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FLASH! – COME SI E’ GIUSTIFICATO IL POCO DIPLOMATICO PEER (“HANNO VINTO DUE CLOWN”) STEINBRUCK? IL RIVALE DELLA MERKEL HA DICHIARATO ALL’EMITTENTE ARD, EQUIVALENTE DEL NOSTRO TG1, CHE NON HA FATTO ALTRO CHE LEGGERE CIO' CHE ERA SCRITTO SU ‘’REPUBBLICA’’….


GUATEMALA MON AMOUR: FINITA L’ASPETTATIVA ELETTORALE INGROIA DEVE SCEGLIERE…

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1- INGROIA, BIVIO TRA LA TOGA E LA POLITICA
Dal Corriere della Sera

Ingroia e Di Pietro

A poche ore dalla sconfitta alle Politiche ha garantito che resterà in campo con Rivoluzione civile per i prossimi appuntamenti elettorali, a cominciare dalle Comunali a Roma. Ma se Antonio Ingroia (foto) vorrà continuare l'impegno politico dovrà lasciare la magistratura o per lui scatteranno sanzioni disciplinari.

È tempo di scelte, quindi, per l'ex pm di Palermo che ha imbastito l'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Con la proclamazione degli eletti al Parlamento finirà l'aspettativa elettorale che gli ha concesso il Csm. E alla scadenza, salvo diversa decisione, dovrà tornare in Guatemala per proseguire l'incarico dell'Onu o tornare a indossare la toga.


2 - DI PIETRO JR. RIELETTO IN MOLISE
Dal "Corriere della Sera"

Paolo Di Laura Frattura governatore, 11 consiglieri di maggioranza per il centrosinistra e 8 per l'opposizione: è questa la composizione del nuovo Consiglio regionale del Molise. Tra le conferme c'è quella di Cristiano Di Pietro, figlio del presidente dimissionario dell'Idv, che con 2.053 preferenze è stato il più votato della lista del partito in provincia di Campobasso. Per Frattura, 50 anni, il segreto del successo è stata «la semplicità della proposta per avviare un processo di modernizzazione del Molise che parte dalla riorganizzazione di tutto l'apparato burocratico amministrativo».

INGROIA LEOLUCA ORLANDO DI PIETRO ALLA FESTA IDV DI VASTO

 

3- L'IDV SPARITO: ABBIAMO ANCORA SOLDI
Alessandra Arachi per "Il Corriere della Sera"

Antonio Ingroia

Nella sede dell'Italia dei valori in via Santa Maria in Via, un gran bell'appartamento nel cuore di Roma, Silvana Mura è lì che traccia somme e sottrazioni. Orgogliosa. È lei, da sempre, la tesoriera dell'Idv. «Il partito è vivo. E sano. E danaroso. Siamo qui pronti a ricominciare». Nelle belle stanze della sede del partito che fu di Antonio Di Pietro in queste ore risuona il silenzio per l'assenza di troppi dipendenti che, adesso, sono in giro a cercare un altro lavoro.

Adesso che l'Idv è stato schiacciato dal peso della sconfitta elettorale e il suo padre-padrone-presidente è arrivato a mollare il colpo, rassegnando le dimissioni, il futuro è tutto da disegnare. «Ma una cosa è certa: non è finita qui. L'alleanza con Rivoluzione civile è stata un errore, io l'avevo detto fin dall'inizio. E adesso a Di Pietro bisogna riconoscere di aver dato le dimissioni per coerenza in un Paese dove nessuno si scolla mai dalla sedia». Silvana Mura non è soltanto la tesoriera, ma anche una cofondatrice dell'Idv nonché sodale di Di Pietro di tutte le battaglie.

ANTONIO DI PIETRO - ITALIA DEI VALORI

Adesso che dall'Idv sono scappati in tanti e persino il cognato di Di Pietro, Gabriele Cimadoro, ha fatto fatica a rimanere, rimane un tesoretto nella cassa del partito e la speranza di trovare una via per il futuro.

Silvana Mura sciorina cifre con orgoglio: «In bilancio al 31 dicembre 2012 avevamo 8 milioni di titoli, 4 milioni in cassa e altri 4 milioni di soldi che dobbiamo avere. C'è da tirare la cinghia, visto che di rimborsi adesso non ne avremo più. Inoltre c'è da ridimensionare lo staff, perché del resto non sapremo che farcene di tante persone che avevamo imbarcato nel periodo florido. Ma abbiamo di che andare avanti». E di che sperare.

ANTONIO INGROIA CON IL SIMBOLO DELLA SUA LISTA

Difficile, adesso, cercare di capire il futuro politico di un partito che ha conosciuto i fulgori dell'8 per cento e si ritrova in queste ore a fare la conta fra i suoi membri dei tanti, troppi assenti.
In programma c'è da organizzare un congresso entro la fine dell'anno con la gestione collegiale dell'ufficio di presidenza. Ma la vera sfida sarà indovinare la formula magica per risorgere dalle ceneri. Facile pensare alla ricerca di un abbraccio con Grillo.

Di Pietro Antonio

Silvana Mura lo dice con chiarezza: «Le idee di Grillo sono le nostre». E la memoria corre a quando Gianroberto Casaleggio gestiva la comunicazione web di Di Pietro, ancora prima di diventare il guru di Grillo.
Litigarono i due, Casaleggio e Di Pietro, nel 2010. Di Pietro sembra non sopportasse l'eccessiva invadenza di Casaleggio nei contenuti del suo web. Ma i rapporti tra Grillo e Di Pietro in questi anni non si sono mai interrotti. «Quelle di Grillo sono le richieste della buona politica», chiosa Silvana Mura, fra somme, sottrazioni. E soprattutto: le divisioni degli stipendi.

 

 

 

FACCI GUFA BEPPUZZO: “NON È DETTO CHE DA NUOVE ELEZIONI AVREBBE DA GUADAGNARE…”

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Filippo Facci per "Libero"

Parliamo del niente, ma dovremo abituarci. Per ora Grillo e i suoi restano questo: il niente politico, benché muniti di voti e parlamentari. In Grecia il niente - cioè i partiti di protesta - ha funestato le elezioni e ha costretto a rifarle: dopodiché la gente capì e alla seconda tornata elettorale la protesta si riassorbì.

BEPPE GRILLO DURANTE UN COMIZIO

O quasi. Traduzione: non è affatto detto che il Cinque Stelle da nuove elezioni avrebbe soltanto da guadagnare. Negli ultimi due giorni abbiamo visto e rivisto dai filmati che Grillo dialoga al telefono con Piero Ricca (una cosa politicamente dirompente) e poi il suo «discorso dei Ray-Ban» dove c'è lui che esce dal cancello e si concede finalmente ai giornalisti: un evento a scopo dimostrativo in cui peraltro il comico ha accettato di rispondere ad alcune domande, anche se - ha detto - erano domande tutte «sbagliate», sapete.

Filippo Facci

In sostanza Grillo ha detto che i suoi futuri interlocutori parlamentari faranno un governissimo e che sono «malati mentali», qualcuno, cioè, dovrebbe prenderli sottobraccio dicendo loro che «è finita». Poi ha detto che il prossimo Capo dello Stato potrebbe essere il «ragazzino» Dario Fo (86 anni, che sarebbero 93 a fine mandato) e la risposta di Fo in effetti è parsa la più lucida della giornata: «Non ho le energie fisiche e psichiche». Poi Grillo ha detto le solite sue cose: che «faremo tutto quello che abbiamo promesso... Vedremo riforma per riforma, legge su legge, se ci sono proposte le valuteremo».

Filippo Facci

Da dove? Come? Nei confronti di quale governo? E i presidenti della Camera e del Senato? Boh. Parole. A ben guardare, ieri, Grillo non ha detto niente: ma è tutto quello che ha detto, e allora giù discussioni.

INCIUCI E LARGHE INTESE
La cronaca di parte grillina è tutta qui, e a simili e penosi approcci è appeso il dibattito politico: con gli analisti impegnatissimi nella decrittazione del niente, arrovellati nel tentar di comprendere se i «no» di Grillo siano strategici o significhino «no» e basta. No a governissimi, a larghe o strette intese, a qualsivoglia dialogo, no a «inciucetti e inciucini», in pratica no a fermare la sua lunga marcia attraverso le istituzioni che denota il palese obiettivo di scassarle.

LA FOTO TWITTATA DA VENDOLA CON BERSANI - UNA COPPIA DI FATTO

Riempire i granai al prossimo raccolto elettorale, roba che potrebbe esserci tra pochi mesi, un anno al massimo: il messaggio di Grillo, per ora, sembra solo questo. Non c'è ragione di pensare altrimenti, la chiusura di Grillo pare totale e sufficientemente motivata: ma stratosferica è comunque l'attenzione alle «aperture» di parte piddina, da quelle di Pierluigi Bersani («Grillo dica cosa vuole fare») a quelle evocative e non sintetizzabili di Nicola Vendola. Eppure Grillo era già parso abbastanza esplicito, ci pare.

Ha detto che parlerà personalmente col Capo dello Stato per le consultazioni: anche questo è un progresso. Intanto i suoi ragazzini, da marzo, avranno il tempo di prendere confidenza con l'emiciclo parlamentare e di raffreddare il loro approccio da dilettanti allo sbaraglio in perenne fregola da assemblea studentesca. Chissà se sarà loro chiaro - se sarà chiaro a Grillo, soprattutto - che sono rappresentanti del popolo italiano, ora, e non soltanto degli amici loro.

NICHI VENDOLA E PIERLUIGI BERSANI

FINE DELLA PROPAGANDA
Il tempo della propaganda e dell'irresponsabilità è finito, o c'è da sperarlo: il Cinque Stelle non potrà reggere all'infinito senza democrazia minima e strutture e gerarchie e un'organizzazione del consenso. Giuseppe Piero Grillo è ancora e soltanto una sorta di capo di Stato maggiore con sotto di lui, infinitamente sotto, una truppa proletaria con la quale lui non parla neanche.

PIERO RICCA

I grillini, a ben guardare e a ben ascoltare, per non sbagliare non dicono mai nulla che non sia «contro»: perché una vera idea non c'è, un vero programma non c'è, una dinamica democratica non c'è, non c'è praticamente niente se non in termini molto generici. Manca ancora un disegno, un'idea precisa, una vera «intelligence» dietro ogni mossa o frase pronunciata: è tutto un po' così, estemporaneo come un'uscita fuori dal cancello a parlare coi giornalisti.

Non è possibile che una forza autenticamente democratica trovi origine e sede soltanto nel blog di Beppe Grillo, anzi neanche, in una sottosezione del blog di Beppe Grillo: laddove l'unico titolare del movimento è lui, e per contattarlo c'è un solo indirizzo email.

Nel suo movimento non ci sono «fedelissimi», non ci sono «dissidenti», non ci sono «ribelli», non esistono vere «polemiche», non c'è niente nei fuorionda perché c'è pochissimo persino in onda: non c'è niente, ci sono le banali dinamiche che si studiano in sociologia a proposito dei gruppi, c'è un ribollire che si teme - lo teme Grillo - possa solidificarsi in qualcosa che deluda. L'ebollizione perciò continuerà. E discutere con loro, con il Cinque Stelle, non servirà a niente.

 

IL “NEW YORK TIMES” SI SCAGLIA CONTRO SODANO PER LA “COPERTURA” DATA PER DECENNI AI ‘LEGIONARI DI CRISTO’

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M. Antonietta Calabrò per il "Corriere della Sera"

CARDINALE MAHONY

«Wow, Jesus is demanding». L'ha scritto prima sul suo blog, poi su Twitter. «Prego anche per chi mi odia. Nelle mie preghiere quotidiane includo chi mi ama e anche chi mi odia», «coloro che non possono perdonarmi, i media che dicono costantemente male di me, quelli che mi disprezzano e mi odiano. Se non pregassi per tutte queste persone, non seguirei gli insegnamenti di Gesù».

CARDINALE ANGELO SODANO

Con questo spirito, il cardinale Roger Mahony ha partecipato sul sagrato di piazza San Pietro, assieme ad altri settanta cardinali, all'ultima udienza generale di papa Benedetto XVI. Non era in prima fila, dove c'era invece Timothy Dolan arcivescovo di New York che ha difeso il diritto-dovere di Mahony di partecipare al Conclave nonostante le polemiche sulla pedofilia che continuano a ferire la sua diocesi. Ma questo è normale perché Mahony ormai è un emerito, non è più l'arcivescovo titolare di Los Angeles.

CARDINALE TARCISIO BERTONE

Eppure Mahony, a poche ore dall'ultimo appuntamento pubblico di papa Ratzinger, ha voluto puntare l'indice di nuovo contro il cortocircuito mediatico di cui si sente vittima: «Non riesco a ricordare un altro periodo come quello attuale in cui la gente tende a essere così critica, così rapida ad accusare, giudicare e condannare» ha scritto. Aggiungendo: «E spesso con scarsi fatti reali e informazioni. Con le news 24 ore al giorno sette giorni su sette c'è poco o nulla in termini di controllo dei fatti; no analisi profonde; no contesti o storia offerti. Tutto viene riportato come "news" senza riguardo per le basi di quello che viene riportato».

Tanto che, ieri pomeriggio, quando è rientrato nella sua residenza romana presso il Collegio nordamericano - dove soggiornerà fino all'apertura del Conclave - ha spedito un altro tweet. «La tua migliore alternativa per una chiara, accurata, tempestiva informazione sulla Santa Sede è news.va. Mettilo tra i tuoi preferiti».

MARCIAL MACIEL

Nelle stesse ore è arrivato però un duro attacco del New York Times contro i cardinali che, coinvolti negli scandali dei preti pedofili, costituiranno un collegio di «fallibili» nell'elezione del nuovo Papa. Per il quotidiano americano il problema non è solo Mahony («che per certi versi ha ragione a dirsi un capro espiatorio»). Sono «almeno una decina i cardinali accusati di non aver rimosso preti coinvolti in abusi sessuali che si riuniranno nella Cappella Sistina».

In particolare il giornale attacca il decano del Sacro Collegio che presiederà la Missa pro eligendo pontefice (nonostante i suoi 85 anni, grazie ad una modifica voluta da Benedetto XVI nel suo ultimo Motu proprio): Angelo Sodano. Di Sodano il quotidiano ricorda la copertura accordata fino all'ultimo e per decenni ai Legionari di Cristo e al loro fondatore Maciel. Nelle stesse ore è scoppiato un nuovo caso di «impresentabile» in Messico, secondo quanto riportato dal quotidiano spagnolo El País.

IL CARDINAL RIVERA CARRERA

Attivisti sociali ed ex membri del clero messicani avrebbero inoltrato una protesta in Vaticano per la presenza in Conclave del cardinale Norberto Rivera Carrera in quanto l'alto prelato, quando era vescovo di Tehuacan negli anni 80, avrebbe coperto gli abusi sessuali compiuti dal sacerdote Nicolas Aguilar in Messico e negli Usa.

Secondo El País, inoltre, «una delle lettere» indirizzate al cardinal Mahony e pubblicate dal Tribunale di Los Angeles lo scorso gennaio nell'ambito dell'inchiesta sui casi di pedofilia, «indica che Rivera era a conoscenza delle tendenze pedofile e dell'omosessualità di Aguilar».

Sette misure concrete che dovrebbero essere adottate dal nuovo Papa «per affrontare il problema degli abusi sui bambini da parte del clero» sono state indicate alla Cnn da Jeff Anderson, avvocato delle vittime degli abusi negli Stati Uniti. Anderson ha detto: «Rappresento centinaia di ragazzi sopravvissuti ad abusi sessuali del clero, e in due di questi casi ho citato in giudizio Benedetto XVI e la Santa Sede, perché veramente credo che tutte le strade portano a Roma e che la responsabilità sieda lì». Ma nel primo di questi casi, nell'agosto scorso, la Santa Sede è stata «assolta» dal Tribunale dell'Oregon.

 

 

LA PROCURA GENERALE DELLA CASSAZIONE METTE “SOTTO ACCUSA” LA PM MINORILE FIORILLO…

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Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"

Processo disciplinare al pm minorile che in tv smentì la ricostruzione del ministro Maroni sul caso Ruby, incolpazione disciplinare per la giudice del processo Mills che in sentenza criticò pm e colleghi giudici, e azione disciplinare anche per il procuratore aggiunto denunciato dal suo capo per una dichiarazione non concordata sull'omicidio di un vigile: una raffica di iniziative della Procura generale della Cassazione a carico di toghe milanesi promette di misurare i confini di cosa i magistrati possano dire, dove e come. E lo fa prima di aver contestato all'ex pm Antonio Ingroia i suoi commenti alla decisione della Consulta sul conflitto di attribuzione tra Quirinale e Procura di Palermo.

toghe

Annamaria Fiorillo era il pm della Procura dei minorenni di turno la notte del 27 maggio 2010 in cui la minorenne marocchina Ruby, finita in Questura per essere identificata, fu affidata, dopo la raffica di telefonate in cui Berlusconi diceva che gli era stata segnalata come parente di Mubarak, proprio alla persona preannunciata dal premier, la consigliere regionale pdl Nicole Minetti.

Uno dei nodi della vicenda è sempre stato se avesse ragione il commissario Giorgia Iafrate a dire di avere fatto ciò che alla fine anche il pm aveva concordato, cambiando parere rispetto all'inizio; oppure il pm Fiorillo a non ricordare di aver mai autorizzato la consegna della minorenne a Minetti.

TRIBUNALE LA LEGGE E UGUALE PER TUTTI

Quando il caso deflagra nel novembre 2011, l'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni, in parte confortato anche da una nota rilasciata dal procuratore capo Bruti Liberati, comunica al Senato che «tutto si è svolto secondo le procedure» e annuncia azioni contro «chi ha gettato fango sulla polizia».

ruby

Il pm Fiorillo, che sino ad allora aveva taciuto e consegnato soltanto una relazione al suo capo Monica Frediani (a sua volta silente), ritiene di dover difendere la propria immagine: «Voglio si sappia che non ho mai autorizzato l'affido alla Minetti», anche perché, se Ruby è la nipote di Mubarak, «io sono Nefertiti regina del Nilo».

Lo fa sia con i cronisti, «indignata» per aver ascoltato il ministro «calpestare la legalità e insultare gli italiani», sia con il Csm, al quale scrive che «le dichiarazioni del ministro, che sembrano essere coerenti col comunicato del procuratore Bruti Liberati, non corrispondono alla mia diretta esperienza personale».

SILVIO BERLUSCONI

Lo ripete in una intervista a Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz'ora, ipotizzando nel ministro «una ragione di Stato» che però «non può essere così assorbente da consentire la violazione della legalità». L'insieme di queste prese di posizione le viene ora contestato come violazione del dovere di riserbo, benché il pm non fosse titolare di procedimenti e neppure avesse redatto atti che potessero "parlare" al posto suo.

Nicole Minetti Sexy

Fiorillo è stata rinviata a giudizio disciplinare il 15 marzo davanti all'apposita sezione del Csm, dove sarà difesa dal procuratore aggiunto romano, e punto di riferimento di "Md", Nello Rossi. Intanto lunedì 4 marzo Fiorillo sarà chiamata a deporre nel processo a Berlusconi.

Diverso il caso di Francesca Vitale, presidente del collegio di Tribunale che un anno fa prosciolse Berlusconi per prescrizione (per soli 10 giorni) della corruzione del teste David Mills con 600.000 dollari nel 1999. Quando Vitale scrisse da sola la motivazione e la depositò senza farla prima leggere alle colleghe Lai e Interlandi, il procuratore generale Manlio Minale espresse al presidente della Corte d'Appello, Giovanni Canzio, «disagio» per una serie di passaggi della sentenza. Canzio, titolare della vigilanza sul distretto, segnalò solo alcuni di quei punti alla Procura generale della Cassazione, che in effetti ha «incolpato» Vitale (si chiama così, nel disciplinare, l'equivalente di un avviso di garanzia) di aver violato il dovere di correttezza verso i colleghi.

Lucia Annunziata

Perche? Per aver definito «inopportune» le «reiterate sollecitazioni del pm» De Pasquale «sulla fissazione del calendario» anti-prescrizione. E per aver scritto in sentenza che la prescrizione sarebbe stata colpa anche dei tre precedenti giudici (Gandus-Dorigo-Caccialanza) che nel 2008, all'entrata in vigore del lodo Alfano poi incostituzionale, continuarono il processo a Mills e stralciarono quello a Berlusconi, ripartito da zero davanti al collegio Vitale: «Scelta», ecco la frase incriminata, «le cui ragioni, al di là della motivazione formale, restano sinceramente oscure».

Più sfumato il caso di Nicola Cerrato, uno dei procuratori aggiunti, capo del pool ambiente, segnalato alla Procura generale della Cassazione dal procuratore Bruti e difeso dal pm e leader dei "verdi" Armando Spataro. La condotta per cui c'è indagine disciplinare è, il giorno in cui un vigile fu investito da un Suv, avere rilasciato poche frasi di rito, prive di notizie, ai cronisti che, di fronte al diniego del pm titolare e in assenza sia del procuratore sia del capo del pool competente, avevano bussato al facente funzioni Cerrato.

 

POVERO CASINI, NON L’HA VOTATO NEANCHE LA MOGLIE – DURANTE LE ELEZIONI ERA ALLE MALDIVE

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Gian Maria De Francesco per "Il Giornale"

AZZURRA CALTAGIRONE PIERFERDINANDO CASINI

Il responso delle urne lo ha certificato. Pier Ferdinando Casini ha perso il suo tradizionale appeal nei confronti dell'elettorato.

La drammatica riduzione della pattuglia parlamentare ne è la testimonianza più ampia. Ma pochi avrebbero potuto immaginare che nemmeno Azzurra Caltagirone ha espresso la propria preferenza in favore dell'«onorevole» marito.

Ebbene sì, secondo quanto si apprende da fonti bene informate, la gentil consorte - nel momento fatidico - si trovava all'estero, precisamente alle Maldive con i figli Caterina e Francesco ed è atterrata all'aeroporto di Fiumicino lunedì scorso alle 19.35 quando i seggi avevano già chiuso da oltre quattro ore e mezzo. Si tratta di dettagli, ma comunque molto significativi di come quell'idea di «centro» della quale Casini si era fatto portatore non abbia fatto breccia nemmeno tra le mura domestiche.

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE CON FIGLIA AZZURRA E PIERFERDINANDO CASINI

E se in casa non va bene, figuriamoci al lavoro! L'aver ridotto il partito erede della Dc a un misero 1,78% alla Camera (i deputati sono passati da 36 a 8) e aver «raccattato» solo due senatori (Casini incluso) nella lista Monti ha lasciato molti udiccini con l'amaro in bocca. E se non è costume dei democristiani aprire «riflessioni» e fare «autocritiche» come si usa tra gli epigoni di Botteghe Oscure, questo non vuol dire che il processo alla leadership non sia iniziato.

Pierferdinando Casini e Azzurra Caltagirone

Ma Casini, da oltre trent'anni in Parlamento, ha giocato d'anticipo e, ancora una volta, ha individuato nel segretario Udc Lorenzo Cesa l'obiettivo più facile da colpire. E martedì scorso, poco dopo aver assorbito la botta elettorale, ha riunito con sé i fedelissimi Gian Luca Galletti, Roberto Rao e Mauro Libé, tutti e tre accomunati dall'essere stati esclusi alla Camera.

monti casini

L'ex presidente della Camera, si mormora nei corridoi di Via dei Due Macelli, ha prospettato loro la possibilità di prendere la guida del partito costituendo una sorta di triumvirato. Casini manterrebbe per sé il ruolo di padre nobile, cioè di deus ex machina dello scudocrociato.

Peccato che l'Udc, come tutti i partiti, abbia uno statuto e che la nomina di un segretario politico necessiti di una ratifica congressuale. Ossia di quel congresso che da ben prima delle elezioni invoca il cosiddetto «partito del Sud», formato dagli esponenti udiccini delle regioni meridionali, tradizionale serbatoio di voti.

CARDINALE ANGELO BAGNASCO

Mario Tassone, ormai ex deputato calabrese estromesso dalle liste, ha invocato la resa dei conti dopo il disastro elettorale. In Calabria i luogotenenti di Casini, Occhiuto e Trematerra, hanno dimezzato i consensi del partito. Gli stessi toni, in queste ore, sono usati dai notabili udc di Campania, Sicilia e Puglia. E la domanda è sempre la stessa: «Perché si è stretta un'alleanza con Monti che ha "succhiato" i voti del partito e non si è rimasti autonomi?».

L'accordo post-elettorale con Bersani era pronto da tempo: sarebbe bastato prendere il solito 4-5% e poi sedersi a trattare. Casini ha scelto il Prof Monti e, di conseguenza, la totale irrilevanza politica.

 

 

STATE SEREGNI - ANDREA MASTAGNI, DOPO AVER RILEVATO LO STAMPATORE SEREGNI-FINGRAF, HA PUNTATO I 10 PERIODICI RCS

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Carlotta Scozzari per "l'Huffington Post"

andrea-mastagni

Il Gruppo Seregni, guidato dal presidente Andrea Mastagni, ha messo gli occhi sulle dieci testate di Rcs Periodici che il gruppo che edita il Corriere della Sera ha deciso di cedere. Secondo quanto risulta all'Huffington Post, il manager spezzino che nel curriculum si definisce "specializzato in crisi delle imprese e strategie aziendali" e che nel marzo del 2011 ha rilevato, in stato di crisi, il gruppo stampatore Seregni-Fingraf, starebbe in questi giorni esaminando il dossier dei periodici appena messi in vendita dalla società che edita il quotidiano di via Solferino.

Del resto, il tempo stringe, perché la notizia della dismissione degli asset, che dovrebbe riguardare le testate Novella 2000, Visto, A, Max, Astra, Ok Salute, BravaCasa, l'Europeo, Astra, Yacht & Sail, oltre al polo dell'enigmistica, era stata annunciata alle sigle sindacali del gruppo editoriale dall'amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, l'11 febbraio, quando tra l'altro l'ad si era detto intenzionato a chiudere l'operazione entro due mesi.

SCOTT JOVANE

Insomma, il tempo stringe, e forse è anche per questo motivo che le trattative tra le due parti, ossia il management del gruppo editoriale e Mastagni, potrebbero chiudersi già all'inizio della prossima settimana. Questo non significa che l'operazione non sia complessa: basti pensare che in un comunicato del 21 febbraio, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), insieme con i comitati e i fiduciari di redazione del gruppo Rcs, chiedeva all'azienda "di non proseguire sul fronte delle dismissioni", ritenendo "non discutibile un progetto (il riferimento era al piano di ristrutturazione messo a punto da Jovane, ndr) che voglia soltanto stravolgere l'assetto delle testate e distruggere patrimoni accumulati negli anni".

SEDE CORRIERE DELLA SERA

A ben vedere, era da qualche giorno che il sedicente "Precario Rcs", su Twitter, forniva pillole di informazioni su Andrea Mastagni, ipotizzando un suo interesse alle testate in vendita. Tra l'altro, lo stesso Precario Rcs, proprio oggi, 27 febbraio, azzardava anche la possibilità che ad allungare gli occhi sul dossier dei Periodici possa essere pure il Gruppo Poligrafici Editoriale (Monti Riffeser), che ha appena ricevuto il via libera dal patto a svincolarsi dall'accordo che lega gli azionisti di Mediobanca.

Andrea Riffeser Monti

Nel frattempo, sempre secondo quanto risulta all'Huffington Post, l'incontro che si sarebbe dovuto tenere il 28 febbraio tra il cdr (comitato di redazione) del Corriere della Sera - sul piede di guerra anche per la possibilità di un trasferimento della sede storica di via Solferino - e l'ad Jovane sarebbe stato anticipato a oggi, 27 febbraio.

Al centro dell'appuntamento, dovrebbe esserci stato il piano di ristrutturazione (che oltre alla cessione delle testate dovrebbe prevedere anche 800 esuberi nel gruppo) che potrebbe essere approvato dal consiglio di amministrazione di marzo (le ultime indiscrezioni ipotizzano uno slittamento al 14 rispetto alla data di venerdì 1 che era circolata negli ultimi tempi) insieme con la necessaria ricapitalizzazione da 400 milioni e il riscadenziamento della linea di credito da 1 miliardo.

 

 

IL CSM VUOLE VEDERCI CHIARO SUI RAPPORTI TRA LA SORELLA DI VENDOLA E IL GIUDICE CHE HA ASSOLTO NICHI…

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Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"

«Chi non è riuscito ad ottenere la mia condanna in un processo regolare, sta cercando di costruire un processo mediatico». Reagisce così, sdegnato, Nichi Vendola alla notizia che i rapporti tra sua sorella Patrizia e il giudice di Bari che lo ha assolto il 31 ottobre scorso dall'accusa di abuso d'ufficio, Susanna De Felice, sono stati oggetto di attenzione al Csm.

VENDOLA A PRANZO CON LA GIUDICE CHE LO HA ASSOLTO

Così come il suo pranzo con il magistrato a ridosso dell'udienza. Circostanza che ora rischia di inguaiare la De Felice: il Consiglio ha inviato gli atti al procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, per un eventuale provvedimento disciplinare. Sui rapporti tra i due avevano già puntato l'indice i magistrati che avevano chiesto la condanna di Vendola relativa a un'inchiesta sulla sanità barese. Sostenendo, con i vertici dell'ufficio, che proprio a causa dell'amicizia con Patrizia Vendola, il giudice avrebbe dovuto astenersi dalla sentenza. La notizia, filtrata sulla stampa, era finita al Csm.

VENDOLA A PRANZO CON LA GIUDICE CHE LO HA ASSOLTO

Ieri altri dettagli sono circolati a riguardo. Il settimanale Panorama ha pubblicato quattro foto dei due, dopo quella che li ritraeva in un pranzo conviviale e che aveva sollevato già polemiche. Il leader Sel e il magistrato vengono mostrati nel corso di una festa avvenuta nell'aprile 2006. I due in realtà, come avviene nella ristretta cerchia della società barese, sono assieme ad altri giudici in un ristorante di Savelletri di Fasano (Bari) in occasione della festa di compleanno di Paola Memola, cugina di Vendola.

IL GIUDICE SUSANNA DE FELICE jpeg

Ma a preoccupare maggiormente il magistrato ora è la testimonianza di un suo collega, Francesco Bretone, che al Csm avrebbe riferito ciò che gli era stato a sua volta raccontato, ovvero che proprio a ridosso del processo la De Felice e Patrizia Vendola erano state viste assieme in un tavolo a due.

Bretone era stato ascoltato il 12 febbraio scorso a Palazzo dei Marescialli insieme alla collega Desirè Digeronimo, che aveva chiesto la condanna a 20 mesi per il governatore della Puglia; al procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno e al giudice Antonio Diella, presidente dell'ufficio gip di Bari. Proprio quest'ultimo, assieme alla Digeronimo aveva espresso dubbi, dopo l'assoluzione di Vendola, sull'imparzialità del giudice De Felice.

La prima commissione del Csm ha valutato le testimonianze e trasferito gli atti al pg della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare, che dovrà accertare anche la verità su quel pranzo. Lo stesso Bretone ha riferito al Csm di non essere sicuro che sia avvenuto e di averlo saputo da una giornalista, cui lo avrebbe riferito una collega.

 


CAMPA OBAMA CHE IL DEBITO CRESCE - NEGLI USA SCATTANO I TAGLI AUTOMATICI DI BILANCIO: GLI EFFETTI SONO IMPREVEDIBILI

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Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

barack obama basket jpeg

L'America arriva all'«ora x» senza alcun compromesso né un vero tentativo in extremis di impedire la temuta sequestration: alla mezzanotte di oggi scatteranno i tagli automatici di bilancio - 1.200 miliardi di dollari di spese in meno in dieci anni, 85 nel solo 2013 - che dovevano scattare il primo gennaio scorso e poi rinviati, ma solo per due mesi, dal compromesso di Capodanno tra Barack Obama e il Congresso sull'aumento delle tasse.
Il presidente incontrerà i leader di Camera e Senato domani alla Casa Bianca, ma nell'attuale clima di recriminazioni e accuse reciproche, ben pochi pensano che la situazione possa davvero sbloccarsi.

BARACK OBAMA AL GIURAMENTO

C'è solo da sperare che i repubblicani siano più flessibili e che Obama usi i suoi poteri discrezionali per ridurre il più possibile l'impatto dei tagli sui servizi pubblici essenziali e sulla difesa. Anche questo non è facile perché i tagli automatici in agenzie federali come quella per l'immigrazione e l'Fda potrebbero creare grossi disagi, dall'allungamento delle code ai controlli dei passaporti e agli screening di sicurezza negli aeroporti, alla sospensione delle analisi sui cibi e i medicinali messi in vendita.

BARACK OBAMA VITTORIOSO

Nessuno sa esattamente quali disagi si manifesteranno realmente e in quali tempi. Obama, furioso per il rifiuto dei repubblicani di accettare una soluzione di compromesso che avrebbe evitato i tagli indiscriminati reperendo risorse anche dal lato delle entrate, riducendo esenzioni e detrazioni d'imposta, ha più volte avvertito che le conseguenze della sequestration sui cittadini e sull'economia saranno gravi e ha additato il partito dei conservatori come il responsabile di questa situazione.

La destra replica con altrettanta durezza che è il presidente a seminare il panico lasciando che vengano attuati tagli indiscriminati che lui, usando i poteri della Casa Bianca, potrebbe orientare in modo da ridurre al minimo danni e disagi (850 mila dipendenti pubblici civili rischiano di essere messi in libertà senza stipendio). Ieri lo scontro è stato soprattutto sulla sicurezza.

BARACK OBAMA BARACK OBAMA

La decisione dell'Agenzia dell'immigrazione di prepararsi alle riduzioni di personale rilasciando dai centri di detenzione di minima sicurezza centinaia di immigrati clandestini ha provocato l'ira dei repubblicani. La Casa Bianca ha risposto che non ne sapeva nulla e Gary Mead, il dirigente che ha preso la decisione, si è dovuto dimettere. Ma attacca anche Bob Woodward, il giornalista del Watergate, che ha definito «una follia che Obama avrebbe potuto adoperarsi per evitare» la decisione del Pentagono di tenere in porto per mancanza di fondi la portaerei USS Harry Truman anziché farla salpare per il Golfo Persico.

A differenza del fiscal cliff, con la sua scadenza, il 31 dicembre, oltre la quale tutti gli sgravi fiscali dell'era Bush sarebbero venuti meno di botto, stavolta il Congresso non ha percepito lo stesso imperativo perché l'impatto sull'economia sarà graduale. Per questo in Parlamento si respira un'aria neanche troppo allarmata.

Obama riforma sanitaria

Del resto il clima si è deteriorato man mano che Obama alzava i toni facendo capire che stavolta, con le elezioni vinte, non intendeva fare troppe concessioni. Mentre i repubblicani hanno ridotto i già esigui margini di manovra del loro capo alla Camera, John Boehner, al quale la destra, soprattutto quella radicale, ha detto chiaramente che perderà il suo posto se farà concessioni a Obama sull'aumento delle entrate.

Può anche darsi che questi tagli di spesa - comunque necessari, anche se non sufficienti ad arrestare la corsa di un debito pubblico arrivato a 16.500 miliardi di dollari - alla fine non danneggino più di tanto l'economia. La Borsa ieri non si è dimostrata troppo preoccupata: l'indice Dow Jones è tornato sopra quota 14 mila e gli operatori si sono detti convinti che i tagli, prima o poi, rientreranno. Ma il rischio è grosso perché gli interventi di austerità che scatteranno domani si sommano a quelli della riduzione già in atto da due anni del contributo di spesa del governo all'economia: meno 7% a partire dall'inizio del 2011.

 

FINI E LA MALEDIZIONE DI MONTECARLO - LA “TULLIANI LEGEND” PERSEGUITA GIANFRY ANCHE DA PENSIONATO

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Gian Marco Chiocci per "Il Giornale"

FINI ELI E GIANCARLO TULLIANI

Non saranno le abiure, i tradimenti, le giravolte. Men che meno le immersioni in acque protette, la scorta in vacanza, le raccomandazioni ai parenti in Rai.

Fini- GIANCARLO TULLIANI

Togliete pure i fuori-onda di Gianfranco Fini coi magistrati amici o gli imbarazzi giudiziari dovuti al suo ristrettissimo entourage in Vallettopoli, le escort alla Camera, la cricca di Anemone o il re dei videpoker Corallo. No. L'ex delfino di Almirante annegato nell'acquario dei pesci-pilota Bocchino, Granata e Briguglio, protagonista di una presidenza a Montecitorio a dir poco anti Cav prima e dopo il «che fai mi cacci?», verrà ricordato per l'incresciosa vicenda della casa di Montecarlo.

Il suo vecchio popolo, eppoi quel poco di «nuovo» che l'ha scaricato dopo averlo inizialmente seguito in Fli, non gliel'ha perdonata la storia dell'immobile monegasco della fascistissima contessa Colleoni donato ad An e attraverso società off-shore casualmente finito al cognato Giancarlo Tulliani. Non è passato sopra alle bugie e alla promessa (non mantenuta) di dimettersi di fronte all'«evidenza» sul proprietario dell'appartamento che persino un imbarazzato Michele Santoro non potè fare a meno di rimarcare.

giancarlo tullianiGIANFRANCO FINI ED ELISABETTA TULLIANI

E anche se la magistratura romana ha provato in tutti i modi a «tutelare» la terza carica dello Stato non interrogando mai né lui né il cognato in Ferrari, indagando Fini solo il giorno della richiesta d'archiviazione, infischiandosene delle bugie al pm dell'onorevole-tesoriere Pontone oltre che delle perizie che accertavano la «non congruità» del prezzo di vendita col valore effettivo del quartierino, il marchio indelebile «Tulliani-Montecarlo» il Nostro se lo porterà appresso in eterno. Hai voglia a fargli capire che non tutto si risolve sul piano penale, come Gianfry va dicendo forte dell'archiviazione.

E infatti la maledizione del Principato di Monaco lo seguirà anche fuori dalla Camera e dall'ufficio del gip che l'ha «salvato» girando la pratica ai giudici del tribunale civile. È infatti iniziata la causa intentata dall'avvocato Marco Di Andrea per conto della Destra di Storace, a nome dell'unico erede della contessa Colleoni, e cioè quel Paolo Fabri che rivuole indietro l'appartamento e il patrimonio di famiglia ancora invenduto. Fini e il fidatissimo finiano Donato Lamorte sono stati citati in giudizio per il mancato adempimento del cosiddetto «onere testamentario».

fini_casa_montecarlo

Ovvero all'attuazione dei desiderata della nobildonna, certificato dal notaio, che vincolavano l'utilizzo della casa di Montecarlo alla «buona battaglia» del partito guidato da Gianfranco Fini. Onere che a detta dei ricorrenti, il cognato di Giancarlo Tulliani non avrebbe rispettato andando a strizzare l'occhio finanche al centrosinistra. Il processo civile, combattuto in punta di diritto, servirà a chiarire se Fini ha tradito i «vincoli» politici imposti nella donazione dalla discendente del condottiero Colleoni.

ELISABETTA TULLIANI

Se al cittadino comune Gianfranco Fini i giudici civili dovessero dare torto, il danno - dopo la beffa del prepensionamento da parlamentare - sarebbe enorme: mezzo milione di euro in risarcimento danni. Una cifra ricavata dalla differenza tra il valore dell'epoca della casa monegasca (819mila euro) e il corrispettivo (300mila euro) incassato dal suo vecchio partito direttamente dalla off-shore di Saint Lucia.


In subordine, in caso di accoglimento, la richiesta mira a devolvere tutto o in parte il gigantesco «tesoro immobiliare» della Colleoni a una Fondazione che continui a perseguire «gli obiettivi del disciolto partito di Alleanza nazionale» o, nell'impossibilità, di devolverlo «alla Destra di Storace».

Nelle carte «processuali» sono finite decine, centinaia, di dichiarazioni e prese d'atto di Fini che «evidenzierebbero un comportamento politico contraddittorio, incoerente e antitetico» con il pensiero identitario missino prima, e di An poi. L'ultimo tradimento: la svendita del gioiello di «famiglia» finito nella disponibilità di un'altra famiglia. Tulliani.

 

 

IL CINEMA DEI GIUSTI - “TUTTI CONTRO TUTTI” DOVEVA ESSERE LA PRIMA COMMEDIA DI SINISTRA DI UN’ITALIA DEBERLUSCONIZZATA

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Marco Giusti per Dagospia

tutti contro tutti

Parliamo di cinema, va, che è meglio. Una famigliola romana, che vive in una casa abusiva, esce dal proprio appartamento per la prima comunione del ragazzino. Quando tornano per festeggiare trovano la casa occupata da altri disperati che non se ne vogliono andare. Questa storia vi ricorda qualcosa, vero? Al di là delle metafore politiche, ma anche il titolo quanto a metafore non scherza, "Tutti contro tutti", interpretato e diretto da Rolando Ravello alla sua opera prima, uscendo il 28 febbraio, avrebbe dovuto essere la prima commedia di sinistra di un'Italia deberlusconizzata e di una Roma zingarelliana.

tutti contro tutti KASIA SMUTNIAK

C'è pure una simpatica battuta che all'anteprima per critici faceva molto ridere: "Silvio? Bel nome da stronzo". Ovvio che ora ci farà ridere meno, perché non è andata proprio come speravamo. Ma l'idea di un nuovo tipo di commedia di sinistra romana, popolare e parolacciara, spinta soprattutto dalla penna di Max Bruno, che già ci ha dato "Nessuno mi può giudicare" e "Viva l'Italia", e che ha scritto col regista soggetto e sceneggiatura di questo film e, soprattutto, il testo del monologo da cui il film è tratto, dove lo stesso Ravello interpretava tutti i personaggi coinvolti, rimane una bella novità per il nostro cinema, anche per quello, come si diceva una volta, impegnato.

Tutti contro tutti

E trovare Domenico Procacci di Fandango, assieme alla Warner Bros Italia, coinvolti in un'operazione di commedia realistica popolare modellata sulle corde di Max Bruno, è un po' una novità. Anche perché, in fondo, questo tipo di commedia romana coatta, tappati le orecchie Procacci, è molto simile, per temi, modelli recitativi e ricerca continua di gag, a quella di Pippo Franco e Bombolo diretti da Pingitore negli anni '70. Titoli come "L'imbranato", "Il casinista", ovviamente "Sfrattato cerca casa equo canone", sfruttavano la cronaca romana del tempo per raccontare storie di sfiga cittadina ben volgibili in chiave comica.

Quanto a parolacce, poi, in "Tutti a casa" ci si lancia in un bel ritorno di "attaccati al cornicione der cazzo", "porcoddue", "pipparolo", che segnalano il trionfo di un vecchio attore di teatro per noi ignoto, Stefano Altieri, da trent'anni in compagnia con Attilio Corsini, pochissimo visto al cinema ("Vado a vivere da solo", "Il generale dorme in piedi"), che, nel ruolo del nonno della famigliola sfrattata, ruba la scena a tutti con una serie di battute coatte di serie A. Se questo un po' stona all'interno del cinema prodotto da Fandango, da un'altro lato almeno inietta un po' d'energia comicarola in situazioni che altrimenti rimarrebbero concentrate nel mix di realismo sfigato classic Fandango e nel tono snobino di un cinema un po' pariolo.

tutti contro tutti

Meglio attaccarsi allora al cornicione der cazzo e cercare di trasformare le storie sfigate in realismo comico alla Max Bruno. Il non bellissimo Ravello e la bellissima Kasia Smutniak sono i padroni di casa che si ritrovano a vivere nel pianerottolo per cercare di convincere i terribili invasori pugliesi, cioè un Paolo Sassanelli dai gusti sessuali un po' deviati, a liberare la loro casa. Marco Giallini, nel solito magistrale numero di romano indolente e molto figlio di mignotta, è un cognato non così limpido che prima li ospita nella sua casetta di 40 metri quadrati assieme alla moglie, Lidia Vitale, poi li spinge a occupare il pianerottolo.

tutti contro tutti di rolando ravello

Bravissimi tutti i caratteristi romani e non coinvolti da Ravello a far da coro nella tragedia zavattiniana. Dal notevole Antonio Gerardi come boss napoletano del quartiere che controlla gli affitti al vicino arabo Hedy Krissane, da Lorenza Indovina come maestrina buona a Ivano De Matteo come confusissimo attivista pronto a occupar case, dallo stesso Max Bruno come pigro ispettore di polizia al trio di perdigiorno che si bombano di canne, Lele Vannoli, Giorgio Caputo e Riccardo De Filippis. Il faccione romano del nonno di Altieri domina la parte comica a metà tra Bombolo e Riccardo Billi.

Su tutta l'operazione rimane il dubbio di una commedia alla ricerca di una propria identità che è più facile trovare a teatro che al cinema, ma l'idea di realismo comico popolare di Max Bruno è qui più controllato che in "Viva l'Italia", forse perché la storia è più circoscritta e Paolo Carnera, esattamente come in "Il principe abusivo" di Alessandro Siani, riesce a stendere un'immagine che spesso supplisce alle carenze dei registi più o meno abusivi o alle prime armi. Musica di Alessandro Mannarino. In sala dal 28 febbraio con 250 copie.

 

EDO AGNELLI E’ STATO “SUICIDATO”? L’ASSOLUZIONE DI MARCO BAVA RIAPRE IL CASO…

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Gigi Moncalvo per "Libero"

AGNELLI EDOARDO E GIANNI

Edoardo Agnelli è stato ammazzato? Non è vero che si è suicidato, come dice un'af - frettata inchiesta della Procura di Mondovì? È stato indotto al suicidio? Chiunque si sia permesso di mettere in dubbio le incredibili conclusioni della versione ufficiale, subito fatta propria da Fiat e Famiglia (tranne i dubbi palesati da Margherita Agnelli) - versione cui i media si sono subito acriticamente adeguati -, viene messo all'indice e marchiato a fuoco. Dopo la morte di Edoardo anche qualche parente «intruso», che nemmeno aveva conosciuto bene il cugino, dissertò su quel «suicidio».

Edoardo e Gianni Agnelli

Per non parlare del servizietto che, in occasione del decimo anniversario della morte, Giovanni Minoli preparò su Rai2, «L'ultimo volo». Che ebbe strane fasi preparatorie, esperti in studio (di parte), testimonial scelti non dalla Famiglia ma dall'ufficio stampa IFI (cioè da Gabetti e John Elkann) che non c'entravano nulla e contribuivano a crocifiggere la memoria di un uomo morto da tempo (si leggano i miei capitoli del libro "Agnelli Segreti"). Minoli avanzava la tesi (dato che il medico legale aveva perfino accorciato di 20 cm. l'altezza di Edoardo, e di 40 kg in meno il suo peso) che la vittima era caduta picchiando con i piedi e quindi le ossa si erano accorciate proprio di 20 cm (!).

edoardo gianni agnelli

Ora i fautori dei dubbi - motivati argomentati documentati - sulle reali cause della morte (nel codice penale è prevista anche l'induzione al suicidio), hanno una sentenza del Tribunale di Torino che smonta l'operazione condotta a lungo ai danni di Edoardo. Perfino tra le mura di casa o negli uffici al vertice del gruppo. Lo dimostra il fatto che l'avv. Anfora, che ha perso il processo, sia subito corso a criticare il giudice e la sentenza dicendo che gli atti processuali sulla fine di Edoardo «evidentemente non sono stati ben compresi o adeguatamente valutati».

Comunque la pensi l'avvocato che ha lo studio due piani sotto l'ufficio di Grande Stevens, il giudice Maria Sterpos della IV sezione penale, ha scritto una sentenza che stabilisce alcuni punti fermi. E lo ha fatto assolvendo, perché il fatto non costituisce reato, Marco Bava, un caro amico di Edoardo che non ha mai smesso di cercare la verità e che pronunciò un violento atto d'accusa nel corso di un'assemblea degli azionisti Fiat il 31 marzo 2008. Ebbe parole durissime non solo sulle responsabilità legate a quella pagina tragica, ma anche sulla gestione da parte di Montezemolo e Marchionne.

SERGIO MARCHIONNE jpeg

Quest'ultimo, per mezzo del proprio procuratore speciale Roberto Russo, decise di querelare Bava per diffamazione. La sentenza quindi è rilevante non solo per la parte su Edoardo e le accuse di «omessa vigilanza» contro la Sicurezza Fiat, ma anche per le pesanti espressioni contro Marchionne («prestigiatore, bluff, illusionista temerario e spavaldo ») che non sono state considerate diffamatorie. Così come certe accuse o insinuazioni sulla sua gestione, sulle sue reali capacità, sul presunto occultamento della reale situazione Fiat, sull'oscillazione delle azioni, sulle stock options (per lui e altri 17 ignoti top-manager), su presunte tangenti pagate ai fornitori e anche per entrare in Cina e India, sull'uso delle riserve per pagare un dividendo agli azionisti maggiori, sulla vendita di azioni proprie per far scendere il titolo.

LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO

Questioni su cui ora potrebbe indagare la Consob andando a rileggere quelle accuse. Tornando al povero Edoardo, la sentenza di Torino accredita l'accusa di Bava sulla mancata protezione della sua scorta anche nei giorni precedenti la morte e indica non una ma due cause alternative: «È chiaro - scrive il giudice - che se qualcuno si era assunto il compito di tutelare Edoardo Agnelli, non lo ha svolto in modo adeguato, sia che egli sia stato ucciso sia che si sia suicidato». Secondo l'inchiesta dell'allora Procuratore di Mondovì, Bausone, invece si trattò sicuramente di suicidio. Ritenne inutile far eseguire l'autopsia e perfino prelevare un campione di sangue o di tessuto.

cantarella paolo

Le indagini furono incredibili. Nessuno si insospettì che la Croma abbandonata sul viadotto autostradale di Fossano perpendicolarmente al luogo dove fu ritrovato il corpo non avesse impronte né all'interno né all'esterno, nemmeno sui due telefonini. Non ci furono controlli sui tabulati Telecom, non furono nemmeno sequestrate le videocassette delle telecamere di sorveglianza della villa di Edoardo, furono interrogate solo due domestiche e due sorveglianti la cui deposizione già preparata e scritta era identica.

SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN FOTO ANSA

Venne usato come prova-regina il telepass dell'auto di Edoardo ma gli orari indicati non collimavano né con le testimonianze dei suoi vigilantes, né con la velocità con cui un aspirante suicida corre per tre giorni a cercare il luogo più adatto per morire. «Da sempre - scrive il giudice - Bava ha sostenuto che Edoardo Agnelli è stato ucciso a causa presumibilmente di un suo scomodo ruolo negli equilibri di potere interni alla Fiat». E Bava disse all'assemblea FIAT: «Quando fu assassinato i temi sul tavolo fra Edo e suo padre erano tre: la successione nella Dicembre, l'uscita di Cantarella dalla Fiat, e l'intenzione dell'Avvocato di dare il cognome Agnelli a Jacky », affiliandolo.

fiat08 franzo grande stevens lap

 

INESPERTI SÌ, IRRESPONSABILI NO - I 163 NEO-ELETTI DEL M5S SI PREPARANO A SBARCARE NELLA CAPITALE

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Francesca Schianchi per "La Stampa"

grillini in festa

Sono tutti agguerriti, perlopiù giovani, in gran parte laureati («il gruppo con la percentuale maggiore, l'88%», sottolinea Beppe Grillo dal suo blog). Ma tutti digiuni di pratica parlamentare. Qualcuno con le idee ancora un po' confuse, come la neo-senatrice intervistata da «Un giorno da pecora» indecisa sul numero esatto di parlamentari da dimezzare. E così, perché la carica dei 163 eletti grillini arrivi allenata ai Palazzi, perché sappia addentrarsi nei loro meandri e impari a riconoscerne tranelli e astuzie, ecco che il «MoVimento» ha pensato a una full immersion di lezioni di diritto costituzionale.

GRILLINI A CENA FIRENZE

Si parla di sessanta ore di corso, che dovrebbero prendere il via lunedì 4 marzo: una specie di corso universitario intensivo, impostato da alcuni docenti dell'Università Luiss di Roma, che dovrà articolarsi su tre macrotemi: l'iter di approvazione delle leggi, il funzionamento del governo e alcuni principi sulla redazione di testi normativi.

Grande riserbo sull'iniziativa, che pure non è nuova per i grillini: anche a Parma fecero così. A maggio, vinte le elezioni, consapevoli che la buona volontà non è sufficiente per governare, si misero sotto a seguire lezioni di diritto amministrativo per acquisire le competenze necessarie a fare funzionare la macchina del Comune. E anche a Brescia, già prima delle elezioni, c'è stata la possibilità, per chi voleva, di seguire corsi del genere.

MOVIMENTO CINQUE STELLE PALERMO

Così, tra lezioni e assedi della stampa, tra discussioni sull'appoggio o meno di un eventuale governo guidato da Bersani, i neo-eletti a Cinque stelle si preparano allo sbarco a Roma. A breve dovranno vedersi proprio per discutere il da farsi, «perché siamo centosessanta teste anche se abbiamo un unico cuore», sintetizza il neo senatore veneto Enrico Cappelletti.

Beppe Grillo

La loro guida per muoversi a Montecitorio e Palazzo Madama, almeno nelle linee generali, è comunque già nero su bianco: il «codice di comportamento». Diciotto punti dove tante cose sono chiarite. Alcune di forma: per esempio, i deputati a Cinque stelle non saranno «onorevoli», no, vorranno essere chiamati «cittadino» o «cittadina». Altre più di sostanza, destinate a cambiare alcune pratiche parlamentari ormai consolidate: il capogruppo verrà cambiato a rotazione ogni tre mesi, così come il portavoce.

GRILLO E CASALEGGIO pier luigi bersani

Com'è nel loro Dna, è già chiaro che non solo rifiuteranno i rimborsi pubblici, ma si taglieranno le indennità: il massimo consentito è di 5mila euro lordi; il resto (più o meno altri cinquemila euro), lo restituiranno allo Stato. Potranno però tenere la diaria e i rimborsi per le spese di viaggio. È previsto l'obbligo di dimissioni in caso di condanna, mentre in caso di «palesi violazioni» del regolamento potrà venire decisa l'espulsione di un parlamentare ma dovrà essere ratificata on line tra tutti gli iscritti.

Interessante la parte dedicata alla comunicazione, dove centrale è il ruolo di Grillo. «La costituzione di due gruppi di comunicazione, uno per la Camera e uno per il Senato - si legge - sarà definita da Beppe Grillo in termini di organizzazione, strumenti e di scelta dei membri». Ogni gruppo avrà un coordinatore che si relazionerà con il sito nazionale e con il blog del comico genovese.

montecitorio

Ribadito, ovviamente, il divieto di partecipare ai talk show tv. Ma soprattutto, in merito alle discussioni di questi giorni sulla fiducia o meno dei Cinque stelle a un eventuale governo del Pd, uno dei primi punti sembrerebbe chiarire la questione: «I gruppi parlamentari del «MoVimento» 5 stelle non dovranno associarsi con altri partiti o coalizioni o gruppi se non per votazioni su punti condivisi».

 

NEL BEL PAESE DOVE ORA CANTANO I GRILLI ANCHE BELLA NAPOLI STRIMPELLA LA SUA PROTESTA SOTTO LE FINESTRE DI FRAU MERKEL

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DAGOANALISI

LOMBRA DI BERSANI jpeg

Toh!
Finalmente Bella Napoli si è ricordato che il Bel Paese non è un Länder tedesco del Sud Europa popolato da comici da strapazzo che s'arrangiano a volte (e con successo) con l'arte della politica. Era ora.

Dopo aver chinato la testa tra gli applausi convinti dei giornaloni quando i Capataz del'unione d'oltralpe, guidati da Frau Merkel, dettavano l'agenda governativa a Mario Monti, ora il capo dello Stato chiede rispetto dai partners del vecchio continente. Incassando il plauso convinto di Beppone Grillo.

LE CONSULTAZIONI DI NAPORNLITANO

Ben fatto presidente! Ma nessun rimpianto (o risentimento) per gli "orrori" commessi nel passato nella parte del reggitore istituzionale della livrea, logora (d'idee e d'ideali), indossata dal furbastro Rigor Mortis?
Ps. Come è stato mai possibile che (quasi in solitudine) soltanto il grande giurista, Guido Rossi, e l'impertinente Dagospia, abbiamo alzato subito la voce contro l'ingerenza dell'Unione europea sull'Italietta del Professore bocconiano?
Bah!

Apprendiamo nel frattempo dalle colonne del "Corriere della Sera", a firma dell'immarcescibile Angeluccio Panebianco, che il bipolarismo della cosiddetta Seconda Repubblica è "andato distrutto" per effetto dell'ultimo terremoto elettorale.

BILD GRILLO E BERLUSCONI ACCUSATI DI ESSERE POLITICI CLOWN IN GRADO DI DISTRUGGERE LEURO

E chi glielo dice adesso al suo storico protettore-mecenate di via Solferino, Paolino Mieli, che il "loro" (falso) bipolarismo è morto e la seconda Repubblica è soltanto "cosiddetta" da quando i grilli hanno preso a cantare nel Paese?

Dov'è vissuto il politologo à la carte in quest'ultimi vent'anni? Forse ha studiato nelle stesse università americane frequentate (si far per dire) da Oscar Giannino?

Già. Dopo averci annunciato "la Rivoluzione italiana" per effetto di Tangentopoli e predicato negli anni a venire un "bipolarismo-porcata" (a causa della legge elettorale tenuta in vita da Monti nonostante gli appelli del Quirinale), l'Angeluccio Panebianco è sceso nuovamente dalle nuvole per annunciarci che siamo giunti al tripolarismo. Come a dire? Dalla "terza via" siamo passati al "tripolarismo".
Il contatore del "Corriere" si ferma sempre sulle lancette "terzismo" (voltaggio Mieli).
Oddio!

Annuncia il titolo dell'editoriale domenicale del sommo Eugenio Scalfari alla vigilia dell'ultimo tornado elettorale: "Tramonta un sistema di patacche e bugie".
Per-dinci-bacco, si sono chiesti smarriti i lettori de "la Repubblica" di Eziuccio Mauro, non è che il Fondatore ce l'ha su con quella banderuola spennacchiata e impazzita di Mario Monti?
Macché.
A "sgovernare" il Paese, rilevava Eugenio, è stato Silvio Berlusconi e il "grillismo lo governerebbe" pure se avesse il potere.

BERSANI E GRILLO

E Rigor Mortis? come se l'è cavata nell'annetto trascorso a palazzo Chigi in cui l'Italia ha sfondato il tetto del debito pubblico? Ah, saperlo.
Eugenio non si sbilancia sul Professore: potrebbe essere una valida ruota di scorta (purtroppo uscita bucata dal voto), per un governo di centro sinistra (da venire). Altro non gli resta (sulla penna) che non onorare la "lucidità e l'imparzialità" di Bella Napoli.
Oibò!

Scusate il ritardo, ma una volta sconfitta, anzi abbattuta per via giudiziaria la vecchia partitocrazia e senza nuove regole istituzionali, i ParaGuru di carta a libro paga dei Poteri marci (Mieli, Mauro, Della Loggia, Panebianco, Anselmi, Montanelli, Bocca, Pansa, Spinelli, Pigi Battista, Giangy Stella etc) non ci avevano detto (e scritto) che finalmente, grazie all'arrivo del bipolarismo, saremmo diventati un "Paese normale"?
Ricordate il "caso italiano" che tanto appassionava i politologi à ala carte tra anni Settanta-Novanta?
E adesso?

Angelo Panebianco

Ahimè!
Dopo vent'anni chi risarcisce i lettori (e i cittadini) se la "rivoluzione italiana" ha prodotto il Porcellum e non debellato la corruzione in nome della quale era stata combattuta (e vinta) la battaglia giustizialista? Per non dire della governabilità che il nuovo sistema avrebbe dovuto assicurare agli inquilini di palazzo Chigi.

Urge forse un primo bilancio della politica dell'antipolitica?
Per dieci anni Berlusconi e Bossi hanno fatto strame dei valori istituzionali (e morali) tra pretese scissionistiche, conflitti d'interesse e leggi ad personam. All'asse tra il Cavaliere e il Senatur si sono alternati i governicchi di centro-sinistra (Prodi-Bertinotti-Mastella) e di sinistra-centro (D'Alema-Cossiga) che non hanno mitigato le divisioni interne ne hanno messo un freno al trasformismo (parlamentare).

Benvenuti, allora, i Grillini a ricordarci che la "normalità", parola del saggista Hans Magnus Enzensberg è soltanto "un budino terminologico, una pappetta che si rapprende sotto la mano, ma torna tremolante e si disgrega non appena la si avvicini con uno strumento rigido".
Una ministra sciapita di cui hanno fatto indigestione i nostri media.

Merkel e Montibersani morto che parla

Boh!
Valli a capire i giornaloni dei Poteri marci in crisi d'identità (e di copie vendute).
Anche nell'ultima tornata elettorale che rappresenterà la loro Caporetto, eccoli ostentare paginate e paginate di articoli, analisi, numeri, tabelle, grafici nel tentativo di analizzare il voto (storto) di lunedì.
Alla fine della lunga traversata il povero lettore non sapeva più orientarsi in quel pantano d'inchiostro. Eppure stavolta c'era una bussola sicura a indicare l'esito delle urne: l'avanzata del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e il flop del premier uscente Mario Monti. E il pareggio tra Bersani e Berlusconi. Un vincitore e un vinto, insomma c'erano come nelle migliori competizioni.

All'Istituto Cattaneo, invece, sono bastate due paginette via web per esaminare l'andamento reale del voto:
- i due principali partiti (aggregati) Pd e Pdl hanno perso rispettivamente, il primo il 30% e il secondo circa la metà dell'elettorato che li aveva scelti nel 2008;
- il Pd di Bersani ha perso 3 milioni e mezzo di consensi (meno 28,4%); il Pdl di Berlusconi oltre 6 milioni di voti (meno 46%); la Lega Nord di Maroni ha perso 1.631.982 voti (meno 54%).
- La coalizione di Centro guidata da Mario Monti su quasi 2 milioni di voti raccolti quasi la metà (812.136) sono concentrati nel Nord Ovest;
- il Movimento 5 Stelle ha ottenuto 8.869.168 voti ma ben distribuiti sul tutto il territorio nazionale. "Questo - osserva il Cattaneo - è un dato di grande importanza".

Paolo Mieli

E ci voleva tanto spreco di carta per mettere insieme un'analisi così esauriente e in poche (chiare) righe?

Daje!
Il Mona(co) della castità (altrui), Giangy Stella, non si arrende nemmeno di fronte alla disfatta elettorale del Corrierone di Flebuccio de Bortoli che, peggio della "Pravda" dell'era Breznev, ha sostenuto senza tentennamenti l'esecutivo di Rigor Mortis. Mentre per la Regione Lombardia si è speso per il suo ex consigliere di amministrazione, il civico (e perdente), Umberto Ambrosoli.
A che serve ricordare ai ragazzi ultrasessantenni di via Solferino che sotto il Duomo la lista civica Monti-Fai (da te) non ha ottenuto nemmeno i consensi indispensabili a far eleggere un suo uomo al Pirellone?

Ezio Mauro

Aridaje!
Che fa, invece, sempre sul Corriere l'impenitente Mona(co) Stella della casti(tà) altrui? Torna sul tema a lui caro dei "voltagabbana" in Parlamento. Gli onorevoli che cambiano casacca a Montecitorio e a Palazzo Madama. Un tic fastidioso che lo tormenta da alcuni decenni.
Ma se il nostro Gabibbo alle vongole leggesse la sacra Costituzione italiana (e i regolamenti parlamentari) scoprirebbe che si tratta di un problema etico più politico-istituzionale. L'art.67 della nostra Carta recita infatti: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".

Eugenio Scalfari

Dunque dov'è lo scandalo?
Certo, quando c'era la vecchia (e odiata) partitocrazia chi alle Camere si faceva banderuola veniva "punito" con l'espulsione dal gruppo e la non rielezione. Oggi, ci spiega scandalizzato Stella - anche lui invocava il "Paese normale" immaginato dai Poteri marci -, il parlamentare eletto può andare dall'avvocato per le pratiche di trasformismo.
Buono a sapersi anche per i giornalisti che vogliono riciclarsi in Rai o nei giornaloni.
Minchia!

Chi, come noi, non frequenta la scuola giustizialista e sul voto di scambio non tira ogni volta in ballo camorra&mafia, può serenamente far osservare ai suoi maestri (e cultori del ramo a mezzo stampa) che in Sicilia, ad Alcamo in provincia di Trapani, il movimento di Beppe Grillo ha ottenuto il miglior risultato in assoluto: 45,23%.

In pratica, un abitante su due della vecchia Aicammu, ex roccaforte Dc, ha scelto il candidato Cinque Stelle. Alle precedenti elezioni (2008) il bottino se l'era spartito il Pd di Veltroni (30,7%) e il Pdl di Berlusconi (40,5%).

stella gianantonio

Cosa suggerisce questo ennesimo "ribaltone" nelle urne di una cittadina, Alcamo, dove per anni si sono combattuti sanguinosamente il clan mafioso dei Greco e i corleonesi di Vincenzo Milazzo?
Che quando la spunta il "nuovo" ha vinto la "società civile", ma quando gli stessi cittadini di Alcamo (42 mila abitanti) scelgono nell'urna Dell'Utri o Cuffaro ha prevalso la mafia e il voto di scambio?
Uffa!

Come dar torto a Barbara Palombelli che su "il Foglio" scrive l'epitaffio dei cronisti politici. "Non servono più, non incidono, non prevedono niente...", affonda l'artiglio l'ex inviata di "Corriere" e "Repubblica". Nostalgie per il passato? Macchè!

BARBARA PALOMBELLI FRANCESCO RUTELLI

Magari c'è da rimpiangere perfino l'affabile Giampaolo Pansa, sempre a corto di notizie fresche. Tant'è che ai congressi si dava beatamente "al colore", spesso rubacchiando ai colleghi le notizie di giornata e alcune felici definizioni: Dc-Balena bianca; Forlani-Coniglio Mannaro.
A Montecitorio, poi, ora va di gran moda l'intervista-cabaret. Ai taccuini aperti il politico può raccontare qualunque fesseria purché si adatti bene alla sceneggiatura stesa prima dal giornalista-autore.

BILD PIZZA QUATTRO STAGNAZIONI jpeg

Scoob!
Nei giornali, oltre al "notista" politico, non tramonta neppure la figura dello "scenarista", che dovrebbe spiegare ai lettori, quanto avviene fuori dall'ufficialità (ormai inesistente). Tanto da spingersi, solo per imprudenza o ignoranza, a suggerire improbabili paragoni storici. E dal cappello dell'artista dalla virgola capziosa (stavolta del Corriere), viene fuori che Bersani teme una nuova "trappola" come quella che nel '92 Bossi tese ad Andreotti, promettendogli i voti per l'elezione al Quirinale per spezzare l'alleanza del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani).

Se non ricordiamo male la vicenda, furono i "franchi tiratori" nella Dc (andreottiani), nel Psi e nel Pli a costringere al ritiro il candidato Forlani, bloccato sulla via del Quirinale per appena 39 preferenze (469 sui 508 richiesti dalla maggioranza assoluta dell'Assemblea).

casaleggio E GRILLO

La lega Nord non abbandonò mai il suo candidato, Gianfranco Miglio, che raccolse i suoi voti (75) anche al momento della nomina di Oscar Luigi Scalfaro dopo la strage mafiosa di Capaci.

 

 

 

 


 

 

 

 

C’È ANCHE CARLO MALINCONICO TRA GLI INDAGATI NEL GIGANTESCO AFFARE DEL SISTEMA DI MONITORAGGIO RIFIUTI

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Emiliano Fittipaldi per "l'Espresso"

CARLO MALINCONICO

Un appalto da centinaia di milioni per controllare i rifiuti pericolosi. Un sistema mai entrato in funzione. Centinaia di migliaia di imprese costrette a pagare per un servizio mai avuto. I sospetti su una società controllata da Finmeccanica, la Selex Sema. L'indagine sul Sistri (così si chiama il sistema di monitoraggio dei rifiuti lanciato all'inizio del 2010 dall'ex ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo) è ad una svolta: la procura di Napoli ha indagato oltre trenta persone tra imprenditori, dipendenti del ministero dell'Ambiente e funzionari di alto livello. Tutti iscritti a vario titolo per reati gravissimi, dalla corruzione alla truffa allo Stato, dall'associazione a delinquere all'emissione di false fatturazioni.

CARLO MALINCONICO

Tra loro - risulta a "l'Espresso - c'è anche Carlo Malinconico, l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio che fu costretto alle dimissioni un anno fa a causa delle vacanze di lusso a Porto Ercole pagate "a sua insaputa" da Francesco De Vito Piscicelli, l'imprenditore diventato famoso per aver riso al telefono la notte del terremoto dell'Aquila.

Ma che c'entra uno stimato giurista (che il ministro uscente Corrado Passera ha nominato lo scorso aprile commissario della fondazione Valore Italia) con il controllo dei rifiuti pericolosi? Andiamo con ordine, e partiamo dal principio.

STEFANIA PRESTIGIACOMO IN PIGIAMA

Il Sistri fu ideato nel 2007, ai tempi di Alfonso Pecoraro Scanio, con un nobile intento: mettere in cantina la burocrazia cartacea e monitorare passo passo il percorso dei rifiuti tossici. Una tecnologia che si basa su scatole nere (black-box da installare su camion e veicoli da trasporto in modo che i carabinieri del Noe potessero seguirli con il satellite) e chiavette usb contenenti tutte le informazioni su ogni carico. Obiettivo: evitare lo smaltimento in discariche illegali e dare un colpo mortale alle eco-mafie.

MARIO MONTI LEGGE RESTART ITALIA

Nell'ipotesi iniziale le aziende interessate sono circa 5 mila, in pratica solo quelle che hanno a che fare con spazzatura pericolosa. Alla Selex vengono girati 5 milioni di euro, in modo da mettere a punto il sistema più adatto. Nel 2009, però, cambia tutto. Berlusconi è tornato al potere da un anno, Stefania Prestigiacomo è il nuovo ministro dell'Ambiente: il progetto originario viene stravolto. L'operazione - che è stata secretata per anni - si allarga a dismisura.

Vengono coinvolte piccole e piccolissime aziende, persino gli artigiani, ben 500 discariche sparse sul territorio. Alla fine le imprese obbligate a partecipare al Sistri supereranno - sulla carta - le 600 mila unità. In tre anni 330 mila ditte acquistano 250 mila scatole nere e oltre 600 mila pennette usb. A gennaio 2010 la Prestigiacomo è soddisfatta: «Con la nascita del Sistri», spiega urbi et orbi, «si mette a segno una lotta moderna al traffico illecito, togliendo una grossa fetta di business alle organizzazioni criminali. Un'operazione a costo zero per lo Stato e i cittadini, si ripaga da solo».

Arresti domiciliari balducci

In realtà il costo per le aziende sarà altissimo, e lo Stato ci rimetterà milioni. La Prestigiacomo, durante la conferenza stampa, evita di snocciolare i dettagli del contratto che il ministero dell'Ambiente aveva firmato con la Selex (anche questo documento è stato secretato per anni) per la fornitura dei dispositivi elettronici e la gestione dei centri di monitoraggio. L'affare è gigantesco: l'accordo - fatto senza alcuna gara - prevede che nelle casse dell'azienda di Finmeccanica arrivino circa 500 milioni di euro in cinque anni.

ALESSANDRA de VITO PISCICELLI

Di questi ben 350 sono a carico delle aziende. Alla fine del 2010 tramite un decreto vengono previste anche pesanti sanzioni per chi fa il furbo: chi non si iscrive al Sistri rischia di pagare multe fino a 90 mila euro. A nulla valgono le proteste delle categorie. Anche il pm Catello Maresca - titolare dell'indagine insieme a Marco Del Gaudio - davanti alla commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti parla senza giri di parole di «una nuova forma di imposta».

FRANCESCO MARIA DE VITO PISCICELLI

Il professor Malinconico entra in scena a fine 2009, quando il ministero dell'Ambiente gli chiede di seguire l'iter giuridico del contratto da firmare con la Selex. Non è il primo della famiglia a fare capolino al dicastero: anche il figlio Stefano - dopo il tirocinio in uno studio di avvocati - troverà un posto negli uffici di via Cristoforo Colombo, prima di spostarsi all'Antitrust di Antonio Catricalà.

Dopo la prima consulenza, l'ex consigliere di Stato Malinconico diventa presidente di una "commissione tecnica di vigilanza" del ministero, che - come ricorda ancora Maresca - aveva compiti assai importanti: prima verificare «con periodicità mensile lo stato di avanzamento della realizzazione» del Sistri, poi controllare il buon funzionamento del sistema ogni tre mesi.

I pm hanno indagato Malinconico proprio in relazione al suo incarico, che inizia il 5 gennaio 2010. Nonostante nel 2010 e nel 2011 la Selex incassi dalle aziende tra i 140 e i 150 milioni di euro, il Sistri non parte. A tutt'oggi, a oltre tre anni dalla stipula del contratto, la tracciabilità digitale dei rifiuti resta una chimera. E se il governo Monti ha deciso di sospendere la "tassa" per l'anno 2012, la procura di Napoli sta tentando di capire le responsabilità dei singoli in quella che sembra una truffa colossale. Che secondo l'accusa potrebbe essere stata architettata da manager senza scrupoli e dirigenti infedeli.

Selex PECORARO SCANIO FOTO ANDREA ARRIGA

Come già scritto dalle cronache dei giornali nel 2011, i primi a finire nel registro degli indagati sono il capo della segreteria tecnica della Prestigiacomo Luigi Pelaggi, l'allora ad della Selex Sabatino Stornelli e Francesco Paolo Di Martino, l'imprenditore di Castellammare di Stabia che ottiene da Selex la fornitura di servizi per la programmazione, il caricamento dei dati e la spedizione delle pen-drive.

Un appalto milionario (ottenuto, pare, prima ancora che Selex firmi con il ministero) che scadrà nel dicembre del 2014. Ma chi è Di Martino? E come ha fatto ad entrare - dalla piccola Castellammare, in provincia di Napoli - nell'affare milionario del Sistri, che gli consente di decuplicare il fatturato della sua Edilm Security che passa dai 895 mila euro registrati nel 2008 agli 8,8 milioni di euro dell'anno successivo?

Di Martino, 54 anni, ultimo di cinque figli di un militare, deve tutto a Stornelli. Il primo incontro tra i due è del 2006, quando si conoscono grazie a un'amicizia comune, un dipendente della Selex. Si piacciono subito, tanto che - spiega ancora il pm - presto mettono in piedi «rapporti di natura commerciale», tanto che esistono dubbi anche sulla legittimità del subappalto ottenuto da Di Martino. Non è tutto.

Se i magistrati napoletani stanno indagando sui costi troppo alti delle pen-drive e sui rapporti economici tra De Martino e alcuni protagonisti della vicenda, la procura dell'Aquila ha messo nel mirino una squadra di calcio abruzzese oggi liquidata, il Pescina Valle del Giovenco, dove Stornelli e Di Martino si sono alternati alla presidenza. Con loro il Pescina vola in classifica, compra ottimi giocatori e arriva fino in serie C.

finmeccanica

Un miracolo che fa felice soprattutto Stornelli: il manager, amico di Paolo Berlusconi, ha infatti una villa proprio ad Avezzano, la città dove è nato e che ospita le partite interne della squadra. Gli strani intrecci "abruzzesi" tra Stornelli e Di Martino non finiscono qui: per le attività del Sistri l'imprenditore campano infatti assume 26 dipendenti dell'Abruzzo Engineering, una società pubblica controllata al 30 per cento dalla Selex. Persone che vengono spedite a Castellammare. Come mai? «Ho creduto», spiega Di Martino, «alla circostanza di un'opera umanitaria, visto che si trattava di gente in cassa integrazione che aveva avuto la sede distrutta dal terremoto». I giudici stanno cercando di capire se è davvero questa la motivazione.

PAOLO BERLUSCONI

I pm di Napoli, di sicuro, considerano l'affidamento concesso a Di Martino illegittimo. Non solo. Il ministero avrebbe puntato sul Sistri senza averlo comparato «né con altre possibili soluzioni tecniche né con il dialogo con altre piattaforme informatiche esistenti e già operative». Sul mercato, in effetti, esistevano sistemi giù funzionanti e molto più economici. «Il sistema Uirnet», spiega ancora Maresca ai parlamentari che lo interrogano, «prevede la tracciabilità dei trasporti su strada», e ha un costo tra i 15 e i 18 milioni di euro l'anno, «un quarto almeno del costo del Sistri».

Le indagini stanno cercando di capire perché il ministero dell'Ambiente ha cucito un contratto fatto su misura per la società di Finmeccanica, e se ci siano stati rapporti illeciti tra funzionari del dicastero e la coppia Stornelli-Di Martino. Quest'ultimo sembra essere stato infatti protetto anche dopo il fallimento del "clic day" dell'11 maggio 2011, quando il Sistri mostrò chiaramente tutte le sue pecche.

RIFIUTI

La causa del flop della prova del nove, che fece slittare nuovamente il debutto del Sistri dipese dal fatto - si giustificarono quelli del ministero - che troppi operatori inserirono simultaneamente i dati. Qualcuno, volutamente, inserì pure i codici sbagliati. «Questo avrebbe mandato in tilt il sistema?», concludono i pm davanti alla commissione bicamerale, «viene da ridere perché, se questo sistema è così vulnerabile per cui basta che un operatore sbagli a inserire un dato, mi porrei il problema della sua funzionalità».

Non solo: secondo i giudici il progetto Sistri sarebbe anche inadeguato a contrastare gli affari della mafia: i trafficanti di rifiuti casalesi e quelli affiliati alla 'ndrangheta hanno ormai un modus operandi simile alle cosiddette frodi-carosello. «Si servono di "cartiere" in Paesi stranieri dove vengono destinati fittiziamente i rifiuti», chiosa Maresca, «in realtà poi smaltiti in discariche illegali». In territori, cioè, non monitorati dalle telecamere e dalle scatole nere del Sistri, che controlla solo i siti di smaltimento autorizzati.

SISTRI

Non sappiamo ancora se Malinconico, che come presidente della commissione tecnica avrebbe dovuto controllare il sistema, abbia preso anche un'emolumento. Di certo il contratto prevedeva la possibilità di un compenso, «da determinare», si legge nell'accordo tra ministero e Selex, «con decreto direttoriale della direzione qualità della vita».

A tre anni dall'avvio del progetto il governo che verrà dovrà decidere se abbandonare definitivamente il Sistri o provare a resuscitarlo per l'ennesima volta. Magari rivendendo il contratto con la Selex e affidando il lavoro ad altre aziende. Per quanto riguarda le decine di milioni di euro che le imprese hanno girato per un servizio mai avuto, nessuno scommette un centesimo sulla loro restituzione.

 

 


A PIAZZA SAN GIOVANNI, A ROMA, APPAIONO ALCUNI MANIFESTI CHE INVITANO A VOTARE PER IL CARDINALE GHANESE TURKSON

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MANIFESTO ELETTORALE DI PETER TURKSON A PIAZZA SAN GIOVANNI A ROMAMANIFESTO ELETTORALE DI PETER TURKSON A PIAZZA SAN GIOVANNI A ROMA

Lettera a Dagospia
Gentile redazione,
questa mattina recandomi al lavoro in zona San Giovanni in Roma ho notato che sui bandoni dedicati ai manifesti elettorali c'erano dei manifesti del cardinale Peter Turkson (uno dei cardinali candidati a diventare il prossimo pontefice). La cosa mi ha lasciato abbastanza stupefatto, non mi era mai capitato di vedere un invito al "voto" firmato dal Vaticano. Mi sono permesso di scattare un paio di foto con il telefonino per documentare la cosa.
Cordiali saluti
Luca Simeone

L’ANALISI DI GIAMPAOLO PANSA SUL CULATELLO RIDOTTO A FETTINE - “IL SUO ERRORE È STATO DI METTERSI CON VENDOLA

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Giampaolo Pansa per "Libero"

A qualcuno non piacerà, ma dobbiamo rendere onore a Carlo De Benedetti e alla sua perspicacia. Nel 2010, interpellato su Pier Luigi Bersani che l'anno precedente era diventato segretario del Pd scalzando Dario Franceschini, l'Ingegnere si espresse così: «Bersani è stato un eccellente ministro. Ma come leader del Partito democratico è totalmente inadeguato». Confesso che anche a me la bocciatura apparve eccessiva. De Benedetti aveva sparato a Bersani due colpi alla nuca.

giampaolo pansa - copyright Pizzi

Con un avverbio senza scampo, «totalmente», e un aggettivo micidiale, «inadeguato». Conoscendo bene l'Ingegnere, mi sembrò soltanto uno dei molti verdetti che ama stilare, con la boria del potente che si considera un vincitore perenne. E giudica il prossimo con arroganza un po' sadica. Ho cominciato a pensare che forse De Benedetti aveva ragione qualche mese dopo.

berlusconi bersani

Accadde la sera che madama Gruber, sempre splendida nel completino Armani, a Otto e mezzo su La7 ebbe di fronte Bersani. La rossa Lilli chiese al segretario del Pd che cosa replicava all'Ingegnere. Lui cominciò a bofonchiare anche più del solito. Borbottò: «Quello di De Benedetti è un giudizio legittimo, sul quale non concordo, forse dettato dal fatto che non è stato lui a scegliermi come segretario del Pd, e bla, bla, bla...». Avrei voluto gridare a Bersani: un leader politico non replica con tanta pavida prudenza, deve tirare un cazzotto verbale all'Ingegnere.

E anche al suo giornalone-partito, la Repubblica, che insieme a lui pretende di guidare la sinistra senza farsi eleggere. Ma il povero Pigi si guardò bene dal farlo. Se avesse avuto tra le dita il sigaro toscano, vietato negli studi televisivi, forse lo avrebbe ingoiato, per aiutarsi a tacere.

LA SENTENZA DELL'INGEGNERE

RENZI E BERSANI

Mi sono rammentato della sentenza dell'Ingegnere il pomeriggio di martedì quando, con un giorno di ritardo, Bersani si è deciso ad affrontare la prima conferenza stampa dopo il voto. L'esperienza mi ha insegnato che la faccia dei politici rivela sempre il loro stato d'animo. Bersani mi è sembrato un uomo perso.

Beppe Grillo

Era stanco, nervoso, ancora choccato dalla sconfitta o dalla non-vittoria. Ho pensato che anch'io, come tanti altri, avevo giudicato Silvio Berlusconi un morto che pretendeva di camminare. Ma forse il morto vero era il suo avversario, un Bersani alle prese con un kappaò terribile. Sono stati i suoi elettori a mandarlo al tappeto. Il passivo del 24-25 febbraio è orrendo per il Pd. Nelle politiche del 2008 aveva conquistato 12 milioni e mezzo di voti, il 34,2 per cento. Adesso si ritrova con 8 milioni e 600 mila suffragi, il 25,4 per cento, con una perdita secca di quasi 4 milioni di votanti.

A Bersani sono sfuggiti di mano anche molti elettori di aree cruciali: meno 300 mila in Emilia Romagna, idem in Toscana, meno 400 mila nel Lazio, meno 330 mila nella Puglia di Nichi Vendola. Tutta colpa di Grillo? In parte sì. Ma il vero fattore negativo si è rivelato la campagna elettorale condotta da Bersani. Prima o poi, i politologi diranno la loro. Per il momento la cronaca suggerisce qualche spiegazione. La famose primarie dell'autunno 2012 erano state una trappola congegnata al solo scopo di battere Matteo Renzi. Eppure il vertice del Pd ne aveva ricavato una sicumera sfrontata. Bersani si affrettò ad annunciare che il suo partito era «una squadrone», pronto «a una nuova avventura: la conquista del governo».

PIERLUIGI BERSANI CARLO DE BENEDETTI

Poi arrivò la droga dei sondaggi. Dicevano che il Pd stava sul 36 per cento e la coalizione con Sel e i socialisti addirittura al 43 per cento, ventidue punti in più rispetto al Pdl di Berlusconi e soci. Queste previsioni spinsero Bersani a concepire la campagna elettorale come una guerra di posizione. Al riparo di uno slogan da vittoria annunciata, «L'Italia giusta», bastava rimanere fermi in trincea per incassare i voti di chi stava lasciando Berlusconi. E Grillo? Al Nazareno, la centrale democratica, ruggivano: «Chi se ne frega di quel comico esagitato! Comunque vada, il governo lo faremo noi». Tuttavia, la mela pronta a essere mangiata nascondeva un verme.

Lo ha spiegato a Fabio Martini della Stampa un dirigente politico che la sinistra ha dimenticato con troppa fretta, Iginio Ariemma, il portavoce di Achille Occhetto: «Dare per scontata la vittoria è stato uno di quegli errori che la sinistra ha sempre cercato di evitare. Dal momento che così liberi due sentimenti. Da una parte, ti viene addosso il voto di protesta. Dall'altra la prospettiva di successo induce i più incerti a votare per liste diverse, perché tanto si vince lo stesso». L'errore fatale di Bersani è stato di mettersi con Vendola e di sottovalutare Grillo.

Eppure era facile non compiere questi passi falsi. All'inizio di febbraio, tre settimane prima del voto, tutti i sondaggi dicevano che il Napoleone stellare stava crescendo. Aveva già superato il 17 per cento e si avviava a raggiungere quota 20. Nel vertice del Pd pochi se ne curavano. Max D'Alema e Walter Veltroni lanciavano segnali d'allarme, ma i pasdaran del cerchio magico di Pigi alzavano le spalle. Adesso la frittata è fatta.

LA FOTO TWITTATA DA VENDOLA CON BERSANI - UNA COPPIA DI FATTO

E sta seminando il caos nel vertice democratico. Bersani si è dichiarato disposto a trattare con Grillo, però è stato subito respinto. Napoleone lo ha irriso con disprezzo. Definendo Pigi un morto che parla. Oppure, nel caso migliore, uno stalker, un molestatore che fa proposte indecenti agli eletti delle Cinque stelle. Il disordine sotto le tende democratiche acceca troppi dirigenti. Non possiamo allearci con Grillo? Allora andiamo a votare di nuovo, il più presto possibile.

L'ESERCITO INAMOVIBILE

Ma un dirigente ostile al voto anticipato mi spiega quale sia l'ostacolo più forte al ricorso alle urne: «Il voto di febbraio ha rinnovato in modo profondo la nostra rappresentanza in Parlamento. Oggi abbiamo 297 nuovi deputati e 109 nuovi senatori. È un piccolo esercito di 406 eletti. Quanti di loro sarebbero disposti a rinunciare al posto appena conquistato? È facile immaginare che risulterebbero pochi, molto pochi». L'unica prospettiva concreta è di dar vita, subito, senza tentennare, a un governo di emergenza con Berlusconi.

Il povero Bersani tentenna. Sa bene che il suo partito considera da sempre il Cavaliere un diavolo immondo. Teme che un'intesa con il Pdl possa spaccare i democratici. E forse si augura che sia Giorgio Napolitano a obbligarlo all'accordo. Il leader del Pd scopre di trovarsi prigioniero delle circostanze che lui stesso ha creato. E forse si rende conto che a rischiare il disastro non è soltanto l'Italia, ma la sua ben più piccola sorte personale. Nel partito crescono i dissensi che riportano a galla lo spettro di Matteo Renzi.

Ci sono dettagli da far tremare. Il sindaco di Bologna, Virginio Merola, si è già schierato con il compagno Matteo. Uno dei suoi assessori, Luca Rizzo Nervo, ha scritto su Facebook: «Penso che Bersani dovrebbe presentare le dimissioni da segretario del Pd». E le file dei dissidenti si stanno ingrossando giorno dopo giorno. La nemesi delle primarie torna ad agitare le notti di Pigi. Insieme all'incubo di trovarsi all'ultimo giro da leader democratico. E riporta alla memoria una vecchia teoria matematica, quella chiamata di Peter. Sostiene che tutti gli esseri umani prima o poi scoprono di avere di fronte a sé la curva della competenza. Se la oltrepassi, sei finito, perché diventi incompetente a onorare l'impegno o l'incarico che hai ricevuto. E cadi di errore in errore. È il caso di Bersani? Lo scopriremo presto.

 

CULATELLO AL PEPE - IL NEO-SENATORE GRILLINO BARTOLOMEO PEPE: “BERSANI È UN ASSASSINO”

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1 - AUDIO: PEPE A "LA ZANZARA" NON SA DOV'È IL SENATO O CHI ELEGGE IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
http://bit.ly/Wwakf9


Da "La Zanzara - Radio 24" - www.radio24.ilsole24ore.com/programma/lazanzara/index.php

BARTOLOMEO PEPE

2 - BARTOLOMEO PEPE (senatore M5S) a LA ZANZARA: "BERSANI? UN ASSASSINO. NESSUN ACCORDO, SE LO INCONTRO LO MANDO A QUEL PAESE. È UN QUAQUARAQUÀ". "ARRIVIAMO AL SENATO E GLI FACCIAMO IL CULO".

"Bersani? Io con gli assassini non faccio nessuno tipo di accordo, perchè li considero gli autori della strage e del genocidio che sta avvenendo in questi ultimi anni in Campania. Chi parla è uno che si è preso un linfoma grazie allo sversamento di rifiuti tossici e sono incazzato per quello che il Pd ha fatto, con le discariche ci hanno massacrato". Lo dice Bartolomeo Pepe, neo senatore del Movimento Cinque Stelle, a La Zanzara su Radio24.

"Perchè assassino Bersani? Il Pd insieme ad altri - prosegue Pepe - ha permesso lo scempio ambientale. Io la parola alleanza non la voglio neanche sentire. Se incontro Bersani al Senato lo mando a quel paese, se sarà il caso mi toglierò lo sfizio di prenderlo a parolacce. L'ho fatto con Bassolino, non ho problemi a farlo con Bersani. Più che Morto che parla o Gargamella il segretario pd lo chiamerei Quaquaraquà, come diceva Sciascia". "Siamo incazzati, motivati - prosegue Pepe - e siamo preparando interpellanze per accedere agli atti. Andiamo lì e gli facciamo il culo al sistema e ai partiti".

BARTOLOMEO PEPE


3 - "MEGLIO CHÁVEZ DI BERSANI, CI VUOLE IL SUO MODELLO". "IN VENEZUELA FUNZIONANO I REFERENDUM, FACCIAMOLI ANCHE QUI". "A CHÁVEZ HO REGALATO IL CACIOCAVALLO IRPINO, VORREI VENISSE A NAPOLI".

"Per me Chavez è un modello, non Bersani. Molto meglio Chavez, che non vuole smacchiare il Giaguaro. Abbiamo studiato il modello venezuelano, lì c'è la democrazia partecipata come la intendiamo noi. Hanno fatto il referendum propositivo, abrogativo, che sta in Costituzione, è un concetto di democrazia che ci interessa molto". Lo dice Bartolomeo Pepe, neosenatore del Movimento Cinque Stelle, a La Zanzara su Radio24.

"Un modello quello di Chávez -dice Pepe - che dovremmo portare in Italia, assolutamente. In Venezuela esiste pure il referendum revocativo, l'ha fatto mettere lui nella Costituzione. E' tutto il Sudamerica a essere in fermento, sta contagiando finalmente l'Europa grazie al Movimento 5 Stelle".

"Vorrei portare portare Chavez a Napoli - dice Pepe- abbiamo avuto contatti con il Console generale del Venezuela, gli abbiamo portato prodotti tipici come la castagna di Montella, il tartufo di Bagnoli Irpino o il caciocavallo podolico, tutte produzioni che andrebbero perse se si facessero trivellazioni nell'Alta Irpinia. Poi il console ha fatto recapitare tutto al presidente Chavez.

BARTOLOMEO PEPE

4 - "IL SENATO? NON SO DOVE SIA. LO CERCHERO' SU GOOGLE. NON SO NEMMENO COME SI CHIAMA IL PALAZZO". "IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA? NON SO COME SI ELEGGE".

Si presenta così: "Bartolomeo Pepe, per gli amici Bart perchè il nome è troppo lungo. Chiamatemi così. Sono impiegato in un'azienda petrolchimica, impiegato male ma impiegato. L'ambiente? Devo pur mangiare. Adesso guadagno 1800 euro al mese. Passerò da 1800 a 2500, ci abbassiamo lo stipendio del 75%. Non mi scoccia, ma chi non li darà sarà fuori dal movimento, non c'è dubbio".

Il senatore Bartolomeo Pepe, neoeletto del Movimento Cinque Stelle, a La Zanzara su Radio24, risponde ad alcune domande dei conduttori. Come si chiama il palazzo che ospita il Senato?: "Io vi dico la verità, ancora devo mettermi a studiare anche perchè non pensavo di essere eletto, preferisco incontrare le associazioni. Il Senato dove ha sede? Chissenefrega, non lo so, fammi arrivare e gli faccio vedere io... lo troveremo non ti preoccupare. Come si chiama il Palazzo? Non lo so... Prenderò un taxi e andiamo, non è un problema, lo troviamo. Andiamo su google e lo troviamo...".

Beppe Grillo

Il Presidente della Repubblica come si elegge?: "Allora ragazzi, io ho un'altra telefonata in linea, non ho tempo da perdere, se vogliamo scherzare... Come si elegge il Presidente? Noi metteremo in rete le nostre proposte e saranno decise dalla rete, come abbiamo sempre fatto". Ma come si elegge, con quale procedura?: "Sinceramente non riesco a capire la domanda...Che dite? Si riuniscono insieme? Si riuniscono che cosa insieme? Allora, no... stammi a sentire, ho un'altra telefonata in linea....vogliamo parlare di problemi o vogliamo prenderci in giro? Io ho leggermente da fare, mi sono fatto il mazzo da stamattina invece di festeggiare...Studieremo, quindi le domande fatele a chi è preparato. In questo momento sono incasinato".

Beppe Grillo


5 - IL VIDEO-CURRICULUM VITAE DI BARTOLOMEO PEPE
http://www.youtube.com/watch?v=ChCmbQcAXFE&list=UUvezv3oB0oTuXrJEjg-mF-A&index=7

Da www.beppegrillo.it

Professione: Impiegato

Curriculum Vitae:
- Tecnico delle industrie elettriche ed elettroniche attualmente dipendente di un'azienda petrolchimica Tecnico Conduttore di impianti complessi impiegati nella d'istallazione e raffinazione di oli esausti lubrificanti

- Tecnico Conduttore di una centrale Termica per la produzione di vapore

- Tecnico Conduttore di un impianto per il trattamento di rifiuti tossici nocive e speciali con relativo sistema di recupero di calore e trattamento e abbattimento Gas

PIERLUIGI BERSANI

- Tecnico conduttore di impianti biologici e chimico/fisico per il trattamento acque reflue

- Tecnico conduttore di impianti a pressurizzazione di azoto
- Impiegato di III livello - Responsabile antincendio,

- Addetto allo spostamento di automezzi Pesanti e carrelli elevatori

Attività
- Videomaker del Canale youtube pepebartolomeo1
- Gestione del Blog ambiente e salute www.bartolomeopepe.blogspot.it
- Addetto Stampa del Movimento5 stelle di Napoli e provincia
- Consulente tecnico scientifico nel trattamento dei rifiuti speciali dell'I.S.D.E. Medici per l'ambiente di Napoli

- Autore del progetto Eden per la coltivazione fuori suolo utilizzando acqua piovana oppure osmotizzata per la crescita di piante esenti da inquinati come i metalli pesanti
- Comitato Zero Rifiuti Industriali
- Comitato contro l'inceneritore di Acerra
- Comitato per il dissesto idrogeologico del territorio
- Comitato Acqua Pubblica e No al Nucleare

- Collaborazione con il Coordinamento Comitati Fuochi per la problematica Roghi tossici
- Collaborazione con Giampiero Angeli autore del libro "Veleni nella Terra della Camorra".
- Collaborazione per la realizzazione di vari Convegni come Stop al Biocidio,Ambiente e salute Tumori quale correlazione, per il dissesto idrogeologico del territorio
- Collaborazione con varie Associazione Ambientaliste per la presentazione di progetti, quali la bonifica del territorio, la messa in sicurezza di vari siti di stoccaggio e discariche di rifiuti

 

 

MISSING BINDI! LA PRESIDENTE DEL PD DOPO IL FLOP ELETTORALE NON PARLA PIم.

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DAGOREPORT
Oh, avete mica visto la Rosi Bindi, ultimamente? Il giorno dello spoglio aveva la febbre alta, porella, e la s'aggirava per i corridoi del Nazareno con il cappotto addosso. Poi: missing.

rosy bindi x

Con gli ex margheritini è in rotta dai tempi di Rutelli, quando osò, insieme ad Arturo Parisi, chiedere a Luigi Lusi i conti esatti della Margherita. Con i bersaniani i rapporti sono un po' così da quando, pissi pissi, un tre mesi fa ha preso da parte il segretario e gli ha fatto un elenco lungo così sulle «criticità» della campagna elettorale.

ROSY BINDI

E vabbè che è stata ri-eletta alla grande in Calabria, la Rosi, però una come lei, oggi come oggi, a livello nazionale potrebbe aspirare a qualcosa di serio. Uno, le sarebbe piaciuto mettersi in corsa per il Quirinale, diventando magari la prima donna presidente della Repubblica: chance zero via zero, come per la Emma Bonino. Due, poteva conquistare la presidenza della Camera: macchè, non solo il Pd vuole concederla a Grillo, ma qualora Grillo rifiutasse, zac! c'è l'ambizioso Dario Franceschini che già si è lanciato in una corsa disperata per acchiappare lo scranno.

A Renzi e ai renziani qualcosa di succulento glielo devono pur dare, no?
Dunque, per cominciare, al buon Matteo la Bindi sta sugli zebedei in maniera pubblica e indiscutibile. Il furbo Franceschini, invece, è diventato un renziano di ferro. Di più: intorno all'asse Franceschini-Fioroni la vecchia Margherita sta organizzando una massa critica pro-Renzi di dimensioni importanti.

Ci sono i franceschiniani (i soliti: Piero Martino, il suo ex portavoce, Alberto Losacco, il suo ex caposegreteria, i suoi amichetti Francesco Saverio Garofani e Antonello Giacomelli, tutti rieletti senza passare dalle primarie), i fioroniani (peccato per l'ex segretaria di Beppone, la Luciana Pedoto, tanto caruccia ma non rieletta alla Camera), i Renzi boys e le Renzi girls (ricordateveli: Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Ernesto Carbone, Dario Nardella, Rosa Maria Di Giorgi, David Ermini, Simona Bonafè, Francesco Bonifazi, l'ex vicepresidente della regione Toscana Federico Gelli, l'imprenditore farmaceutico Andrea Marcucci, l'ex ministro Paolo Gentiloni, candidato alle primarie per il sindaco di Roma).

Aggiungiamoci quel miracolato di Nicodemo Oliverio, ex tesoriere Ppi e Margherita, calabrese, che per il Fatto spiccava nell'elenco degli impresentabili Pd perché imputato dal 2009 per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale. Graziato dalla commissione di garanzia, candidato e rieletto alla Camera, si ritrova oggi miracolosamente a capo del gregge parlamentare dei cosiddetti "mariniani", orfani di Franco Marini (trombato in Abruzzo).

Tutti insieme fanno un bel numero, o no? E dovranno pur portare a casa qualcosina, quando ci sarà da spartire le poltroncine del prossimo governo...

ROSI BINDI PIER LUIGI BERSANI

 

ANGELA BRUNO NON FA ALTRO CHE ANDARE IN TV A RIPETERE DI QUANTO SI SIA INCAZZATA PER LE BATTUTE DA ARRAPATO DEL BANANA

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Da "Corrieredelveneto.corriere.it"

ANGELA BRUNO

Un fiume in piena contro Silvio Berlusconi. Angela Bruno, la dipendente della Green Power oggetto delle battute in pubblico di Silvio Berlusconi («Ma lei quante volte viene»), dopo la pubblicazione su Facebook degli sms scambiati con la sua azienda, è apparsa ieri sera nella trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro.

ANGELA BRUNO berlusconi ragazza

«Le sembra normale - ha detto la Bruno a Santoro - che un nonno mi chieda quante volte viene, si gira e mi guarda il culo? Ma che uomo è? Questo ci rovina, mandatelo a casa. Non è capace di chiedermi scusa. Lei, signor Silvio, è stato un pessimo esempio come uomo». La Bruno ha anche veementemente protestato contro il deputato del Pdl Giancarlo Galan che l'avrebbe minacciata in tv mostrandone un sms e contro il trattamento riservatole da Il Giornale. «Sto vivendo una cosa vergognosa. Berlusconi mi ha mandato contro tutto il possibile. I capi della mia azienda hanno fatto gli schiavetti del potere e hanno dichiarato il falso per cui io sarei stato onorata dall'atteggiamento di Berlusconi».

ANGELA BRUNO LA PATENTE DI ANGELA BRUNO A CONFERMA DELLA DICHIARAZIONE

Sabato scorso Angela Bruno aveva pubblicato sul proprio profilo Facebook tutti gli sms scambiati con l'azienda proprio per smentire di essere stata «onorata» delle attenzioni dell'ex premier.

E su Galan: «Un politico deve tutelare i miei diritti. Perché questo signore (Galan) mi si mette contro? Va in televisione mi minaccia: questa è mafia. Galan perché lei ha i miei messaggi sul suo telefono? Ci conosciamo?» La Bruno continua poi a chiedere pubbliche scuse all'ex premier. «Non avevo un pregiudizio politico contro Berlusconi. Ma perché continua a dire che mi sono divertita e non vuol capire che io mi sono davvero incazzata a sto giro? Tutti gli uomini di Italia dovrebbero vergognarsi per quest'uomo».

 

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