1 - IL REGIME STACCA INTERNET...
Federico Guerrini per "La Stampa"
Uno scenario da post catastrofe, «con le strade ancora agibili, ma senza nessuno che le attraversi». La similitudine è di James Cowie della società americana Renesys, specializzata nel monitorare le attività sul Web, che ha descritto così la situazione di Internet in Libia a partire dalla sera di giovedì quando il governo ha chiuso gli ultimi canali che ancora consentivano il flusso di notizie via Web da e per il Paese.
libia f bfddfa c a d f ee eQuello che è accaduto non è del tutto chiaro, ma pare che in Libia i tecnici governativi sembrano aver mantenuto in funzione le strutture, incanalando però il traffico in una specie di «buco nero» che risucchia le richieste. Il comportamento dei provider potrebbe essere stato simile a quello delle compagnie telefoniche che tendono a diminuire la quota di traffico a disposizione di un certo utente man mano che questi supera una certa soglia; in questo caso la quota di traffico a disposizione è stata semplicemente azzerata.
libia ec b e de d b cf«In una nazione delle dimensioni della Libia - conferma Craig Labovitz, analista capo della società di sicurezza Arbor Networks - è improbabile che un singolo evento, un incidente, possa isolare il Paese. Per il governo è relativamente facile, invece, riprogrammare alcuni server o togliere la corrente a una manciata di data center per tagliare le connessioni alla Rete».
Esercito contro i monaci tibetaniIl blackout, secondo quanto conferma anche Google, è stato pressoché continuo durante la giornata di giovedì ed è proseguito venerdì mattina; lo si evince dal grafico del Transparency Report, uno strumento online che serve per controllare di ora in ora il fluire dei dati provenienti dai vari servizi della Grande G (da YouTube a Gmail, a Google Search) nel mondo.
Bloggers e manifestazioniNelle ultime 48 ore la barra del diagramma che riguarda la Libia è rimasta fissa nei pressi dello zero. Soltanto in alcuni alberghi che ospitano i giornalisti stranieri, secondo quanto riferisce il Wall Street Journal, il servizio sembra essere stato temporaneamente ripristinato in un paio di occasioni. In Libia la situazione dell'accesso a Internet è molto diversa da quella dell'Egitto; soltanto il 6% della popolazione utilizza il Web (contro il 24% degli egiziani), si tratta però di una fascia di abitanti molto scolarizzata, influente e interessata alla politica, per cui la perdita dell'informazione online può rappresentare un brutto colpo.
Ma anche chi non segue abitualmente le vicende politiche risentirà dell'oscuramento - spiega Leslie Harris, presidente del Centro per la Democrazia e la Tecnologia di Washington. Ciò è vero in particolare per gli abitanti della capitale: «Li isolerà ancor più da chi vive nelle altre parti della nazione - sottlinea Harris - e dalle informazioni su ciò che sta accadendo laggiù». Impedendo così che il vento della ribellione possa contagiare anche chi è stato finora fedele al raiss. Oltre, naturalmente, a impedire al resto del mondo di ottenere ragguagli in tempo reale su ciò che sta accadendo.
Rivoluzione verde
2 - ANCHE LE DITTATURE HANNO BISOGNO DELLA RETE...
Claudio Gallo per "La Stampa"
Gheddafi ha spento internet, ha chiuso la finestra attraverso cui il mondo giudicava i suoi crimini. S'illude così di trovare vendetta nel tempo senza tempo del deserto.
In una lettera al direttore della rivista americana «Science» del 19 gennaio 1968, un lettore scriveva: «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia». Spegnendo Internet, Gheddafi deve aver pensato di liquidare una specie di sortilegio che la modernità ha pronunciato contro la sua tirannia tribale. La Libia isolata può ora dedicarsi a girare le lancette dell'orologio al contrario, nell'illusione che tutto possa tornare come prima. Così anche il sangue versato resterà un segreto domestico.
logo facebookLe informazioni che corrono troppo veloci sul Web e le reti capillari dei social network, ma anche attraverso gli Sms dei cellulari, sono diventate un'ossessione di tutte le dittature del mondo. Nuove unità dei servizi di sicurezza si sono attrezzate per chiudere le falle nei vecchi sistemi di controllo. Ma nessun tiranno serio blocca del tutto il Web, come sta facendo il colonnello. Mubarak in Egitto ci aveva provato per un paio di giorni ma poi ha dovuto riattaccare la spina, anche perché senza Internet il sistema finanziario del Paese era paralizzato.
Regimi opprimenti come la Cina e l'Iran (la lista completa sarebbe lunghissima) si applicano da tempo a filtrare il Web con l'obiettivo di impedire la visione dei siti sgraditi senza perdere i vantaggi che la Rete offre alla propaganda di regime. Corpi speciali dei servizi segreti si occupano di staccare i ripetitori dei cellulari nelle zone in cui si svolgono manifestazioni o rivolte. Allo stesso tempo la velocità del Web è rallentata fino rendere quasi inutilizzabili le connessioni: accade puntualmente a Teheran, ed è successo nei giorni più cruenti delle proteste in Bahrein.
Se il rischio è considerato molto alto, si possono chiudere i collegamenti con un'intera regione come ha fatto Pechino nel 2009 nello Xinjiang durante le rivolte degli Uiguri. Ma la serrata è una risorsa estrema: meglio sopire e controllare. I social media sono infatti l'Eldorado degli apparati di sicurezza. Durante la guerra in Libano nel 2006, Hezbollah raccolse molte informazioni preziose spiando gli account di Facebook dei soldati nemici: l'esercito israeliano fu costretto a proibire l'accesso ai soldati.
Censura internetDurante le proteste no global contro il vertice del G8, del Wto e alla Convention repubblicana la polizia americana riuscì a contenere le manifestazioni perché, grazie al controllo dei social network, conosceva ogni mossa dei dimostranti. E allo stesso modo, finché non è cresciuto troppo nel supporto popolare, il movimento 6 Aprile in Egitto ad ogni adunata in piazza trovava la polizia perfettamente preparata.
Teheran non spegne mai del tutto il suo Internet perché è diventato un formidabile veicolo per la propaganda dei gruppi conservatori, senza contare che i teologi sciiti della capitale religiosa Qom fanno un massiccio uso dei siti per diffondere i loro sermoni nel mondo. Il Web, sbarcato in Iran nel 2001 a uso esclusivo degli scienziati dell'Istituto di Fisica Teoretica e Matematica si è diffuso a macchia d'olio nella società.
Nel 2006, Technorati assegnava al persiano il decimo posto tra le lingue di Internet. La censura del regime è decisa da un comitato di cui fanno parte anche i servizi segreti, a cui si aggiungono quella adottata spontaneamente dagli Internet Provider ed episodicamente quella della magistratura. Il risultato è una giungla di proibizioni in cui cadono quasi tutti i siti più famosi: niente YouTube, Flickr, Wikipedia, New York Times. Ironicamente, la censura si avvale di un software americano, «Smart Filter». La Secure Computing che lo produce ha fatto capire che Teheran sta utilizzando una versione piratata.
Polizia telematica cineseI dittatori che si candidano a durare più a lungo non credono che Internet sia il loro nemico più insidioso e non ne esaltano l'importanza come tendiamo a fare noi, ipnotizzati dal serpente del mondo virtuale. Spiegano Marco Papic e Sean Noonan in un saggio sul sito di Stratfor, la «Cia privata»: «I social media sono uno tra i tanti strumenti a disposizione delle opposizioni.
Raramente i movimenti di protesta hanno successo se sono guidati da qualcuno che parla da una cantina nell'arena virtuale. I leader devono avere carisma e conoscere la strada. Un gruppo politico non può aspettarsi che i suoi leader più "tecnologici" siano il fulcro di una rivoluzione vittoriosa più di quanto un'attività commerciale dipenda dalla capacità dell'ufficio Telecomunicazioni di vendere i suoi prodotti».