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pum! pum! bossoli per bossi - Cresce la fronda AL VECCHIO SENATUR dopo lo smarcamento di Zaia E MARONI sui referendum: spuntano i leghisti \"maroniti\" - Sui blog dei militanti i più scalmanati a chiedere un ricambio nella leadership o di mollare i lombardi \"imborghesiti\" per tornare alla purezza del lighismo, sono proprio i veneti - AMORALE: ROMA LADRONA NON PERDONA...

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Marco Alfieri per La Stampa

Bossi e Maroni

"Piccoli leghisti crescono», sibila Bepi Covre, mitico sindaco di Oderzo negli Anni Novanta, parlamentare del Carroccio dal '96 al 2001. «Dietro Flavio Tosi e Luca Zaia c'è un'intera pattuglia di sindaci 40enni, gente che si è fatta sul campo e ragiona con la propria testa. Lo si è visto sui referendum...», alla faccia delle parole del Capo.

Oggi Covre è tornato a fare l'imprenditore, si definisce «un leghista di fede maronita», ma resta un gran «confessore» di lighisti veneti, come amano chiamarsi da queste parti quadri e militanti ricordando ogni volta che «la Liga è nata nel 1980 mentre la Lega lombarda solo nel 1984, prima di farsi federare dal carisma padano di Umberto Bossi», come ricorda Francesco Jori nel suo bel libro 'Dalla Liga alla Lega' .

LUCA ZAIA

«C'è in giro molta effervescenza nel partito», conferma l'ex sindaco di Oderzo. «La politica italiana ha un grande difetto: una classe dirigente inamovibile. La gente non ne può più». In questi tempi globali «i totem vanno messi da parte. Anche Bossi, certo. Un grande attore sa quando uscire di scena».

Intendiamoci, «Umberto è un mito, è la Lega, ma oggi deve capire che è il momento di passare la mano». Si prenda Zaia: «Sul referendum ha fiutato l'aria portandosi dietro mezza giunta» (gli assessori Stival, Conte e Ciambetti), il capogruppo in Regione Caner e i consiglieri Baggio, Bassi, Corazzari, Finco, Sandri e Tosato.

Tutti frondisti. «Abbiamo incontrato decine di militanti favorevoli all'acqua pubblica e contrari al nucleare, pronti ad andare a votare», conferma Caner. Non era mai successo. «Questo fiuto Bossi e Berlusconi non ce l'hanno più», chiosa Covre. Naturalmente lui può parlare liberalmente ma dentro al corpaccione lighista è tutto un darsi di gomito. «Mettiamola così», confessa un dirigente di primo piano: «ci si rende conto che è partito il countdown sul dopo Bossi e ci si riallinea».

TREMONTI CALDEROLI BOSSI

In questo Tosi e Zaia incarnano una posizione più matura: la chimera del lighismo autonomo dal partito lombardo non porta lontano. Ogni volta che qualcuno ha provato ad alzarsi da terra è stato decapitato dal Senatur. Franco Rocchetta e Fabrizio Comencini ancora se lo ricordano. Quest'ultimo nel '98 fu purgato quando strappò portandosi via dal gruppo regionale 7 consiglieri su otto. Con il Capo rimase solo Giampaolo Gobbo e da quel momento Bossi gli ha affidato le chiavi del partito.

«Per questo un accordo con la Lombardia resta strategico per i giovani leoni», continua la fonte. «Anche qui, la partita è pro o contro Maroni». Il sindaco di Verona sta con Bobo, il trevigiano Zaia è più doroteo, per ora non si schiera, anche perché dentro al partito Tosi è più forte e lo scontro è con il segretario regionale Gobbo, l'uomo della pax bossianlombarda nella ex Serenissima.

tremonti bossi calderoli LaStampa

Nel frattempo si smarcano entrambi: Tosi da Gobbo su episodi simbolici come la visita del presidente Napolitano e la battaglia congressuale per le segreterie provinciali; Zaia, appunto, sui referendum. Entrambi sanno che la protesta sta montando in casa. Sui blog dei militanti i più scalmanati a chiedere un ricambio nella leadership o di mollare i lombardi «imborghesiti» per tornare alla purezza del lighismo, sono proprio i veneti.

BOSSI BERLUSCONI

A Treviso, nel feudo di Zaia, dalle Regionali 2010 alle provinciali del mese scorso il Carroccio ha perso per strada 91 mila voti, parzialmente recuperati solo grazie alla lista civica «Razza Piave» (37 mila voti) che ha fatto da cestino per i duri e puri delusi dal forza-leghismo di governo. «Ai referendum i veneti si sono presi la loro autonomia senza guardare in faccia nessuno, non vedendo i segni concreti delle riforme promesse», ammette il leghista Franco Manzato, assessore regionale all'agricoltura.

berlusconi bossi GG

Certo, «ad oggi non vedo alternative a Bossi. Il Capo è amato dalla base, i colonnelli invece rispettati, cosa diversa». Anche se, continua Manzato, «qualsiasi governo se oggi non fa riforme tangibili non dura. Non c'è Bossi o Berlusconi che tengano». Il dopo Bossi? «In politica tutto è possibile tanto più se soffriamo un berlusconismo che non funziona», gli fa eco Toni Da Re, sindaco leghista di Vittorio Veneto. Dopodiché se «il prossimo leader sia veneto o lombardo, l'importante che sappia dove portarci». Due mesi fa, l'idea della successione, sarebbe suonata fantapolitica.

 


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