Marco Alfieri per "la Stampa"
GIUSEPPE MUSSARIIl destino in pochi giorni. L'Eurolega di pallacanestro con la Mens sana tra le 4 grandi d'Europa, l'aumento di capitale del Monte dei Paschi (2,4 miliardi) per restituire i Tremonti bond ma soprattutto le elezioni comunali di maggio, perché chi vince si prende la Fondazione Mps e controlla la terza banca italiana.
Tra politica e sportelli a Siena non c'è differenza. Te ne accorgi nei bar dove la gente mescola titoli e toto sindaco. O ieri all'assemblea degli azionisti, convocata alla vecchia stazione ferroviaria per l'approvazione del bilancio 2010, con decine di piccoli azionisti feroci nel fare le pulci «alla nostra banca...»
Tutti gli ex sindaci sono stati dipendenti di Rocca Salimbeni. Molti politici sono dirigenti in aspettativa in una città dove la banca più antica del mondo da lavoro a 3 mila persone, fa welfare sostitutivo, restaura palazzi, decide assunzioni, affidamenti e promozioni. Insomma una grande mamma controllata dalla fondazione al cui vertice siede il rotondo Dc Gabriello Mancini, che di sbolognare la maggioranza assoluta del Monte non ci pensa proprio pur non avendo soldi per l'aumento di capitale.
Monte dei paschiSarebbe un attentato alla senesità. Per questo il tema di queste ore è capire se il Pd che candida l'onorevole Franco Ceccuzzi chiuderà la partita al primo turno oppure ci sarà il miracolo del ballottaggio che rovescerebbe i rapporti nel partitone egemone erede del vecchio Pci, e a ruota nella galassia bancaria.
«Mantenere il 50% serve a preservare un sistema di potere che verrebbe scalfito da una concorrenzialità nelle nomine», accusa Pierluigi Piccini, ex sindaco Pds per due mandati, defenestrato da Vincenzo Visco che impose il divieto per chi nomina di essere a sua volta nominato dalla stessa deputazione generale mentre ambiva alla Fondazione, scavalcato dal suo delfino di allora, Giuseppe Mussari, correva l'anno 2001. Piccini lo vive come un tradimento e scappa irato al confino parigino (è vice direttore di Mps France), pendolando da 10 anni perché nel 2006 si ricandida a sindaco appoggiato da liste civiche.
Ma perderà contro l'uscente Maurizio Cenni. Oggi Piccini è il regista del Terzo polo che schiera un capolista illustre come Claudio Martelli e candida Gabriele Corradi, altro uomo di banca, papà dell'attaccante dell'Udinese Bernardo. Obbiettivo: «scardinare l'abbraccio politica, Chiesa, Opus Dei, massoneria che tiene in ostaggio la città a partire dal Monte». Per i terzopolisti dietro il paravento della senesità Mps sta sperperando un tesoro: meno 8 miliardi di patrimonio ai prezzi di borsa dai massimi 2007, e l'acquisto di Antonveneta a costi esagerati.
0gus29 claudio martelli«Non è vero - ribattono dal Monte - scontiamo un periodo difficile per tutti, ma Mps è ben gestita». «In realtà anche Piccini è parte del sistema», racconta Laura Vigni, che corre da sindaca sostenuta dalla lista Sinistra per Siena denunciando il sistema Pd dalla rive gauche. «Anzi lo ha inventato lui, e alla fine Mussari e Cenni gli si sono rivoltati contro».
D'altronde piazza del Campo è perfetta per le saghe rinascimentali, in questi giorni volano coltelli e dicerie. Come quella che vorrebbe un patto (smentito) tra Martelli e Franco Caltagirone, azionista del Monte, per spedire lo stesso Piccini in Fondazione. O come la tentazione ceccuzziana di promuovere Alfredo Monaci (oggi alla Biver banca) nientemeno che sulla poltrona di Mussari, con cui il probabile futuro sindaco è cresciuto nel partitone rosso.
Eppure al netto di un consociativismo da strapaese che coinvolge da sempre scampoli di Pdl (il papà della candidatura dell'ex pilota di Formula uno, Alessandro Nannini, è quel Denis Verdini in buoni rapporti con il Monte), la sfida di Vigni e Corradi segnala un'anomalia. Il tabù di una fondazione che per tenere il controllo della banca decide di indebitarsi. Concentrando il rischio patrimoniale su un unico investimento.
Gabriello ManciniPer altri in città è la sindrome del «facciatone». Nel 1300 i senesi volevano fare del Duomo la più grande chiesa della cristianità, poi arrivò la peste. è rimasto solo il facciatone. Tutti hanno sognato in grande nel decennio 95-2005. L'università di una cittadina di 50 mila abitanti che diventa una delle prime in Italia (ma oggi è piegata da 250 milioni di debiti). La Fondazione che eroga 250 milioni l'anno sul territorio (oggi è costretta a sforbiciarli a 100). Mps che compra Antonveneta un giorno prima dell'apocalisse. E il polo biotech che sconta le difficoltà di Novartis.
I senesi si erano abituati all'idea che la ricchezza non finisse mai. Invece la crisi spiazza una città ricca, lasciandola in balia dei suoi «vorrei ma non posso». L'ultima città-stato d'Italia è forse troppo viziata, contradaiola, unita dal Palio e divisa sul resto. Solo a Siena il Carroccio sta con il Pdl - costretto da Calderoli ma farà voto disgiunto per il Terzo polo. Leghisti in una città leghista ante litteram. «Qui gli unici extracomunitari sono gli studenti americani», ridacchia un'edicolante del centro. In effetti.