILLO BERLUSCONI NAPOLITANO

Ma con quale formula Re Giorgio darà le indicazioni per formare il governo, dopo aver ricevuto le forze politiche totalmente nuove, quelle che si stanno adeguando al nuovo proponendo nomi nuovi e quelle che restano al palo, con proposte ferme a schemi totalmente vecchi? La formula e' una sola, quella del "governo dei competenti", a seguito di un "patto di condivisione" per il futuro dell'Italia con l'obiettivo di far vita ad una legislatura di svolta poiché anche Grillo Beppe e i suoi sanno che ora si deve passare dalla destrutturazione alla costruzione, dalla propaganda ai fatti.

BOLDRINI

Se un nome totalmente nuovo può avere il via libera dei grillini in nome della libertà di voto, il programma e' semplice: provvedimenti immediati per provare a smuovere l'economia. Tutti sanno che è su questo che verranno giudicati. Per le riforme istituzionali si vedrà nel giro di un anno, e se si dovesse cominciare dal taglio del numero dei parlamentari si vedrà più avanti ancora.

Intanto, gia' da martedì una cartina di tornasole importante sarà quella della guida delle commissioni parlamentari di garanzia bicamerali, come il Copasir o la commissione di vigilanza sulla Rai. La regola sinora e' stata quella dell'accordo per scongiurare la paralisi. Vedremo se e come il modello siciliano che ha vinto

BOLDRINI

 

TROPPO FATTO! SAVIANO E LE QUESTIONI DI COCA-RIGHT

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Mario Baudino per "La Stampa"

SAVIANO SULLA COPERTINA DELL ESPRESSO INCHIESTA COCAINA

Cocaina, un marchio registrato? Giancarlo De Cataldo, romanziere e magistrato, è convinto di no e, pur garbatamente, ha deciso di farlo sapere a Roberto Saviano. L'autore di Gomorra sta per uscire coll'atteso Zero zero zero , dedicato appunto al traffico della polvere bianca. Proprio l'altro giorno ha postato su twitter un video che racconta con toni commossi la sua visita alla tipografia dove vengono sfornate le copie per Feltrinelli. Ma il suo agente letterario, Andrew Wylie, è un po' in ansia. E ha mandato un paio di lettere all'Einaudi.

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Ci sarebbe un problema: e cioè proprio Cocaina, il libro che raccoglie tre racconti su questo tema di De Cataldo, Gianrico Carofiglio e Massimo Carlotto. Da due mesi in classifica, 60 mila copie vendute, è un successo. O magari una «furbata» editoriale, per cavalcare l'attesa del nuovo Saviano? Che i due titoli - quello di Saviano era noto da tempo - sembrino rimandarsi l'un l'altro è indubbio. Qualcuno (come il nostro Tuttolibri ) l'ha notato chiedendosi in modo neutro se l'accostamento sia voluto. Deve essersene accorto anche Saviano, che non pare aver gradito. «Da tempo mi arrivavano voci in questo senso» ci dice De Cataldo, che ieri sera ha presentato i racconti alla rassegna romana «Libri come».

ccc04 decataldo ph riccardi Gianrico Carofiglio e Walter Veltroni

«Non ci volevo credere - aggiunge -. Conosco Saviano da sempre, ho firmato il primo manifesto in suo favore. Insomma, era assurdo pensare che potesse ritenere il nostro libro una manovra per sfruttare il suo successo, una concorrenza indebita: sono magistrato oltre che scrittore, questi temi li conosco bene». E invece? «Invece, quando ho saputo che si è mosso il suo agente, ho dovuto arrendermi all'evidenza. Ma dico, non poteva farmi una telefonata? Cocaina è un mio progetto, ne ho parlato per la prima volta in casa editrice nel 2011. E adesso mi viene a dire che avrei approfittato del lancio del suo Zero Zero Zero?». Arrabbiato? «Non è questo. E poi la cosa non riguarda solo me, parlo anche a nome di Carofiglio e Carlotto. Non vorrei che le mie parole suonassero beffarde, ma di mafia si discuteva anche prima del Padrino, e si continuato a farlo. Di cocaina anche prima di Saviano, e purtroppo si continuerà».

 

IL TRADIMENTO DEI GRILLINI: E ORA CHE FA, GRILLO, LI CACCIA?

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1. LE MANI IN TASCA
Massimo Gramellini per La Stampa

Uno vale uno, ma uno non vale l'altro. Messo di fronte alla scelta, onestamente non così difficile, fra Piero Grasso e Renato Schifani, l'apriscatole di Grillo si è un po' inceppato. Intendiamoci. Sempre meglio dell'encefalogramma piatto dei montiani. Le urla che uscivano dalla sala in cui i senatori Cinquestelle stavano discutendo il loro voto sono la musica della democrazia.

APRISCATOLE IN SENATO FOTO TWITTER BEPPE GRILLO

Ma al momento della sintesi mi sarei aspettato che il buonsenso prevalesse sul pregiudizio, il pragmatismo sull'ideologia. Invece la maggioranza del gruppo che vuole aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno è rimasta fedele al suo Nostromo. Perché un vero rivoluzionario non scende a patti con il Sistema, meno che mai quando il Sistema, per blandirlo, gli mostra il proprio volto migliore: un procuratore Antimafia, una portavoce dell'Onu.

Beppe Grillo tra i cronisti jpeg

Il punto è proprio questo: l'elettore di Grillo ha votato Cinquestelle per distruggere il Sistema oppure per rinnovare il cast degli interpreti? Se fosse vera la seconda ipotesi, quella di ieri sarebbe stata la sua vittoria, dato che senza il cambio di clima imposto dal trionfo del movimento, oggi ai vertici dello Stato non siederebbero Grasso e Boldrini, e invece dell'effetto Francesco sul conclave della Repubblica si sarebbe abbattuto l'effetto Franceschini.

Immagino che quell'elettore sarà rimasto perplesso nel vedere un leader che grida ai politici «Arrendetevi» imporre ai suoi parlamentari la scheda bianca: il colore della resa. La democrazia è scelta, anche del meno peggio. E' contaminazione. Diceva don Milani: a che serve avere le mani pulite, se poi si tengono in tasca?

Roberta Lombardi e Vito Crimi jpeg


2. LE CAMERE NON SONO IL RIPOSTIGLIO DELLA RETE
di Antonio Polito per Corriere della Sera

Benvenuti nel mondo dei franchi tiratori. I grillini erano entrati in Parlamento appena l'altro ieri compatti come una falange macedone, monolitici come una novella Compagnia di Gesù, giurando obbedienza perinde ac cadaver. E al primo voto vero, alla prima occasione in cui non hanno potuto evitare di scegliere, si sono clamorosamente divisi. La democrazia parlamentare non è un «meet up». È fatta di voti e di regole. E senza vincolo di mandato.

Messi di fronte all'alternativa tra Grasso e Schifani, numerosi senatori grillini hanno dunque rifiutato una sdegnosa equidistanza, e cioè il mantra stesso di un movimento che considera i partiti tutti uguali e tutti da cancellare, per sostituirli con la democrazia diretta del 100 per cento in cui i cittadini si autogovernano. Non basta star seduti sugli spalti alle spalle di tutti gli altri per evitare di sporcarti nell'arena, quando ti chiamano a votare per appello nominale.

Né viene in aiuto la tattica indicata ai suoi seguaci da Beppe Grillo, valutare «proposta per proposta» per evitare così di fare scelte «politiche». Quella di votare Grasso era infatti una «proposta», e un buon numero di senatori grillini l'ha accettata, facendo così una scelta altamente politica.

GRASSO E BOLDRINI

L'inflessibile logica del sistema parlamentare, nel quale alla fine di ogni discussione c'è sempre un ballottaggio in cui devi dire sì o no, non è d'altra parte aggirabile con i riti della democrazia online, perché sulla Rete non vale la regola «una testa un voto» ma votano solo le minoranze attive.

Sarà sempre più difficile, emendamento per emendamento, stare in Parlamento aspettandosi che a decidere sia qualcuno che sta fuori. Ogni giorno si vota innumerevoli volte, e ogni voto può avere conseguenze sulla vita di tutti. Ecco perché l'assemblea parlamentare è diversa da un consiglio comunale o da un'assemblea condominiale: perché fa le leggi, la cosa più politica che ci sia.

D'altra parte i «grillini» non sembrano aver finora trovato nemmeno un modo accettabile per garantire quella trasparenza e pubblicità del dibattito che finché erano fuori del Parlamento sembrava la più innovativa delle soluzioni. Finora l'unica riunione dei gruppi cui abbiamo assistito in «streaming» è stata quella in cui i neoparlamentari si presentavano: più un happening che un'assemblea politica.

Roberta Lombardi e Vito Crimi in conferenza stampa

Ieri, quando il gruppo del Senato ha dovuto decidere, lo ha fatto invece a porte chiuse, con i giornalisti che origliavano come ai bei tempi della Dc, e che riferivano di urla e di pugni sul tavolo poi sfociati in un'aperta contestazione del capogruppo (altra questione delicata: i leader sono essenziali in ogni consesso, e i grillini non ne hanno uno in Parlamento; senza un leader e una linea, il motto «uno vale uno» non può che trasformarsi in continua divisione).

Ma l'astuta mossa di Bersani, che a Schifani ha evitato di opporre un nome usurato della vecchia politica per preferirgli l'ex magistrato antimafia, non ha solo aperto una crepa tra i «grillini», ha anche svelato due punti deboli di quel movimento. Il primo è il rischio di irrilevanza. Se continua così, il 25 per cento dei voti degli italiani in Parlamento non conta nulla. Il Movimento 5 Stelle è completamente privo di potere coalizionale. Il partitino di Vendola, che ha preso poco più del 3 per cento alle elezioni, ha usato invece al massimo quel potere, prendendosi la presidenza della Camera.

SCHIFANI E BERLUSCONI

La seconda debolezza del M5S è che, per quanto Grillo lo voglia sottrarre alla logica destra-sinistra, la sua élite parlamentare, come segnalava ieri Michele Salvati su questo giornale, pende notevolmente a sinistra e al momento decisivo lo dimostra, come ieri per impedire la vittoria di Schifani.

Non basterà forse a risolvere il problema di Bersani, visto che anche con i franchi tiratori «conquistati» ieri gli mancano ancora una ventina di senatori per un voto di fiducia, oltretutto palese; ma può bastare per logorare rapidamente la presa di Grillo sui suoi eletti, forse meno manovrabili di come lui se li immaginava.

 

COSTA DISCORDIA! TUTTO DA RIFARE: PIOMBINO ADDIO!

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Massimo Malpica per "Il Giornale"

Eccola qui, nero su bianco, una bocciatura a tutto tondo. La delibera del consiglio dei ministri dell'11 marzo scorso che aveva «regalato» a Piombino il compito di smantellare la Costa Concordia (una volta che la nave affondata al Giglio verrà fatta galleggiare) s'incaglia in uno scoglio piuttosto prevedibile.

È il numero uno della Protezione civile Franco Gabrielli, che è anche commissario delegato per l'emergenza del naufragio, ad affondare il provvedimento varato in extremis dal Cdm, e che ha sollevato non poche polemiche visto che il porto di Piombino non è adatto né attrezzato ad accogliere le 117mila tonnellate della grande nave da crociera. I lavori per adeguarlo ammonterebbero ad almeno 160 milioni di euro, per non parlare dell'incognita tempo.

Tanto che l'iniziativa di Monti e Clini, che affidava a Gabrielli il compito di occuparsi della bisogna, era apparsa a molti un «inchino» al Pd, che amministra la Toscana e che sponsorizzava da tempo l'onerosa soluzione «locale».
Adesso a stoppare tutto, e a confermare le tante controindicazioni di quella soluzione, arriva la lettera di Gabrielli. Il capo della Protezione civile non gradisce l'incarico ricevuto.

E in tre pagine spiega perché. E specifica come, «in disparte ogni considerazione sulla fattibilità e la convenienza dell'operazione», lui e i suoi non intendono muovere un dito.
Il primo ostacolo? La legge 100 del 2012 che segnala i confini dell'azione della Protezione civile, e non contempla l'adeguamento di un porto.

Dunque «risulta evidente - continua Gabrielli nella missiva spedita a Monti e Clini - che gli interventi richiesti siano esorbitanti dalla lettera e dallo spirito della norma, ed esporrebbero lo scrivente a censura da parte degli organi di controllo».

A Gabrielli non sfuggono nemmeno «le già manifestate contrarietà espresse da più parti» sulla soluzione-Piombino, il prevedibile contenzioso conseguente, «stante la non legittimità degli strumenti individuati» per i lavori e, quindi, gli «inevitabili riverberi» sui tempi di rimozione dal Giglio della nave, che arrugginirebbe sul posto aspettando di poter tornare in porto.

Insomma, se governo e Regione Toscana tenevano tanto a smantellare la Concordia a Piombino, prosegue Gabrielli, l'unica strada era «un atto primario che individuasse risorse e poteri derogatori in capo a un commissario straordinario», e che poteva per esempio essere inserita nel decreto legge che ha prorogato l'emergenza.

Ma così non è stato. E quindi il capo della protezione civile, non prima d'aver bacchettato il premier e il ministro dell'Ambiente per quella delibera che ha «attribuito allo scrivente competenze che non trovano adeguato fondamento normativo», risponde picche alla richiesta di Palazzo Chigi.

Riservando un'ultima stoccata sui soldi necessari a effettuare gli interventi di adeguamento sui fondali e sul porto di Piombino: per Gabrielli, infatti, il «dispositivo economico individuato dalla delibera (...) in ogni caso necessiterebbe del concerto del ministero dell'Economia, mai interessato sulla specifica questione nonostante le numerose sollecitazioni delle scrivente, e nemmeno citato nella delibera».

Morale della storia, la protezione civile sembra preferire all'opzione Piombino l'ipotesi avanzata dalla Costa, che «ha già fornito indicazioni rispetto alla destinazione della nave - conclude Gabrielli - con un progetto che, a parere dello scrivente, è confacente al mandato ricevuto all'atto della nomina di Commissario».

 

PRECIPIZI COMMERCIALI: IN DUE MESI, CHIUSI 10MILA NEGOZI

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Luisa Grion per "La Repubblica"

Crisi e aumento di furti e rapine

Si chiudono quelli vecchi, non se ne aprono di nuovi e quando la serranda va giù è sempre più difficile trovare qualcuno disposto a rialzarla: la crisi sta cambiato la mappa cittadina dei negozi. Nei primi due mesi del 2013 ne sono spariti quasi diecimila e, se il vento non cambia, entro la fine dell'anno mancheranno all'appello sessantamila aziende commerciali che trascineranno nel vortice 200 mila posti di lavoro.

I dati sono quelli dell'Osservatorio Confesercenti che, dopo aver fatto il punto sui primi mesi dell'anno, è arrivato alla conclusione che nel settore la vera crisi è adesso.

CRISI

Le cose stanno andando peggio che nel 2012, sottolinea lo studio, e per accorgersene basta fare due passi nelle vie centrali di una qualsiasi cittadina. Le insegne spente si moltiplicano, i cartelli "affittasi" aumentano a vista d'occhio: in Italia ci sono ormai 500 mila locali chiusi, messi sul mercato e sfitti. Non siamo più di fronte ad un normale avvicendamento delle merci e delle formule di vendita, siamo nel pieno di quello che Confesercenti definisce «un anno orribile».

La crisi, oltre a far lievitare la chiusura delle botteghe, ha provocato un forte rallentamento delle aperture, che rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso si sono letteralmente dimezzate. «Fra il primo gennaio e il 28 febbraio 2013 - segnale il rapporto - hanno chiuso i battenti 13.755 aziende, le aperture sono state 3.992, il saldo è negativo per 9.783 unità».

Praticamente sono spariti 167 negozi al giorno e, secondo le stime dell'associazione di commercianti, a fine anno le imprese scomparse saranno sessantamila. La progressione al peggio, secondo Confesercenti, si vedrà già a partire dalla fine del primo trimestre quando il saldo fra cessazioni e iscrizioni sarà negativo per 4.000 unità in più rispetto allo scorso anno.

italia crisi capal07 negozio ambulante

Non di soli alimentari o calzature si tratta: oltre alle botteghe soffrono anche i bar. Fra gennaio e febbraio il saldo è arrivato a quota meno 6.401. Quanto agli aspetti territoriali, se è vero che la crisi colpisce soprattutto il Centro-Nord, la maglia nera delle città va a Roma, dove i negozi spariti (saldo fra chiusure e aperture) nei primi due mesi del 2013 sono stati 392, seguita da Torino (238) e Napoli (133). Ma al di là delle chiusure e del crollo di nuove aperture, l'altro preoccupante aspetto della crisi è la desertificazione urbana dovuta ai negozi sfitti.

Ormai sono più di mezzo milione, segnala la ricerca condotta da Anama-Confesercenti «con una perdita annua di 25 miliardi di euro in canoni non percepiti». In termini di gettito fiscale sfumato si tocca il tetto dei 6,2 miliardi l'anno: «Una cifra superiore al gettito realizzato grazie all'Imu sulla prima casa (4 miliardi) e all'aumento di un punto dell'aliquota ordinaria Iva (oltre 4 miliardi)».

italia crisi italia crisi

La palma della città desertificata va a Cagliari (con il 31% dei negozi chiusi), seguita da Rovigo (29), Catania (27) e Palermo (26%). Il problema degli sfitti è talmente evidente che Confesercenti, per uscire dalla crisi, propone di affiancare ad una politica di sgravi fiscali per cittadini e imprese, una sorta di «canone revisionabile ». Un nuovo impianto giuridico che coniughi la «necessità di mettere a reddito i locali con il bisogno delle imprese di utilizzarli per creare occupazione».

 

DOPO PASQUA, TENETEVI FORTE: ARRIVA LO TSUNAMI BERGOGLIO!

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Massimo Franco per "Corriere della Sera"

PAPA BERGOGLIO FRANCESCO IN METRO

Non ha voluto pronunciare il discorso che gli avevano preparato. Papa Francesco mercoledì sera ha parlato a braccio dal balcone della Basilica di San Pietro non per compiere un atto irrituale, ma perché le parole rituali che gli erano state sottoposte non lo convincevano: in qualche modo non interpretavano il suo pensiero e la sua idea di papato.

PAPA BERGOGLIO

E dietro questo rifiuto che fonti vaticane confermano ufficiosamente, prende corpo, frammento dopo frammento, in una miscela di verità e di voci, un dopo-Conclave gravido di altre sorprese: anche perché stanno rapidamente emergendo la portata e le incognite legate al primo pontificato globale, dopo quello di un Giovanni Paolo II figlio e vincitore della Guerra Fredda; e dopo l'impossibile riflesso eurocentrico di Benedetto XVI. I «no» di Francesco alle abitudini del passato diventano, su questo sfondo, indizi di una nuova identità da inventare; e l'archiviazione obbligatoria dei residui di quella passata.

PAPA BERGOGLIO

Il timore di una «strategia della tabula rasa» contro la Curia va letta dunque non nella chiave di una «punizione» ma di un'evoluzione inevitabile e irreversibile. Nasce dalla volontà disperata della maggioranza del Conclave, affidata all'ex arcivescovo gesuita di Buenos Aires, di riplasmare il governo vaticano; di renderlo più aderente a quello che il cattolicesimo una volta definito «periferico», e ora strategico, chiede a Roma. Al punto che qualcuno prevede: «Il problema non sarà quello di fare agire il Pontefice, ma di frenarlo».

Le sue parole nei confronti del «papa emerito» Benedetto XVI continuano ad essere bellissime, rispettose, affettuose, di «imperitura riconoscenza». Ma questo non significa, pare di capire, che Jorge Mario Bergoglio defletterà da una linea totalmente innovativa rispetto a Joseph Ratzinger. A imporglielo sono il contesto mutato e una crisi drammatica della Chiesa e del Vaticano.

cristina fernandez de kirchner e bergoglio

«Segretario di Stato, Prefetto della Casa Pontificia, Cerimoniere delle liturgie: da queste tre nomine si capirà dove Francesco vuole portare la Chiesa», spiegava ieri un alto prelato non italiano. Faceva intendere implicitamente che tre caselle sono destinate a cambiare in un qualche momento dopo Pasqua: quella occupata da Tarcisio Bertone, quella riempita da pochi mesi da don Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e l'altra di monsignor Guido Marini. La strada appare segnata, anche se dalla cerchia di due delle «eminenze» additate come i vertici del «partito romano», cioè Bertone e il decano del Collegio cardinalizio, Angelo Sodano, è stata fatta filtrare la notizia che il loro voto in Conclave è andato a Bergoglio in opposizione ad Angelo Scola. Con una punta di malizia gli avversari dei due ex segretari di Stato vaticani spiegano che le loro schede sono state aggiuntive, non decisive. E comunque, il mandato che Francesco si è dato non è di scendere a compromessi.

FIGURINA MARIO BERGOGLIO CALCIATORE ARGENTINA

A conferma di una scelta forse in incubazione da giorni, e maturata prima ancora che i 115 «grandi elettori» si chiudessero nella Cappella Sistina, arriva una voce dagli Stati Uniti: quella di un incontro di lunedì 11 marzo a Washington. Il nunzio papale, Carlo Maria Viganò, ha ricevuto i vertici della «CALL», acronimo della Catholic Association of Latino Leaders, un'organizzazione caritativa che rappresenta circa cinquanta milioni di americani di lingua spagnola. E dopo avere ascoltato le loro domande e le loro previsioni sui «papabili» si sarebbe limitato a dire: comunque vada, mercoledì sera avremo il nuovo Papa. Viganò «indovinava» i tempi, se non l'esito, grazie alle notizie che riceveva dai suoi interlocutori statunitensi a Roma? Certo sapeva più di una Cei che dava per scontata l'elezione di Scola: al punto da avere preparato il comunicato di congratulazioni con il nome dell'arcivescovo di Milano, e da diffonderlo per sbaglio anche dopo la notizia che si trattava di Bergoglio.

Dal modo gioioso in cui la pattuglia guidata da Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha salutato Francesco dopo l'elezione, si è capito che i cardinali delle Americhe sono stati fra i registi più accorti e decisi del Conclave. E l'esito è un'operazione che smonta vecchi gesti, parole, logiche, quasi appartenessero a una «lingua morta»; e li assembla e li combina in modo nuovo, ridimensionando di fatto il peso della Curia e le sue dinamiche; e riequilibrando la presenza e il potere degli «italiani», sovrarappresentati e mal visti per avere alimentato, questa è l'accusa, divisioni e scandali. Non c'è solo il dettaglio di un Bergoglio che finora non ha mai chiamato «eminentissimi» i cardinali, come accadeva prima, ma solo «fratelli». Nè gli strappi al rituale del vestiario e degli spostamenti con i simboli più appariscenti e ultimamente contestati del potere pontificio. Qualcuno ha notato una punta di disagio nel nuovo papa perfino quando ieri ha rotto i sigilli dell'Appartamento.

bergoglio mannelli

È quello che tutti scrivono con la «a» maiuscola perché ci abitava Benedetto XVI, e che era rimasto chiuso dalle dimissioni del 28 febbraio scorso. Chi ha ritenuto, a torto o a ragione, di cogliere un'ombra nei primi sguardi del nuovo Pontefice all'Appartamento, non l'ha attribuita al fatto che proprio da quelle stanze sono stati fatti uscire molti dei documenti di Vatileaks, fotocopiati e portati via illegalmente dal maggiordomo Paolo Gabriele. Piuttosto, era come se agli occhi di una persona che non nasconde l'inclinazione alla frugalità, come Francesco, la casa sembrasse troppo grande: troppo «papale». Qualcuno arriva a scommettere che non sarebbe sorprendente se alla fine optasse per un appartamento più piccolo, scelto fra quelli al piano sopra.

BERGOGLIO SALUTA PIAZZA SAN PIETRO DOPO LELEZIONE

Ma forse, questo fa parte della retorica che accompagna l'arrivo di ogni pontefice: un culto della personalità in parte fisiologico, perché dopo un trauma come la rinuncia di Benedetto XVI c'e bisogno di sottolineare la novità e perfino di esagerarla; in parte rischioso, perché alimentare attese di cambiamento epocali può trasformare le speranze in delusioni, quando le difficoltà e le resistenze si rivelano forti quanto la volontà di chi è stato eletto col compito di abbatterle. Per paradosso, Francesco ha il vantaggio dell'età. Avere quasi 77 anni gli permette di essere un pontefice non di transizione ma della transizione, nel senso meno banale del termine: è colui che deve promuoverla, provocarla, e fin dove gli sarà possibile guidarla. Più si andrà avanti, più sarà chiara una posta in gioco che rimette in discussione tutto, tranne i principi fondamentali sui quali si basa la dottrina della Chiesa cattolica. Per questo sarà un processo doloroso, punteggiato da altri «no».

suora foto a nuovo papa francesco bergoglio

 


60 ANNI, 50 SFUMATURE DI EROTISMO: RITORNA “HISTOIRE D’O”

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Natalia Aspesi per "La Repubblica"

Sopranos Eros e Tanatos 9 eros as 05

Ritorna Histoire d'O, e le signore in età guardano se per caso non l'abbiano già, dimenticato da anni, nella parte più irraggiungibile della libreria di casa. E capita che le più letterate, con sommo stupore, ritrovino, del tutto rimossa dai ricordi, addirittura la prima edizione francese, un libretto giallastro, dalla copertina priva di illustrazioni, severo come un saggio filosofico.

E con le pagine di carta grossolana che, come tomi più antichi, bisognava separare tagliandole. 1954: in un'epoca catacombale di doverosa e quasi sempre ipocrita innocenza femminile, in che modo se lo erano procurate quelle italiane di buona famiglia, allora giovinette, cosa le aveva spinte a voler leggere, in francese poi!, e in peccaminoso segreto, quel libro demoniaco, innominabile in qualsiasi casa onorata; quali scombussolamenti, e terrori, e piaceri, avevano acceso, nell'ignoranza erotica della loro fantasia per non parlare della pratica, quelle pagine di ininterrotto oltraggio al corpo femminile, penetrazioni su penetrazioni in ogni possibile orifizio, frustate, catene, marchiature a fuoco, e lei, O, in mezzo ai suoi instancabili torturatori mascherati, proprio contenta no, però devotamente consenziente, neanche un pensiero di ribellarsi con un calcio in quella maschile carne preziosa e crudele, imposta e subìta come un oggetto sacro.

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E a parte O nuda, tutti in costume più o meno Settecento, valletti sadici compresi!
Autore di tanto accumulo di sevizie senza in cambio neppure un gioiellino, accettate con gioia e lacrime per puro inconsulto atto d'amore, non il solito imitatore di De Sade, ma una donna, francese ovvio, tale Pauline Réage; che aveva osato scrivere sadomasochismi estremi non per i soliti maschi pasticcioni ma per le signore più raffinate, inquiete e forse persino spiritose; una donna del tutto ignota persino a chi aveva osato pubblicarla, secondo la dichiarazione resa alla polizia del buon costume da Jean-Jacques Pauvert, editore specialista in ardimenti erotico-letterari, il solo che pubblicandola, aveva osato affrontare soprattutto l'indifferenza della critica, impegnata ad esaltare o denigrare il portentoso successo della giovane Françoise Sagan e del suo peccaminoso Buongiorno tristezza.

‘’CINQUANTA SFUMATURE DI MINCHIA’’

Abbattuta dal silenzio, la prima edizione di O fu un flop editoriale: ci vollero mesi per esaurire nel silenzio le sue duemila copie, malgrado la prefazione del massimo letterato alla moda, Jean Paulhan, direttore della Nouvelle Revue Française.

CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO

Un anno dopo, il romanzo vince l'importante premio dei Deux-Magot, e scoppia lo scandalo, gli intellettuali si dividono, lo esaltano (Bataille), lo denigrano (Mauriac), ne viene proibita la pubblicità e soprattutto ci si chiede chi sarà mai lo sporcaccione letterato che si cela dietro lo pseudonimo di Pauline Réage? Non certo una donna, essendo ovvio che la pornografia, per di più così raffinata, è un'arte esclusivamente maschile. L'autore quindi poteva essere lo stesso Paulhan, oppure Monterland, o forse addirittura Robbe- Grillet.

La scostumata Réage era ancora solo un ombra senza volto né genere, quando nel 1971, ben 17 anni dopo l'edizione francese, O fu finalmente pubblicato in italiano dalla vivace redazione Bompiani (oggi torna con la traduzione di A. D'Anna), nella sua prestigiosa collana letteraria. Ma intanto anche le italiane si erano scocciate e almeno a parole e in piazza, il loro corpo se lo erano ripreso: alzavano le braccia tutte insieme, univano pollice e indice delle due mani, formando una specie di O, non certo in nome dell'acciaccata protagonista dell'Histoire, ma in onore del proprio sesso, non più ignorato come una mancanza ma finalmente esaltato in tutti i suoi misteri.

MINETTI E LE CINQUANTA SFUMATURE jpeg

Nella traduzione italiana si mantenne la dotta e pomposa prefazione di Paulhan, e per attutire cattivi pensieri ed eccitazioni non letterarie, si aggiunse un testo di Alberto Moravia che si sforzò di raffreddarne la lettura paragonando il mondo di O a quello inerte della fotografia di moda. Alle signore fece un effetto tutto diverso e infatti diventò subito un bestseller, insinuando nel loro immaginario fantasie segrete del massimo azzardo, soprattutto in tempi di femminismo.

Questa infuocata conseguenza fu ignorata dalla critica, e ci fu chi ne esaltò il valore letterario (Carlo Bo) e chi (Alberto Arbasino) lo definì «un abile pastiche» derivato direttamente da Sade e Restif de la Bretonne «con un pizzico di Bataille». Certo, proprio a causa del fastidio rivoltoso delle donne, il romanzo che restituiva ai maschi un potere fallico assoluto e ormai molto immaginario, incuriosì molto anche gli uomini; e infatti, ricorda Mario Andreose, direttore editoriale Bompiani, la prima edizione di 15mila copie sparì in un attimo, e in pochi anni le vendite superarono le 100mila. Nel 1975 arrivò sugli schermi una "Histoire d'O" diretto da un giovanotto alla moda, Just Jaeckin, con la bella Corinne Cléry, dalla nudità asessuata e intonsa anche dopo ogni intollerabile sopruso.

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Grandi polemiche, incassi strepitosi. Franco Maria Ricci pubblicò una O di lusso barocco disegnata da Crepax, un'edizione pirata invase le edicole. Histoire d'O era ormai diffuso come gli album di Tex e Diabolik. Ma la signora Réage rimaneva sempre un enigma, non chiarito neppure da Régine Deforges, editrice-scrittrice molto libertina per conto suo, più volte condannata per oltraggio al pudore, che nel 1975 pubblicò O m'a dit, un libro intervista alla supposta autrice, così descritta: «Ha l'aria di una religiosa. Tailleur blu, tacchi bassi, niente trucco... intimidisce...».

E L JAMES AUTRICE DI CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO

L'identità della signora era ancora un mistero nel 1990, quando L'Espresso vendette 350mila copie con allegato una copia di O dei Bompiani tascabili, in copertina tre ragazze vestite, e una toppa nera a nascondere un seno probabilmente nudo (tre anni dopo fu Panorama ad allegare il prezioso reperto ormai storico), confermando tuttavia «la provenienza letteraria dell'autore, considerata l'alta qualità dello stile e la sapienza con cui è articolata la storia». Finalmente, nel 1994, in un'intervista al New Yorker, Pauline Réage cedette: lei era conosciuta come Dominique Aury, che era comunque uno pseudonimo, quello di Anne Desclos, coltissima traduttrice, eroina della Resistenza, autrice di un'ammirevole Antologia della poesia religiosa francese.

Nel comitato di lettura di Gallimard era diventata l'amante di Paulhan, e per amor suo, a 47anni (lui era un settantenne ancora fascinoso) e con un visino smorto e pudibondo come mostra una sua foto, aveva scritto O per il di lui dispotico piacere. Bisessuale piuttosto sfrenata, fu anche l'amante della storica Edith Thomas, che potrebbe averle ispirato uno dei personaggi del romanzo, Anne-Marie.

La porno-letterata aveva difeso la sua privacy per quarant'anni, al momento dell'intervista era ormai una severa vecchina di 87 anni. Morì novantenne, decorata con la Legion d'Honneur, massimo riconoscimento francese.

COPERTINA DEL LIBRO CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO jpeg 9 eros as 22

Apparentemente passato di moda, Histoire d'O ha continuato a vendere silenziosamente anche in Italia, più o meno diecimila copie l'anno, anche online, come e-book o scaricato in pdf. Si sa che l'immensa fortuna della trilogia della signora E. L. James dedicata a
Cinquanta sfumature di grigio (rosso, nero) è nata sul web, molto frequentato dalle donne avide della nuova categoria del pornorosa, che preferiscono l'intimità del computer al libro esibito in casa.

Poi si sa che, diventato cartaceo in tutto il mondo (con Mondadori in Italia) ha superato i 31 milioni di copie ed è ancora nelle nostre classifiche. Adesso Bompiani ripubblica O tale e quale la prima edizione del 1971, nella collana Vintage, come un classico di alta letteratura, tipo Proust.

 

CHI HA MATATO IL MATADOR? CAVANI E LA BELLA NAPOLETANA

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Carlo Tarallo per Dagospia

E' giovanissima, alta, bella, prosperosa, figlia di un noto ristoratore napoletano, e sarebbe (o sarebbe stata) l'amante di Edinson Cavani. La moglie Soledad, scoperta la "tresca" , avrebbe fatto i bagagli e sarebbe partita per l'Uruguay, dove ha partorito il secondo figlio, Lucas. Un figlio che Cavani non ha ancora visto. Sarebbe questa, secondo spifferi sempre più insistenti, la vera ragione della crisi nera del bomber napoletano, il cui ultimo gol in campionato risale al 27 gennaio scorso.

super cavani foto mezzelani gmt

L'indiscrezione circola in città da qualche giorno, tra tanti "non detto" e particolari curiosi. Tra questi, un recente "blitz" in Terra Santa di Cavani insieme a sua madre, per chiedere perdono e dimostrare pentimento a Soledad. Un gesto che non avrebbe ottenuto l'effetto sperato: la moglie del Matador non è tornata in città, continua a starsene in Uruguay e, a quanto pare, non avrebbe (ancora) nessuna intenzione di perdonare il marito.

CAVANI

Edinson, l'atleta di Cristo tutto casa e famiglia, avrebbe conosciuto la bella studentessa frequentando il ristorante sul lungomare di Napoli. Dopo i primi incontri amichevoli, sarebbe scattata la "scintilla". La società e i compagni di squadra, avrebbero fatto quadrato intorno al giocatore, smentendo tutte le voci e stendendo un "cordone sanitario" intorno a Cavani. Se la storia fosse vera, la speranza è che la moglie possa in fretta perdonare la presunta "marachella" del Matador e ritornare in città insieme ai due figli. Prima che sia troppo tardi. Per il Napoli.

 

GRILLO SE LA PRENDE CON BERSANI ANZICHE’ CON I SUOI

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1 - GRILLO: «PD IMPRESENTABILE, BOLDRINI E GRASSO SONO DUE FOGLIE DI FICO»
Marta Serafini per "Corriere.it"

Laura Boldrini e Piero Grasso, eletti sabato alla presidenza di Camera e Senato, solo delle «foglie di fico» in una «legislatura che si annuncia breve». E poi un attacco al futuro presidente della Repubblica, che in Italia ha «poteri da monarca». È il nuovo post del portavoce del Movimento Cinque Stelle (come chiede di essere chiamato) Beppe Grillo, pubblicato domenica mattina: «Il candidato di pdl e di parte (gran parte?) del pdmenoelle è Massimo D'Alema.

Non è ufficiale e nemmeno ufficioso, ma è molto plausibile. Non ci credete? Non ci credevo neppure io». E ancora: «La candidatura di D'Alema - aggiunge - sarebbe irricevibile dall'opinione pubblica. Un fiammifero in un pagliaio. Il Paese non reggerebbe a sette anni di inciucio. Un passo indietro preventivo e una smentita, anche indignata per le "voci infondate", sarebbero graditi».

«ELEZIONI? NON SA QUELLO CHE DICE» - Riguardo alla legislatura breve, arriva la risposta del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: «La situazione non è facile e credo che chi parla troppo facilmente di elezioni anticipate non sappia bene quello che dice».

L'ANTEFATTO - Il post di Grillo è arrivato dopo una serata lunga e difficile, alle prese con le prime spaccature a Cinque Stelle. Grillo non è a Roma. Segue a distanza tutta la giornata. Per le votazioni alla Camera va tutto liscio, i deputati hanno una linea comune. Al Senato però qualcosa si rompe. E una parte dei grillini decide di votare Grasso. Per tutto il giorno da Genova non arriva una parola. Alle 22:55 Grillo rompe il silenzio e pubblica un brevissimo post su Trasparenza e voto segreto, in cui lancia un messaggio chiaro: «Chi sgarra è fuori». Sono parole quasi sibilate («Se qualcuno si fosse sottratto a quest' obbligo ha mentito agli elettori, spero ne tragga le dovute conseguenze»). Una minaccia, frutto di una giornata concitata. Già, perché la contromossa di Bersani, che mette in campo Grasso, sa tanto di scacco al Re. E Re Grillo ora teme nuove spaccature proprio sulla partita più grande, quella della fiducia

COMMENTI SUL BLOG - Sotto il post piovono migliaia di commenti. C'è chi difende la scelta dei senatori che hanno votato Grasso, c'è chi urla al tradimento. E c'è persino chi invoca l'espulsione di Vito Crimi, il portavoce che ha lottato fino all'ultimo per tenere compatto il gruppo. In tanti chiedono la piattaforma di democrazia liquida, quella che Grillo e Casaleggio hanno spiegato di voler introdurre nei prossimi mesi «perché non siamo riusciti a farla prima delle elezioni». Si tratta di uno strumento che se usato correttamente eviterebbe di far emergere le divergenze in riunioni a porte chiuse portando tutto alla luce del sole. Proprio come fanno i Pirati in Germania.

SERRARE I RANGHI - Ora però è tardi per recriminare. La storia non la si fa con i se. Bisogna serrare i ranghi. Crimi non si tocca, è uno dei fedelissimi. Fare mosse avventate in questo momento contribuirebbe solo a spaccare ulteriormente il fronte. E che fare di chi ha votato Grasso? Grillo sa bene che questa volta è diverso, che non è come sbattere fuori i consiglieri emiliani Favia e Salsi. E Grillo sa anche molto bene che un gesto del genere gli farebbe piombare addosso una valanghe di critiche: «hanno votato contro la mafia, che fai li cacci?», commenta già qualcuno su Twitter. Ma l'imperativo che arriva da Genova è chiarissimo: sulla fiducia le truppe Cinque Stelle devono rimane unite. «La decisione di non appoggiare Bersani non è in dubbio», spiega chi gli è fedele. Su Grasso si può anche chiudere un occhio. Ma nessuno deve piegarsi di fronte all'odiato Gargamella. Già, perché se qualcuno cede ai partiti il M5S ha finito ancora prima di iniziare.


2 - BERSANI: "NIENTE ACCORDI, CHIEDO APPOGGIO SUL PROGRAMMA. M5S? METODI LENINISTI"

Da "Adnkronos.com"

Nessun accordo preventivo, ma alle forze politiche chiederò di "sostenere un programma che abbia il segno del cambiamento". Dopo aver incassato un primo punto ieri con le elezioni dei presidenti di Camera e Senato, Pier Luigi Bersani guarda al governo. "La situazione non è facile e credo che chi parla troppo facilmente di elezioni anticipate - dice a un incontro pubblico a Brescia - non sappia bene quello che dice". Il Pd cercherà di dare un governo all'Italia e non "per ambizione ma per senso di responsabilità". "Qui non c'è di mezzo né Bersani né il Pd ma - puntualizza il leader Dem - c'è di mezzo il fatto di trovare la strada per dare risposte ai problemi che la gente ha. Chi non ci crede è gretto e meschino".

Per questo Bersani rivendica il fatto di aver cercato fino all'ultimo un accordo con le altre forze politiche. "Quel che ho detto ho fatto: ho detto che fino all'ultima ora cercheremo una reciprocità con le altre forze del Parlamento e per questo ho cercato di parlare con il Movimento 5 Stelle, con Scelta civica e anche con il Pdl. Ci abbiamo provato fino all'ultimo ma non c'è stata disponibilità da nessuna parte. Il Pdl ci ha detto 'ascoltiamo e basta', il Movimento 5 Stelle che avevano i loro da votare e Scelta civica guardava all'ipotesi improponibile di Monti al Quirinale", ricorda.

E i media secondo il leader Pd non hanno aiutato. "In questi 20 giorni ci hanno massacrato in modo irresponsabile". Se "in un momento così difficile - osserva - chi gestisce l'informazione non prende mai sul serio quello che la politica ti dice, come fa la gente a prendere sul serio la politica? Io - assicura - quello che dico lo penso".
Quindi, sottolinea, "abbiamo una responsabilità che non possiamo esercitare da soli e la giornata di ieri ci ha insegnato qualcosa".

Una stoccata poi Bersani la rivolge al Movimento 5 Stelle marcando la differenza: "Vedo che fa riunioni a porte chiuse e poi vuole lo streaming quando va dal Capo dello Stato secondo un antico leninismo: 'mi organizzo più o meno segretamente e poi approfitto di tutti gli spazi che la borghesia cogliona e capitalista mi dà'. Noi andiamo in streaming con la nostra direzione interna ma la riservatezza dei colloqui con il Capo dello Stato la garantiamo".

Quanto alle posizioni rigide dei grillini, incalza: "Uno può anche star fuori dal Parlamento e allora forma un gruppo extraparlamentare ma il Parlamento non è una torta dove prendi solo le ciliegine. Devi prenderti anche le tue responsabilità, che vuol dire decidere". Bersani però ribadisce di non essere "alla ricerca di deputati o senatori" grillini. "Quando ho detto scouting chi ha capito che andavamo a contattare dei parlamentari ha capito al rovescio. Scouting per me vuol dire che voglio capire se quella formazione, in quanto tale, si prende delle responsabilità rispetto al ruolo parlamentare che ha voluto rivestire e vuole anche dire la propria sul tema del governo".

Intervistato da Maria Latella su Sky il segretario rilancia la sfida a partire dai costi della politica, tema caro ai 5 sStelle, e si dice ''pronto'' a fare ''entro luglio una nuova legge che superi il finanziamento pubblico dei parrtiti e riconduce il finanziamento alla politica a piccole contribuzioni volontarie dei cittadini, parzialmente assistite da un meccanismo fiscale''. E prima della riforma, propone rispondendo alla sfida che giorni fa proprio Grillo gli aveva lanciato, ''si può sospendere l'erogazione'' dei rimborsi elettorali. Il segretario del Pd, però, ribadisce di non essere disposto a ''togliere qualsiasi finanziamento, sennò la politica la fanno solo i miliardari''. E proprio a Grillo dice: "Senza soldi non si monta un palco. Non mi si racconti che gli asini volano, per montare un palco ci vogliono i soldi''.

Quanto al suo tentativo di formare un governo chiarisce: al Capo dello Stato ''vado a dire che secondo me non funzionerebbero accordi preventivi, non ci sono condizioni. Bisogna chiedere alle forze politiche di sostenere un programma di avvia che abbia il segno di cambiamento, su punti urgenti come la moralità pubblica e il lavoro''. A Napolitano, continua il segretario del Pd, ''dirò che mi rendo conto che noi, il Pd, io, abbiamo avuto un primato ma non le condizioni per esercitare questo primato''. Qualsiasi cosa, però, rimarca sarà fatta ''non in nome dell'ambizione ma di una responsabilità dura e difficile davanti al Paese''.

Un secco no è poi quello ribadito da Bersani a un governo Pd-Pdl. ''Strane maggioranze non si possono più fare''. E questo ''non perché lo dice Bersani ma perché non si può mettere un coperchio precario su una pentola a pressione. Una maggioranza precaria non è più possibile''. La strada, certamente, spiega Bersani, ''è una strada molto stretta. Penso di poter dire che altre strade sono ancora più strette. Tutte le soluzioni che in qualche modo prevedessero una comparticipazione delle forze politiche -aggiunge- dovrebbe riuscire ad essere larghissime e unanime''.
E a chi obietta che non ha i numeri per fare il governo replica: ''Io chiedo un po' di tranquillità a tutti, le istituzioni non c'entrano con il governo, stiano tranquilli i 5stelle, stia tranquillo Berlusconi, stiano tranquilli tutti...''.

Poi sull'elezione dei presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso, scherza: ''Ho buttato due ministri''. ''Le istituzioni ieri - aggiunge serio - hanno preso una boccata d'aria fresca e oggi c'è più amicizia tra le istituzioni e il cittadino''. Ma, rivendica, immaginare che la mossa di candidare Grasso e Boldrini sia stata ''un'improvvisazione, come la mossa di un pugile che deve uscire dall'angolo mi pare infantile... A volte, basterebbe fidarsi di quel che uno dice e non rappresentare sempre i politici come quelli che dicono alcune cose e ne pensano altre. Ho detto: cercherò la corresponsabilità fino all'ultimo, se non ci sarà ci caricheremo della nostra responsabilità, che per noi vuiol dire cambiamento. Abbiamo cercato fino all'ultimo, non è stato possibile e non per responsabilità nostra''.

''A chi dice, hai voluto il voto del grillino, dico: noi abbiamo fatto quello che dovevamo e volevamo fare''. Comunque, dice Bersani, ''secondo me, lo ha votato anche qualcuno di Scelta civica. Perché no? Perché non votare Grasso?''.
Quanto all'ipotesi Monti al Qurinale si mostra scettico: ''Nella vita non si esclude mai niente. Lo hanno scritto i giornali e qualche tempo fa lo pensavo anch'io. Ma le cose hanno preso una piega... Ora è una figura che si ritrova nel pieno del gioco politico e questo rende la cosa più difficile''.

In caso di voto a giugno, il Pd farà le primarie per il candidato premier? ''Francamente -risponde Bersani - è un tema che non ho affrontato... Spero che non si vada a votare a giugno''. Quanto alle primarie, ''siamo talmente collaudati che non vedo problemi'' a farle anche in tempi brevi.

 

QUALCUNO CONVINCA BERSANI A CEDERE IL PASSO AD ALTRI PER LA GUIDA DEL GOVERNO

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DAGOREPORT

Poiché in certi momenti della vita politica di un Paese la differenza tra quel che è cronaca e quel che può diventare storia e' davvero sottile, indirizziamo questa umile lettera aperta al segretario del Pd, Bersani Pierluigi.

Gentile segretario,

le prossime ore saranno decisive per il futuro del Paese, del governo, della legislatura e per Lei personalmente, solo di fronte alla Sua coscienza e alla Sua scelta: cedere il passo ad altri per la guida del governo e, per questa via, incamminarsi verso la storia come uno statista oppure intestardirsi per avere l'incarico e portare il Paese, il governo e la legislatura a sbattere contro la dura legge dei numeri.

BERSANI

Lei, signor segretario generale, ha l'occasione di fare un salto definitivo nella Sua carriera politica, una occasione unica da cogliere nelle prossime ore. O mai più. Vada al Quirinale mercoledì a comunicare al Presidente della Repubblica la Sua irrevocabile decisione: nessun incarico per formare il nuovo governo, ne' pieno né tantomeno esplorativo. Renderà così un servizio alto e nobile al Paese e favorirà la nascita di un governo nuovo più espressione del cambiamento epocale in essere e fara' in modo che il successo ottenuto con l'indicazione di Boldrini Laura e di Grasso Piero non si riveli effimero.

Se non farà questo (tenga anche conto che un incarico pieno Re Giorgio Napolitano non glielo darà mai!), si assumerà la responsabilità di provocare nel Parlamento e nel Paese una lacerazione senza precedenti, difficilmente sanabile in tempi brevi e con conseguenze devastanti per il futuro di tutti noi.

Nel decidere questo passo indietro, in nome della governabilità e del Suo alto senso delle istituzioni rendendo così davvero un servizio alto e nobile all'Italia, si ricordi di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro. Entrambi, seppur con sofferenza umanamente comprensibile, non avrebbero dubbi su come comportarsi: prima il Paese e dopo, molto dopo, le ambizioni personali.

BERSANI

Questa scelta coraggiosa non solo La incoronerebbe, gentile segretario, come uno statista di livello europeo ma La farebbe diventare il vero dominus del futuro governo, della legislatura, del Pd (altro che renziani...) e La proietterebbe in avanti con prospettive anche felicemente imprevedibili.

Ma, come direbbe Moro, "non è possibile saltare questo tempo". Sarebbe bello, ma non è possibile sfuggire alle responsabilità di oggi, quelle di scegliere e decidere. "Bisogna essere coraggiosi e fiduciosi", Le direbbe ancora Moro, bisogna vivere il tempo che ci è stato dato con responsabilità e soprattutto con spirito di servizio e senso dello Stato.

Re Giorgio Napolitano, che sa bene di cosa parliamo, non avrebbe esitazione alcuna ad esaltare in tutti i modi un comportamento siffatto, dando a Lei la più alta legittimazione e consacrazione e, soprattutto, rendendo così anch'egli l'ultimo servizio al Paese del suo settennato.

Rispettando la solitudine e l'importanza di una scelta che fortunatamente e' solo Sua, porgiamo, signor segretario generale, molti cordiali saluti e attendiamo fiduciosi le Sue decisioni.

Post scriptum operativo. Affinché il travaglio della scelta non Le faccia perdere lucidità di manovra Le ricordiamo che sarebbe opportuno

BERSANI E NAPOLITANO

1. Riunire mercoledì un'ora prima di salire al Quirinale gli organi del Pd annunciando loro la Sua irrevocabile decisione

2. Appena davanti al Presidente della Repubblica, dire a Re Giorgio che Lei ha necessità di fare una dichiarazione preliminare, cioè precedente al colloquio stesso, per comunicare la decisione presa.

GOVERNO DI SCOPO E SCOPONE BERSANI GRILLO BERLUSCONI NAPOLITANO

3. Spiegare alla stampa subito dopo il valore del Suo gesto per dare un governo al Paese, un governo che sappia affrontare subito l'emergenza economica insopportabile per i cittadini ed evitare le elezioni a giugno, dove i tre blocchi principali (sinistra, centrodestra e grillini che si dividerebbero anche i voti della zattera ex Monti) si ritroverebbero più o meno allo stesso punto, dando nel frattempo un colpo durissimo alle speranze di staccarci dalle sabbie mobili in cui siamo precipitati .

IL PAPA VOLA A CASTELGANDOLFO BERSANI FINESTRINO

4. Appena tornato in ufficio bando alle chiacchiere: chiami subito Alfano Angelino, Maroni Roberto, i due capigruppo grillini, i capigruppo di Scelta Civica (che saranno certamente molto più responsabili di Monti Mario: si ricordi infatti che quel che resta del bocconiano e' solo un impasto di megalomania e dilettantismo politico, e si ricordi che anche lo spread da quando il premier suo malgrado in carica per gli affari correnti e' diventato politicamente irrilevante si è calmato, non a caso) e concordi con loro come procedere per aiutare il Presidente della Repubblica a fare un governo e, soprattutto, l'Italia ad averlo.

 

 

LA BOLDRINI NON LEGA CON MARONI: ADDIO DUPLEX LEGA-PD

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Giovanni Cerruti per "La Stampa"

Forse bastava una telefonata. E invece no, nemmeno quella. «Davvero?». Davvero, spiegano a Roberto Maroni con un sms, quando sono le nove del mattino. È bastata una notte e addio, i lavori in corso sono già finiti. L'accoppiata Boldrini-Grasso non poteva piacere. Meglio, molto meglio quell'accordo che partiva con Anna Finocchiaro presidente del Senato. «Ma a quanto pare il Pd ha voluto tirar giù la saracinesca», dice Massimo Bitonci, capogruppo al Senato. E Davide Caparini, deputato bresciano: «Complimenti, così riescono nella grande impresa di farci votare Schifani al Senato».

La telefonata a Maroni è arrivata troppo tardi. «A cose fatte», dice lui con un certo fastidio. «Ora ci sono due schieramenti, e con questi due Presidenti di Camera e Senato ci spingono a rafforzare l'alleanza con il Pdl». Un bicchiere ancora mezzo pieno: «Meglio per il nostro progetto nelle regioni del Nord, avremo più tempo. Provino a metter su un governo Pd e "grillini", se ci riescono. E poi vedremo quanto dura». Mercoledì Maroni sarà a Roma, con la delegazione che sale al Quirinale per le consultazioni. Difficile che in tre giorni gli umori possano cambiare. E a questo punto è impensabile che altre telefonate possano bastare.

Perché ai leghisti, per cominciare male la giornata, il nome di Laura Boldrini non è mai piaciuto e non piace. «Ma come, proprio lei che sulle questioni di profughi e immigrazione si è sempre messa di traverso, quando Bobo era al Viminale?», dice il senatore milanese Massimo Garavaglia. Gianluca Pini, deputato romagnolo è più spiccio. «Ma se gli pisciava in testa un giorno sì e l'altro pure». Su Grasso, invece, meno turbamenti. Anche se i buoni rapporti con Maroni pare siano appena formali, collaborazione senza troppe scosse negli anni al ministero degli Interni e nulla più.

«Non c'è più nulla da trattare», annuncia ai senatori il capogruppo Bitonci. La saracinesca è chiusa e si possono buttare le bozze dell'intesa, i sei punti che il senatore bergamasco Giacomo Stucchi venerdì pomeriggio riassumeva così: «Via il patto di stabilità, interventi per lavoro e sviluppo, riduzione dei parlamentari, riduzione fiscale, fine del bicameralismo perfetto e infine riforma elettorale». Un programma per almeno due anni di governo. Ma in una notte la disponibilità della Lega è svanita. Boldrini e Grasso due ostacoli impossibili da superare.

«Peccato - dice a sera Bitonci -, per colpa del Pd si è persa una grande occasione. Si stavano creando le basi per una legislatura di riforme». E bastano queste poche frasi per intravvedere una certa delusione. «Tra Bersani, Grillo e Monti si son voluti creare una loro maggioranza -insiste Sergio Divina, senatore trentino -. Ora si mettano a governare, se ci riescono. Noi eravamo all'angolo del ring, ora siamo fuori. E prima di capire come andrà a finire aspettiamoci qualche intemerata di Grillo dal suo blog». E non sembrano i migliori auguri di buon lavoro, al contrario é lo sfogo di chi non l'ha presa bene.

Maroni domani riunisce i suoi a Milano, in via Bellerio. Ci sarà poco da dire. «Faranno nascere, se riescono, un governo sinistra-centro»: Pd più «grillini» o «montiani». L'attesa vera è per mercoledì, con l'inizio delle consultazioni al Colle. Sperando che non vada a finire come nella Lega si teme, con nuove elezioni alle viste. E queste sì che sarebbero un rischio da evitare, per una Lega ha appena preso il Pirellone con Maroni, e va bene, ma ha perso un terzo dei voti. Non è detto che ritornino in cassa così in fretta. E la Lega ha bisogno di tempo. E di un governo.

 

 

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