Stefano Carli per "La Repubblica - Affari & Finanza"
Né Viale Mazzini dove c'è la Rai né Cologno Monzese, quartier generale di Mediaset; né via XX Settembre, regno incontrastato del superministro dell'Economia Giulio Tremonti, né Via Veneto, dove ha sede Paolo Romani, ministro dello Sviluppo Economico e delle Comunicazioni. La più importante partita della tv di questi anni, quella sulle frequenze, si gioca ad Ancona. E' da qui, sulle rive dell'Adriatico, lontani quanto basta dai riti istituzionali, che potrebbe arrivare la «soluzione finale»: rifare da capo la digitalizzazione, gli switch off e far saltare il Beauty Contest, la pseudo gara che dovrebbe regalare a Mediaset, Rai e Telecom una frequenza ciascuno, quelle che già oggi usano in «via sperimentale».
Ad Ancona opera infatti l'artefice di tutto questo: Marco Rossignoli. Avvocato, 55 anni, coordinatore di AerantiCorallo, la più piccola delle due associazioni che raggruppano quelle che una volta si chiamavano le tv private. Più piccola per fatturati, forse, ma non per numero di associati, perché raggruppa il grosso (numerico) delle emittenti locali. Che sono arrabbiatissime perché ritengono di essere le sole a pagare il conto della quadratura del cerchio televisivo. A tutto vantaggio del duopolio e, soprattutto, di Mediaset.
Dalla scorsa settimana il Dl 34, ossia la legge di stabilità, è stata definitivamente approvata. E lì è scritto che le tv locali dovranno liberare le 9 frequenze che l'Ue assegna ai cellulari in cambio di un indennizzo complessivo massimo di 240 milioni. «Già, 240 milioni se dall'asta arriveranno 2,4 miliardi chiosa Rossignoli ma se fossero di meno, cosa probabile, ad esempio, 1,5 miliardi, a noi ne toccherebbe il 10%, quindi 150 milioni. E poi questo è il lordo: decurtato da tasse e oneri alle emittenti ne arriverebbe la metà. Ma già i 240 interi non coprono nemmeno le spese per la digitalizzazione. Non si può fare».
Rossignoli ha già minacciato decine e decine di ricorsi al Tar se le cose resteranno così. Non è un numero esagerato: le stime sul numero di emittenti coinvolte dall'esproprio varia tra le 180 e le 250, sparse un po' in tutta Italia. Sembra profilarsi la classica situazione di veti incrociati, ma stavolta non funzionerà così. A Tremonti i 2,4 miliardi servono. Alle telecom mobili servono le frequenze ma non sono disposti a pagare così tanto per poi ritrovarsi un bene inutilizzabile, paralizzato da contenziosi che possono durare anni.
PAOLO ROMANIIn più tutti, da Telecom a Vodafone, da Wind a Tre, non hanno gradito molto il fatto che l'AgCom stia per tagliare le tariffe di terminazione mobile in modo sostanziale: «Ma come! dicono più o meno tutti Questo taglio finirà per inciderà pochissimo sui costi pagati dagli utenti, che quasi non se ne accorgeranno, ma peserà molto sui nostri flussi di cassa. E questo proprio mentre il governo ci chiede un esborso miliardario». Due settimane fa, quando l'AgCom ha messo a consultazione il testo preparatorio per la delibera finale sulla terminazione mobile si stavano per creare le condizioni per una reazione rabbiosa: un comunicato collettivo in cui si sarebbe minacciato di non prendere parte alla gara. L'iniziativa è poi rientrata, ma il clima sottostante non è cambiato. Quindi, se Tremonti vuole i soldi, deve dare garanzie. E la prima è: frequenze libere subito.
Ma nel governo c'è chi ha altre priorità. E Paolo Romani in queste settimane sembra preso da altre preoccupazioni: fare il prima possibile il Beauty Contest. Suona paradossale dopo che per mesi il ministro è stato accusato di essere l'artefice del rinvio della gara al solo scopo di bloccare l'ingresso di Sky nel digitale terrestre. Eppure ora è così. Una ventina di giorni fa il commissario Ue alla Concorrenza, Almunia, ha rinviato a Roma il testo finale messo a punto dal ministero per lo svolgimento del Beauty Contest e, stando ai «si dice», gli aggiustamenti richiesti avrebbero trovato un Romani molto accomodante e voglioso di far presto.
L'accostamento tra questa nuova fretta e l'improvviso accorciarsi delle prospettive temporali del governo è stato come fare 2più2. Quindi: primo, fare il Beauty Contest, confermare le frequenze in cui già operano Rai, Telecom e soprattutto Mediaset e pazienza se così si apre anche la porta a Sky, che tanto sarebbe entrata lo stesso sulla spinta dell'Ue.
Questa posizione potrebbe aver innervosito vi XX Settembre e per questo già da lunedì scorso il mondo delle telecom era in fermento per la convinzione che Tremonti volesse imprimere un'accelerazione all'avvio dell'asta. E si faceva una data: i primi di agosto.
E qui torna in primo piano Marco Rossignoli. Guarda caso proprio martedì e mercoledì scorsi l'Aeranti Corallo ha tenuto il suo evento annuale, il Tv Forum.
E Rossignoli ne ha approfittato per affondare il colpo. D'altra parte è una di quelle congiunzioni astrali che non capitano spesso: è diventato l'arbitro della bilancia. Senza di lui Tremonti potrebbe incassare molto poco e anche molto tardi. Romani ha risposto promettendo più soldi, ma dopo, e soprattutto sulla fiducia. Che di questi tempi, non è un valore molto solido. Tanto più se le prospettive della legislatura dovessero accorciarsi.
PIERSILVIO BERLUSCONIMa il fatto fondamentale è che alle «locali» non bastano pochi soldi subito perché vedono la possibilità di rifondare il loro business. Cosa ha chiesto infatti Rossignoli? Lui ha usato ragionamenti più articolati, ma in sostanza ha chiesto che siano date alle tv locali le frequenze che il Beauty Contest assegnerà gratis a Mediaset, Rai e Telecom. «La legge dice che alle locali devono andare un terzo delle risorse argomenta l'avvocato quindi se si sono liberate sei frequenze di cosiddetto dividendo interno (cinque normali e la sesta del Dvbh, la tv su telefonino, che non guarda più nessuno) sarebbe giusto che almeno due andassero alle locali».
Il ragionamento in soldoni è questo: l'Ue impone di liberare 9 frequenze per darle ai cellulari. Se invece di regalare frequenze ai grandi broadcaster le si dessero alle locali da "sloggiare" tutto sarebbe più facile. Certo, non tutte, magari la metà. A quel punto i 240 milioni che la legge stanzia per gli indennizzi sarebbero sufficienti perché sarebbero meno le emittenti che rimarrebbero senza una frequenza. Insomma, un Beauty Contest dimezzato e chiuso agli incumbent.
Si può fare? «Entro certi termini è un'ipotesi percorribile ipotizza Nicola D'Angelo, commissario AgCom Basterebbe che almeno restassero disponibili delle frequenze sufficienti a far entrare nuovi operatori. D'altra parte era questo l'obiettivo principale dell'Ue alla base della procedura di infrazione».
Ma non basta e Rossignoli va oltre. Al momento tutte le tv locali delle regioni già digitalizzate hanno ricevuto una frequenza e c'è stata una moltiplicazione di canali. Ma le emittenti non hanno interesse e soprattutto la forza per riempire tutti questi canali. Alle «Locali» piace molto il loro nuovo ruolo di «operatori di rete», e ci puntano parecchio. Ma c'è un grosso problema: non possono rivendere capacità trasmissiva agli unici soggetti che possano comprarla, ossia i fornitori di contenuti nazionali. Non è un divieto vero, ma ci sono trappole regolamentari.
Eccone un esempio: PlayMe è un canale musicale nazionale che trasmette su un patchwork di frequenze locali affittate qui e là. Siccome sono le frequenze a far testo, nella numerazione dei canali era finito oltre il numero 280, con le «Locali», mentre sarebbe dovuto stare tra i numeri 50 e 70, assegnati appunto ai canali musicali. Ovviamente è una differenza che pesa, specie quando si va a trattare con il mercato pubblicitario.
E infatti PlayMe, che appartiene alla società Giglio Group, con una partecipazione del 25% di Dada, si è rivolta al Tar del Lazio. Che giudicherà il ricorso solo tra sei mesi, a novembre. Ma intanto ha imposto d'ufficio PlayMe al canale numero 68. Con i Tar le cose vanno così, lo sanno tutti. E' per questo che se Rossignoli chiede nientemeno che di togliere le frequenze a Mediaset e Rai, stavolta potrebbe perfino farcela.