Lirio Abbate per "l'Espresso"
C'è un filone dell'inchiesta sulla truffa da 170 milioni di euro, sulla quale indaga la procura di Roma, di cui è protagonista Gianfranco Lande, indicato come il "Madoff" dei Parioli, che intreccia il banchiere e coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, il sottosegretario Gianni Letta e la Cassa di Risparmio dell'Aquila. Per gli inquirenti, un filo che mette insieme contatti, affari e protezioni li legherebbe.
Ed è per questo motivo che su di loro sono stati puntati i riflettori degli investigatori coordinati dal sostituto procuratore di Roma, Luca Tescaroli, che il 24 marzo scorso ha chiesto ed ottenuto l'arresto di cinque broker, compreso Lande, accusati di associazione per delinquere di carattere transnazionale finalizzata ai reati di abusivismo finanziario, al compimento di reati di truffa e appropriazione indebita, e ostacolo all'attività degli organi di vigilanza. Gli inquirenti procedono anche per riciclaggio e in questo caso ne rispondono Lande e altre due persone, che sono a piede libero, fra cui uno dei suoi clienti.
La storia parte con Lande e i suoi collaboratori accusati di aver fatto sparire 170 milioni di euro, frutto di versamenti eseguiti da vip, attori, aristocratici romani e politici che hanno investito in operazioni finanziarie spericolate, tanto che alla fine i clienti si sono ritrovati con un pugno di mosche.
Ogni giorno su un conto corrente aperto nell'agenzia numero uno della Carispaq di Roma venivano versati decine di migliaia di euro. Come un pozzo di San Patrizio, in cui vi era una riserva misteriosa e sconfinata di denaro, amministrato da Lande, di cui nessuno si sarebbe mai insospettito. Su questo conto l'ex bancario ha fatto transitare in 15 anni, in entrata e uscita, circa 170 milioni di euro. I versamenti avvenivano anche due volte al giorno allo sportello di corso Vittorio Emanuele II, dove nessuno degli impiegati alzava il cartellino rosso.
I movimenti bancari cospicui non hanno mai fatto scattare l'attenzione di Carispaq, la Cassa di risparmio dell'Aquila, tanto che l'istituto di credito non ha effettuato alcuna segnalazione nel rispetto delle norme antiriciclaggio. Eppure questo conto, secondo quanto emerge dall'indagine, veniva utilizzato da Lande per convogliare i capitali e poi spostarli in altri conti esteri. Versamenti su versamenti e centinaia di bonifici estero su estero.
Operazioni da manuale dell'impiegato di banca che da sole avrebbero dovuto portare in più di una occasione a segnalare tutto alla Banca d'Italia. Ed è questo silenzio che ha insospettito gli inquirenti che hanno disposto accertamenti sulla banca dell'Aquila.
Qualcosa però si muove nell'ambiente degli istituti di credito. La Banca popolare dell'Emilia Romagna, nella propria qualità di capogruppo della Bper, al quale appartiene anche la Carispaq, dopo aver appreso della mancanza di segnalazioni in materia di antiriciclaggio, ha subito informato la stampa di avere avviato le necessarie verifiche per accertare la regolare applicazione della normativa vigente, "e definire contesto e modalità delle operazioni che sono state effettuate" dagli indagati.
"Sulla base delle risultanze di tali verifiche la Capogruppo assumerà le eventuali determinazioni conseguenti". Scosse di assestamento si sono registrate pure nel nuovo consiglio di amministrazione della Carispaq. Un segnale è arrivato dalla Fondazione della Cassa, che non ha confermato nessuno dei tre componenti di propria designazione.
È uscito di scena l'imprenditore aquilano Ettore Barattelli, che era stato coinvolto nell'indagine condotta dalla procura di Firenze e dal Ros sui "Grandi appalti" e in particolare sul consorzio Federico II che doveva aggiudicarsi appalti per la ricostruzione del dopo terremoto. Con Barattelli era stato coinvolto anche il coordinatore nazionale del Pdl Verdini e l'imprenditore toscano Riccardo Fusi. Fuori dunque Barattelli dal cda e con lui anche Donato Lombardi e Franco Pingue.
Ed è proprio in alcuni verbali di interrogatorio di Barattelli, agli atti dell'inchiesta sulla Cricca, che si mettono in evidenza i collegamenti fra la Carispaq, Verdini e Letta. "Noi imprenditori abruzzesi", racconta infatti Barattelli, "ci siamo rivolti ai dirigenti della Carispaq perché volevamo lavorare con Btp (l'impresa di Fusi, ndr). Sapevamo che aveva grosse entrature con il governo e dunque ci muovemmo. Ci fu un incontro presso la sede della banca alla quale partecipai io, il presidente della Btp Fusi e il procuratore della stessa azienda Liborio Fracassi. Trovammo un accordo e il 12 maggio fummo convocati a Palazzo Chigi".
Le intercettazioni del Ros nel 2009 e le dichiarazioni di Barattelli ricostruiscono i contatti con la Carispaq per i finanziamenti e per fissare l'incontro a Palazzo Chigi con Gianni Letta, al quale - assicura l'imprenditore - potrà partecipare anche il direttore della Cassa, Rinaldo Tordera. E infatti Barattelli racconterà in seguito: a Palazzo Chigi c'erano Tordera, Letta e Verdini e "analizzammo tutti gli aspetti della vicenda e fu raggiunto l'accordo". "Tre giorni dopo", aggiunge l'imprenditore, "presso la sede della Carispaq abbiamo costituito il Consorzio Federico II e poi abbiamo preso i lavori".
In base ad alcuni di questi elementi, e ad altri nuovi dati di cui sono entrati in possesso gli investigatori, il pm Tescaroli sta accertando se vi sia un collegamento fra la Carispaq, l'onorevole Denis Verdini, il sottosegretario Gianni Letta e alcuni dirigenti della Banca d'Italia. Nessuno di loro fino adesso è indagato, anche se il pm sta portando avanti questo nuovo filone di indagine.
Durante un interrogatorio in carcere, per esempio, è stato chiesto al broker Lande di eventuali contatti con personaggi del mondo politico e imprenditoriale: "Non conosco Marcello Dell'Utri, né Flavio Carboni", è stata la risposta. L'ex impiegato di banca, indicato come la mente della maxi truffa del Parioli, e vicino ad una loggia massonica, ha escluso di avere rapporti con il senatore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e con l'uomo d'affari, entrambi coinvolti nella recente inchiesta sulla P3.
Ma che motivo c'era di chiedere notizie su Dell'Utri e Carboni? Il sospetto degli inquirenti è che fra i 1.684 clienti di Lande ve ne possano essere diversi che hanno nascosto dietro questi investimenti, non denunciati al fisco, operazioni di riciclaggio, di evasione fiscale o tangenti. Fra i nomi tenuti ancora coperti dagli inquirenti ve ne sono alcuni di importanti uomini politici.
La procura vuole accertare la provenienza di quelle somme. Non solo per i politici, ma anche per altri clienti che sembrano avere versato quantità di denaro al di sopra del proprio tenore di vita. Degli investitori solo 600 hanno usufruito dello scudo fiscale e quindi restano fuori da eventuali accertamenti, ma per tutti gli altri che hanno effettuato versamenti per centinaia di migliaia di euro le verifiche sono ancora in corso.
E per tentare di sbrogliare la matassa il sostituto Tescaroli ha nominato consulenti tecnici, ha delegato alle indagini il nucleo valutario della Guardia di Finanza e la polizia postale. E una notevole collaborazione sui traffici bancari e le operazioni effettuate viene data dalla Banca d'Italia e dai suoi esperti dell'Ufficio informazione finanziaria.
Quello che i magistrati si sono trovati davanti fino adesso "è un sodalizio criminoso ben collaudato e cementato che si dedicava alla truffa e all'attività finanziaria abusiva". Intanto il Madoff dei Parioli dal carcere sostiene di non aver truffato nessuno. Però per i giudici il broker e i suoi complici hanno "agito nella piena consapevolezza della natura fraudolenta delle operazioni di investimento".