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OPERAZIONE GERONZI - OCCORREVA RIDURRE all’impotenza La filiera che lo ha sempre sostenuto, l’asse Berlusconi-Letta-Bisignani, PER FAR FUORI CESARONE - UN SEGNALE DI ALLARME nel dimezzamento by tremonti di GUARGUAGLINI, CARO A LETTA, COL TREMONTINO ORSI - l’inizio della fine? nella mancata ascesa del lettiano Catricalà al vertice della Consob e il conseguente stop al salvataggio di ligresti, sempre ad opera di tremendino...

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Paolo Madron per Corriere della Sera

CESARE GERONZI GIANNI LETTA

Le cerimonie degli addii, specie se si tratta di personaggi cui anche i nemici riconoscono peso e autorevolezza, dovrebbero avere cerimonieri consoni al rango. Ha fatto perciò specie che all'indomani della defenestrazione di Cesare Geronzi le sole voci levatesi pubblicamente ad esprimergli solidarietà siano state quelle dei pidiellini Mario Baccini e Michaela Biancofiore.

Apocalittico e un po' strapaesano il primo: «Penso che con le dimissioni di Geronzi si sia chiusa definitivamente la possibilità per la città di Roma di avere una politica bancaria» . Confusamente allusiva la seconda: «Mi sembra una manovra di alcuni poteri forti che in questi giorni, non a caso, si sono manifestati con improbabili discese in campo, in accordo con dei convitati di pietra» .

mor120 luigi bisignani

Caspita, tutto qua quello che la sponda berlusconiana ha saputo dire sulla traumatica uscita di scena del suo banchiere più rappresentativo? Sì, tutto qua e dunque, chiosando il commento a caldo di Emma Marcegaglia sul regicidio di Trieste, «bisogna capire» . In primis perché il Cavaliere non abbia aperto nessun ombrello a protezione di quello che una volta definì come «l'unico banchiere che non vota alle primarie dell'Ulivo» , l'unico insomma non di sinistra, fingendo di ignorare che il suo referente è in realtà un campione di trasversalismo.

Sul perché di quest'assordante silenzio berlusconiano si scontrano due scuole di pensiero. La prima, cui dà voce il fronte Letta-Bisignani, burocraticamente laconica: «Dal diretto interessato non era pervenuto alcun segnale d'allarme» . Anzi, si aggiunge, Geronzi era talmente tranquillo di averla sfangata che nella notte prima del consiglio, mentre i congiurati facevano le ore piccole a definire gli ultimi dettagli del golpe, dormiva sonni tranquilli. Colpa sua, perciò, se a complotto svelato non c'era più tempo per correre ai ripari.

MARIO BACCINI

Chi l'aveva incontrato ad inizio settimana, nella fattispecie un amico di lungo corso, racconta di averlo trovato tranquillo sugli esiti del braccio di ferro, ma anche infastidito dalla piega degli eventi, tanto da lasciarsi andare ad insinuanti considerazioni che dipingevano Generali come «una vacca con tante mammelle, a ciascuna delle quali i soci si attaccano per sfamarsi» . Un problema di quote latte, insomma. Con lui che tentava di regolamentare la mungitura prendendosi invece del guastatore.

MICHAELA BIANCOFIORE

All'interpretazione dell'uomo ignaro porta acqua anche uno dei congiurati. «Abbiamo fatto le cose in modo tale che tra l'avviso di sfratto e l'inizio del consiglio rimanesse solo un'ora». Troppo poco, anche per uno straordinariamente abile nell'uscire indenne dalle situazioni più sfavorevoli.

La seconda scuola non crede invece alla beata ingenuità di Geronzi, ma piuttosto punta dritta all'impotenza della filiera che lo ha sempre sostenuto, l'asse Berlusconi Letta-Bisignani, da un po' di tempo anatra zoppa nella partita che sta ridisegnando gli equilibri del potere. Lo si era visto appena qualche giorno prima in occasione delle nomine nelle società pubbliche, dove a Letta era riuscito di sottrarre al fai e disfa tremontiano solo Pierfrancesco Guarguaglini, non evitandogli per altro un vistoso ridimensionamento nell'organigramma di Finmeccanica.

EMMA MARCEGAGLIA

Quello stesso Tremonti che poi non si è certo messo di traverso ai rivoltosi di Trieste, un fatto su cui i berluscones, nonché il Cavaliere in persona, ancora si interrogano. Cercando di spiegarsi come lo stesso ministro dell'Economia che appena un anno fa fu raffinato teorico del passaggio di Geronzi da Mediobanca a Generali, ora lo abbia mollato al suo destino.

Pare che alla sequela di telefonate da parte di ministri e notabili pidiellini preoccupati di quanto spessa stia diventando la trama dell'ordito tremontiano il premier, avendo altro di questi tempi cui pensare, abbia risposto sconsolato di rivolgersi a chi ha gestito la pratica.

Un ministro, in particolare, lo ha messo sul chi vive con toni di rimbrotto: «Mentre tu insegui i 330 e ti compiaci di una maggioranza parlamentare che ti sostiene compatta, quello (Tremonti, ndr) ti sta portando via il paese». Il gestore che è mancato all'appello, secondo l'entourage del premier, è proprio Letta. Anche perché Bisignani, solitamente attivo nella redistribuzione delle seggiole, era impelagato nelle inchieste della procura di Napoli che lo ha messo nel mirino.

BERLUSCONI TREMONTI

L'esegesi, dietrologica ma molto suggestiva, indica l'inizio della fine di Geronzi nella mancata ascesa di Antonio Catricalà al vertice della Consob, così come avrebbe voluto il braccio destro del Cavaliere. Con lui a capo dei guardiani della borsa, pensano i berlusconiani, l'irruzione dei francesi di Groupama nella galassia Ligresti sarebbe filata liscia come l'olio.

Invece l'arrivo di Vegas sulla poltrona che fu di Cardia ha determinato il brusco stop, nonché il sollievo di Mediobanca che dietro ai transalpini ha sempre visto stagliarsi l'ombra lunga di Geronzi. La cosa ha scatenato il più sordido dei sospetti, e cioè che Groupama null'altro fosse che il grimaldello con cui il presidente di Generali si impossessava della cassaforte di Ligresti, ovvero di quelle partecipazioni (una nella stessa banca di piazzetta Cuccia) che lo hanno reso negli anni un cardine del capitalismo di relazione.

GIANNI LETTA TAREK BEN AMMAR ANTONIO CATRICALA - copyright Pizzi

Da qui a mangiarsi in un sol boccone Mediobanca e il suo ancora ricco scrigno il passo sarebbe stato breve. Bisognava dunque accelerare i tempi dell'operazione Generali e giocare d'anticipo, approntando gli eserciti non per respingere il diabolico disegno, ma per neutralizzarne una volta per sempre l'autore.

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Blitz riuscito alla perfezione, visto che Geronzi si è ritrovato all'angolo. E i suoi detrattori hanno avuto l'ulteriore conferma dell'idiosincrasia di Berlusconi a costruirsi una solida rete di alleanze che gli consenta di presidiare a suo vantaggio i crocevia del potere economico-finanziario, respingendo agguati e colpi di mano.

«Sbaglia gli uomini» , ha commentato uno dell'entourage berlusconiano quando il ribaltone a Trieste si era appena consumato, «o forse ne sopravvaluta le capacità strategiche, come nel caso di Bolloré, vero elefante nelle delicate cristallerie della ultracentenaria compagnia» .

GUARGUAGLINI

Torna fuori insomma il sempiterno tallone d'Achille del Cav, la cui straordinaria capacità di aggregare consenso nel paese non dà analoga prova quando si applica all'establishment della finanza, di cui sembrano sfuggirgli dinamiche e sommovimenti più profondi.

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La riprova viene proprio dall'esito della vicenda Generali, dove una Mediobanca nel cui azionariato l'impronta berlusconiana è rilevante vota contro il banchiere che di quella parte meglio interpreta umori e ambizioni. Ed in Mediobanca, per riprendere le parole della Biancofiore, Silvio non è un convitato di pietra, ma è presente con la figlia Marina ed Ennio Doris, socio e discepolo tra i più stretti.

 


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