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CIAPPAZZI AMARISSIMI PER GERONZI (AMAROGNOLI PER ARPE) - NEL 2002 CIARRAPICO RIFILÒ A PARMALAT UN’AZIENDA-BIDONE CHE (NON) FACEVA ACQUE MINERALI - FU CAPITALIA, IN MANO A CESARONE E MATTEUCCIO, A IMPORRE L’OPERAZIONE COME CONDIZIONE PER CONCEDERE NUOVI PRESTITI A TANZI, CHE PERÒ SMISE DI PAGARE E FECE SALTARE IL BANCO, LA BANCA, E PARMALAT - I PM VOGLIONO CONDANNARE GEROVITAL E 5 BANCHIERI PER BANCAROTTA E USURA, ANCHE SE ARPE “SI DISSOCIÒ DALL’OPERAZIONE”…

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Paolo Colonnello per "la Stampa"

Nuova tegola per Cesare Geronzi per una vicenda del 2002 di cui si era persa quasi la memoria: la vendita delle acque minerali Ciappazzi del gruppo Ciarrapico alla Parmalat di Calisto Tanzi. Una delle tante operazioni che contribuirono al default da 14 miliardi di euro di Parmalat e di cui ieri la Procura di Parma ha chiesto il conto. Concorso in bancarotta fraudolenta e usura aggravata. Queste le accuse per le quali il pm Vincenzo Picciotti, al termine della sua requisitoria, ha chiesto che il banchiere venga condannato a 7 anni di reclusione.

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Richiesta di condanna anche per Matteo Arpe, l'ex amministratore delegato di Capitalia, per il quale l'accusa ha proposto due anni e sei mesi di reclusione ma con l'applicazione delle attenuanti generiche non contemplate invece per Geronzi, all'epoca dei fatti presidente dell'istituto di credito romano.

Segno di pesi e responsabilità diverse nella vicenda. La coppia di banchieri, il cui divorzio nel 2007 fece scalpore, continua a marciare separata anche negli avversi destini. Più gravi quelli di Geronzi, decisamente più lievi quelli di Arpe che si è visto riconoscere proprio dall'accusa l'estraneità alle imputazioni di distrazione e di bancarotta riferita al Cosal, la società del gruppo Parmalat che acquistò la Ciappazzi.

Azienda di acque minerali ormai decotta, secondo l'accusa, la Ciappazzi fu venduta a Tanzi «obtorto collo», per fare un piacere a Giuseppe Ciarrapico e alla stessa Capitalia che aveva bisogno di disfarsi di un «asset» problematico. In cambio dell'acquisto, per 35 miliardi di lire a tassi da usura, Tanzi avrebbe ottenuto un finaziamento di quasi 100 miliardi (50 milioni di euro) per la crisi di Parmatour, il vero obbiettivo delle richieste dell'ex patron di Collecchio a Capitalia.

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Alla riunione finale negli uffici di Capitalia, così accertò la procura di Milano che per prima svolse le indagini, Arpe, all'epoca era direttore generale della banca, però non partecipò in disaccordo con Geronzi, visto che non avrebbe voluto nemmeno concedere il finanziamento a Parmatour. Il pagamento di Ciappazzi venne deciso a rate, ma dopo la seconda rata, Tanzi, che aveva svolto accertamenti sulla società appena acquistata si accorse di aver comprato un vero «bidone»: le concessioni per l'imbottigliamento delle acque in Sicilia erano scadute e gli impianti producevano ruggine.

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Bloccò i pagamenti e Capitalia bloccò il finanziamento a Parmatour girandolo su Parmalat che a cascata lo ripassò alla società di viaggi, già sull'orlo del baratro. Al termine di questo pericoloso scambio di cortesie, il banco saltò e il resto della storia è noto.

GIUSEPPE CIARRAPICO

Il pm ieri ha chiesto la condanna a quattro anni anche per Alberto Giordano, vicepresidente di Banca di Roma all'epoca dei fatti, di Riccardo Tristano, ex componente del cda di Fineco Group (entrambi, con Geronzi, per usura aggravata) e di Antonio Muto ex dirigente della stessa banca. E ancora: due anni e 6 mesi per Eugenio Favale, manager di banca di Roma e per Luigi Giove, all'epoca responsabile recupero crediti di Mediocredito Centrale.

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Lapidario il commento dei legali di Geronzi, gli avvocati Ennio Amodio e Francesco Vassallo: «Con la chilometrica lettura di una memoria, il pm di Parma ha sorprendentemente collocato Callisto Tanzi sull'altare delle vittime. E ha affermato che sono, invece, i vertici della banca finanziatrice di Parmalat a dover rispondere di bancarotta, dimenticando così che l'ex patron di Collecchio è già stato condannato dal tribunale di Parma proprio per questo reato».

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Per gli avvocati di Matteo Arpe, Luisa Mazzola e Paolo Veneziani, va preso atto che lo stesso pm «ha chiesto l'assoluzione dai due capi d'imputazione principali. Inoltre è stato provato che Arpe non partecipò né a riunioni interne, né al comitato Crediti, né al cda che deliberò l'operazione di finanziamento. La nostra richiesta sarà di piena assoluzione».

 


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