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NICK AL GABBIO - RESPINTA L’ISTANZA DI REVOCA DELL’ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE PER NICOLA COSENTINO…

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(Ansa) - Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha respinto l'istanza di revoca dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Nicola Cosentino in carcere, nel procedimento in cui il parlamentare e' accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per presunti rapporti con il clan dei Casalesi. La decisione e' stata adottata oggi dal collegio C della prima sezione penale del Tribunale presieduta da Giampaolo Guglielmo.
Il tribunale si e' riservato di depositare le motivazioni nei prossimi giorni, probabilmente giovedi' prossimo.

NICOLA COSENTINO jpegNICOLA COSENTINO ALLA CONFERENZA STAMPA

Davanti al Collegio e' in corso di svolgimento il processo Eco4 che vede imputato Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione mafiosa.
Cosentino, se l'ordinanza non venisse revocata successivamente dal Riesame, potrebbe essere arrestato pertanto nel momento in cui decade dalla carica di deputato, ovvero quando si insedia il nuovo Parlamento.

Sull'istanza, presentata dagli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, avevano espresso parere negativo i pm della Dda di Napoli. Una analoga richiesta di revoca, riguardante un diverso procedimento in cui Cosentino e' imputato per il finanziamento di un centro commerciale di Casal di Principe, e' ancora al vaglio del Tribunale.

NICOLA COSENTINO NICOLA COSENTINO

 


LE MANI AL KOHL - IL VECCHIO CANCELLIERE TEDESCO HELMUT KOHL, SAREBBE TENUTO “PRIGIONIERO” DALLA SECONDA MOGLIE

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Paolo Lepri per "Corriere della Sera"

helmut kohl

Ci sono tutti gli ingredienti di un romanzo a tinte cupe, degno della penna di Daphne du Maurier. Ma i protagonisti appartengono alla realtà, ed uno di loro ha costruito la storia del Ventesimo secolo. Tanto veri, che non disdegnano di apparire nei talk-show più seguiti, come hanno fatto giovedì i due figli di Helmut Kohl. La tragedia umana dell'ottantaduenne cancelliere dell'unità tedesca è arrivata al suo ultimo capitolo, il più amaro. C'è ancora il tempo però di aggiungere nuovi dettagli. «Maike Richter, la donna che ha isolato dal mondo mio padre e gli proibisce di incontrarci, che ha sempre vissuto nel culto ossessivo della sua personalità, aveva una relazione con lui già molti anni prima del suicidio di mia madre», ha rivelato Peter, 47 anni, due meno di Walter, in una delle tante interviste che stanno accompagnando la ripubblicazione del suo libro, Hannelore Kohl: la sua vita.

L'Ex cancelliere Helmut Kohl sulla sedia a rotelle cui è costretto per motivi di salute

Ma non sembra tanto importante, ormai, distinguere quanto si sapeva già da quanto era rimasto nascosto nelle pieghe in questa terribile cronaca familiare. Il fallimento esistenziale di uno statista che in politica ha sempre raggiunto i suoi obbiettivi appare ormai definitivo. Lo stesso Walter Kohl ha raccontato in televisione che avere scoperto la relazione clandestina di Kohl con l'ex funzionaria del ministero dell'Economia, trentaquattro anni più giovane di lui, «non cambia nulla, le cose sono andate come sono andate». «Non è questo il principale problema», ha aggiunto. «Una frase molto strana, detta proprio dopo aver rivelato al pubblico questo risvolto sconosciuto», ha osservato Der Spiegel.

figli di kohl

Sicuramente non sconosciuto, invece, è sempre stato tutto il resto della storia. Nel 2001, il suicidio di Hannelore, minata da una rara allergia alla luce e reclusa nella solitudine oscura della sua casa. Qualche anno più tardi le prime apparizioni ufficiali di Maike Richter e poi il matrimonio. Il ruolo sempre più esclusivo della seconda moglie nel «proteggere» l'anziano leader che dal 2008 si muove su una sedia a rotelle e parla con difficoltà per le conseguenze di un ictus e di una caduta. La rottura irreparabile tra la donna e i due figli dell'ex leader cristiano-democratico. Le inchieste giornalistiche che hanno parlato di un uomo «prigioniero», strumentalizzato e pilotato da un piccolo clan diretto dalla consorte. «Tutte le volte che si nomina Kohl, l'odore dello scandalo è nell'aria», scrive Die Welt, mettendo a confronto l'immagine pubblica dell'artefice dell'unità tedesca con quella di un altro ex cancelliere, ben più amato, il socialdemocratico Helmut Schmidt.

Come se tutto questo non fosse stato sufficiente, i due fratelli sono tornati alla carica. Il ritratto di Maike tracciato da Peter nella prefazione alla nuova edizione del suo libro è impietoso. Ne emerge un personaggio quasi al limite della follia che viveva in una casa-museo piena di immagini del futuro marito, che parlava solo adulandolo come «in un film di propaganda», e che recentemente ha consegnato alla polizia una lista delle uniche persone autorizzate a visitare Kohl nella villetta di Oggersheim, in Renania-Palatinato. Tra queste non ci sono i figli. Anzi, Peter ha raccontato che il padre, dopo averlo accolto con piacere qualche tempo fa, lo avrebbe invitato immediatamente ad andarsene «per evitare un nuovo grande problema». Il veto della donna si estenderebbe perfino ai nipoti.

kohl e badanteLEX CANCELLIERE HELMUT KOHL ANGELA MERKEL ROMANO PRODI jpeg

In un biglietto scritto prima di togliersi la vita, Hannelore aveva espresso il desiderio che i figli e il marito si potessero riconciliare. I dissidi erano già forti a quell'epoca. Il rancore provocato dal suicidio della prima signora Kohl e l'ostilità di Walter e Peter per la seconda vita del padre li ha poi ulteriormente inaspriti. L'appello che proveniva da quella stanza buia è rimasto così totalmente inascoltato. Da entrambe le parti si sono incrociate le accuse per aver lasciato la donna troppo sola nella sua grave malattia. Adesso, questa nuova offensiva è destinata a rendere i rapporti ancora più tesi. Non è certo possibile tentare di stabilire i torti e le ragioni. Ma ci sono parole che forse sembrano più credibili di altre. Come quelle dette da Helmut Kohl, in una intervista: «Se Maike non fosse stata qui, io non sarei vivo e la mia vita avrebbe molto meno senso».

 

DAMILANO: TOP PER GILETTI, PASSERA E MARA CARFAGNA - FLOP PER FINI, SANTORO, MORETTI, RENZI

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MORETTI BERSANI

Marco Damilano per "l'Espresso"

È stata la campagna elettorale più breve, più gelida, più scardinata della storia repubblicana. Lettere patacca con il modulo per una restituzione dell'Imu mai decisa, lauree fantasma, il mago Zurlì costretto a mettere in campo il suo prestigio, pronto, chissà, a tenersi in riserva della Repubblica per un governo tecnico o per il Quirinale... Capi storici che lasciano le Camere, con molto onore e altrettanto dispiacere. Vent'anni dopo Tangentopoli una lista ad alta presenza di (ex) pm (Ingroia e Di Pietro, con la benedizione di De Magistris) manca clamorosamente il quorum.

MARIO MONTI ED ELISABETTA BETTY OLIVI

Un premier tecnico dotato di enorme prestigio internazionale ma tenacemente deciso a distruggere la sua immagine con una devastante e mal riuscita operazione simpatia. E il leader del partito favorito, Pier Luigi Bersani, deve già difendersi dagli attacchi. Ecco il catalogo dei vincitori e dei vinti. I sommersi e i salvati delle elezioni 2013.

TOP MASSIMO D'ALEMA
Ha fiutato il pericolo: «Abbiamo cominciato la campagna con il piede sbagliato. Sento gente che dice "abbiamo già vinto". Si scherza col fuoco». Ora si è finito di scherzare con primarie, giaguari da smacchiare, giovani turchi, trecento spartani e altri giochini, Bersani si è bruciato, lui no. Capotavola, si diceva un tempo, è dove siede lui. Solo che questa volta una sedia non ce l'ha.

FLOP NANNI MORETTI
Nel 2002 in piazza San Giovanni era lui l'artista barbuto che guidava la rivolta della società civile, buttava i leader giù dal palco scatenando reazioni furibonde: antipolitica! Dieci anni dopo al suo posto si è ritrovato Grillo, mentre Nanni si esponeva per Bersani. Invano: con questi dirigenti si poteva, al massimo, pareggiare.

GILETTI E BERLUSCONI jpeg

TOP ELSA MONTI
L'incubo di tutte le signore di bella età: convivere con un marito improvvisamente impazzito. Uno che rumoreggia al telefono in San Pietro, fa il simpaticone dopo decenni di noia, si lancia in tv a bere birre con la conduttrice, adotta un cane e ti lascia a comprare la ciotola. Lei ha tollerato, con eleganza. In attesa di dire: Mario, ora basta, torna a casa.

berlusconi, santoro

FLOP BETTI OLIVI
Assieme a Andrea Riccardi e a Federico Toniato, la portavoce del governo è stata la più influente regista della salita in politica di Monti. Accanto a lui a twittare faccette e punti esclamativi, la regista della campagna comunicativa del premier. Altro che guru americani, la spin di SuperMario è stata lei. Operazione empatia: riprova, sarai più fortunata.

TOP BRUNO TABACCI
Finalmente ha vinto! Si è molto ironizzato sui marxisti per Tabacci, gruppo facebook organizzato per le primarie. Ma se Bersani può contare sulla maggioranza alla Camera è merito del suo minuscolo Centro democratico: 167 mila voti, lo 0,5, la distanza esatta con il Pdl-Lega. Legge dell'utilità marginale: il massimo risultato con il minimo numero.

MASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONI

FLOP INGROIA-GIANNINO
Le due mine vaganti, a destra e a sinistra, sono esplose in mano ai loro leader. L'ex pm pronto a riprendere la toga non si è mai ripreso dall'imitazione di Crozza. A liquidare il giornalista bi-laureato (per finta) ci ha pensato il mago Zurlì in persona: «Non ha mai partecipato allo Zecchino d'Oro». Oscar, però, non si è perso d'animo: «Ho fatto le selezioni».

TOP CARLO FRECCERO
Ha azzeccato la previsione: vincerà la realtà sull'iper-realtà, il corpo sudato di Grillo sulla plastica di Berlusconi. Nel suo saggio sulla televisione ha scritto che, nella conquista dell'audience e dell'elettorato, il futuro sarà della moltitudine: parola chiave del lessico grillesco, unisce collettivo e individuo. Da Hobbes e Spinoza a Toni Negri e Casaleggio, l'immaginazione al potere.

FLOP NICOLA PIEPOLI
Ha toppato la previsione: in una campagna elettorale dominata dalla competition tra i sondaggisti, il vecchio leone a urne chiuse con i suoi instant poll sulla Rai ha scatenato il tweet praecox. Tutti i dirigenti del Pd a esultare per il trionfo, fino al terrificante cambio di scena epocale. La vittoria è un instant fuggente.

TOP MASSIMO GILETTI
Nel salotto domenicale di Raiuno, vero laboratorio dell'anti-politica (l'arena di "Domenica In" sta a Grillo come il mezziogiorno di Funari a Di Pietro negli anni di Tangentopoli), alla vigilia di Natale, il giornalista-presentatore si trasforma in un domatore e mette a sedere la belva di Arcore: «Qui non siamo dalla D'Urso». Urlo di liberazione.

MATTEO RENZI CON LA MANO NELL'OCCHIO

FLOP MICHELE SANTORO
La puntata del 10 gennaio di "Servizio Pubblico"con lo show di Berlusconi che spolvera la sedia di Travaglio è stato il punto di svolta della campagna del Cavaliere, la dimostrazione che la rimonta era possibile. Ma anche il momento finale della Seconda Repubblica televisiva: con i due nemici sorpresi ad accapigliarsi mentre arrivava lo tsunami.

TOP CORRADO PASSERA
Si tira fuori dall'operazione Monti dopo il vertice al convento delle suore di Sion in cui resta isolato. Casini, Fini, Riccardi e il premier, "Mario", bocciano la sua proposta di lista unica alla Camera e al Senato. Ora quella sconfitta è una vittoria: i suoi avversari non ci sono più, il ministro dello Sviluppo è rimasto con le mani libere. E vorrà usarle.

FLOP LUCA C. DI MONTEZEMOLO
Si è tirato fuori anche lui, come candidato, la sua Italia Futura ha prodotto qualche deputato, pochino. Nel 2007, da presidente di Confindustria, fu il primo ad agitare l'anti-politica dall'alto: «La politica costa 4 miliardi l'anno: duplicazione di strutture, prebende a spese della collettività». Poi è arrivata l'antipolitica dal basso: e l'ha spettinato.

OSCAR GIANNINO SBRAITA SUL PALCO

TOP MARA CARFAGNA
La berlusconiana Biancofiore ha scritto un'autobiografia ("Il cuore oltre gli ostacoli. Nel sogno di Silvio"), manco fosse la Thatcher. Le amazzoni del Pdl si preparano a una legislatura di anonimato dopo anni di gloria mediatica. Tutte o quasi, tranne la divina Mara. I padrini di un tempo sono spariti, a 37 anni è una veterana: in riserva.

FLOP CONCIA-BINETTI
Fecero amicizia quando una delle due fu operata e l'altra la assistette. Poi solo fuoco e fiamme, come si addice a caratteri passionali. Le due Paole, la Binetti dell'Opus Dei e la gay Concia, resteranno fuori dal nuovo Parlamento. Diritti contro clericalismo, è stato il vero bipolarismo in questi anni. Ma senza di loro si rischia una legislatura eticamente insensibile.

ANTONIO INGROIA CON IL SIMBOLO DELLA SUA LISTA

TOP STEFANO CALDORO
Il mellifluo, levantino presidente della regione Campania è uno dei vincitori del 24-25 febbraio. Si è sbarazzato del rivale interno Nicola Cosentino, ottenendo la sua esclusione dalle liste. E ha trascinato il Pdl campano alla conquista del prezioso premio al Senato in regione. Il "fighetto" è uno degli uomini forti del dopo-B.

FLOP GIUSEPPE MUSSARI
Tutti d'accordo: lo scandalo Monte dei Paschi è stato il vero momento di decollo per 5 Stelle. Cordate politiche (la fondazione di nomina Pd), accordi trasversali (con Denis Verdini), fondi all'estero, derivati, vigilanza bancaria aggirata o incerta, preti, massoni e fantini: il menu migliore per il Grillo furioso anti-partiti e anti-banche. E ora, a urne chiuse, l'inchiesta promette nuovi dolori.

TOP RAZZI-SCILIPOTI
La sporca coppia del 14 dicembre (2010), i diepietristi berlusconizzati che salvarono il Cavaliere mollando Tonino, rientrano nel Parlamento più anti-Casta di tutti i tempi, sopravvissuti a tutti i cambi di regime. Meglio così, forse: tra tutti quegli esordienti, giovani, donne, grillini, finalmente due volti noti. Inconfondibili.

FLOP GIANFRANCO FINI
L'eroe del 14 dicembre (2010), il delfino di Almirante e poi di Berlusconi che si è ribellato al destino dell'eterno secondo accelerando la caduta di B., non viene eletto e conduce il suo drappello di coraggiosi alla scomparsa. Come canta De Gregori nel "Cuoco di Salò": «Qui si fa l'Italia e si muore, dalla parte sbagliata si muore». E peccato che, almeno questa volta, fosse la parte giusta.

Luigi De Magistris

TOP FABRIZIO BARCA
Convitati di pietra/1. Sindaco di Roma, super-ministro, segretario del Pd. Lo candidano a tutto, lui si è dileguato, con il fair play che tutti gli riconoscono. Non era d'accordo con la scelta di Monti di candidarsi, ma era il suo premier e non lo ha mai attaccato. Non ha condiviso la timidezza del Pd, ma si è tenuto lontano dagli scontri di corrente. Per entrare in campo dovrà spostare molte macerie.

FLOP MATTEO RENZI
Convitati di pietra/2. Ha fatto bene il sindaco di Firenze ad aiutare Bersani? E ora deve candidarsi alla successione? Tira una strana aria attorno al Bimbaccio: due mesi fa nel Pd lo trattavano da berlusconiano mascherato, ora tutti lo invocano come salvatore della patria. E se fosse tardi anche per lui?

 

RATZINGER FINALMENTE STA CONDUCENDO A CASTEL GANDOLFO LA VITA CHE HA SEMPRE DESIDERATO: MUSICA, LIBRI E PREGHIERA

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Giacomo Galeazzi per "La Stampa"

BENEDETTO XVI RATZINGER DI SPALLE

Ieri il Vaticano si è svegliato senza il Papa. E' stata una giornata a suo modo normale la prima trascorsa da Benedetto XVI come «Pontefice emerito». Mentre i mass media di tutto il mondo rilanciano le immagini di un gesto che ha cambiato la Chiesa, Joseph Ratzinger, sollevato da un peso divenuto insostenibile, lontano da una Curia segnata da «momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario», ha passato un giorno «nascosto dal mondo», il primo di una lunga serie.Ha celebrato messa alle 7 come al solito con i due segretari, si è dedicato al breviario, poi ha fatto colazione e ha aperto i messaggi ricevuti.

BENEDETTO XVI RATZINGER jpeg

In sottofondo la prediletta musica classica. Poi il pranzo assieme alla «famiglia» (Georg, Alfred, e le quattro «memores») e, dopo un breve riposo, alle 16 la recita del rosario passeggiando nei giardini di Castel Gandolfo. Al rientro nel palazzo si è immerso nella lettura dell'«Estetica teologica» di Hans Urs von Balthasar, tra i libri che ha portato con sé dal Vaticano. A cena una minestrina e un secondo, mezz'ora di telegiornale quindi un po' di pianoforte e presto a letto.«Una giornata passata tra la preghiera, la riflessione, la lettura», spiega padre Federico Lombardi. Aggiunge qualche dettaglio l'Osservatore romano. Benedetto XVI resterà a Castel Gandolfo forse due o tre mesi. «Ma chi può dirlo? Qui è a casa sua, nel senso che i luoghi gli sono familiari - spiega il direttore delle Ville Pontificie, Saverio Petrillo-. Si è trovato sempre tanto bene qui con noi. Abbiamo fatto di tutto, e faremo di tutto, per farlo stare ancora bene».

PAPACASTEL GANDOLFO papagandolfo

È anche stato accordato lo «Steinway & Sons», il pianoforte a mezza coda nero suonato da Benedetto XVI nei momenti di relax. Nei giorni passati, racconta don Georg, «il Papa suonava il pianoforte alla sera dopo la cena, come segno della distensione e della serenità del suo animo». A Castel Gandolfo c'è anche una piccola dimora pronta per ospitare Birgit Wansing, la laica consacrata del movimento di Schoenstatt, che lo ha sempre aiutato a scrivere. «Non ci farà mancare la ricchezza del suo pensiero», garantisce l'Osservatore. Anche il prefetto del Sant'Uffizio, Muller. non esclude che scriverà libri. Nascosto al mondo per quanto possibile dato l'assedio mediatico che costringe il Vaticano a descrivere nei dettagli la sua giornata più di quanto non si facesse quando era in carica.

 

NAPOLI IN FIAMME: UN TERRIBILE ROGO DISTRUGGE CITTA’ DELLA SCIENZA…

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Carlo Tarallo per Dagospia

ROGO CITTA SCIENZA ILMATTINO IT

La Città della Scienza di Napoli non c'è più. Una giornata terribile, quella di ieri, iniziata col crollo di un'ala di un edificio alla riviera di Chiaia e conclusa con un rogo, di probabile origine dolosa, che ha completamente distrutto una struttura considerata tra i principali gioielli culturali di Napoli, oltre che uno dei suoi piu' validi attrattori turistici, con una media di 350mila visitatori l'anno.

ROGO CITTA DELLA SCIENZA ILMATTINO IT

Il rogo, stando ai primi rilevi, sarebbe di origine dolosa. E stamattina Napoli si è svegliata impoverita, traumatizzata dalle immagini dei resti di quello che era uno dei (pochi) fiori all'occhiello della città. I resti sono stati posto sotto sequestro dalla magistratura. Al momento dell'incendio, nei capannoni non c'era nessuno.

ROGO CITTA DELLA SCIENZA ILMATTINO IT

I danni sono ingentissimi: sopravvivono solo i muri perimetrali, l'interno dei padiglioni e' devastato. Le fiamme, ieri sera, hanno illuminato il cielo sull'intera città. Il fronte del fuoco, spettrale, lungo centinaia di metri, ha inghiottito completamente edifici e capannoni. Dei numerosi padiglioni che componevano lo 'science center', solo uno e' stato risparmiato dalle fiamme.

Le testimonianze riferiscono di una estensione rapidissima dell'incendio, complice la gran presenza di legno e altri materiali infiammabili. Luigi de Magistris cinguetta tirando in ballo (non si sa come) schiere di bambini in lacrime: "Oggi migliaia di ragazzi e bambini di Napoli si sono svegliati piangendo per la distruzione di Città della Scienza Napoli è sotto attacco".

CITTA DELLA SCIENZA IN FIAMME


2-LA PROCURA DICE "NO" AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO PER IL BANANA
Ma quale legittimo impedimento! La Procura di Napoli dice no a Silvio Berlusconi, che era stato invitato a presentarsi per essere interrogato nell'ambito dell'inchiesta sulla compravendita dei senatori. La decisione e' stata comunicata questa mattina all'avvocato Michele Cerabona, uno dei legali del Cavaliere.La Procura aveva indicato tre date - oggi, il 7 e il 9 marzo presso una caserma della Guardia di Finanza a Roma - per interrogare l'ex premier prima di inoltrare eventualmente al gip la richiesta di giudizio immediato.

COSA RESTA DI CITTA DELLA SCIENZA ILMATTINO IT

Berlusconi avrebbe addotto una serie di impedimenti relativi anche ad impegni legati alla sua attività politica: un incontro oggi con i neo eletti parlamentari del Pdl nonche' l'udienza di un processo in corso a Milano, e aveva manifestato disponibilita' per rendere interrogatorio comunque dopo il 15 marzo. Niente da fare! Ma per il Pdl i guai giudiziari in arrivo dallla Torre delle Manette di Napoli non finiscono qui.

3-COSENTINO, ALTRO "NO" ALLA REVOCA DELLA CUSTODIA CAUTELARE
Nicola Cosentino, infatti, farà bene a preparare il borsone: dopo il primo "no" di ieri, questa mattina il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha respinto anche la seconda istanza di revoca dell'arresto per l'ex sottosegretario ed ex coordinatore regionale del Pdl, relativa all'indagine sulla realizzazione di un centro commerciale. Ieri era stata respinta la prima istanza, quella per l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. E ora al piano terra del Padiglione Firenze del Carcere di Poggioreale fervono i preparativi: la cella numero 4 è quasi pronta.

SILVIO BERLUSCONI jpeg

TUTTO IL PDL NEL MIRINO DEI PM NAPOLETANI
Accoglierà Nick 'O Mericano tra 10 giorni, quando non sarà più parlamentare. Cosentino non commenta, non parla con i giornalisti. Ma a chi l'ha sentito non ha nascosto la sua delusione. Contava di poter attendere la sentenza da uomo libero, ora che non è più deputato e non riveste cariche di partito. Ma è proprio il partito, il Pdl, a finire nel mirino dei pm. Le motivazioni del "no" alla revoca della custodia cautelare saranno rese note solo dopodomani, ma il parere contrario del Pm Alessandro Milita (accolto dal Tribunale) è già noto anche nei contenuti. E sono dirompenti.

L'ACCUSA: NICK ESCLUSO MA NON "RIPUDIATO"
Ecco cosa sostiene (tra l'altro) Milita per "smontare" la tesi difensiva, ovvero che l'uscita dalla scena politica di Cosentino potesse consentire una revoca della custodia cautelare: "Non può essere la mancata ricandidatura a far ritenere annullato il potere di influenza politica di un uomo che cosi' potente e' stato per circa venti anni - scrive il pm - soprattutto se quella candidatura è stata una decisone assunta all'ultimo secondo utile dal partito per ragioni di mera opportunita' e convenienza, e non per una reale rottura o per ripudio della personalita' del Cosentino".

NICOLA COSENTINO ALLA CONFERENZA STAMPA Mara Carfagna

"CHE DOVEVA FARE IL PARTITO? MENARLO? SPUTARGLI ADDOSSO IN TV?"
Insomma, nel mirino finisce il Pdl nella sua totalità a partire dal presidente Silvio Berlusconi e dal segretario Angelino Alfano, che più di tutti si è opposto alla ricandidatura di Nick (mentre Denis Verdini era di parere opposto). Quel rocambolesco "no" a Cosentino in lista, per i pm non è stato frutto di una decisione meditata, di una volontà politica di escludere dalle liste i cosiddetti "impresentabili", ma solo un calcolo opportunistico. Soprattutto non c'è stato il necessario "ripudio". "Che doveva fare il partito? Menarlo? Sputargli addosso in tv?" si domandano ora i Banana's. E soprattutto: "Chi sarà il prossimo"?


- Non ditte a Nitto Palma che Mara Carfagna su twitter si autocandida a sindaco di Salerno...

- Non dite a Bersani che alcuni senatori Pd già trattano coi colleghi Pdl per la Presidenza del Senato in caso di "inciucio": tra i più attivi, ci sarebbe Gaetano Quagliariello...

 

VILLAGGIO INGRILLATISSIMO: “BEPPE È UN RIVOLUZIONARIO COME MAO, PERÒ PIÙ ALLEGRO”…

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Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"

Paolo Villaggio

Tradito sul più bello a poche curve dagli 81 anni: "Ho sperato di andarmene abbracciato ai miei simili in una piazza, come nella profezia. Sarebbe stato magnifico, ma i Maya e i nostri politici si somigliano. Non fanno che promettere ciò che non manterranno". Paolo Villaggio confida in altri eventi irrimediabili:

PAOLO VILLAGGIO

"La gente si è rotta i coglioni di un gruppo di eletti che, fingendo di rappresentare gli interessi dei sudditi, ne opprime il presente servendo banche, giornali e tv. Grillo, con collaudatissimo copione, denuncia avidità e nefandezze dei moderni Borgia da decenni. Dice: ‘Cacciamoli, sono stronzi, incapaci e disonesti', ma ha cavalcato una tigre già satura di passeggeri. Il processo è stato naturale, dall'Italia vogliono fuggire tutti. I ragazzi depressi che sognano di emigrare in Costa Rica e i vecchi come me. In attesa della sacrosanta soppressione degli ultrasettantenni, ci rimane la rivoluzione culturale di Grillo. Non se finirà come quella permanente di Mao, ma dalla violenza della reazione preventiva contro Beppe, una cosa si capisce bene".

Quale, Villaggio?

Che la classe politica italiana, per lo più formata da elementi che non hanno la minima idea di cosa significhi lavorare, è terrorizzata dalla propria estinzione. L'ultimo mese di propaganda è stato grottesco. Vergognoso. Un mercato delle vacche. Un dominio sulla vita privata. Ci sono entrati nel cesso fin dalle 8 di mattina. Con messaggi, bugie, minacce e pelosi consigli a reti unificate. Puro teatro dell'assurdo.

PAOLO VILLAGGIO

Anche Grillo pare amare Ionesco.

Si è messo una maschera da Mandrake. E allora? È un comico. Un clown. Non un dittatore o un Hitler che a dirla tutta, vestiva in modo assai più truce. Con humour e talento, Grillo si è occupato di cambiare sentiero all'infelicità delle persone. Una buona causa. Purtroppo i veri comici sono quelli che ora si affannano a giurare che Grillo non ce la farà perché non ha mestiere. E loro, distruggendo l'Italia e facendo carne di porco della morale da 40 anni, che missione hanno interpretato? Sono preoccupati perché sanno che la pacifica rivoluzione culturale di Grillo è pericolosa . Può contagiare il resto d'Europa.

Lei parla di rivoluzione culturale. Grillo è il Mao di Genova?

PAOLO VILLAGGIO

Le grandi rivoluzioni sono quasi tutte nate da una sconfitta militare o dalla terribile decadenza della classe media. La parabola di Mao, infine trattato come un bolso rincoglionito, terminò male. Ma Grillo non è un caudillo e la sua rivolta, ignorata da quelli che non vedendolo in tv lo consideravano stoltamente irrilevante, è più allegra del Maoismo. Parte da un disgusto generalizzato che urla ‘piove governo ladro', ma non assalta le vetrine dei ricchi, né punta alla Bastiglia. Prova solo a riformare un Paese irreversibilmente involgarito.

Ne è sicuro?

Secondo una finissima logica matematica, più abbassi il linguaggio e più si alzano gli ascolti. Ma ha presente la cultura italiana? Conosce i palinsesti? Dieci trasmissioni identiche sulle virtù degli spaghetti alla puttanesca. Tra frequentate prime alla Scala, portaborse, mignotte, labbra gonfie, mazzette e scempi ambientali trionfa il trivio e le uniche categorie soddisfatte sembrano essere veline, calciatori e politici. Grillo prova a tirare dentro gli invisibili la cui rabbia monta senza argini. Una massa dimenticata che può decidere di trasformarsi in teppismo da stadio o darsi un'ultima possibilità.

Beppe Grillo

Il grillismo?

Una cosa più semplice di quanto non appaia. Tagliare il superfluo. L'inutile. I costi della politica. Le spese militari. Gli sprechi. Tanto poi, non ci illudiamo, decidono sempre le banche alla guida di quella sinistra finzione chiamata Comunità europea. Quando Grillo promuoverà il referendum per uscire dall'euro vedrà che plebiscito per sciogliere immediatamente il patto. I tedeschi fanno soltanto i cazzi loro, stiamo precipitando nella merda, in un'unione così disunita che stiamo a fare?

Nella corretta filologia del sogno autarchico, i detrattori dipingono un Grillo genovese e tirchissimo.

Baggianate. Stronzate. Io sono nato lì e mi sono mangiato tutto. I genovesi sono le persone più generose e meno attaccate al denaro che abbia conosciuto. Gran signori, me compreso. Avari, gretti e tristi sono certi parassiti che vivono nell'ombra. Certi piccoli funzionari romani.

Beppe Grillo

Sull'Europa aveva scommesso Monti.

Visto come è finito dopo aver tentato un disperato esperimento di ipnosi collettiva? La ricetta era deprimente. Il fallimento preventivabile.

Berlusconi invece ha resistito.

Ha plasmato la cultura italiana come nessuno e ha effettuato una rimonta straordinaria. In un mondo profondamente pagano, in cui il Papa non crede più in dio e solidamente dalla parte dell' aldiqua, si dimette come un dirigente qualsiasi, Silvio sa usare meglio di tutti il mezzo che ha sostituito la famiglia. Ripulisce una sedia. Sorride in ‘camera' e fa passare l'unico messaggio che conti: "Sono il più simpatico".

MARIO MONTI CON LE MANI ALZATE jpeg

E Bersani?

Un mediocre tribuno della plebe.

Saranno contenti al Pd.

Nessuna pietà. Leggo ipotesi di congiuntura tra comunisti e berlusconiani. Patetiche resistenze al privilegio. Sono un passato capace di discutere solo di alleanze. Al ritmo attuale tra 100 anni non ci saremo più e questi discutono di alleanze.

Lei però ha votato Grillo.

pier luigi bersani

Ho dato retto al sentimento. È vero che al princìpio tutte le rivoluzioni sono molto attraenti per poi essere soffocate o martirizzate dalla vanità dei capi, ma io ho fiducia.

Perché?

Perché mi piacerebbe partecipare e con le pinne, Beppe attraversa lo Stretto a nuoto in bello stile.

Le basta?

Andreotti sarebbe affondato dopo 10 metri.

 

IL GRANDE E POTENTE OZ, IL SORPRENDENTE PREQUEL DEL FILM DEL 1939, GIRATO DA SAM RAIMI E FIRMATO WALT DISNEY

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Marco Giusti per Dagospia

IL GRANDE E POTENTE OZ

Molto si potra' dire di questo tardissimo prequel di un film cosi' famoso e amato come "Il mago di Oz", a cominciare dal fatto che suona strano che un'operazione simile venga fatta dalla Walt Disney, che all'epoca, parliamo del 1939, era nemica della MGM, che concepi' "Oz" come risposta a "Biancaneve e i sette nani".

IL GRANDE E POTENTE OZ

Si potra' dire anche che nuoce allo spirito di "Oz" e a quello del suo creatore, L.Frank Baum, proprio che questo prequel nasca nel pieno dei recuperi favolistici con tante Biancaneve e tantissime streghe e giganti, non sempre di prima qualita'. E si potra' infine obiettare qualcosa sulla bella Mila Kunis che viene trasformata in Strega del Nord, a imitazione di quella celebre di Margaret Hamilton, tutta verde, come fosse un Goblin qualsiasi, un'idea che venne scartata gia' nella versione del 39.

IL GRANDE E POTENTE OZ

Ma si deve riconoscere a Sam Raimi, che arriva a questo "Il grande e potente Oz", dopo ben tre Spiderman di grande successo, di aver girato da maestro, in bianco e nero, tutta la prima parte del film ambientata nel Kansas polveroso dove basta un niente e vieni portato via da un tornado, con la stessa cura e precisione che dimostro' allora King Vidor, che solo quello giro' del film, firmato da Victor Fleming, ma sul quale lavorarono pure Richard Thorpe, George Cukor, il produttore Mervyn Leroy oltre a ben quindici sceneggiatori. Altri tempi.

IL GRANDE E POTENTE OZ

Certo, qualsiasi paragone con un capolavoro del passato e' durissimo. E questo ha tutta l'aria di un film su commissione per Sam Raimi, che lo ha diretto su una sceneggiatura gia' pronta. Ma qualche bella trovata, oltre al recupero del suo attore feticcio Bruce Campbell, che fa il guardiano, e al lancio nel fantasy di James Franco, sua scoperta nei primi Spiderman, come nuovo Johnny Depp, c'e'. La scimmietta alata assistente di Oz, ad esempio, o il costruire tutta la potenza da mago di Oz nell'invenzione del cinema e dei suoi trucchi. Un elemento che avvicina il film piu' a "Hugo Cabret" che alle recenti Biancaneve.

IL GRANDE E POTENTE OZ

E che molto sembra interessare a Raimi piu' delle troppe streghe che mette in scena, anche se chiama a interpretarle le bellissime Rachel Weisz, Mila Kunis e Michelle Williams. Giocandosi la carta del cinema e di un mago, Oz, che sembra piu' simile a L. Frank Baum che all'Oz del film di Victor Fleming, Sam Raimi compone qualcosa che e' un omaggio all'epoca del muto e al cinema degli anni '30, e usa il 3D e gli effetti speciali come se fossero i trucchi da prestigiatore di Oz.

IL GRANDE E POTENTE OZ

Forse James Franco non ha l'aurea da star di Johnny Depp, ma e' incantevole nei panni e nella tuba del mago, le ragazze sono tutte brave, i personaggi di supporto al mago, purtroppo, non possono competere con I superclassici del tempo, ma il mastro stagnino di Bill Cobbs e il brontolone di Tony Kox sono notevoli.

IL GRANDE E POTENTE OZ

Purtroppo Raimi non puo' eccedere, in un film per bambini, nei lati piu' dark della storia, lati che gia' la versione del '39, aveva ben smussato, al punto che vennero tagliate le piu' terrificanti incursioni della strega. E' un peccato, perche' pochi registi possiedono, come Raimi, la capacita' di giocare ironicamente sull'horror, pensiamo al suo capolavoro "L'armata delle tenebre". Comunque sia, un Oz di gran classe.

 

DARIONE CONTRO I “SOLONI DELLA CARTA STAMPATA” INDIGNATI DALLE GAG-ATE DI BEPPUZZO…

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Dario Fo per "Il Fatto Quotidiano"

dario fo e grillo

In questi giorni è esploso un nuovo attacco indignato contro Beppe Grillo che pare si sia permesso di uscire dalla sua casa in Toscana, circondata da fotografi e giornalisti, completamente incappucciato indossando una giacca blu, classico colore del Carnevale, a metà tra il travestimento e la maschera nel tentativo di non venir riconosciuto.

Bisogna ammetterlo: una trovata davvero indegna. Infatti, molti fra i principali quotidiani hanno dato in escandescenze: "Ma andiamo, in un momento così drammatico per la nazione come può un responsabile del Movimento di fatto vincitore prendersi gioco della politica presentandosi così buffamente addobbato ?".

dario fo

C'è invero da trasalire. In un paese dove la politica e la stampa che se ne occupa hanno spesso dato in questi ultimi anni dimostrazione di superficialità dialettica e tendenza a minimizzare davanti a comportamenti a dir poco triviali e spesso criminali da parte dei gestori della cosa pubblica, un gran numero di soloni della carta stampata s'è ben guardato dal testimoniare e commentare con l'indignazione che meritavano queste truffalderie che al contrario i quotidiani stranieri denunciavano con evidenza indignati dal vuoto di informazione dei nostri media.

Ora, invece di meditare e fare autocritica sulle proprie mancanze, si cercano situazioni da rilanciare contro l'indegno movimento, soprattutto puntando il dito contro i responsabili primari che hanno messo in campo questo sconvolgente moto culturale assolutamente inaccettabile. E ora si trastullano pure buttandosi in un carnevale mascherato e indecente.

dario fo

A ‘sto punto, se mi permettete, io personalmente dico che questa del Carnevale di Grillo messo in scena in piena Quaresima mi va a meraviglia, soprattutto se penso che ci troviamo ad assistere alla sortita di scena di un Papa che più o meno alla maniera di Celestino V, costretto allo stesso gran rifiuto ripete: "Io son venuto per pascolare gli agnelli del signore, non per mangiarmeli arrosto in una tavolata di vescovi tanto golosi da masticarsi anche le ossa!".

Dario Fo

Finalmente ritorniamo nel nostro campo più naturale. Ci siamo dimenticati troppo in fretta di vivere in una nazione che ha dimostrato nei secoli di possedere il senso più vivo della giocosità.

Ironia, sarcasmo e sberleffo sono alla base di tutta la nostra cultura, a partire dai carnevali medievali, alle feste di contrada e di piazza, per non parlare di quelle dei principi, che forse hanno anche esagerato con il lasciarsi andare ad atti di libido davvero sconvolgenti insieme alla chiesa che festeggiava la Pasqua addirittura con il Risus Paschalis, cioè un rituale carnevalesco messo in scena dentro le chiese e le cattedrali e dove anche l'oscenità era ammessa purché portasse gioia e allegrezza per il ritorno del signore.

dario fo

Ci siamo inoltre dimenticati che al tempo dei Comuni si accettava con applausi che i giullari e i clown entrassero a dir la loro addirittura nella Camera e nel Senato che allora si chiamavano Brolo e Broletto. E attenti ancora che perfino nelle corti ducali, i comici erano ritenuti indispensabili perchè un ricevimento ottenesse un piacevole successo.

Oggi invece vengono nominati con disprezzo e chiamati buffoni tout court, dimostrando una notevole ignoranza sul chi ha creato i nostri canti più famosi, i contrasti, gli strambotti che sono alla base della nostra cultura e del nostro Rinascimento, un fenomeno che ha letteralmente ribaltato il linguaggio e l'arte di tutta Europa.

Dario Fo sul palco con Grillo a Milano DarioFo

Ora, invece, di gridare allo scandalo, io proporrei che proprio all'apertura della nuova legislatura, gli eletti fossero invitati ad apparire tanto alla Camera che al Senato in abiti carnevaleschi, con maschere della commedia all'italiana e orchestre settecentesche che con musiche festose si diano a commentare gli interventi dei vari oratori. Se poi ai più giovani scappasse il bisogno di danzare nell'emiciclo con le fresche onorevoli neoelette, la cosa darebbe piacere sono sicuro a tutti i cittadini.

Beppe Grillo

Si tratterebbe di una variante davvero esponenziale. Soprattutto grazie alle maschere vedremmo sparire certe figure ormai insopportabili, scampate dall'estinzione della selezione elettorale. Quel clima esuberante sarebbe fondamentale come supporto a un vero cambio di rotta e l'inizio di un'epoca finalmente rivoluzionaria.

 


UNA BOMBA ESPLODE BERSANI: GRAZIE ALLA LEGGE ANTI-CORRUZIONE VOTATA DAL PD, PRESCRITTI GLI IMPUTATI DEL PROCESSO PENATI!

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Paola Severino

1 - I COIMPUTATI DI PENATI PRESCRITTI GRAZIE ALLA LEGGE ANTI-CORRUZIONE
Sandro De Riccardis per "La Repubblica"


Prescrizione per le presunte tangenti per la riqualificazione dell'area Falck, prescrizione per quelle sugli appalti della ex Marelli, prescrizione per le consulenze fittizie alle cooperative rosse. Finiscono in un vicolo cieco alcuni dei filoni più importanti del "Sistema Sesto", l'inchiesta dei pm di Monza Franca Macchia e Walter Mapelli sui presunti appalti pilotati. Un sistema che, per l'accusa, ruotava intorno a Filippo Penati, ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della provincia di Milano. Il colpo di grazia all'inchiesta è arrivato dalla legge "anticorruzione" del guardasigilli Paola Severino.

GIORDANO VIMERCATI

La nuova "concussione per induzione" ha ridotto le pene (da 12 a 8 anni) e rimodulato i termini di prescrizione (da 15 a 10). Così ieri il gup Giovanni Gerosa ha dovuto dichiarare estinto il reato per gli uomini delle coop rosse - il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruttori, Omer Degli Esposti, i due consulenti, Gianpaolo Salami e Francesco Agnello, beneficiari di consulenze per 2,4 milioni per «prestazioni inesistenti» - e per Giordano Vimercati, ex braccio destro di Penati, che però resta nel processo per altri episodi di corruzione.

FILIPPO PENATI

Per Penati, ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, il nodo-prescrizione sarà affrontato il prossimo 13 maggio, nell'udienza del giudizio immediato: allora si capirà se il politico si avvarrà o meno dell'estinzione del reato. «Se il decreto "anticorruzione" avrà effetti sul mio processo - aveva promesso nei mesi scorsi Penati - rinuncerò alla prescrizione». Oltre a Vimercati, il gup ha rinviato a giudizio l'imprenditore Piero Di Caterina; l'architetto Renato Sarno; Norberto Moser, Bruno Binasco e la società Codelfa del gruppo Gavio.

PIERLUIGI BERSANI CON LA BANDIERA DEL PD

Per Penati restano in piedi le imputazioni relative alle presunte corruzioni del Sitam, il sistema di trasporti pubblici locali, alla terza corsia della A7, alla finta caparra di una compravendita tra Binasco e Di Caterina, grande accusatore del "Sistema Sesto". Il gup ha dichiarato l'incompetenza di Monza sui circa 368mila euro di presunti finanziamenti illeciti alla fondazione Fare Metropoli.

Tra i dieci indagati, l'ex banchiere Massimo Ponzellini e gli imprenditore Enrico Intini e Roberto De Santis, vicini al Pd pugliese. Tutte le elargizioni erano nell'ormai famoso file excel sequestrato all'architetto Renato Sarno, in carcere da oltre quattro mesi. In questi giorni, il professionista - per la procura, «collettore di tangenti» per Penati - avrebbe fatto le prime ammissioni ai pm, spiegando di aver avuto un ruolo nella raccolta dei fondi per l'ex politico Pd. Una sua istanza di patteggiamento è stata in questi giorni respinta dalla procura. L'inchiesta dei pm Macchia e Mapelli va intanto avanti sull'ultimo filone d'indagine: la supervalutazione del 15% della Serravalle, venduta nel 2005 dai Gavio alla Provincia, con una plusvalenza da sogno per il gruppo di Tortona, pari a 179 milioni di euro.

2 - UN COLPO DI SPUGNA, TRA BUGIE E IPOCRISIE
Da "La Repubblica"

«Vogliamo una legge, subito, ma non un compromesso al ribasso». Era il 5 ottobre di un anno fa, quando "Repubblica" consegnava al ministro della Giustizia Severino le 250 mila firme dell'appello per il varo immediato di una seria legge contro la corruzione. Già allora denunciammo le gravi contraddizioni del testo concordato tra il governo e la «strana maggioranza» che, nel riscrivere le norme sulla concussione, aveva ridotto le pene e quindi i tempi di prescrizione, con effetti nefasti su importanti processi in corso, da Penati a Berlusconi. Non fummo ascoltati.

PIERO DI CATERINA

La legge passò, Monti esultò e il Guardasigilli assicurò che non ci sarebbe stato alcun «colpo di spugna». Solo cinque mesi dopo la sentenza del Gup di Monza (probabilmente la prima di una lunga serie) dimostra purtroppo che "Repubblica" aveva ragione, e la Severino aveva torto. La legge anti-corruzione incide eccome sui processi in corso, a favore degli «imputati eccellenti». Il governo e i partiti lo sapevano, ma sono andati avanti lo stesso, mescolando bugie e ipocrisie. E c'è ancora chi si meraviglia dello tsunami Grillo? [m.gia.]

3. ARCHEO, 21 GENNAIO 2013: COSÌ MUSSARI GUIDAVA LA SEVERINO NELL'INCHIESTA SULLO SCALO DI SIENA - UN'INFORMATIVA TIRA IN BALLO IL GUARDASIGILLI, ALLORA DIFENSORE DI UN ALTRO INDAGATO: "SPINTA ALLO SCONTRO CON LA PROCURA"
Gian Marco Chiocci -per Il Giornale

ENRICO INTINI

Un guaio tira l'altro, come le ciliegie. Non a caso è giudiziariamente alla frutta l'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena e poi dell'Abi, Giuseppe Mussari, protagonista dell'incredibile operazione a perdere di Antonveneta e in second'ordine sui «derivati», proprio oggi a rischio di rinvio a giudizio per un'altra brutta storia: quella dell'ampliamento dell'aeroporto senese di Ampugnano che lo vende indagato per concorso morale per i reati di falso e turbativa d'asta.

In mattinata è prevista udienza davanti al gup e a meno di un nuovo rinvio presto sapremo se Mussari andrà alla sbarra insieme ad altre 14 persone per la vicenda Galaxy, dal nome del fondo di investimenti francese (nell'orbita della Cassa depositi e prestiti) che stando all'accusa avrebbe usufruito di una corsia preferenziale per vincere la gara d'appalto del settembre 2010, annus horribilis del crac per l'acquisizione da parte di Mps della banca del nord est.

roberto desantis

REGISTA OCCULTO NELL'OPERAZIONE
Per i pm di Siena, Mussari avrebbe ricoperto un ruolo di primo piano nell'operazione anche se la questione «non avrebbe dovuto riguardarlo - scrivono i carabinieri - a meno che l'ipotesi investigativa, cioè che la privatizzazione dell'aeroporto di Siena sia avvenuta a seguito di accordi maturati in seno agli istituti bancari senesi e la Cassa deposito e prestiti, non sia corretta».

Che Mussari possa essere stato una sorta di regista occulto, è la Gdf a sottolinearlo: «Alcune intercettazioni attestano la preoccupazione degli indagati e soprattutto il ruolo verticistico di Giuseppe Mussari che segue con attenzione la vicenda e cerca di rassicurare gli altri protagonisti dell'operazione». Si preoccupa per gli altri, e per se stesso anche se non poteva/doveva sapere delle indagini sul suo conto, e nemmeno immaginare che era intercettato con persone a lui riconducibili.

Ma nell'ottica di rassicurare tutti, spulciando fra migliaia di atti dell'inchiesta del pm Nastasi, spunta questo passaggio sul suo sospetto iperattivismo che nelle carte finisce per incrociare il nome dell'attuale ministro della Giustizia, Paola Severino: «Particolarmente significativa è poi l'intercettazione tra Mussari e l'avvocato De Martino, difensore di fiducia dell'avvocato Rizzi Raffaele Giovanni; non si comprende davvero lo spirito del Mussari, che non sapendo di essere indagato dispone direttamente dei difensori degli altri indagati impartendo dei veri e propri ordini;

MASSIMO PONZELLINI DAL FATTO

si deve far presente per comprendere il senso della conversazione sottostante che il presidente della banca ha personalmente e direttamente incaricato l'avvocato Paola Severino di seguire la vicenda e di coordinarsi con gli altri difensori Fabio Pisillo e Enrico De Martino in una sorta di vero e proprio muro contro muro con la Procura della Repubblica, cercando di ingaggiare una vera e propria partita».

LA GUERRA AI PM E IL RUOLO DELLA SEVERINO
Voleva la guerra ai magistrati, Mussari. Al telefono sbotta: «Sono il braccio armato del comitato (l'associazione contro l'aeroporto, ndr) e questo merita una reazione (...). Possono fare quello che vogliono, intercettare, guardare nei conti correnti, quello che vogliono ma devono rispettare le regole e noi per difendere noi stessi dobbiamo chiedere il rispetto delle regole. Serve una reazione (...). Nel pomeriggio arriverà la collega da Roma (Paola Severino)» per fare il punto e coordinarsi.

Per la sua strategia, a detta della Gdf, Mussari punta sull'avvocato Severino, formalmente incaricata di difendere (oggi non più) un coindagato di Mussari, Raffaele Rizzi, responsabile dell'ufficio legale di Mps nonché componente della Commissione di Valutazione della procedura di evidenza per la privatizzazione dell'aeroporto. L'attuale ministro viene intercettato mentre parla con un altro avvocato, Luisa Torchia (indagata anch'essa) persona di assoluta fiducia di Mussari, «consulente legale di Mps, della Fondazione Mps, di Aeroporto Spa nel procedimento di privatizzazione, consigliere Cassa deposito e prestiti», e soprattutto predestinata a occupare la poltrona di ministro della Funzione pubblica col governo Monti.

penati e bersani

TORCHIA, LA PROF CHE MONTI VOLEVA FARE MINISTRO
L'incarico è andato poi a farsi benedire per l'insorgere e il deflgarare di questi strascichi giudiziari. La Torchia entra in fibrillazione subito dopo l'invito a presentarsi in caserma. È agitatissima. Telefona a tutti, freneticamente. A cominciare da Mussari («Volevo che tu lo sapessi...») e successivamente alla Severino («mi hanno chiamato i carabinieri...») che prova a calmarla: «Ricordati che come avvocato e consulente della società sei tenuta al segreto professionale».

penati bersani

Le due colleghe entrano nel «tecnico» della vicenda di Ampugnano, discutono di pareri e memorie, di banche e società, dello svolgimento della gara. «Luisa Torchia - si legge in un'informativa - richiama l'avvocato Paola Severino che l'aveva cercata in precedenza perché è stata incaricata dal Mps di fare una istanza di riesame quindi le chiede se può farle una memoria e darle copia dei documenti relativi alla gara».

Poi la Severino rassicura la spaventata collega per le domande fatte dai carabinieri sulla sua consulenza. «La Severino dice di essere sconvolta che il maresciallo non sappia che la Torchia è così conosciuta per la sua competenza di amministrativista (...). Commenta ironicamente di portare un proprio curriculum a questi signori che forse non sanno con chi hanno a che fare...».

 

 

CROSETTO SBROCCA A “LA ZANZARA” SULLA LAUREA MAI CONSEGUITA E CITATA NEL SUO PROFILO SUL SITO DELLA CAMERA

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Crosetto Guido

"Qualche volta ho detto delle bugie. Ma non si parla di cose pubbliche. Uno che nella vita non ha mai fatto un cazzo di male, sentirsi crocifiggere da due giorni per una cagata che non ha nemmeno fatto, gli girano i coglioni. In un mondo della politica dove c'è gente che ruba, mangiano ostriche e champagne, portano le puttane in parlamento".

Crosetto Guido

Questo lo sfogo alla Zanzara su Radio24 di Guido Crosetto, deputato uscente e fondatore di Fratelli d'Italia, sul caso della laurea mai conseguita e presente però sul profilo del parlamentare sul sito della Camera. Purtroppo sul sito il titolo è rimasto a lungo, obiettano i conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo: "Purtroppo un cazzo. Io non l'ho mai compilato e non l'ho mai dichiarato. E non ho mai guadagnato euro né fatto un'ora di lavoro grazie a quello. Adesso mi rompete i coglioni per questo, pur non avendo fatto nulla? Vabbè, chiederò scusa anche per questo...".

OSCAR GIANNINO IL LAUREATO - ACCELERARE IL DECLINO OSCAR GIANNINO SBRAITA SUL PALCO

"Non sono il tipo che va a vedere cosa viene scritto sul sito della Camera - dice Crosetto - lo facevo solo all'inizio quando sono entrato. E c'era scritto 'maturità classica', poi non ho più controllato. E comunque vale più il mio sito su cui scrivo personalmente che quello della Camera". Poi sottolinea la differenza col caso Giannino: "Rimane un mio amico, ma c'è una differenza. Io non l'ho mai sbandierato in pubblico e non l'ho usato per fare nulla. Quello che ho io l'ho conquistato con le braccia e con le mani".

 

ANCHE RENZI FA LA SUA MARCETTA SU ROMA - HA INCONTRATO MONTI, SARÀ INTERVISTATO DA FLORIS, DOMANI ALLA DIREZIONE PD

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Claudio Bozza per "Corriere Fiorentino"

MATTEO RENZI CON LA MANO NELL'OCCHIO

L'incontro è durato due ore. Il sindaco Matteo Renzi è arrivato a Palazzo Chigi poco prima di pranzo. Un faccia a faccia rimasto segreto fino all'ultimo minuto e chiesto proprio dal premier uscente. L'idea era arrivata durante il concerto del Maggio Musica, l0 scorso 4 febbraio in Vaticano. «Un incontro previsto da tempo, ben prima del voto», durante il quale c'è stato ovviamente uno «scambio di vedute e opinioni sulla situazione politica attuale», dicono da Palazzo Chigi.

MARIO MONTI CON LE MANI ALZATE jpeg

Poche parole all'uscita dall'incontro: è stata una visita «istituzionale», ha risposto ai cronisti che lo tempestavano di domande. Poi si è avviato verso la sede nazionale dell'Anci, dove i sindaci da tutta Italia sperano di giungere ad una svolta che sblocchi il patto di stabilità. Renzi prepara la strategia di attacco alla direzione nazionale del Pd, dunque conferma: «Parteciperò».

pier luigi bersani

L'INCONTRO SALTATO CON I FEDELISSIMI - Avrebbe dovuto incontrare, in un hotel a Firenze, i circa cinquanta parlamentari a lui vicini e appena eletti. E invece neo deputati e senatori provenienti da tutta Italia hanno dovuto farsi rimborsare i biglietti del treno. Il motivo? Renzi ha preferito rinviare il vertice a data da destinarsi, perché l'appuntamento avrebbe rischiato di essere interpretato come una riunione di «corrente», una strategia che il Rottamatore ha sempre classificato «da eterni perdenti».

Giovanni Floris

Quindi, cancellato l'incontro fiorentino, il sindaco è salito su un Frecciarossa alla volta di Roma dove è fissato anche un vertice ristretto con un gruppetto di fedelissimi. A due passi da Montecitorio, sarà l'occasione per mettere a punto una strategia «soft» anti Bersani, perché il segretario va messo «davanti a un disastro elettorale di cui è responsabile», anche se «mai e poi mai sarà pugnalato alle spalle».

LA GIORNATA ROMANA - Renzi spenderà la giornata a studiare le contromosse in vista della resa dei conti tra i Democratici. Poi, in serata, andrà in onda un'intervista a Ballarò, su Rai Tre, dove si toccheranno in particolare i temi economici. Il Rottamatore che risponderà alle domande di Giovanni Floris durante una puntata che vedrà ospiti anche Maurizio Lupi (Pdl), Laura Puppato (Pd), il sondaggista Nando Pagnoncelli e il governatore (Pd) della Sicilia Rosario Crocetta.

SILVIO BERLUSCONI

L'intervista di Renzi, che si annuncia tutt'altro che tenera nei confronti dei vertici Pd, servirà a preparare il campo per domani, quando, a meno di improvvisi cambi di rotta, il sindaco si presenterà alla direzione nazionale del partito, in via del Nazareno. Qui, appoggiato da buona parte dei vertici, il segretario Bersani (ri)presenterà i suoi otto punti.

LO SCENARIO - Il piano per un «governo di scopo», per riuscire a convincere il Movimento 5 Stelle ad appoggiare un esecutivo guidato dall'attuale segretario Pd. Tra gli otto punti - con in testa conflitto d'interessi, legge anti corruzione e costi della politica - manca però la riforma della legge elettorale. Tutta la seduta della direzione nazionale del partito sarà trasmessa in diretta su Internet. Come si muoverà? Sul fronte del possibile governo, consapevole che la partita è in mano al Presidente della Repubblica, dovrebbe tenere un basso profilo, ma sulla strategia del partito il suo intervento si annuncia scoppiettante.

Beppe Grillo Crocetta

Il Rottamatore, dopo aver lanciato il suo manifesto anti Grillo e premuto l'acceleratore sui temi che hanno decretato il successo elettorale del Movimento Cinque Stelle, anche ieri ha preferito il silenzio, in attesa di capire l'evoluzione dello scenario. Per lui parla solo Matteo Richetti, braccio destro renziano alla Leopolda: «Mi rassicura il fatto che un'eventuale intesa non sia nelle mani di Bersani e di Grillo, ma in quelle del Capo dello Stato».

Cautela, e poi di nuovo all'attacco: «Se si vota tra sei mesi, a quel punto penso sia legittimo che Renzi possa pensare di riproporsi agli elettori». Richetti esclude comunque che l'«uomo della provvidenza» possa essere Renzi: «Sarebbe sbagliato e poco rispettoso di ciò che è avvenuto in questi mesi, con l'esito delle primarie: la nostra proposta non ha convinto la maggioranza del centrosinistra».

 

 

BERLUSCONI INFURIATO CON LE TOGHE: “VOGLIONO FAR SALTARE OGNI TRATTATIVA COL PD…”

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Liana Milella per "La Repubblica"

Furioso, è dir poco. Per una giornata Silvio Berlusconi inveisce contro quella che ormai chiama «la dittatura dei magistrati ». Chiuso ad Arcore, a pranzo con i figli, lungo faccia a faccia con il suo avvocato Niccolò Ghedini, telefonate di rito con Paolo Bonaiuti e Angelino Alfano, per tutti lo stesso sfogo.

Silvio Berlusconi

«Gli italiani hanno mandato a casa Di Pietro e Ingroia, vedrete che manderanno a casa anche questi qui». Un'unica, granitica certezza, mentre incastra meticolosamente gli avvenimenti giudiziari di questi giorni e di quelli che verranno: «Vogliono sovvertire il risultato democratico delle elezioni».

silvio berlusconi spara

Un'analisi politica articolata così: «La gente mi ha votato proprio perché ha paura di questi magistrati, del fisco, di uno Stato orwelliano che prima li controlla e poi li perseguita giudiziariamente ». Berlusconi è convinto che «gli italiani abbiano paura».

Per questo rilancia, in chiave anti- giudici, la manifestazione del 23 marzo. Nella sua testa servirà per dimostrare alla gente, dopo le tre probabili condanne che sta per incassare, «quanto sia pericolosa l'oligarchia delle toghe».

Niccolo Ghedini

Berlusconi e Ghedini non hanno dubbi. Se lo dicono l'un l'altro, e Berlusconi lo ripete a tutte le persone che lo chiamano. «La volontà dei magistrati è chiara, e non è neppure di questi giorni. Vogliono cancellare me e il mio progetto politico per via giudiziaria». Il calendario dei processi è stringente, «costruito apposta, perché qui niente è casuale».

Ad Arcore la previsione delle condanne è pesante. Si contano tra gli 11 e i 12 anni. Si articola così: un anno per Unipol, già il prossimo 7 marzo. Il commento ironicamente amaro: «Sarò l'unico in Italia a essere condannato per la presunta accusa di aver fatto pubblicare un'intercettazione».

ruby

Poi Ruby il 18 marzo, dove Berlusconi e gli avvocati prevedono una pena tra i 6 e i 7 anni. Infine Mediaset, proprio il 23 marzo, dove il Cavaliere è convinto che sarà confermata la sentenza di primo grado a 4 anni. Chiosa Berlusconi: «Questa contro di me è un'offensiva a 360 gradi. Ne uscirò solo quando i processi arriveranno in Cassazione perché lì, lontano da Milano e da questi magistrati, finalmente sarà riconosciuta la verità e sarò assolto in pieno».

Ghedini gliel'ha ripetuto fino all'ossessione, «nessuna condanna potrà reggere di fronte ai supremi giudici ». Ma nel frattempo, adesso, in queste ore, resta la certezza del «complotto politico», della «sovversione della democrazia».

ILDA BOCCASSINI IN VERSIONE TOTAL ORANGE

Lo sfogo è totale: «Viviamo in un'oligarchia di magistrati che decidono le sorti del Paese. Sono tutti amici, controllano un'arma potente come la polizia giudiziaria. Sono un potere senza alcun controllo, che si auto-giudica e si auto-assolve. Ora tentano di azzerarmi politicamente e di cancellare il voto democratico. Il caso dell'inchiesta di Napoli e delle rivelazioni di De Gregorio lo confermano in pieno».

NICCOLO GHEDINI PARLA CON ILDA BOCCASSINI jpeg


Una «bomba ad orologeria» la considera Berlusconi. Piazzata ad hoc due giorni dopo le elezioni. Una tempistica perfetta, studiata per rendere impraticabile qualsiasi trattativa tra il Pdl e il Pd, un modo per costringere proprio il Pd a non fare alcun accordo con lui. Ancora ieri, ad Arcore, il Cavaliere ripeteva lo slogan preferito ormai dal '94, la stretta interdipendenza tra gli accadimenti giudiziari e gli avvenimenti politici. I primi servono per influenzare i secondi. Per far cadere governi. Per rendere impraticabili alleanze.


Ecco allora che due fatti diventano rilevanti. L'appello di Mediaset fissato in soli tre mesi. La testimonianza di Ruby evitata al processo. Il Cavaliere è convinto che episodi come questi dimostrerebbero che i processi sono strutturati temporalmente per alterare il calendario della politica. «Ma avete mai visto un processo d'appello fissato solo tre mesi dopo il primo grado? Non è mai accaduto, ma è stato fatto per me con Mediaset».

Mediaset

Calendario alla mano, ecco il presunto misfatto dei giudici di Milano. La bomba ad orologeria. Mediaset si chiude in primo grado il 26 ottobre con 4 anni di condanna. La prescrizione farà morire il processo nel luglio 2014. E che fanno i magistrati? «Fissano l'appello il 18 gennaio».

Ecco, questa per Silvio è «giustizia ad orologeria». Giustizia in cui si fanno, lui dice, scelte singolari, come quella di non ascoltare Ruby, la teste principale del processo. Ieri ce l'aveva anche con i giornalisti il Cavaliere: «È tutto sotto i loro occhi, ma perché non
dicono la verità?».

 

MONTE DEI FASCICOLI DI SIENA - LA GUARDIA DI FINANZA HA APERTO UN NUOVO FILONE DI INDAGINI PER INSIDER TRADING SU MPS

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Da "Repubblica.it"

LANCIO DI MONETINE A MUSSARI IN PROCURA jpeg

Un nuovo filone d'inchiesta - sul sospetto di insider trading - e nuovi sequestri per circa 6 milioni. Dopo un - breve - periodo di silenzio torna a far parlare il Monte dei Paschi di Siena. I militari del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza stanno eseguendo perquisizioni a carico di componenti del consiglio di amministrazione della banca. Le perquisizioni sono state disposte dalla Procura senese che indaga sui contratti derivati chiusi dagli ex vertici dell'istituto toscano, guidato all'epoca dei fatti dal presidente Giuseppe Mussari e dal direttore generale Antonio Vigni.

ANTONIO VIGNI GIUSEPPE MUSSARI FOTO ANSA

Le operazioni in corso rientrano in un nuovo fascicolo che ipotizza l'insider trading e, svolte a Torino e Lecce, sono a carico dei consiglieri Lorenzo Gorgoni e Michele Briamonte, che però non sono indagati. I due consiglieri sono stati nominati nell'assemblea dell'aprile 2012, quando ci fu il complessivo avvicendamento al vertice e l'arrivo di Fabrizio Viola e Alessandro Profumo.

I due nominativi sono stati inclusi nella seconda lista presentata in assemblea, quella siglata dall'accordo dei soci Unicoop Firenze, Finamonte e dallo stesso Lorenzo Gorgoni, in proprio e come procuratore di altri 58 soci. Quest'ultimo era membro anche del precedente consiglio di amministrazione.

Al momento della nomina Briamonte, avvocato classe 1977 dello studio di Franzo Grande Stevens, era anche consigliere della Juventus; Gorgoni, Cavaliere del lavoro dal 2002, ha iniziato come consigliere della Banca del Salento. Attualmente siede nei board di Telecom Italia Media e del Fondo Italiano d'Investimento, oltre a essere consigliere di Invitalia e dell'Abi.

LOGO ANTONVENETAGIANLUCA BALDASSARRI jpeg

Il nuovo filone di inchiesta è sempre condotto dai pm senesi Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso, titolari dell'inchiesta sull'acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi. Per il nuovo ambito d'indagine al momento nessuno è stato iscritto nel registro degli indagati. L'ipotesi vorrebbe in particolare far luce su una serie di comunicazioni fatte trapelare alla stampa in merito al consiglio di amministrazione di Mps che si è riunito giovedì scorso e ha avviato l'azione di responsabilità contro gli ex vertici. A far aprire il fascicolo sarebbe stato un esposto della stessa banca, che avrebbe "agito correttamente e nei tempi giusti" comunicando al mercato le decisioni del cda la mattina dopo il suo svolgimento.

IL FERMO DI GIANLUCA BALDASSARRI jpeg

Briamonte ha detto all'agenzia LaPresse di essere "favorevole a qualsiasi attività della magistratura che serva a fare chiarezza sulla gestione della banca e sull'onorabilità di ciascun membro del consiglio d'amministrazione. Per questo motivo, sto collaborando in tutta tranquillità con gli agenti della Guardia di Finanza. Confermo di non essere in alcun modo indagato".

Parallelamente a questo nuovo filone, i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza stanno eseguendo sequestri di somme e titoli, per circa 6 milioni di euro. La somma è risultata nella disponibilità dell'ex capo dell'area finanza di Mps, Gian Luca Baldassarri (arrestato nel corso dell' inchiesta), del suo vice Alessandro Toccafondi, e di altre due persone coinvolte nell'inchiesta, David Ionni e Antonio Pantalena.

Per quanto riguarda Ionni, il suo nome era emerso già nell'ambito del primo sequestro da circa 40 milioni come legato alla società Enigma Securities. Per quanto riguarda il nome di Pantalena, invece, si tratta di una novità. Effettuando una ricerca sull'aggregatore di profili LinkedIn, emerge il risultato di un Antonio Pantalena che svolge il ruolo di trader presso il Monte, membro in particolare del "futures trader team". Il denaro è stato trovato dopo segnalazioni per operazioni sospette ai fini della prevenzione del riciclaggio.

 

PAGARE PAGA - NON VOLETE I FINANZIAMENTI PUBBLICI ALLA POLITICA? ALLORA VI BECCATE I FINANZIATORI PRIVATI IN POLITICA

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(TMNews) - I principali finanziatori della rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca sono oggi candidati al ruolo di Ambasciatori in Regno Unito, Francia, Italia e Danimarca, mentre un ex collaboratore del Presidente potrebbe andare presto a rappresentare gli Stati Uniti in Sudafrica. E' quanto scrive oggi il Wall Street Journal, citando fonti vicine al dossier.

linda douglass ohn Kerry con il presidente Barack Obama

E' spuntato anche il nome di Caroline Kennedy, figlia del Presidente John F. Kennedy, data per interessata a un ruolo nell'amministrazione Obama e oggi presa in considerazione per l'incarico di ambasciatore in Giappone o in Canada, secondo fonti interne ed esterne all'amministrazione.

Due uomini che si sono rivelati determinanti per la raccolta fondi della campagna di Obama nel 2012, Matthew Barzun e Rufus Gifford, sono oggi i principali candidati al ruolo di ambasciatore rispettivamente nel Regno Unito e in Danimarca. Tramonta così l'ipotesi di Anna Wintour, direttrice di Vogue, a Londra, come emerso nei mesi scorsi sulla stampa.

marc lasry Matthew Barzun

Per Francia e Italia vengono presi in considerazione altri due sostenitori di Obama, che hanno raccolto ciascuno oltre 500.000 dollari per la campagna, rispettivamente l'investitore Marc Lasry e l'avvocato John Phillips. Phillips è sposato a Linda Douglass, ex giornalista televisiva impegnata nel team elettorale di Obama del 2008 e in seguito coinvolta nella sua riforma sanitaria. Per il Sudafrica l'amministrazione starebbe valutando la candidatura di un funzionario del Partito democratico che è stato direttore politico alla Casa Bianca durante il primo mandato di Obama, Patrick Gaspard.

Nessuno dei candidati ha voluto commentare.

 

DENNIS RODMAN RIENTRA DALLA COREA DEL NORD CON UN MESSAGGIO DI KIM JONG-UN PER OBAMA: “NON VOGLIO LA GUERRA”

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1. COREA NORD: CASA BIANCA DECLINA MEDIAZIONE STAR NBA
(ANSA) -
"L'amministrazione statunitense ha canali diretti con le autorità della Corea del Nord": così il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha liquidato chi gli chiedeva un parere su una possibile mediazione dell'ex star dell'Nba Dennis Rodman tra il presidente Barack Obama e il leader di Pyongyang Kim Jong-un. Tornando dalla capitale nordcoreana dove ha incontrato il leader del Paese, Rodman ha detto che Kim vorrebbe essere chiamato da Obama. Carney ha quindi ricordato come la Corea del Nord sia un Paese "che nega i diritti umani e violi sistematicamente le risoluzioni dell'Onu".

KIM JONG UN DENNIS RODMAN

2. LA VISITA DELLA STAR DEL BASKET AL DITTATORE NORDCOREANO FA INFURIARE LA CASA BIANCA
Alessandra Farkas per il "Corriere della Sera"

Negli ultimi tempi si era parlato di lui soprattutto per le accuse di violenza domestica e una condanna, nel 2008, per aver picchiato la fidanzata Gina Peterson. Ma adesso l'ex campione di pallacanestro Dennis Rodman, noto per il suo stile eccentrico dentro e fuori il campo da basket, nonché per i suoi molti trofei, è tornato sulle prime pagine nell'improbabile veste di fautore della «diplomazia del basket». L'astuta strategia per normalizzare i rapporti a dir poco gelidi tra Usa e Nord Corea, sulla scia della «Ping Pong Diplomacy» che negli anni 1970 aprì la via alla visita del presidente americano Richard Nixon in Cina.

Reduce da un viaggio di due giorni in Corea del Nord, Rodman è tornato a casa con un messaggio per il presidente americano Barack Obama dal leader di Pyongyang, Kim Jong-un. «Vuole che Obama lo chiami», ha dichiarato intervenendo allo show politico della Abc «This Week». Nonostante i recenti test nucleari condannati da Washington, ha assicurato, il despota nordcoreano sarebbe interessato a migliorare le sue relazioni con gli Stati Uniti.

BARACK OBAMA E JOE BIDEN

«Mi ha detto: "Non voglio fare la guerra, non voglio fare la guerra"», ha precisato lo sportivo, spiegando che il presidente americano e il leader nordcoreano condividono la passione per il basket e quindi «si può partire da lì».

In un weekend povero di notizie, l'exploit di Rodman è diventato un tormentone istantaneo che ha mandato in tilt i social media, subissando persino il braccio di ferro Casa Bianca-Repubblicani sui tagli al bilancio.

DENNIS RODMAN

«Sono troppo sconvolto per riuscire a twittare in maniera coerente», ha ironizzato Neil Irwin sul Washington Post mentre il Dipartimento di Stato era preso d'assedio da giornalisti che chiedevano di sapere come mai il governo Usa non fosse intervenuto per allertare Rodman sui rischi dell'incontro con un dittatore da lui descritto come «un amico» e «un grande leader amato dal popolo come suo padre e suo nonno».

Intanto il New York Times ricostruisce la dinamica dietro al summit. Rodman è arrivato in Corea del Nord lunedì insieme a tre cestisti degli Harlem Globetrotters e a una troupe dell'Hbo, per un reportage sul Paese che debutterà ad aprile. «Se fossimo passati per i canali istituzionali, non saremmo mai riusciti ad entrare», spiegano al Times i produttori dello show, «per questo abbiamo offerto ai nordcoreani, in cambio dei visti, una partita con Rodman».

La passione della dinastia Kim per il basket - e soprattutto per i Chicago Bulls - è nota dall'era Clinton, quando una palla firmata da Michael Jordan e donata a Kim Jong-il nel 2000 dall'allora segretaria di Stato Madeleine Albright è finita su un piedistallo del museo principale di Pyongyang. Intanto alla Casa Bianca pare che il presidente Obama sia andato su tutte le furie.

 


PRODI SUL COLLE E IL BANANA AI CEPPI - BELPIETRO RIVELA IL PIANO DELLA SINISTRA…

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Maurizio Belpietro per "Libero"

berlusconi galera

Come andrà a finire, mi chiedono allarmati parecchi lettori interessati a capire come si esce dall'impasse politico - istituzionale in cui ci siamo cacciati. La mia risposta è lungi dall'essere tranquillizzante: andrà a finire male, anzi malissimo. E non solo perché le elezioni hanno portato in Parlamento una banda di allegri buontemponi, che vorrebbero riportarci a vivere come i nostri nonni (leggete le proposte di alcuni esponenti del Movimento Cinque stelle e in particolare l'idea di abolire gli assorbenti igienici femminili per sostituirli con la coppoletta della luna), ma in quanto un gruppetto di signori - i soliti - sta cercando di fare i suoi giochetti sulla pelle degli italiani.

berlusconi dietro sbarre

La situazione è la seguente: Bersani e compagni non hanno nessuna intenzione di fare un accordo con Berlusconi e il centrodestra, ma nemmeno vogliono trovare un'intesa con Grillo e con gli esponenti del suo partito. Né sono veri i minacciosi propositi di ritornare alle urne: dentro il Pd sanno bene che questa è un'ipotesi impossibile e poi non è detto che da una nuova tornata elettorale il Partito democratico esca vittorioso. Da due mesi di discorsi bersaniani la sinistra è uscita con le ossa rotte, perdendo tra il cinque e il sette per cento dei consensi, figuratevi se la campagna per il voto durasse da qui a giugno: il Pd lo troveremmo dimezzato.

BERSANI PRODI A MILANO

E allora che succede? Semplice, la sinistra che si è convinta di aver vinto le elezioni vuole eleggere il suo capo dello Stato per mettersi tranquilla e non avere sorprese. E chi sarebbe la persona in grado di tutelare il Pd da ogni rischio? Giuliano Amato? Mario Monti, Anna Finocchiaro o il ministro Rosanna Cancellieri come qualcuno ha ventilato? Ma no, il candidato naturale è il collaudato Romano Prodi, uno che avendo occupato tutte le poltrone possibili può rivendicare per sé l'incarico più elevato, quello sul Colle.

BERSANI E MONTI A CERNOBBIO

L'ex ministro ed ex presidente dell'Iri, del Consiglio e della Ue ha dalla sua le ragioni del risarcimento morale confezionatogli su misura nell'ultima settimana, ovvero il caso De Gregorio. Come è noto, da quando esiste il Parlamento esiste anche la compravendita di parlamentari. All'epoca del primo governo D'Alema ne passò un blocco intero dal centrodestra al centrosinistra. Uno di essi, premiato con un incarico di sottosegretario, arrivava direttamente del Movimento sociale.

Tutti filantropi fulminati sulla via di Baffino? Ma è ovvio. Benefattori dell'idea progressista, voltagabbana per il bene dell'umanità, mica per un posto da ministro. Epperò, nonostante il mercato delle vacche (copyright Grillo) sia in voga da tempo, l'unico a finire nel mirino è stato Silvio Berlusconi. Fa nulla che la storia - se vera - risalga a sette anni fa né che non abbia a che fare con la caduta del governo dell'Ulivo nel 2008.

Sulla grande stampa è passato il concetto che Prodi fu vittima delle trame di Berlusconi, mentre, come è facilmente dimostrabile con una semplice ricerca d'archivio, il suo governo cadde perché gli tolsero la fiducia i parlamentari dell'Udeur (in seguito alle inchieste di Luigi De Magistris), Franco Turigliatto, parlamentare di Rifondazione comunista, e Domenico Fisichella, uno che era stato in An per poi finire nella Margherita. Con De Gregorio o senza De Gregorio (che era di fatto passato con il centrodestra un secondo dopo essere stato eletto), Prodi sarebbe dunque caduto lo stesso, perché il voto finì a 161 a 156.

GRILLO E CASALEGGIO ARRIVANO A ROMA

Dunque? Dunque le stigmate del martire berlusconiano porteranno Prodi sul Colle. Ma questo è solo il primo passo, perché messo Mortadella sulla poltrona quirinalizia, ecco il resto, ovvero un governo balneare che galleggi da qui all'autunno, massimo primi di dicembre, giusto in tempo per ricevere uno splendido regalo di Natale, ossia Berlusconi ai ceppi. Già, perché la sentenza di secondo grado nel processo per i diritti Mediaset dovrebbe arrivare entro questo mese, e lavorando di lena si può giungere a una condanna definitiva proprio prima della fine dell'anno.

Per la sinistra sarebbe un dono magnifico, perché quello che non sono riusciti a fare lo spread, Monti, Bersani e persino Grillo alla fine riuscirebbe ai soliti giudici, i quali metterebbero fuori gioco, finalmente, l'odiato Cavaliere. Si tratterebbe del delitto perfetto, che toglierebbe di mezzo l'unico vero avversario dei compagni.

belpietro

Senza di lui il Pdl si scioglierebbe come neve al sole e trovare i numeri per sostenere un governo della sinistra, garantendo al Pd e ai suoi alleati cinque anni di tranquillità, sarebbe un giochetto da ragazzi. In tal caso non si parlerebbe più di vincolo di mandato per i parlamentari, né di compravendita o di mercato delle vacche, ma solo di senso di responsabilità.

Lo stesso senso di responsabilità che spinge il quotidiano portavoce dei progressisti nazionali a farsi promotore di una raccolta di firme per dichiarare ineleggibile Berlusconi. Ovviamente, in nome della democrazia. Che il 30 per cento degli italiani, solo 124 mila persone in meno di quelle che hanno votato Pd, veda cancellato il proprio leader per far posto a Bersani e consentirgli di governare, a Repubblica importa poco. Ciò che conta è chiudere per sempre la guerra dei vent'anni. Rinchiudendo il Cavaliere in cella.

 

SE HA RAGIONE MALACHIA È L’ULTIMO CONCLAVE - SECONDO LA NOTA PROFEZIA SUI PAPI, IL PROSSIMO SARÀ IL PONTEFICE

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Armando Torno per il "Corriere della Sera"

BENEDETTO XVI RATZINGER DI SPALLE

Indovini e astrologi sono sempre indaffarati all'apertura di un conclave. Una prima raccolta di previsioni è fatta risalire a Merlino: di essa si comincia ad avere notizia verso la fine del XIII secolo. Il presagio numero 164 recita: «Quando la Santa Madre del Signore comparirà in più parti e quando Pietro avrà due nomi, sarà tempo di prepararsi perché l'ora sesta (quella in cui Gesù fu appeso all croce, ndr) sarà vicina». Dopo Paolo VI si hanno due Papi dal doppio nome; le apparizioni mariane, anche in questi ultimi anni, non mancano.

montini paolo VI

Ma il testo più noto resta quello di Malachia (ora disponibile, con originale latino e traduzione, nelle edizioni La Vita Felce). È ormai caduta l'ipotesi che lo attribuiva all'omonimo santo, amico di Bernardo, morto nel novembre 1148 e canonizzato nel 1190. Si tratta di una profezia sui romani pontefici che comincia dal 1143, con Celestino II, e indicando 111 eletti giunge sino alla fine del papato. Ogni vicario di Cristo è individuato con un breve motto.

L'autore, ormai citato come pseudo Malachia, attirò l'attenzione di Ludwig von Pastor: nella sua monumentale Storia dei papi sottolinea che il testo cominciò a circolare nel 1595 allorché il benedettino Arnold Wion la ospitò nel suo Lignum vitae, edito in quell'anno a Venezia.

papa giovanni XXIII

Il carattere apocrifo si deduce anche dal fatto che i motti per le previsioni da Celestino II a Gregorio XIV (Papa tra il 1590 e il 1591) furono ricavati dallo stemma o dal casato o addirittura dal nome di battesimo; a volte si conformavano al titolo cardinalizio o al Paese d'origine. Dopo Gregorio XIV le frasi si fanno più criptiche e «solo a forza», sottolinea il Pastor, si riescono ad accordare ai fatti. Si suppone che l'operina sia nata dopo la metà del XVI secolo: il teologo Harnack la collega al Conclave del 1590.

HANS HERMANN GROER CON PAPA WOJTYLA

Per fare degli esempi, diremo che Giovanni XXIII fu definito da Malachia «Pastor et nauta» (era Patriarca di Venezia); Paolo VI «Flos florum», cioè «fiore dei fiori» (lo stemma di Montini aveva tre gigli); Giovanni Paolo II «De Labore solis», ovvero «dallo sforzo del sole» (veniva dall'Est). Benedetto XVI, considerato penultimo successore di Cristo, è «De gloria olivae», «gloria dell'ulivo» (i collegamenti sono numerosi, a cominciare dai benedettini, che sono anche «monaci olivetani»).

L'ultimo pontefice è indicato come «Pietro romano» e la fine della successione coinciderebbe anche con quella del mondo: «Nell'ultima persecuzione della Santa Chiesa, risiederà Pietro il Romano che farà pascolare le sue pecore fra le tribolazioni. Passate queste, Roma sarà distrutta e il giudice temibile giudicherà il suo popolo».

LATTENTATO A PAPA WOJTYLA

Nostradamus con le sue celebri e fumose Centurie rivela particolari a seconda della traduzione; non poche delle sue quartine furono attribuite a questo o quel Papa. Vi sono inoltre profezie che si leggono nel De Magnis tribolationibus et Statu Ecclesiae (Venezia 1527). Si parla di un papa che «verrà da lontano e macchierà con il suo sangue la pietra»: termini che rimandano all'attentato a Giovanni Paolo II. Dopo di lui sono previsti soltanto due pontefici: il primo, un «seminatore di pace e di speranza, in un mondo che vive l'ultima speranza»; il secondo verrà a Roma per «incontrare tribolazione e morte».

Né mancano profezie contemporanee. La prima, ancora in attesa di un nome, è del 1968: in quell'anno il vaticanista Emilio Cavaterra pubblicò nelle edizioni del Borghese Il papa negro. La fascetta del libro recitava: «Sarà il prossimo?». Dopo un lungo Conclave sarebbe stato eletto il cardinale Anacleto Wenthombu, figlio del re africano Tsinghila Nzomba, con il nome di Leone XIV (elezione, però, prevista per il 1987).

Giovedì, infine, uscirà in Italia il libro dello storico della Chiesa Juan Maria Laboa, Gesù a Roma (Jaca Book, pp. 160, 12). Scritto lo scorso anno, parla di un sogno di papa Benedetto XVI nel quale il Salvatore si reca nell'Urbe. Sfrutta un tòpos letteraio celebre, il medesimo che Dostoevskij utilizzò per Il Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov, ma alla fine il pontefice rassegna le dimissioni. E queste, come abbiamo constatato, sono reali.

 

RIDE BEN CHI RIDE ULTIMO - ANCHE IL “FINANCIAL TIMES” SPERNACCHIA GLI ITALIANI CHE PARAGONANO GRILLO A MUSSOLINI

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Andrea Andrei per Dagospia

grillo

Da "Financial Times"
http://on.ft.com/W2hef1

Altro che fascismo, altro che dittatori. L'Europa di oggi, che sempre più spesso piange e sempre più raramente ride, vuole i comici al potere. Nello stravolgimento che la crisi ha portato nel Vecchio continente, la gente tende a credere di più a chi scherza per lavoro che a quelli che invece per mestiere dovrebbero dire sempre la verità. Segno evidente di quello che sia diventata la politica e di come, conseguentemente, venga percepita dai cittadini.

Non c'è dubbio che le analogie fra il periodo storico che stiamo vivendo e i pericolosi anni '30 siano parecchie. C'è una crisi economica devastante in atto, la disoccupazione è alle stelle e l'austerità picchia duro. Stanno nascendo nuovi movimenti politici come reazione, spesso più disperata che rabbiosa, da parte della gente che si ritrova inghiottita da un disastro che sembra piovuto chissà come, chissà da dove. Ma da qui a paragonare Beppe Grillo e il suo Movimento Cinque Stelle al fascismo, ce ne passa.

MUSSOLINI FA NUOTO jpeg

Il giornalista del "Financial Times" Gideon Rachman spiega perché l'ultima moda di gridare al ritorno dei totalitarismi in Europa sia, per usare un eufemismo, abbastanza ingiustificata.
Innanzitutto, negli anni '30 il continente usciva da una delle guerre più sanguinose della storia. Solo pochi anni prima erano morti circa il 40 per cento degli uomini francesi e tedeschi di età compresa fra i 19 e i 21 anni, e in Europa circa 10 milioni di soldati persero la vita. Un bilancio durissimo, che compromise la futura visione politica, tant'è che sia Hitler che Mussolini erano veterani di guerra. I paesi erano ridotti alla fame.

BEPPE GRILLO SUL PALCO

La nostra Europa è molto più ricca e, per fortuna, non ha subito un trauma così forte come quello di una guerra mondiale. Se proprio si dovessero cercare parallelismi con il periodo della nascita dei totalitarismi, il paese che più si presterebbe a un paragone simile è la Grecia, dove il partito di estrema destra Alba Dorata ha raccolto il 10 per cento delle preferenze alle urne. L'estrema sinistra è diventata addirittura la seconda forza politica. Ciononostante però, a vincere le elezioni è stato comunque un partito centrista moderato.

La Grecia rimane in ogni caso un'anomalia rispetto agli altri paesi in cui la crisi si sta facendo più sentire, come Italia, Spagna e Portogallo. Qui i partiti di estrema destra o di estrema sinistra sono ancora molto minoritari. In Spagna sta riemergendo il nazionalismo catalano, cosa che però non ha niente a che vedere con il franchismo. In Italia anche la Lega Nord ha perso consensi. Chi invece di consensi ne ha guadagnati (e tanti) è il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo.

mussolini 009 balcone

Ora, per quanto il suo stile sia particolarmente diretto, non si può certo dire che sia di stampo militarista, né che rifiuti la democrazia. Tutt'altro. Ed ecco che emerge la differenza di cui prima: gli europei, stremati dalla crisi, preferiscono "distruggere il sistema" votando uno che fino a qualche anno fa li faceva ridere nei teatri piuttosto che appoggiare dei fascisti. Così è stato anche in Islanda, dove il comico Jon Gnarr è diventato sindaco di Reykjavik.

BILD GRILLO E BERLUSCONI ACCUSATI DI ESSERE POLITICI CLOWN IN GRADO DI DISTRUGGERE LEURO

Eppure, ricorda Rachman, una volta al potere, questi personaggi si ritrovano a dover fronteggiare dei problemi molto seri. Ne sanno qualcosa i grillini di Pizzarotti a Parma, che governano una città fortemente indebitata e che hanno dovuto operare grossi tagli alle spese.

C'è da dire che in effetti qualche proposta del M5S, fatta sull'onda dell'entusiasmo (o della rabbia, che dir si voglia), può destare qualche perplessità. Ad esempio quella di sospendere il pagamento del debito o quella di abbandonare l'euro. Sembra che i politici italiani tendano comunque ancora a considerare Grillo solo un comico, e che loro per primi non accettino l'idea del cambiamento in atto.

economist berlusconi grillo clown

Evidentemente, c'è talmente poco da ridere in quello che sta accadendo, che pure l'umorismo è diventato una cosa seria. Come si dice, ride ben chi ride ultimo, e Grillo lo sa bene.

 

SIAMO UOMINI O GENERALI? - MARIO GRECO MOLLA TUTTE LE POLTRONE CHE NON SONO A TRIESTE

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Sergio Bocconi per il "Corriere della Sera"

Mario D urso e Rosy Greco

Mario Greco si concentra sulle Generali e lascia i consigli di amministrazione delle società che non appartengono al gruppo del Leone: uscirà dunque dai board di Pirelli, Editoriale L'Espresso, Indesit e Saras. Il passo del group ceo della più grande compagnia italiana segnala la volontà di dedicarsi esclusivamente alla guida e al rilancio a Trieste, e appare coerente con il primo punto del suo «programma» per la compagnia: il focus sul core business, le assicurazioni.

mario greco generali

Il top manager siede nel consiglio di Indesit (l'allora Merloni elettrodomestici) dal 2004, quando ancora guidava la Ras, in quelli dell'Espresso e della Saras dal 2006, quando era in Eurizon, mentre in Pirelli (dov'era già stato con «casacca» sempre di Ras) è entrato dal novembre scorso come rappresentante di Generali, dato che la compagnia triestina partecipa al patto dei sindacato della società di Marco Tronchetti Provera con il 4,41%.

La decisione, senza dubbio poco comune in Italia, è poi in un certo senso coerente anche con quanto Greco ha detto a Londra a metà gennaio, in occasione della presentazione alla comunità finanziaria internazionale della strategic review, il nuovo piano strategico triennale. Riferendosi alle quote detenute da Trieste in società non assicurative e in diversi casi vincolate ad accordi parasociali, il group ceo ha sottolineato che «non è mestiere» delle Generali «fare gli azionisti strategici».

MARIO GRECO

E a proposito delle partecipazioni vincolate ha aggiunto che «non ci sono patti e patti», bensì «asset e asset. Li valutiamo uno per uno, li guardiamo e decidiamo cosa fare». Dichiarazioni non scontate e che hanno dimostrato un atteggiamento «laico» della più grande compagnia italiana verso le partecipazioni «non core». Allo stesso modo pare dunque che Greco abbia scelto di muoversi personalmente e come rappresentante del gruppo che guida oggi.

ASSICURAZIONI GENERALI

La svolta infatti si compie non in obbedienza a normative di governance: qui i paletti interposti per legge all'interloking non c'entrano, visto che le società di cui Greco si appresta a lasciare i consigli di amministrazione non sono finanziarie o compagnie concorrenti con il Leone di Trieste. La scelta è determinata dunque dalla volontà di dedicarsi esclusivamente al colosso assicurativo del quale è capoazienda da agosto.

La strategia presentata a Londra, basata in primo luogo come si è detto su focus sul core business assicurativo, ha poi come punti cardine una maggiore disciplina negli investimenti e il rafforzamento patrimoniale. Obiettivi dichiarati del top manager sono un aumento del ritorno per gli azionisti del Leone e riportare le Generali, terza compagnia assicurativa europea, a essere un gruppo leader internazionale.

Pirelli re - marchio

Orientamenti che hanno condotto a una forte revisione della governance della compagnia con la creazione di un team di management internazionale, guidato da Greco che ha come «vice» Sergio Balbinot, a una riorganizzazione dei marchi con Generali al centro e i brand portati da dieci a tre e alla creazione dei «cantieri Italia» per ridisegnare gli assetti domestici.

 

L’INCOGNITA CAMPIDOGLIO – ENTRA NEL VIVO LA CORSA PER IL SINDACO: MELONI È PRONTA A SFIDARE ALLE PRIMARIE ALE-DANNO,

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IL PIANO MELONI PER PRENDERE ROMA
Fabrizio De Feo per "Il Giornale"

GIANNI ALEMANNO GIORGIA MELONI - copyright Pizzi

Smaltita la sbornia delle Politiche e in attesa che si sblocchi lo stallo, lo sguardo dei partiti si sposta verso la Capitale. Qui le elezioni sono previste per fine maggio. Mancano quindi poco più di due mesi al traguardo.

La matassa - metafora bonaria per caos - appare, però, ancora ingarbugliata e difficile da dipanare. Pdl e Pd, infatti, non hanno ancora ufficializzato le loro scelte. I centristi escono con le ossa rotte dal voto. E su tutto incombe la minaccia di Beppe Grillo, il possibile «sparigliatutto» che ha messo nel mirino il Campidoglio e sta invitando il movimento a battere le periferie e fare di tutto per conquistare la Capitale. Un successo qui avrebbe, infatti, un valore simbolico fortissimo e rappresenterebbe un traino eccezionale verso le possibili elezioni anticipate.

MAURIZIO STIRPE

Molti attendono la prima mossa del sindaco uscente per muoversi. Gianni Alemanno nelle ultime ore ha alzato il pressing sul centrodestra per definire regole e criteri della scelta. Ha parlato con Silvio Berlusconi per ottenerne l'appoggio in campagna elettorale. Ed è anche pronto a misurarsi con eventuali primarie ma solo a condizione che siano reali e non un trampolino di visibilità per dirigenti locali senza possibilità di vittoria.

La novità delle ultime ore è che dentro Fratelli d'Italia si sta seriamente riflettendo sulla discesa in campo di Giorgia Meloni. Nel partito si trincerano dietro un prudente «vedremo». Ma Fabio Rampelli ne sta ragionando con l'ex ministro delle Politiche Giovanili.

Aurelio Regina

Sfidare Alemanno nelle primarie non viene considerata una impresa impossibile e potrebbe consolidare la presenza del neonato partito. Inoltre una sfida aperta potrebbe dare forza e legittimazione al candidato vincente, chiunque fosse, senza concedere un vantaggio al Pd (anche se c'è chi sostiene che, al contrario, sarebbe meglio evitare dispersione di forze).

Nel Pd continua il balletto sulle primarie, spostate varie volte e forse convocate il 7 aprile. La rosa dei nomi continua ad allungarsi. Tra i candidati possibili ci sono David Sassoli, Paolo Gentiloni, Patrizia Prestipino e forse Ignazio Marino, sostenuto da Goffredo Bettini, così come periodicamente torna la suggestione Bianca Berlinguer.

C'è poi l'incognita Alfio Marchini. L'imprenditore che ha tappezzato Roma di cartelloni con i «cuori spezzati» avrebbe dovuto essere il candidato dell'Udc e dei montiani. Dopo la débâcle centrista, però, vorrebbe mettersi in gioco partecipando alle primarie del Pd, rivendicando lo storico legame tra la sua famiglia e il Pci. Il partito di via del Nazareno, però, è spaccato su questa ipotesi con l'ala dalemiana disponibile e il segretario di Roma, Marco Miccoli, contrario.

Francesco Gaetano Caltagirone

I grillini, a loro volta, starebbero vagliando addirittura 57 candidature a sindaco da sottoporre alla rete. Tra i maggiori partiti, comunque, la preoccupazione per M5S c'è ma fino a un certo punto. «Grillo alla Camera nel Lazio ha preso il 28% ma alle Regionali è sceso al 20», spiegano. «A Roma serve il radicamento, servono candidati che conoscano il territorio e riescano a ottenere preferenze. Il voto di opinione non basta».

2- NELLA GARA PER IL CAMPIDOGLIO IRROMPE LO TSUNAMI "5 STELLE"
Roberto Mania per "La Repubblica"

Beppe Grillo

È scattato l'allarme nelle stanze del potere economico e finanziario romano. I risultati del voto sono stati un vero shock per chi a Roma non aveva ancora messo in conto la variabile grillina con tutte le sue possibili conseguenze. Ma ora il Movimento 5 stelle di
Beppe Grillo è il secondo partito tra gli elettori romani.

Alla Camera il movimento è arrivato al 27,46% dei consensi, al Senato si è fermato poco più sotto, al 25,5%. Intorno al 20 la percentuale nelle schede per la Regione. Numeri che danno concretezza alla sfida lanciata dal 5 stelle: conquistare Roma dopo aver preso Parma. Sfida che fa tremare i potenti romani.

Si vedrà chi sarà il candidato dei grillini per il Campidoglio. Ci sarà la selezione
online. Ma quando Davide Barillari (il candidato del 5 stelle alla Pisana) fresco di elezione al Consiglio regionale, ha annunciato che la pattuglia dei consiglieri del movimento, darà battaglia senza esclusione di colpi contro il raddoppio dell'aeroporto di Fiumicino e contro la realizzazione dell'autostrada tra Roma e Latina, perché loro propugnano un diverso modello di sviluppo, il colpo è arrivato duro tra chi da sempre pensa che la ripresa, anche dell'occupazione, passi, invece, dal cemento.

È bastato ricordare che quando Maurizio Stirpe si è insediato alla presidenza di Unindustria aveva indicato tra le priorità quelle di realizzare alcune infrastrutture tra le quali il raddoppio dell'hub Leonardo da Vinci, e l'autostrada Roma- Latina. Identica la posizione del suo predecessore Aurelio Regina, oggi vice di Giorgio Squinzi.

E in pochi hanno scordato che nell'intervista che Francesco Gaetano Caltagirone rilasciò al Financial Times a dicembre c'erano le stesse proposte. Ora la domanda è: «E se il 26 maggio vincesse Grillo?».

 

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