Francesco Bonami per "Il Riformista"
Francesco BonamiLa recente, poco decente e ripetente scaramuccia fra Achille Bonito Oliva e Vittorio Sgarbi sulla Biennale di Venezia si potrebbe chiamare "La solitudine dei numeri secondi". I due critici d'arte, spumeggianti di antico livore, sono sia soli al comando che secondi. La loro solitudine è dimostrata dal loro incontenibile bisogno di essere sempre in compagnia di qualcuno che li accompagni, li scorti, li ascolti.
Il loro esibizionismo (che spero non sia materiale da querela, visto che in Italia quando la parola diventa troppo libera e sincera l'unica arma che la gente tira fuori è quella legale) nudo o vestito che sia è il campanello d'allarme di chi per scarogna storica è stato sempre costretto a essere secondo. La nemesi di ABO si chiama Germano Celant che inventandosi nel 1967 il movimento dell'Arte Povera ha costretto, come Eddy Merckx fece Felice Gimondi, il critico partenopeo sempre a rincorrere.
bonami francescoNegli anni Ottanta ABO si è illuso con la sua Transavanguardia di essere finalmente in testa ma poi i suoi gregari, gli artisti, lo hanno abbandonato ributtandolo nel gruppone. Vittorio Sgarbi vorrebbe essere uno dei primi storici dell'arte d'Italia ma non lo è. Vorrebbe essere ministro, ma per ora han fatto fatica anche a farlo sovrintendente. Gli rimane la prima serata tv dove pare finalmente ritornera in aprile.
Alle "Invasioni barbariche", qualche sera fa, il nostro Vittoriano si è parlato così tanto adosso non riuscendo alla fine a dire quello per il quale era stato chiamato a parlare: la Biennale di Venezia. Daria Bignardi è riuscita a lasciarlo aggrovigliare da solo nel suo logos, che vorrebbe tanto essere come quello del grande Carmelo Bene. Ma anche nella gara del logos Sgarbi arriva secondo e per riuscirci deve essere assecondato non poco.
ACHILLE BONITO OLIVAE veniamo alla polemica sulla Biennale. ABO accusa VS di avere appaltato il padiglione dedicato agli artisti italiani in maniera scorretta. Da un punto di vista di contenuti, l'appalto va ai famosi "saggi" interpellati dal curatore, da Eco a Magris, da Arbasino a Ceronetti, da Hughes a Fumaroli, per avere i nomi degli artisti italiani che ritengono essenziali al dibattito artistico contemporaneo e non. Da un punto di vista organizzativo Sgarbi ha dato l'appalto alla società organizzatrice di mostre Arthemisia.
Qui devo fare una precisazione. Arthemisia è anche la società con la quale il sottoscritto ha collaborato per portare a Firenze il teschio di Damien Hirst in mostra a Palazzo Vecchio.
Achille Bonito OlivaCriticare quindi la scelta di Sgarbi sarebbe da parte mia ipocrita visto che dal punto di vista organizzativo Arthemisia è ineccepibile. Ma pure ABO è ipocrita nella sua critica. Nel 1993 quando fu direttore della Biennale di Venezia, una delle edizioni più belle nella storia della vetusta istituzione lagunare, ABO si mosse proprio con la strategia dell'appalto, affidando a tanti curatori diversi tante mostre diverse, che divennero la costellazione della sua dinamicissima Biennale.
Io stesso fui parte di un sub-appalto, quello per la sezione "Aperto" dedicata ai giovani artisti alle Corderie (non esiste più) che ABO affidò a Helena Kontova, direttrice della rivista "Flash Art", la quale utilizzò la stessa rivista come strumento organizzativo del progetto. "Flash Art" fu un po' l'Arthemisia di oggi. Progetto al quale anche io diedi il mio contributo quale giovane curatore chiamato a selezionare i propri artisti.
Vittorio SgarbiQuindi l'accusa di ABO contro VS non sta in piedi. Non sta in piedi nemmeno la critica sulla ricognizione sul territorio che Sgarbi vuole fare sparpagliando la Biennale in tutte le regioni d'Italia, cavalcando maldestramente le celebrazioni del 150° anniversario della nostra Unità. La critica regge essendo stato ABO il sommo cantore del Genius Loci.
daria bignardi 002 lap«Questo genius loci - come disse in una sua intervista - si configura attraverso il recupero della manualità, del disegno, della pittura, della scultura ma, principalmente, attraverso il recupero di un linguaggio, sempre oggettivato nella forma, di elementi costitutivi dell'antropologia culturale di un retroterra, di una memoria collettiva...»
Insomma «memoria collettiva», «etroterra» sono cose di cui, a modaccio suo, parla anche Sgarbi per questa sua ricognizione. Non sarò certo io a difendere questo fenomeno innaturale della cultura e della società italiana che va sotto il nome di Vittorio Sgarbi, ma Achille Bonito Oliva dovrebbe, anziché spogliarsi delle sue vesti, denudarsi del suo ego e cercare argomenti migliori, più semplici e più robusti, per disfare ciò che già di partenza parte come una disfatta.