Sandro Cappelletto per "la Stampa"
PETER MARTINS DEL CITY BALLET E GEORGE STEEL DELLA CITY OPERAL' opera della gente, il teatro di tutti»: così il sindaco Fiorello La Guardia aveva battezzato, alla nascita, la New York City Opera, il secondo teatro lirico della città, dopo il Metropolitan. Fondata nel 1943, fiera di una vicenda artistica ricca di proposte innovative, orgogliosa dei cinque aggettivi con cui si caratterizza - fantasiosa, «avventurosa, accessibile, americana e giovane» la NYCO, alla vigilia dei suoi primi settanta anni, vive un momento di grave incertezza strategica.
Il primo punto all'ordine del giorno è la ricerca di una nuova sede: «Amiamo il Lincoln Center, la nostra attuale "casa", è un posto meraviglioso, nel cuore della città», dice George Steel, general manager e anche direttore artistico, con una sovrapposizione di ruoli non inconsueta nel panorama internazionale. «Ma le spese qui sono semplicemente troppo elevate. È vero, stiamo cercando di andarcene».
Dove, ancora non si sa; e così, per la prima volta nella sua storia, quando mancano appena cinque mesi all'inizio della nuova stagione, il pubblico non conosce titoli, date, interpreti, e soprattutto il luogo dove si svolgeranno gli spettacoli. L'ultima stagione si è chiusa con un passivo di 5 milioni di dollari e - ancora più preoccupante - le donazioni degli sponsor sono diminuite di 9 milioni di dollari.
New York City OperaIl sistema di spettacolo degli Stati Uniti, che comprende anche un'estesissima rete di 800 teatri lirici, basa la propria esistenza sui contributi dei privati e sugli incassi del botteghino,in netta antitesi con il meccanismo ancora prevalente in Europa, dove il sostegno pubblico rimane fondamentale. In tempo di crisi, i privati riducono gli sforzi e li concentrano sui luoghi che garantiscono maggiore visibilità mediatica.
Per quanto riguarda il prezzo dei biglietti, la New York City Opera si è sempre distinta «per offrire almeno un quarto dei nostri posti a un prezzo di 25 dollari, cercando di venire incontro alle esigenze del pubblico meno abbiente e dei giovani». Attuale sede degli spettacoli è il David Koch Theater, una delle tante sale che formano la costellazione del Lincoln Center, la «casa delle arti» che sorge nell'Upper West Side di Manhattan, tra Broadway e Amsterdam Avenue.
LA SALA DELLA NEW YORK CITY OPERAIniziato nel 1959, sostenuto da un gruppo di soci privati, tra cui John Rockfeller III, che ne fu il primo presidente, a lungo «regno» di Leonard Bernstein, il Lincoln Center ospita oggi dodici tra le più prestigiose realtà musicali, di danza e di teatro degli States: dal Metropolitan, alla Philharmonic Orchestra, dalla Juilliard School of Music al New York City Ballet. «Ma le 2600 poltrone del Koch sono diventate troppe - riflette Steel - Dobbiamo pensare a produzioni in scala ridotta, per una nuova sede che possa offrire sale di spettacolo da 300 a 900 posti, e magari con un'acustica migliore ».
LA NEW YORK OPERA AL LINCOLN CENTERDa parte del Lincoln Center, per ora nessun commento ufficiale, che un portavoce definisce «senz'altro prematuro». I sindacati, invece, sono preoccupati: «La sede non è un problema. Ma vogliamo sapere se la prossima stagione si farà e se saranno garantite ai lavoratori le consuete 26 settimane di contratto», dice Alan Gordon, presidente della Lega degli Artisti Musicali, che rappresenta soprattutto cantanti e coristi. Gordon ha poi criticato lo staff della New York City Opera per la decisione di «eliminarele garanzie salariali e di pagare i lavoratori in base al numero di prove e di recite, senza altre certezze».
Gail Kruwand, delegata dell'orchestra, sceglie parole più prudenti: «È troppo presto per fare congetture. Se ce ne andremo, rimpiangeremo il Lincoln Center, tuttavia la qualità della nostra offerta artistica riuscirà a conquistare il pubblico anche in una nuova sede». Ma - dicono i meno ottimisti, tra cui il New York Times - il problema è un altro: «Sapere se ci sarà una prossima stagione, oppure se gli affanni finanziari obbligheranno a sospendere le rappresentazioni». Ma nessuno mette in discussione il principio che debba essere il mercato a consentire, o meno, l'esistenza di un teatro d'opera.