Marco Conti per Il Messaggero
GIORGIO NAPOLITANO GIANNI LETTA
«Il governo tecnico c'è già. Sta facendo tutto Letta con Tremonti, il Quirinale e l'opposizione! Il Cavaliere? Ora dormiva». Alle sei del pomeriggio si affaccia sconsolato alla buvette di Montecitorio un vicecapogruppo del Pdl. «Ormai non viviamo alla giornata, ma alla mezz'ora. Venerdì passerà la manovra e ognuno sarà contento perché potrà programmare le vacanze, se non iniziarle, ma non reggiamo più».
L'analisi del deputato pidiellino rende evidente lo sconcerto che percorre il principale gruppo di maggioranza. Il precipitoso sviluppo degli eventi ha reso nulle le promesse fatte solo qualche giorno fa su una manovra «aperta a modifiche e integrazioni».
La sensazione di essere vicini a pagare per le furibonde liti dentro la maggioranza che hanno contribuito ad esporre il Paese alla speculazione finanziaria, fa crescere la rabbia per «un patrimonio di consensi disperso in pochi mesi» e per «una guerra tra due (Berlusconi e Tremonti ndr) che alla fine non lascia vivo nessuno».
Ciò che però angoscia peones e deputati di rango, è l'assenza o il quasi-silenzio del lìder maximo. Dopo un lunedì trascorso ad occuparsi ad Arcore del lodo Mondadori, il Cavaliere è arrivato a Roma nel primo pomeriggio di ieri. Qualche telefonata, Alfano prima di tutto, poi l'idea di incontrare in serata Bossi, che invece preferisce cenare con Tremonti «anche perché - il Senatùr lo ha detto chiaro ieri mentre vagava negli uffici del gruppo della Lega alla Camera - quei due ormai non si parlano».
il_ministro_tremonti_e_premier_berlusconi
A Letta è toccato quindi il compito di mettere a punto la nota con la quale sottoscrivere la linea del Colle («uniti per difendere il Paese»). Sempre al sottosegretario il compito di tenere i rapporti con Bersani e Casini che alla fine permettono il varo rapido di una manovra che l'attuale maggioranza (malgrado gli arrivi di Urso e Ronchi), non sarebbe riuscita a garantire. A Tremonti il compito di tenere e contenere, previa intesa con il Quirinale, le modifiche alla manovra incontrando i gruppi di maggioranza e opposizione.
Berlusconi segue, distratto e con poca passione, il nuovo clima da unità nazionale e alla fine ne ha un po' per tutti. Con Bruxelles per «aver imposto a tutti un cura da cavallo che strangola le economie e dà spazio alla speculazione sull'euro». Con Tremonti che «mi aveva promesso una rivoluzione liberale con meno fisco e invece siamo vicini alla patrimoniale».
Con l'amministrazione americana «che sta scaricando su noi i suoi guai e ora vuol anche decidere quale deve essere il nostro ministro dell'Economia». Il Cavaliere sa che proprio questo potrebbe essere il problema del dopo-manovra, «perché se Giulio lascia in questa situazione non sarà facile rimettere insieme i pezzi».
PIERFERDINANDO CASINI PIERLUIGI BERSANI
La margherita che Berlusconi sfoglia sempre più nervosamente, non dà ancora per scongiurato quel governo tecnico di cui si parlava ieri a palazzo Madama con sempre maggiore insistenza. Ma il Cavaliere è convinto di avere la forza e i numeri in Parlamento per poter gestire in prima persona un eventuale e rapido passaggio di crisi che gli consentirebbe di mettere a posto anche altre pedine. Compresa la poltrona di Guardasigilli che Alfano vorrebbe mollare per occuparsi a tempo pieno del Pdl.
Alle prese con un possibile nuovo vertice straordinario dei Ventisette a Bruxelles, il Cavaliere difficilmente sarà in aula venerdì al momento del voto sulla manovra. Un modo, sostengono i suoi, per dire ancora una volta che «questa non è roba mia».