La commozione non ha età, può arrivare da giovani quando si incontra una ragazza oppure da vecchi quando si ricordano gli anniversari che hanno segnato la vita.
Giorgio Napolitano con la bandiera italianaÈ facile quindi capire la ragione per cui ieri a Giorgio Napolitano, 86 anni a giugno, si è incrinata la voce quando nel Giorno della Memoria ha ricordato i magistrati uccisi da quelle Br che soltanto una mente malata può paragonare ai pm della Procura di Milano.
Il fatto è che nello spazio di 48 ore nella testa del Capo dello Stato è passata una sequenza di immagini da consegnare alla storia, perché oltre ai giudici vittime del piombo, ieri ricorreva l'anniversario della morte di Aldo Moro, e oggi è il quinto anniversario della sua salita al Colle.
Aldo MoroL'undicesimo Presidente fu eletto infatti il 10 maggio 2006 con 543 voti su 990 votanti e cinque giorni dopo si insediò al Quirinale; era il primo Presidente comunista e la sua elezione sembrò l'epilogo tardivo di quel disegno fallito sul quale Moro si giocò la vita. Adesso il clima e lo scenario politico sono completamente diversi rispetto al trauma del '78 e al progetto del compromesso storico.
Per capire che questa nostra democrazia malata e incerta è comunque diversa da quella vissuta negli anni terribili del terrorismo, bisogna leggere con pazienza il ponderoso libro "Il memoriale della Repubblica" scritto dallo storico spagnolo-torinese Miguel Gotor, un affresco di sangue e criminalità che in 622 pagine spiega che nonostante tutto "il legno storto della politica italiana" non provoca la felicità della democrazia, ma consente di vivere in un Paese dove l'efferatezza e i conflitti non lasciano morti alle spalle.
Aldo MoroCiò non toglie che agli occhi di Napolitano lo spettacolo delle istituzioni in rotta di collisione provochi sentimenti che vanno oltre la preoccupazione. Da una parte c'è il vittimismo esasperato del Cavaliere che con la sua campagna contro i giudici sta pilotando l'appuntamento delle Amministrative come un referendum contro la sua persona.
Miguel Gotor Memoriale della RepubblicaSe il risultato sarà positivo potrà dire di aver vinto il campionato del pallone politico e cercherà di buttare fuori dal campo con tutti i mezzi quella magistratura che da anni non gli dà tregua. Sul versante opposto la corda del giustizialismo rimane sempre tesa con il risultato ormai abbastanza evidente di fornire alimenti e ragioni al mito della sovranità popolare come unico principio di legittimazione della leadership.
Questa forbice tra vittimismo e giustizialismo non sembra piacere affatto all'inquilino del Quirinale che pur invocando a ogni piè sospinto la legalità e la distinzione dei poteri sembra aver capito che sulla strada dei processi infiniti non si può chiudere la parentesi ventennale del Cavaliere.
SILVIO BERLUSCONIE nemmeno bastano ai suoi occhi le logore proposizioni di Di Pietro e il ritornello del povero Bersani che cerca di riportare l'attenzione sui problemi reali del Paese. Non a caso il 4 maggio commemorando la figura del socialista Giolitti, Napolitano ha bacchettato la sinistra con una sortita sorprendente in cui ha ricordato che i litigi e le divisioni hanno l'unico risultato di azzerare l'alternativa dell'opposizione.
antonio di pietro idvCon una risposta puntuale che dimostra come non abbia capito nulla di quel monito, WalterEgo Veltroni ha pensato bene di introdurre un'altra goccia di veleno nel grembo di un partito che cerca ancora la sua anima e che agli occhi del Capo dello Stato appare semplicemente impotente.
PIERLUIGI BERSANIMa al Napolitano commosso di ieri e di oggi le sorti del PD stanno a cuore fino a un certo punto. In realtà la sorpresa gli è arrivata poche sere fa dalla piazza Maggiore di Bologna quando il leader dei "barbari" del Carroccio, Umberto Bossi, è salito sul palco insieme a Giulietto Tremonti e ha fatto suonare l'Inno di Mameli.
WALTER VELTRONIChi stava in quella piazza si è accorto che dalle labbra dell'uomo che nel 1989 davanti a un notaio di Bergamo ha firmato l'atto costitutivo della Lega Nord, non e' uscita nemmeno una nota, ma l'eco di quell'evento è arrivato fino alle stanze del Colle quando ha detto: "al Quirinale c'è un vecchio saggio che ha firmato i decreti sul federalismo", e ha aggiunto con voce roca: "la Lega prenderà anche l'Emilia".
UMBERTO BOSSIÈ inevitabile che di fronte a questo urlo di guerra nella terra che è stata la culla del comunismo, Napolitano sia rimasto scioccato, ma troppi segni indicano che al di là delle emozioni il Presidente stia meditando sulla svolta dei "barbari" padani e sulla loro ricerca di un profilo istituzionale. In questa visione realistica il folklore dei Borghezio e il linguaggio colorito di Bossi che definisce Gianfranco Fini uno "stronzo" e ricorda la virilità duratura della Lega, contano poco. A dirlo è stato anche a Bologna Romano Prodi quando pochi giorni fa ha dichiarato: "nel vocabolario la Lega non ha cambiato nulla, dal punto di vista dei contenuti sta cambiando tutto...".
GIULIO TREMONTIChe cosa stia cambiando lo sa primo fra tutti Berlusconi che ogni giorno assiste allo smarcamento delle truppe di via Bellerio, ed è difficile ridurre le loro mosse a tattica elettorale. Perfino a Milano dove si scontrano i quattrini della Moratti con la faccia da bravo ragazzo di Pisapia, c'è chi ricorda che negli anni caldi di Tangentopoli il feeling dei padani con i magistrati era saldo. Qualcuno aggiunge che la Lega oggi non vuole spezzare questo filo (tagliato dalle parole dissennate di una qualunque Santanchè) in nome di un pragmatismo e soprattutto di un rapporto con il Colle che serve a prefigurare il dopo Berlusconi.
GIANFRANCO FINIBasta leggere il "Sole 24 Ore" di oggi per trovare parole di uomini della Lega come il capogruppo Marco Reguzzoni e l'europarlamentare Matteo Salvini (quest'ultimo noto per eccessi verbali) per capire che le truppe di via Bellerio e il loro leader guardano al Quirinale per cercare "una profonda intesa sull'esigenza di riformare il Paese e le sue Istituzioni".
ROMANO PRODICosì a distanza di 30 anni da quella frattura mortale della Prima Repubblica rappresentata dalla scomparsa di Moro, il commosso Napolitano sta lavorando a un nuovo "compromesso storico". Questa volta in ballo non c'è l'inveramento del comunismo come sognava il leader pugliese, ma un compromesso che metta fine all'insano contrasto tra vittimismo e giustizialismo perché ormai si è capito che le armi della magistratura non bastano per mandare a casa il Cavaliere peccaminoso.
E anche a costo di intervenire come ha fatto nei giorni scorsi in modo che è parso irrituale quando ha chiesto al governo di andare alla Camera dopo il voto dei famelici "responsabili", l'86enne Presidente, che oggi celebra i suoi primi cinque anni al Quirinale, farà di tutto di più per creare le condizioni di un governo alternativo. L'uomo per questo incarico c'è già e si chiama Giulietto Tremonti, un tecnico prestato alla politica che piace al Vaticano e agli ambienti americani sondati con discrezione dal Capo dello Stato durante il suo ultimo e per certi versi misterioso viaggio di marzo a New York.
Giuliano PisapiaL'ex-tributarista di Sondrio ha un carattere difficile, come difficile ma sicuramente più morbido e umano è quello dell'ex-comunista del Colle. In più Giulietto ha dalla sua la stabilità dei conti che lo stesso Napolitano ha avuto modo di apprezzare pubblicamente. Il nuovo compromesso storico potrebbe trovare un'accelerazione nel crollo della Grecia che il mondo della finanza considera imminente.
Se questo avverrà allora si potrà voltare pagina rispetto al vittimismo e al giustizialismo. In nome dell'emergenza e di una nuova stagione della democrazia, magari meno felice di quanto desiderano nel loro ultimo libro Ezio Mauro e Vittorio Zagrebelsky, ma più rispettosa delle regole e delle istituzioni.