Paola Pilati per "l'Espresso"
Bini SmaghiWhere's Mario? A forza di chiederselo in tutti i meeting internazionali, "wheresmario", è diventato un tormentone tra i central banker quando si parla di Mario Draghi. Il soprannome pennella bene il personaggio: non certo un presenzialista, più incline al non apparire che al mettersi in prima fila. Fino a oggi. Da domani, o meglio dal prossimo novembre, Where's Mario si saprà con certezza dov'è, perché sarà inchiodato a Francoforte, a governare sotto gli occhi di tutti la Banca centrale europea.
Ma il suo successore dov'è? Su chi prenderà il suo posto, il governo sembra giocare alle ombre cinesi: quello che appare un coniglio dalle lunghe orecchie, poi si trasforma in un lupo, e quindi nel profilo di una giraffa. E così un giorno sembra materializzarsi il compassato profilo del direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, e subito dopo apparire quello del bonario e sornione Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d'Italia, sfumando poi ancora una volta in un'ombra che assomiglia tanto al rampante Lorenzo Bini Smaghi, componente del board della Bce; qualcuno evoca il severo Mario Monti, qualcun altro azzarda perfino l'improbabile riservista Roberto Mazzotta, ex banchiere Dc.
FABRIZIO SACCOMANNIQuesto perché nel totogovernatore i giochi sono ancora aperti, ma non lo resteranno per molto, tantomeno fino a ottobre. Entro il 24 giugno, alla riunione del Consiglio d'Europa che dovrà ratificare la nomina di Draghi, il governo dovrà andare con le idee chiare. E cioè dopo aver sistemato un'altra casella apparentemente secondaria, quella della collocazione di Bini Smaghi.
È questo il nodo attorno a cui si sta muovendo tutta la partita: primo, perché due italiani negli organi decisionali della Bce sono troppi, agli occhi dei partner europei; secondo, perché per ottenere il via libera per Draghi da Nicolas Sarkozy Silvio Berlusconi aveva già promesso di fare posto a un francese; ultimo e fondamentale motivo, perché Bini Smaghi non ha intenzione di uscire alla chetichella dalla comune, come una comparsa qualsiasi. Catapultato nel 2005 in quel ruolo da una trimurti fortissima, Berlusconi-Tremonti-Letta, ora si aspetta un nuovo scatto di carriera e confida ancora sulla totale copertura da parte di Gianni Letta (più tiepidi gli altri due). E il suo "grado" è quello di governatore: impossibile accettare nulla di meno.
Mario DraghiLa Bce gli ha dato ragione. Con una mossa irrituale, la banca centrale è scesa in campo in difesa di Lorenzo: nessuno può obbligare uno dei grandi sacerdoti dell'euro a fare harakiri, perché verrebbe lesa l'indipendenza dell'istituzione. E il brusio di fondo che già commentava non troppo amichevolmente la ribellione del "civil servant" Bini Smaghi, reo di non aver condotto in maniera più discreta la trattativa, si è fatto più fitto. Mandarlo sulla poltrona di presidente dell'Antitrust al posto di Antonio Catricalà potrebbe bastare?
Forse sì, in termini di rango. Ma Lorenzo non sembra voler rinunciare a via Nazionale. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando ne è uscito, nel 1994: dopo, ha dovuto inghiottire uno stop, regnante Antonio Fazio, al suo ingresso nel Consiglio superiore dell'istituto su proposta di Tremonti, ma il pallino è rimasto. Nel frattempo, si è fatto le ossa prima al ministero dell'Economia poi a Francoforte: la bacchettata che gli è arrivata nel 2006 dal presidente Jean-Claude Trichet per aver criticato sul "Die Zeit" la moderazione salariale tedesca gli deve aver fatto male ("Per la banca parlo solo io"), ma ormai nel 2011 non lo sfiorano neanche gli insulti della stampa irlandese imbufalita per le accuse alle sue banche che lo descrivono come un "garbato e languido eurocrate".
Da sinistra Carlo Baldocci Giulio Tremonti e Vittorio GrilliMentre Mario Monti, eterno candidato a tutte le poltrone di grande rango, si dichiara indisponibile (ma non esce dalla rosa), da più di un anno un altro esterno a via Nazionale scaldava invece i muscoli: Vittorio Grilli. Ex Ciampi Boy e ora fiduciario di Tremonti, il direttore generale del Tesoro rischia adesso di dover aspettare un turno (è abbastanza giovane per farlo).
Per lui tifano i banchieri, che si muovono con tutto il peso della lobby dell'Abi guidata da Giuseppe Mussari: con Grilli governatore - è questa l'interpretazione dell'ambiente - tutta la struttura di Bankitalia sarebbe terremotata, compresa quella Vigilanza che al mondo del credito non ne perdona una e che quindi potrebbe ammorbidire la sua presa. Possibile o meno, nonostante la considerazione che raccoglie come economista, Grilli appare oggi con il piombo nelle ali: il suo spostamento apparirebbe come una mossa troppo lontana dallo spirito e dalla prassi dell'istituto, che anche dopo le dimissioni drammatiche di Paolo Baffi scartò gli esterni, i banchieri Ferdinando Ventriglia e Giuseppe Siglienti e il giurista Giuseppe Guarino e scelse il direttore generale Carlo Azeglio Ciampi (da fuori venne il numero due, Lamberto Dini). Senza contare i dubbi del Quirinale.
È al presidente della Repubblica che spetta l'ultima parola sulla nomina. E a Giorgio Napolitano non mancano le antenne per valutare l'impatto che avrebbe sui mercati internazionali un gesto di "commissariamento" di via Nazionale da parte del ministro. Che ne penserebbero, per esempio, le società di rating che, quando devono dare la pagella alla stabilità dei nostri conti (da cui dipende il costo del nostro debito), dopo la visita a via XX Settembre passano in Banca d'Italia per avere conferme?
Così, dal Colle, mentre non si perdono di vista le ombre cinesi dei candidati, partono messaggi inequivoci: come quello di dare più poteri all'istituto centrale sulle paghe dei banchieri e sulla loro rimozione per imprudenza o scorrettezza. Insomma, di rafforzarne l'indipendenza.
Annamaria TarantolaE certo appare pienamente indipendente la figura di Fabrizio Saccomanni, l'attuale direttore generale, nonostante la sua mai smentita, mai confermata, vicinanza al centro- sinistra. Ironia romana, rigore bocconiano, visione internazionale da quando partì, insieme a Tommaso Padoa Schioppa, per studiare negli Usa per decisione di Guido Carli, Saccomanni ha svolto in Bankitalia un sacco di ruoli, come pure all'estero, dove è stato per quattro anni vicepresidente della Bers.
Oggi è considerato appunto come il "ministro degli esteri" di via Nazionale, e non solo per l'uso frequente del passaporto, proprio per sostituire Draghi in mille occasioni (where's Mario? c'è Fabrizio). Ma anche per un ruolo quasi da forza di interposizione, nei momenti più aspri della relazione tra governatore e ministro. Che Draghi e Tremonti non si prendano è noto anche ai sassi, a tenere il canale aperto è stato Saccomanni.
Ora, a 68 anni, potrebbe arrivare al vertice della carriera.
Gli esegeti di palazzo Koch sfogliano le passate staffette: Guido Carli dopo Donato Menichella, di cui era direttore generale, come lo stesso Menichella aveva fatto con Luigi Einaudi. A Saccomanni però potrebbe toccare di dover inghiottire un ticket. Vale a dire un patto, non scritto ma prima di tutto politico e poi tra gentiluomini: invece di completare i suoi sei anni di governatorato, dovrebbe accettare di "smontare" in anticipo. Per far posto a chi? A Lorenzo Bini Smaghi. Che in base alle ultime varianti del Cencelli bancocentrico planerebbe a 54 anni sulla poltrona di direttore generale (e che ne direbbe l'attuale vice, Ignazio Visco, 62 anni?).
berlusconi-napolitanoMa solo con la promessa di salire al piano superiore a metà mandato. Come è successo con il primo presidente della Bce, l'olandese Wim Duisenberg, che lasciò (ufficialmente per volontà personale) al francese Trichet. Cose che accadono ai piani alti delle banche centrali, luoghi dal potere ritualizzato non meno di una corte bizantina. Ma anche qui potrebbe succedere l'imprevisto: c'è chi fa circolare il nome, per la direzione generale, di Anna Maria Tarantola, che è stata proiettata alla poltrona di vice nel 2009 dopo vari incarichi nelle sedi locali. Ma allora i giochi ricomincerebbero daccapo.