1 - FINI NON CEDE E STOPPA DELLA VEDOVA...
Fabio Martini per "La Stampa"
Per dieci giorni non ha fatto sentire la sua voce, è rimasto chiuso nel suo studio di Montecitorio, indispettito per un post-congresso che peggio di così non poteva andare. Un silenzio, quello di Gianfranco Fini, interrotto soltanto una settimana fa con un'intervista al «Secolo d'Italia» per etichettare come sensibili al potere finanziario i deputati che stavano lasciando il Fli.
Ma ieri Fini ha deciso di passare alla controffensiva e di mostrarsi in televisione per raccontare le sue ragioni: questa sera comparirà una sua intervista ad «Annozero» la trasmissione di Michele Santoro, domani uscirà un suo colloquio su «L'Espresso», mentre è possibile che il presidente della Camera accetti di farsi intervistare da «Ballarò», la prossima settimana. Sono i talkshow «di sinistra» che già hanno ospitato Fini nei mesi scorsi.
michele santoroE' probabile che il presidente della Camera, questa sera da Santoro, ripeta ciò che in questi giorni ha più volte detto ai suoi in merito ai «fuoriusciti», tutti sospettati di aver ceduto alle lusinghe di Berlusconi con motivazioni poco commendevoli. Intanto ieri si è quasi interamente consumato il filo che teneva legati Fini e Adolfo Urso, per 19 anni uno dei più stretti collaboratori del leader.
Dopo la conclusione traumatica del congresso - quando tra i notabili del Fli non si trovò un accordo chiaro sull'organigramma - per dieci giorni Fini aveva chiuso ogni canale con quasi tutti i moderati, esclusi Mario Baldassarri e lo stesso Urso. Porte chiuse invece per l'ex ministro Andrea Ronchi, col quale si sarebbe consumata una seria rottura personale. A Fini e Bocchino, che si erano dimostrati propensi ad ascoltare le sue richieste, dopo giorni di dubbi, ieri Urso aveva fatto sapere di essere disponibile per l'incarico di presidente dei deputati.
ANDREA RONCHIA quel punto, come spesso accade nella vicenda futurista, sono iniziate a circolare voci, voci ufficiose, tam-tam. Il «presidente designato», Benedetto Della Vedova, faceva sapere di essere disponibile a farsi da parte, se questo «sacrificio» avesse consentito di ricucire tra Fini e uno dei suoi collaboratori storici. Una disponibilità che Fini non ha preso in considerazione perché continua a ritenere il gentleman Della Vedova un "investimento" sul futuro e la «prova» che il Fli non è una piccola An riveduta e corretta. Morale della storia: la risposta è stata negativa.
O meglio Fini ha fatto sapere che Urso avrebbe potuto essere «cooptato» come vicepresidente, accanto ad Italo Bocchino. Non si sa se dopo l'iniziale diniego, Urso abbia dato una risposta definitiva, ma ieri sera l'accordo sembrava lontano. Se Urso dovesse mantenere le sue riserve, per lui si aprirebbe la strada - nei giorni scorsi considerata improbabile - di un rientro nei ranghi del centrodestra, sia pure nell'area di frontiera che al Senato farà capo a Pasquale Viespoli (fino a due giorni fa presidente dei senatori del Fli) e alla Camera a Silvano Moffa.
Mario BaldassarriUna diaspora confusa, che negli ultimi due mesi è costata un'emorragia di 11 parlamentari su 47 e che, con riferimento all'ultimo fuoriuscito, fa dire ad un finiano doc come Fabio Granata: «In 48 ore deve essere successo qualcosa se Luca Belotti, dopo aver indicato al congresso fondativo Fini come un Mosè, ha cambiato così radicalmente idea».
2 - GENTILUOMINI IN RIVOLTA - CHI SONO I VECCHI AMICI IN ROTTA CON FINI E PERCHÉ ABBANDONANO FLI. ANCHE CAMPI LASCIA FAREFUTURO...
Salvatore Merlo per "Il Foglio"
La rivolta dei gentiluomini dentro Futuro e libertà si consuma in silenzio e con sofferenza, e non ha niente a che fare con il mercimonio delle poltrone. Nessun proclama, nessuna pubblica abiura, poche e meste recriminazioni da cuori infranti. "Ho l'impressione di essere stato scaricato come fossi un sacchetto di monnezza abbandonato sul ciglio della strada", ha detto Pasquale Viespoli, l'ex capogruppo di Fli al Senato, a un collega.
Gianfranco Fini non ha fatto alcun tentativo di recuperare i suoi uomini, che lo abbandonano perché "sì, siamo critici nei confronti di Berlusconi, ma non possiamo rimanere inerti ad ascoltare Italo Bocchino che parla come fosse Travaglio. Costruire un centrodestra alternativo non può passare per l'acquisizione tout court del vocabolario della sinistra". Il disagio è fortissimo e va distinto dalla fuoriuscita scomposta dei Luca Barbareschi (di cui anche Ignazio La Russa ha detto pochi giorni fa: "Il mio più grande errore è stato avvicinarlo alla politica").
Le biografie di Viespoli, di Maurizio Saia, di Francesco Pontone, di Silvano Moffa sono un'altra storia. "Moffa lo conosco da quando eravamo ragazzi, io comunista lui missino rautiano. Silvanetto' è un galantuomo. Ci resto male a leggere le accuse ingenerose che gli scagliano addosso", dice al Foglio Ugo Sposetti, classe 1947, tesoriere dei Ds fino al loro scioglimento.
BENEDETTO DELLA VEDOVASoffre Adolfo Urso (ma resta in Fli) e soffre persino Andrea Ronchi, che per Fini ha sempre avuto un'ammirazione personale ai limiti dell'adulazione (e al quale Fini ha rivolto queste parole: "Credi di essere diventato ministro in virtù dello spirito santo?"). Chissà se il passo indietro di Benedetto Della Vedova, che ha offerto a Urso la presidenza del gruppo della Camera, basterà per arginare l'emorragia. Forse no. Ma sono decisioni sofferte.
I galantuomini lasciano in silenzio. Anche Alessandro Campi, che della destra nuova di Fini è stato ideologo e regista, se n'è andato in punta di piedi: si è dimesso dalla segreteria nazionale di Fli, e da dicembre non è più a FareFuturo. Nessuna conferenza stampa. Una telefonata con Fini.
Pasquale ViespoliFuturo e libertà non si sta sgretolando in seguito a una guerra correntizia e di apparato. L'organigramma contestato, nel quale la guida del partito è affidata a Bocchino e quella del gruppo alla Camera a Della Vedova, è un aspetto accessorio del problema. Il dissidio è politico. Bocchino è diventato la maschera pubblica e operativa di Fini, ma non è riuscito a declinare l'antiberlusconismo in una chiave che fosse potabile per la destra e per uomini che nella destra, come i Viespoli e i Pontone, hanno militato per quarant'anni. Politici che per tutta la vita hanno combattuto contro quel linguaggio giacobino, e sinistreggiante, adottato oggi da Fabio Granata.
"Se Fini si fosse dimesso dalla presidenza della Camera, lui che è il leader riconosciuto, e sa parlare da leader, sarebbe anche potuto riuscire a tenere tutti insieme", spiega Campi. Ma la chiave legalitaria che aveva caratterizzato il finismo è tracimata nel giustizialismo; dalla politica si è scivolati verso l'insulto e la contrapposizione personale. Pagando, così, un prezzo altissimo rispetto agli antiberlusconiani di professione, che possono vantare vent'anni di carriera coerente, mentre il personale politico di Fli ha militato al fianco del Cavaliere per oltre quindici anni.
Francesco PontoneCome potevano resistere i Pontone, i Moffa, i Viespoli? Ogni tanto, anche nello sguardo dell'ottantenne Donato Lamorte, uomo di fiducia di Almirante e poi di Fini, sembra di cogliere un velo sardonico quando osserva alcuni colleghi di partito. "Certo che io e Granata siamo un po' diversi". Andrea Augello, che in Fli non è mai entrato, ma che dentro il Pdl è stato un esemplare pregiato della squadra di Fini prima che il cofondatore fosse espulso, dice che "era solo una questione di tempo. C'erano delle ambiguità di fondo. Sin dall'inizio".
Sorprende i protagonisti, e gli osservatori, la freddezza inoperosa con la quale Fini assiste alle numerose defezioni. Il presidente della Camera ha opposto un atteggiamento persino respingente nei confronti di uomini che pure lo avevano seguito nella scissione del Pdl, taluni rinunciando anche a posizioni di governo. "Sembra che non gli importi", dice Moffa.
Silvano MoffaAl Foglio viene riferita una frase oscura di Fini: "Fli è un partito a tempo". Come dire: "Non è il mio investimento duraturo. Ciò che mi interessa non sono né il partito né i numeri parlamentari". D'altra parte l'unica dichiarazione che gli si attribuisce nei confronti dei suoi uomini è "vadano dove gli pare", oppure: le defezioni sono effetti "del potere economico del premier".
Il tentativo più serio di trattenere i deputati, alla Camera, lo hanno fatto Della Vedova (offrendo il proprio posto a Urso) e Urso stesso (incontrando più volte l'affranto Ronchi). Venerdì si riunisce il gruppo a Montecitorio, Della Vedova formalizzerà il passo indietro. Se, come annunciato da Granata, dovessero rieleggere Della Vedova è quasi certo che Urso lascerebbe Fli.