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MONTI CAMBIA IDEA: NON E’ RIGORE! - IL PROF INDOSSA LA POMPETTA DELLE PROMESSE ELETTORALI…

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Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

MONTI

Ah, le tasse, le tasse! Per un pugno di voti, o forse più di un pugno, Mario Monti in campagna elettorale dice: avevamo scherzato. O magari era l´opinione pubblica a non aver compreso bene.

MARIO MONTI APPRENDISTA STREGONE

I sacrifici, la quaresima, la penitenza, l´austerity, il rigore, «stringere la cinghia» spiegava il presidente del Consiglio assicurando nella conferenza stampa di fine 2011 che la lotta all´evasione era «una priorità assoluta» del governo, «una lotta senza quartiere» aggiungeva a Che tempo che fa. E a un certo punto, dopo i blitz a Cortina, a Portofino, a via Montenapoleone, a Firenze e a Roma, il tema fiscale, le cartelle di Equitalia, tutto s´era in qualche modo intrecciato al dramma dei suicidi.

MARIO MONTI AL TRUCCO

Studi, statistiche, è vero, non è vero. Ah, le tasse! Però Monti teneva duro. Se la prese anche con il «buonismo», alleato del peggio. Il 30 di aprile, dopo che l´astuto Alfano aveva protestato con lo Stato troppo lento a dare e troppo svelto a chiedere, e quelle anime perse dei leghisti avevano addirittura rilanciato la disobbedienza fiscale, beh, la conferenza stampa del presidente del Consiglio s´era aperta con le seguenti parole: «Vorrei iniziare con una parola di sdegno».

E già. Guai a incoraggiare giustificazioni, alzate di testa e speranze in materia fiscale. Chi ha cancellato l´Ici, proseguiva l´altero tecnocrate senza menzionare quel demagogo e sprecone di Berlusconi, l´ha fatto senza valutarne le conseguenze; ergo le responsabilità dell´odierna pressione fiscale pesano sul governo di centrodestra. «Tutti invocano la riduzione delle tasse, sembra quasi - suonava la gelida indignazione di Monti - che il governo si diverta a mantenerle elevate».

monti mario il pallario MARIO MONTI A BERGAMO

Ora, divertirsi no. In fondo Giulio Andreotti nel 1977 si limitò a stampare dei francobolli con l´articolo 53 della Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Ma la trovata filatelica, evidentemente, non valse a rallentare l´evasione, come si capì di lì a poco allorché il ministro Visentini, che pure era un signore, ebbe a qualificare il sistema fiscale nel suo complesso: «uno schifo».

E tuttavia nella segnaletica e nell´immaginario pre-elettorale del Governo dei Sapienti le tasse giocavano un ruolo tutt´altro che secondario. Non si arrivava ai ragionevoli eccessi di Tommaso Padoa Schioppa che a suo tempo (2007) riconobbe: «Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima».

MARIO MONTI CON IL SUO PETTINE

Né a quelli, decisamente più grotteschi, toccati nel 1996 quando ancora l´euro-tassa non era stata ufficialmente emanata e il ministro Visco fece emettere una nota in cui si dava conto dell´arrivo di fax di soddisfazione: «C´è addirittura gente che, esonerata perché a basso reddito, ha chiesto di poter offrire un contributo volontario, sia pure in proporzioni ridotte» proseguiva l´indimenticabile comunicato.

mario-monti-supposta

E tuttavia Monti non perdeva occasione per manifestare il proprio disappunto dinanzi all´espressione «mettere le mani nelle tasche»: oltre che stupida, la trovava diseducativa. E al meeting di Comunione e liberazione - che con il senno di poi non era proprio la sede più adatta per dirlo - comunicò di aver raccomandato ai dirigenti della Rai di mettere al bando in tv la parola «furbi» per indicare gli evasori fiscali, la pedagogica esortazione trovando la sua ragione nel fatto che «non si possono trasmettere nemmeno in modo subliminale i disvalori che distruggono la società italiana».

SERGIO MARCHIONNE E MARIO MONTI

Ecco, con ragionevole approssimazione si può dire che la fisco-latria montiana proseguì fino al giorno in cui, fatto osservare che pure la detestabile Imu era una creatura che Berlusconi aveva dovuto promettere all´Europa, il premier disse, più o meno: chi la vuol togliere, poi dovrà raddoppiarla. Era appena il 23 dicembre scorso.
Poi, come tutti sanno, e ancora di più lo sanno tutti quelli che sono discesi e saliti in campo, è cominciata appunto la campagna elettorale. E allora, anche sulle tasse: trallallero e trallallà.

Mario Monti e Elsa Fornero

 

MARIO MONTI E GUIDO BARILLA NELLO STABILIMENTO DI RUBBIANO.

L’EPOPEA DI LIMONOV, IL FASCIO-COMUNISTA RUSSO CHE, DOPO LA FRANCIA, HA CONQUISTATO IL GRANDE SUCCESSO ANCHE IN ITALIA

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Fabio Gambaro per "la Repubblica"

Autore di culto molto apprezzato, Carrère adora mescolare realtà e finzione, proponendo libri ibridi in cui non esita a mettersi in gioco in prima persona. Lo ha fatto anche nel caso di Limonov. «L'ho conosciuto all'inizio degli anni Ottanta a Parigi - ci racconta - dove si era stabilito poco dopo la pubblicazione del suo primo romanzo».

OTTOBRE ottanta LIMONOV A PARIGI

«All'epoca ci eravamo anche un po' frequentati», racconta il cinquantacinquenne scrittore francese. «Era un artista emarginato e stravagante, le cui provocazioni apparivano lontane dalla serietà un po' grigia dei dissidenti sovietici dell'epoca. Ci sembrava una specie di Jack London russo».

In seguito lo ha perso di vista?
«Sì, ma ogni tanto giungevano notizie che lo rendevano meno simpatico. Ad esempio, nei Balcani ha combattuto al fianco dei serbi. Più tardi in Russia ha creato il partito nazionalbolscevico che assomigliava a una specie di milizia fascista. Nel 2006 però, a Mosca, mi sono reso conto che Limonov era molto stimato dall'opposizione democratica russa.

LIMONOV IN POLTRONA VERSIONE GIOVANE DANDY

A me sembrava una specie di fascio-comunista, ma i democratici del suo paese lo consideravano quasi un eroe. Sorpreso e incuriosito, ho deciso allora di fare un reportage su di lui, scoprendo un personaggio assolutamente romanzesco, la cui storia mi dice molto della Russia contemporanea e del caos ideologico in cui viviamo. Oltretutto, ricostruire la biografia di Limonov mi ha permesso di scrivere qualcosa che non avevo mai scritto, vale a dire un romanzo d'avventura un po' alla Dumas».

LIMONOV A PARIGI NEL ottantatre

Alla fine ha capito chi è veramente Eduard Limonov?
«È uno che coltiva l'ambiguità, un personaggio sfuggente. Mentre scrivevo il libro, spesso non sapevo cosa pensare di lui. Da un lato mi sembrava un personaggio affascinante e picaresco, dotato di grande vitalità, energia e coraggio. Dall'altro mi sentivo a disagio per certe scelte e dichiarazioni ingiustificabili. Temevo di valorizzare troppo un individuo discutibile. Alla fine ho cercato di mostrare le sue diverse facce, senza rinchiuderlo in uno schema precostituito».

Un eroe maledetto?
«Forse. In ogni caso un ribelle che non si è mai schierato dalla parte del potere. Nel 2004, dopo due anni e mezzo di prigione, avrebbe potuto diventare uno scrittore adulato e ben pagato. Invece è rimasto povero ed emarginato. Nonostante in lui ci sia una dimensione indiscutibilmente fascista, è sempre stato dalla parte delle minoranze e dei più deboli. È un po' un Robin Hood, il che lo rende simpatico. In definitiva, è un uomo rimasto fedele al sogno di tutti i bambini di vivere una vita avventurosa».

LIMONOV E CARRERE INSIEME A MOSCA

Perché ha scritto la biografia mettendosi in scena apertamente?
«Non ho la pretesa di dire la verità assoluta su Limonov, ma solo la storia come l'ho vista io. Il mio è al contempo biografia e romanzo, di cui, per onestà nei confronti del lettore, rivendico la soggettività. Non è una biografia all'americana con centinaia d'interviste. Per ricostruire la sua vita, mi sono basato soprattutto sui suoi libri, fidandomi di lui e della sua memoria. Perché sono convinto che nei libri non abbia mentito, il che naturalmente è perfettamente discutibile».

EDUARD LIMONOV NEL novantadue

Come ha reagito il diretto interessato?
«Ha deciso di non fare commenti né rettifiche. Non nasconde però di essere contento, dato che il libro gli ha permesso una specie di resurrezione. In Francia, molti dei suoi libri che erano ormai esauriti sono tornati in libreria. Ciò mi fa molto piacere, perché è innanzitutto uno scrittore di valore, autore di libri importanti. Soprattutto i romanzi autobiografici, meno i suoi libri politico-filosofici».

LIMONOV A FIANCO DEI SERBI DURANTE LA GUERRA IN EX JUGOSLAVIA

Cosa crede che pensi Limonov di lei?
«Con me è sempre stato gentile e disponibile, ma al contempo distante. Non ha mai cercato di affascinarmi o di sembrare migliore o diverso da quello che è. Io e lui non apparteniamo allo stesso mondo. Per lui sono un intellettuale borghese e socialdemocratico, il che, dal suo punto di vista, è il peggio che ci possa essere. Eppure mi ha dimostrato una certa riconoscenza e simpatia. L'ultima volta che ci siamo visti a Mosca mi ha detto: "Ti auguro di finire male". Che per lui è probabilmente un augurio molto amichevole».

 

 

“LIMONOV” LETTO DA LIMONOV – IL LIBRO DEL MOMENTO: “UN FASCISTA”, “UN GENIO ASSOLUTO”, “UN PERFETTO STRONZO”?

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Nicola Lombardozzi per "la Repubblica"

LIMONOV NELLA PIAZZA ROSSA

Qual è il colmo per un romanziere? Diventare famoso come eroe di un romanzo scritto da un altro. Eduard Limonov vive questa situazione diviso tra vanità e orgoglio ferito: «Chiedete a lui. È Carrère che ha fatto un libro su di me. Sulla mia vita, sul mio talento. Io su di lui cosa avrei potuto scrivere?».

E la parte del personaggio che si ribella all'autore gli riesce benissimo. Seduto a una scrivania di finto mogano, in una casa umida al terzo piano di una costruita negli anni Sessanta per i funzionari di partito di seconda fascia, fa di tutto per smentire le tesi della biografia più letta del momento: di Emmanuel Carrère appunto.

LIMONOV CON TANJA A NEW YORK NEL

Se siamo venuti a cercare l'intellettuale maledetto, cinico e ribelle, allora abbiamo sbagliato. Indossa un giubbotto da sci per via del riscaldamento insufficiente e con l'aria preoccupata mi invita a pulire bene le scarpe dalla neve per non bagnare il logoro parquet riverniciato a mano color rosso sangue.

Limonov mette in evidenza tutte le lentezze e gli acciacchi dei settant'anni che compirà sabato prossimo. E continuerà per tutta l'intervista ad alternare due gesti: fissarsi timidamente le punta delle dita come uno studente impreparato, e lisciarsi il pizzetto alla Trotzky con l'autocompiacimento di chi si sente «un personaggio unico». Ma via via il personaggio di Carrère torna fuori da solo con un'unica piccola concessione a un sogno un po' infantile: «Mi piacerebbe che facessero un film su di me. Tarantino
sarebbe l'ideale».

LIMONOV A PROCESSO NEL

I suoi romanzi sono universalmente apprezzati, ma deve ammettere che lei non è mai stato così famoso come oggi.
«Sono contento per Carrère, starà facendo un sacco di soldi. Ha costruito un mito e lo ringrazio. Ma mi raccomando: non è tutto vero, il mito non deve essere mai autentico».

Che fa, rinnega le parti più scabrose? Per esempio quella in cui sodomizza sua moglie sulla colonna sonora di un discorso di Solgenitsin? Oppure quando si fa possedere da un ragazzo di colore a Central Park?
«Carrère ha saccheggiato i miei libri. Ha riportato cose che avevo scritto io in prima persona, ma sotto pseudonimo. Io mi chiamo Savenko. Limonov è un nome d'arte e di battaglia».

LIMONOV ALLUSCITA DAL CARCERE

Dunque sono tutte invenzioni?
«Ripeto: sono i miei libri. Ci sono cose che ho fatto, cose che avrei solo voluto fare e cose che forse non avrei fatto mai. Ma non vi dirò mai quali. Limonov è come l'Henry Chinasky
di Bukowski».

Ecco tre giudizi tratti dalle innumerevoli critiche a Limonov: "Un fascista", "Un genio assoluto", "Un perfetto stronzo". Quale le sembra più corretta?
«Bellissime tutte e tre, ma assieme. Separate non vale».

Dal teppismo giovanile alla fuga in America fino alla formazione del partito nazionalbolscevico. Il suo personaggio è roso dall'ambizione del successo. Lo ha raggiunto, infine?
«Il successo che cercavo non era quello del denaro o dei premi letterari. Volevo una vita di questo genere. L'ho avuta. E non è ancora finita».

LIMONOV AD UN CORTEO

Carrère le fa dire: "Una vita di merda".
«Questo lo pensa lui che è un borghese. Io sono fiero di non essere finito come tanti miei coetanei persi nell'alcol in una periferia di fabbriche e discariche».

Vede che anche lei prova pietà, per i mediocri, per i falliti?
«No, la pietà non serve a nessuno. E io non la provo per nessuno. Nemmeno per me stesso. Odierei chi mostrasse di provare pietà per me».

Nel libro lei quasi esulta per la notizia che il bambino dei vicini sta per morire di cancro. È davvero tanto cinico?
«Ricordo bene, dissi che la morte non risparmia nemmeno i figli dei ricchi. Non è forse vero? Sono un cinico nel senso che il cinismo è il livello estremo del realismo».

C'è un'altra sua sparata che inquieta il lettore: "Bisogna impostare la propria vita sulla ostilità di tutti quelli che ci circondano".
«Verissimo. L'ho imparato già dai compagni di scuola. La lotta tra gli individui è naturale. Si cerca la supremazia su ogni cosa. Dalla merendina alla donna, al potere. Anche ora
sono odiato».

COPERTINA DEL LIBRO DI CARRERE SU LIMONOV jpeg

Da chi?
«Dai miei coetanei. Mi odiano perché ho vissuto così, perché ho fatto scelte che loro non hanno avuto il coraggio di fare. Perché scrivo bene. Io credo che come non esiste profeta in patria, non può esistere un profeta della propria generazione. I giovani mi ammirano, sperano di imitarmi. Ma quelli che hanno avuto lo stesso tempo a disposizione e lo hanno usato male sono lividi di invidia».

Neanche lei è stato tenero con i suoi contemporanei. Sembra che faccia apposta a scegliere come idoli personaggi negativi e denigrare miti universali. Cominciamo dai suoi colleghi. Il Nobel Iosif Brodskij?
«Poeta sopravvalutato, abile manager di se stesso»

Sergej Bulgakov?
«Ripugnante razzista sociale e nemico della classe operaia come dimostra Cuore di cane.
Reso famoso da un'operina piatta e senz'anima come Il Maestro e Margherita».

Evgenij Evtushenko?
«Mediocre poeta e uomo molto meschino. Ve lo assicuro».

Boris Akunin?
«Scrittore quello? Non scherziamo».

LIMONOV A PARIGI NEL ottantatre

Aleksandr Solgenitsyn?
«Poveretto. Ha assistito con la fine dell'Urss alla fine di tutto quello che aveva scritto. Adesso la gente non legge più quella roba. Preferisce i miei libri che parlano di problemi universali, eterni, come il conflitto con se stessi, l'amore, l'odio».

È vero che disse no a Lawrence Ferlinghetti, il poeta-editore della beat generation che voleva pubblicare il suo primo romanzo, Io Edicka?
«Sì. Mi chiese di scopiazzare un finale da Taxi Driver. L'eroe, cioè io, avrebbe dovuto uccidere un personaggio famoso come De Niro nel film. Devo dire che è una di quelle cose che ogni tanto ho pensato di fare. Ma non mi andava di scriverla».

Passiamo ai politici. Ha detto che Gorbaciov andrebbe ghigliottinato. E poi è stato amico di un criminale di guerra come Karadzic. Conferma?
«Ghigliottina o fucilazione, scegliete voi. Gorbaciov meriterebbe di essere punito per quello che ha fatto lasciando sgretolare un impero e facendoci perdere la dignità. Quanto a Karadzic era un uomo mite e colto, sono fiero di essere stato suo amico. Un giorno sarete costretti a rivalutarlo».

EDUARD LIMONOV NEL novantadue

Anche il boia Zeljko Arkan?
«Ho combattuto al suo fianco. Aveva un passato criminale ma era un guerriero che lottava per la sua patria».

Carrère teme che nella ex Jugoslavia lei abbia sparato sui civili.
«Mai. Gente in divisa ne ho vista cadere mentre sparavo. In guerra è così».

Adesso sembra di vedere il Limonov leader del semiclandestino partito nazionalbolscevico. A proposito, perché un nome così contraddittorio?
«Marketing. Serve solo ad attirare l'attenzione e a risvegliare antiche energie. Siamo un partito di duri contro uno stato poliziesco. Niente a che vedere con l'opposizione borghese che va in piazza di tanto in tanto».

Ma ha ancora un senso avere nostalgia dell'Urss?
«Macché nostalgia! L'Urss per i russi è come la Roma imperiale per l'Occidente. Nessuno pensa a ricostruirla così com'era. Ma vogliamo che rimanga oggetto della nostra fierezza storica. Un'ispirazione da non perdere».

Per questo obiettivo ha smesso di scrivere romanzi?
«Non ne scrivo più dal 1990. E forse non ne ho scritti mai. In America i miei libri uscivano con la dicitura fictional biography. Il romanzo inteso come una storia del tutto inventata non ha più senso. Roba dell'Ottocento. È come l'opera lirica, la danza classica, la pittura figurativa. I capolavori passati restano. Ma fare opere nuove è ridicolo. Meglio i saggi. I verbali. Le storie vere, magari un po' "migliorate". Lo dico io, ma lo sanno bene gli editori. Il successo di Carrère ne è un esempio».

limonov eduard

Successo di Carrère ma anche di Limonov. Non le pare?
«Diciamo che lui ha spiegato Limonov ai borghesi. Speriamo capiscano».

 

 

PERCHÉ PER REPLICARE AL PEZZO DI STATERA, ANDREA MONTI RIFFESER MANDA UNA NOTA AL SUO “QN” E NON A “REPUBBLICA”?

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Http://Qn.Quotidiano.Net/Primo_Piano/2013/01/29/837524-Bagnaia_Protocolli_Rispettati_Errori_Repubblica.Shtml

‘LA BAGNAIA', I PROTOCOLLI NON RISPETTATI E GLI ERRORI DE LA REPUBBLICA

y 2bag02 andrea monti riffeser

In relazione ad un articolo a firma Alberto Statera, apparso ieri su la Repubblica, pubblichiamo la replica inviata a Statera dal nostro editore, Andrea Riffeser Monti

Egregio signor Statera,
leggo con piacere su la Repubblica riferimenti al nostro Gruppo editoriale e al Resort ‘La Bagnaia', di proprietà della mia famiglia, dove, stando a quel che lei scrive, si costruiranno decine di villette etc. e dove l'on. Casini e Azzurra Caltagirone si sono sposati. Ahimé, siamo alle solite informazioni erratissime e distorsive, un tipo di giornalismo "ideale" per affossare ancora di più l'editoria in un momento di difficoltà sia pubblicitarie che di vendite. Il tutto mentre i lettori chiedono sempre di più giornali critici, certo, ma soprattutto veritieri.

Ezio Mauro

Veniamo alle storture giornalistiche:
1) L'on. Casini e la dott.ssa Caltagirone non si sono sposati a ‘La Bagnaia', bensì a Siena e precisamente in Comune (posso testimoniarlo: ero presente).

2) Per quanto riguarda ‘La Bagnaia' il discorso è più complesso ma riassumendolo è la conferma come una certa cultura di sinistra e la burocrazia possano non certo favorire, bensì affossare un progetto dove la mia famiglia ha investito più di 79.000.000,00 euro personali dal 2001, per riqualificare il Borgo che oggi dà lavoro a circa 80 persone e più di 200 nell'indotto.

Tra la fine degli Anni Novanta ed il Duemila, la Bagnaia ha convenuto con le Amministrazioni comunali di Monteroni d'Arbia, Sovicille e Murlo, con la Regione Toscana e con la Provincia di Siena tre distinti protocolli di intesa. Secondo questi protocolli, la Società ha mantenuto tutti i propri impegni, con investimenti molto significativi, prima di tutto la realizzazione di un campo da golf di risonanza internazionale.

PIERFERDINANDO CASINI E AZZURRA CALTAGIRONE resize

Ma nessuno di questi protocolli di intesa è stato rispettato dalle Amministrazioni e la Società è stata costretta ad impugnare tutti gli strumenti urbanistici che si sono succeduti da allora, nonché il silenzio mantenuto sulla istanza di rimborso di quanto inutilmente versato a titolo di oneri di urbanizzazione per un intervento che si è rivelato non più fattibile (circa 1 milione di euro).

Spero di aver chiarito in maniera molto sintetica gli argomenti da lei citati e sono sempre a disposizione per qualsiasi informazione.
Andrea Riffeser Monti

 

 

L’UNIVERSITA’ DI SIENA AL COLLASSO: IN 5 ANNI HA ACCUMULATO PIU’ DI 300 MILIONI DI “BUCO”…

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1- SIENA PERDE L'ATENEO - I REVISORI CHIEDONO IL COMMISSARIAMENTO
Giorgio Meletti per il "Fatto quotidiano"

Due righe fulminanti, in linguaggio tecnico ma inequivocabili: il collegio dei revisori dei conti dell'Università di Siena invoca l'immediato commissariamento "prima che la situazione economica, finanziaria e patrimoniale degeneri ulteriormente". Così si conclude il documento con cui, pochi giorni fa, i tre esperti - Cesare Lamberti, Massimiliano Bardani e Laura Pedron - hanno espresso parere contrario all'approvazione del bilancio preventivo 2013.

Per la rossa Siena è una beffa stratosferica: i censori contabili invocano la prima applicazione della riforma Gelmini proprio nell'ateneo governato per lunghi anni da Luigi Berlinguer, padre della riforma che la pupilla di B. ha sovvertito. Lo stato di dissesto per le Università infatti non esisteva prima della Gelmini, e anzi non esiste di fatto neppure adesso: il ministro tecnico Francesco Profumo non ha ancora varato i decreti attuativi che consentirebbero la procedura di dissesto.

Se il rettore di Siena, Angelo Riccaboni, non fosse professore ordinario di economia aziendale si potrebbe sospettare che non abbia capito. Avrà dunque altri motivi per dichiarare, come ha fatto il 5 dicembre scorso inaugurando solennemente l'anno accademico, che "la fase più acuta della crisi è superata". E per vantarsi, come ha fatto davanti al senato accademico, di una lettera di congratulazioni del ministro dell'Economia Vittorio Grilli per "l'azione di risanamento intrapresa".

Certo, è vero che le cose non vanno più così male come quattro anni fa, quando venne rivelata una voragine da 270 milioni di euro in un ateneo che ha un bilancio inferiore ai 200 milioni l'anno. Ma è anche vero che il 2012 si è chiuso con ulteriori 46 milioni di perdite, e la previsione, forse ottimistica per il 2013 è di un rosso ancora a quota 19 milioni.

Adesso metteteci sopra la ciliegina: la strategia dell'economista Riccaboni per risanare l'Università è di non pagare i debiti al Monte dei Paschi. Proprio così, lo notano, con un certo trapelante raccapriccio, i sindaci revisori nella loro relazione tenuta finora accuratamente riservata. E notano anche che meglio sarebbe utilizzare il beneficio conseguente per accelerare il risanamento, anziché, come ha deciso Riccaboni, per fare nuovi investimenti e "far tornare a crescere" il campus senese (perché a Siena la mania di grandezza è dura a morire).

E così il cerchio si chiude. Non solo il Monte, malato grave, taglia i fondi alla Mens Sana basket, al Siena calcio e al Palio. Non solo la Fondazione, azionista al collasso del Monte, deve tagliare le sue generose erogazioni, anche quelle all'Università. Ma l'Ateneo a sua volta decide di sospendere per cinque anni il pagamento delle sue rate di mutuo a Mps. Un vero e proprio kamasutra dell'insolvenza incrociata. E così c'è chi chiede il commissariamento della banca, c'è chi chiede il commissariamento dell'Università, e il Comune è già commissariato.

Ormai sotto la torre del Mangia i tempi sono maturi per l'intervento delle truppe Onu. Non è una battuta. Tra pochi giorni lo stato maggiore degli accademici senesi sfileranno a vario titolo a palazzo di Giustizia, dove potrebbero incrociarsi con l'ex presidente del Monte, l'amico Giuseppe Mussari, e altri big della banca finiti nei guai. Ognuno ha i suoi guai. Piero Tosi, delfino di Luigi Berlinguer e rettore dal 1994 al 2006, è alle prese con una richiesta di rinvio a giudizio per il dissesto dell'Università.

Il suo mandato terminò su intervento della procura di Siena, che lo ha rinviato a giudizio per tentata concussione, con l'accusa di aver indotto a ritirarsi l'unico altro aspirante al posto di ricercatore a cui puntava suo figlio Gian Marco: per fortuna è stato assolto, e quindi padre e figlio vivono felici e contenti nella stessa facoltà, medicina.

Al posto di Tosi venne il rottamatore antiberlingueriano Silvano Focardi, che portò alla procura tutte le carte che dimostravano lo sfascio dei conti e il buco da 270 milioni. Ma anche il censore è finito nei guai, diventando celebre per le accuse sui finanziamenti alla sua contrada del Palio e sugli acquisti di quantitativi smodati di aragoste con soldi pubblici (la difesa sostiene che le aragoste servivano per certe ricerche nel campo della biologia marina). Anche Focardi attende la decisione sul rinvio a giudizio.

E quindi venne Riccaboni, l'uomo della restaurazione berlingueriana (sempre nel senso di Luigi), che il 21 luglio 2010 è stata eletto contro Focardi per soli 16 voti su 570 votanti. In questo caso tra pochi giorni si decide sul rinvio a giudizio di dieci membri, di cui sette professori, della commissione elettorale: l'accusa (che non riguarda Riccaboni) è di aver truccato il voto.

L'indagine è scattata subito dopo l'elezione di Riccaboni, che è stato intercettato mentre chiedeva lumi a Berlinguer, il quale lo rassicurava: convinto che l'inchiesta non poteva bloccare la nomina del nuovo rettore, sarebbe andato l'indomani a spiegare la situazione alla Gelmini. Due giorni dopo il ministro della Pubblica istruzione ratificò la nomina di Riccaboni.


2- MA QUANTO E' PICCOLO IL MONDO! INDOVINATE DOVE INSEGNA ARCHIVISTICA LA MOGLIE DI MASSIMO D'ALEMA, LINDA GIUVA? MASSÌ, ALL'UNIVERSITÀ DI SIENA, MA NELLA SEDE DISTACCATA DI AREZZO COSÌ È PIÙ VICINA A ROMA
Biografia da http://www.sissco.it/ - Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea

Linda GIUVA - Università di Siena

Dopo aver lavorato per oltre ventanni nell'Amministrazione archivistica italiana, è approdata all'Università degli Studi di Siena, sede di Arezzo dove insegna Archivistica generale in qualità di professore associato. Si è occupata di archivi di partiti politici, di singole personalità e svolge ricerche nel campo dell'innovazione applicata alla gestione documentale nelle pubbliche amministrazioni.

E' membro del comitato scientifico della Fondazione Istituto Gramsci di Roma.
Fa parte del Comitato direttivo dell'Associazione Bianchi Bandinelli.
E' membro del Comitato per l'Edizione nazionale delle opere di Gramsci.
E' consulente al progetto "Archivi della città di Bologna" della Fondazione Cassa di risparmio di Bologna e della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

È membro del Comitato nazionale "Italiane al voto: donne e culture politiche".
Fa parte del comitato scientifico del progetto "Archivi storici" dell'Amministrazione provinciale di Arezzo.
Fa parte del comitato scientifico per la valorizzazione dell'archivio di Robert Katz, presso il Comune di Pergine.
Fa parte del Comitato scientifico del Centro per la cultura d'impresa di Milano.

 

 

MIGNOTTOCRAZIA 2.0 - FELTRI: “SE VEDO LE LISTE PDL MI VENGONO I CONATI DI VOMITO. BERLUSCONI HA CANDIDATO ALMENO 10 MIGN

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Da "La Zanzara - Radio 24" http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=la%20zanzara

VITTORIO FELTRI SILVIO BERLUSCONI jpeg

"Le liste del Pdl mi fanno venire i conati di vomito, Berlusconi ha ricandidato i soliti, con operazioni incomprensibili come mettere la Polverini nel Lazio che fa perdere i voti per la vicenda Fiorito. Ma non potevano metterla da un'altra parte, magari in Trentino?". Lo dice Vittorio Feltri, editorialista del Giornale, a La Zanzara su Radio 24. "La Polverini è un respingente - dice Feltri - perchè quella storia dei soldi ha indignato tutti. Poi certe persone che volevano andare con Monti, vedi la Roccella, sono state ricandidate e premiate".

BEPPE GRILLO AD UN COMIZIO berlusconi harem

"Non siamo mica nati ieri - continua Feltri alla Zanzara - e sappiamo che ha candidato di nuovo delle mignotte. Sì, mi riferisco alla mignottocrazia, ho visto dei nomi che immediatamente richiamano alla mignottocrazia. E' cambiato troppo poco rispetto alle aspettative, la serietà delle persone è importante. Un censimento è difficile e vedendo le liste, volando basso, mi sono saltati agli occhi i nomi di una decina di mignotte, intese come persone che si adattano a fare qualsiasi cosa, che fanno quegli esercizi che non sono titolo di merito. Non è che se io faccio una scopata allora merito un aumento di stipendio".

Berlusconi BUNGA Berlusconi Bunga

Lei aveva detto di essere tentato di votare Grillo, conferma?: "Sì, il mio giudizio non è cambiato. Voterei Giannino ma non si è alleato con nessuno, Berlusconi l'ho sempre votato perchè era i meno peggio. Ma pur di non far vincere la sinistra potrei turarmi di nuovo il naso e qualcos'altro".

 

IN MANETTE IL PRESUNTO ATTENTATORE DI MUSY: SI TRATTA DI FURCHÌ, UN EX CANDIDATO CENTRISTA ALLEATO NEL 2009 DEL CONSIGLI

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Massimo Numa per La Stampa

ALBERTO MUSY jpeg

Svolta nelle indagini sull'agguato ad Alberto Musy, il consigliere Udc raggiunto da quattro colpi di revolver nel cortile della propria abitazione a Torino, in via Barbaroux, il 21 marzo scorso. A quasi un anno dal tentato omicidio la polizia ha fermato un uomo al termine di un interrogatorio-fiume durato tutta la notte.

L'arrestato si chiama Francesco Furchì, ha 50 anni ed è nato a Ricadi (Vibo Valentia). Presidente dell'Associazione culturale Magna Grecia Millenium, nelle ultime elezioni comunali a Torino era candidato nella lista Alleanza per Torino, che sosteneva la candidatura a sindaco di Musy. Alle Comunali del 2011 Francesco Furchì ottenne 57 voti, 8/o nella lista "Alleanza per l'Italia" che raccolse 3.113 preferenze, lo 0,78% totale.

ALBERTO MUSY jpeg

L'associazione Magna Graecia Millenium, con sede nel centro di Torino, è stata costituita per promuovere la cultura, il turismo ed i prodotti tipici delle regioni Calabria Puglia Sicilia e Basilicata. «Sono riconoscente agli investigatori per il proficuo lavoro svolto nel corso di questi lunghi mesi - ha commentato la moglie Angelica Musy - Adesso aspetto ulteriori sviluppi dall'inchiesta»

COSÌ È STATO INCASTRATO
Numerosi e complessi gli elementi che hanno portato a identificare l'aggressore con Furchì. In primo luogo l'analisi delle celle telefoniche, che documentano il passaggio dell'uomo nella zona in cui si è consumato il delitto esattamente nell'arco temporale corrispondente alla ricostruzione fatta dagli investigatori.

FRANCESCO FURCHI

Il Politecnico di Torino ha svolto un dettagliato studio antropometrico che ha dimostrato una totale rispondenza dei parametri con il soggetto ripreso in video. Infine il dettaglio della camminata. L'uomo con il casco ripreso nel video era claudicante. Gli accertamenti hanno documentato che Furchì è affetto da una malformazione all'anca , un difetto che rende la sua andatura pienamente compatibile con quella dell'uomo del video.

I MOVENTI
Sono principalmente tre i moventi - secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori - ad aver armato la mano di Francesco Furchì. Il mancato appoggio di Musy a un concorso per cattedra universitaria a Palermo; la mancata nomina a cariche comunali dopo che Furchì si era impegnato nella campagna elettorale a sostegno del consigliere Udc nel 2011; il mancato impegno di Musy nel reperire investitori che Furchì cercava per le sue attività. Queste le motivazioni covate da tempo che hanno fatto maturare un odio concretizzatosi nel progetto omicida.

FRANCESCO FURCHI

2 - MUSY: PM, FURCHI' UN FACCENDIERE, SUO SOGNO ARENAWAYS
(ANSA) - E' un "faccendiere" di cui "nonostante sia soggetto a intercettazione telefonica ormai da settimane, non sono ancora ben note le stabili attività": così il pm Roberto Furlan nel decreto di fermo di Francesco Furchì, l'uomo accusato del tentato omicidio di Alberto Musy. Tra gli "sgarbi" che Furchì voleva vendicare, secondo le indagini, c'e anche il mancato appoggio nell'affare Arenaways, che era "avvertito dall'indagato come il vero e proprio sogno della vita".

ALBERTO MUSY jpeg

3- INVESTIGATORI, FERMATO HA UN'INDOLE VIOLENTA
(ANSA) - Persona di indole violenta e vendicativa che aveva contatti con persone con precedenti di polizia: è il profilo che danno gli investigatori di Francesco Furchì, fermato per l'agguato al consigliere Udc, Alberto Musy. "L'indagine - ha detto il procuratore Giancarlo Caselli - è stata lunga, paziente, faticosa, analitica. Senza esagerazione é stata un'indagine mastodontica, gigantesca, un setacciamento incredibile di una serie di figure gravitanti nell'orbita della vittima. Abbiamo impegnato le migliori risorse della procura e della polizia, spendendo un tempo infinito.

Niky Vendola e Giancarlo Caselli

E' stato come il lavoro dei cercatori d'oro, che setacciano quantità incredibili di sabbia e di acqua per individuare un qualche granello". Ad aver portato all'identificazione di Furchì due consulenze tecniche del Politecnico di Torino. Una ha esaminato le sequenze ottenute con le telecamere disseminate lungo il percorso compiuto dall'attentatore prima di raggiungere la casa di via Barbaroux, ricostruendo altezza, larghezza spalle e ogni altro dato utile per l'identificazione del soggetto. La comparazione tra i dati ottenuti e quelli di Furchì è superiore al 90%, per alcuni tratti anche del 99%. La consulenza sulla camminata e la postura dell'attentatore e quelle di Furchì ha evidenziato caratteristiche fisiche uguali, peculiarità che derivano da malformazioni fisiche.

 

NUBI SULLA PRIVACY - I DATI PERSONALI SALVATI SUI SISTEMI DI CLUOD STORAGE VENGONO SPIATI DALLE AUTORITÀ USA

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Andrea Andrei per Dagospia

Da "The Independent"
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Il grande fratello può nascondersi fra le nuvole. No, non quelle che portano pioggia ma quelle virtuali, il cosiddetto "cloud storage", la tecnologia che permette agli utenti di salvare i propri dati e i propri documenti su hard disk per noi invisibili, ma che fisicamente si trovano dall'altra parte dell'oceano, negli Stati Uniti.

IL CLOUD DI APPLE

Proprio gli Usa, a Natale scorso, hanno rinnovato il Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA), precedentemente introdotto da George W. Bush nel 2008. Secondo questo provvedimento, le agenzie governative statunitensi possono avere libero accesso a tutte le informazioni memorizzate da utenti stranieri sui server di società americane. Il che vuol dire che se avete salvato i vostri dati su Google Drive, piuttosto che su Apple iCloud o Amazon Cloud Drive, i vostri documenti possono essere consultati senza alcuna restrizione dalle autorità statunitensi, mentre voi siete all'oscuro di tutto.

BARACK OBAMA A BOCCA APERTA

Non solo: tutte le informazioni che vengono raccolte, attraverso dei sistemi molto più complessi e precisi rispetto ai motori di ricerca che siamo abituati a utilizzare dai nostri pc, possono essere conservate e utilizzate a fini politici.

Come abbiamo detto, ciò è permesso dal 2008, ma oggi, con l'uso sempre più diffuso dei sistemi di cloud storage, il problema sta diventando veramente serio.
Per difendere il sacrosanto diritto alla privacy (ormai sistematicamente violato in tutti i modi possibili), attivisti e legali di mezzo mondo stanno alzando la voce.

IL CLOUD COMPUTING DA THE INDEPENDENT

Uno di loro, l'avvocato Caspar Bowden (che ha lavorato come consulente per la privacy in Microsoft per nove anni), ha ricordato come i gruppi religiosi, le organizzazioni e i giornalisti potrebbero essere i primi soggetti presi di mira.

George w Bush

Sophie in 't Veld, un'europarlamentare olandese che è anche vice presidente della commissione per le libertà civili del Parlamento europeo, ha chiesto che le autorità europee agiscano il prima possibile, sottolineando un altro aspetto inquietante della questione: "Se, invece degli Stati Uniti, a mettere le mani sui nostri dati fossero i russi o i cinesi, lo riterremmo un problema urgente?"

pentagono sat

C'è chi definisce quest'invasione della privacy "ingiustificata, irresponsabile e terrificante", notando come in questo modo "tutti i cittadini non statunitensi vengono trattati come nemici". Anche Google, attraverso un portavoce, ha chiesto maggiore trasparenza alle autorità americane. E se lo dice una delle aziende che ha avuto i maggiori problemi con il diritto alla privacy, vuol dire che il problema esiste davvero.

 


COLLE DEI PASCHI: A COSA SERVE LO SCANDALO MPS? A BRUCIARE I CANDIDATI ALLA CORSA AL QUIRINALE…..

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Martino Cervo per "Libero"

C'è tutta una letteratura complottista che sostiene che il vero motivo della caduta del governo di Romano Prodi nel 2008 sia stato il calendario. La legislatura iniziata dopo la seconda sfiducia al Professore, infatti, avrebbe così avuto una durata «naturale» fino al 2013, cioè la scadenza del settennato di Napolitano. In coincidenza con la battaglia che molti giudicano l'unica degna di essere combattuta: quella per il Colle. E con un Parlamento nuovo.

GIORGIO NAPOLITANO

Le cose non sono andate in maniera lineare: il governo Berlusconi IV si è sfaldato per le fiamme dello spread e per la sua inconsistenza politica, Napolitano ha portato Monti a palazzo Chigi, e sarà ancora lui a incaricare il prossimo premier. Ma, comunque, ci siamo. Gli eserciti per piazzare il successore del «migliorista» stanno iniziando a disporsi sul campo, con la cautela di una battaglia in cui spesso, all'ultimo, la spuntano le seconde file.

occ43 prodi amato

Sono settimane in cui anche la percezione delle notizie può avere un impatto nel «bruciare» candidati. Da un paio di giorni le indagini relative a Mps, col relativo «salvataggio» a cura del Tesoro coi Monti-bond, si sono affacciate sui più importanti quotidiani di informazione economica e finanziaria. Sul Financial Times un secco resoconto dei fatti appariva sotto un titolo che lasciava poco spazio alla cronaca: «A scandal in Siena. Monte dei Paschi shows Italian banks need to reform»: scandalo a Siena.

AMATO BASSANINI

Il Monte dei Paschi mostra l'esigenza di riforme del sistema bancario italiano. Tra le righe una critica radicale al «Byzantine arrangement», il sistema bizantino del rapporto tra fondazioni e banche, che non investe solo l'istituto bancario senese. Ecco, se è lo stesso «sistema» a essere posto in discussione, è difficile non considerare più esposte le figure che hanno contribuito a plasmarlo. Due di queste, Giuliano Amato e Romano Prodi, sono senza grossi misteri tra i più autorevoli nomi in corsa per il Quirinale.

Giuseppe Mussari

Ovviamente nessuno dei due è neppure lontanamente chiamato in causa nel merito della intricata vicenda del Monte, che spetta anche alla procura chiarire. Dal punto di vista puramente politico, soprattutto Amato ha avuto un ruolo di primo piano nel creare la cornice giuridica che ha permesso la diffusione e lo sviluppo delle fondazioni bancarie in Italia. Fondazioni che restano un pilastro dell'economia italiana (quasi 90 enti che gestiscono almeno 50 miliardi di euro), proprio per la loro vocazione al rapporto col territorio.

Assieme a Carlo Azeglio Ciampi (allora governatore), è proprio Amato, nel 1990, a spendersi per una riforma che di fatto introduce le fondazioni (l'altro nome impossibile da non citare è quello di Pinza). Otto anni dopo (in mezzo c'è anche un intervento di Lamberto Dini), gli stessi protagonisti normano la disciplina degli ambiti di attività delle fondazioni, destinandole in sostanza al non profit. Anche con il successivo intervento di Giulio Tremonti, a restare scoperto è sempre il nervo dei rapporti con la politica.

CARLO AZEGLIO CIAMPI - copyright Pizzi

Come illustra il caso Mps, molto spesso i cda delle Fondazioni sono espressione della politica, con tutto ciò che ne consegue. Lo sa bene lo stesso Amato, che da ministro del Tesoro del governo D'Alema è stato stuzzicato da un'interrogazione parlamentare nel febbraio 2000 proprio a proposito dello Statuto della fondazione Mps: «In base alla separazione tra politica e amministrazione, decisa in questi anni, personalmente, in qualità di ministro », disse Amato rispondendo a Marco Taradash, «non ho alcuna competenza in ordine all'approvazione dei singoli statuti che competono alla direzione generale per il Tesoro [...].

Per quanto riguarda lo statuto della fondazione del Monte dei Paschi, devo dire che ancora non è stato esaminato dagli uffici. [...] Nessuno tra gli statuti sin qui esaminati ha ritenuto di esaurire le rappresentanze presenti nella fondazione nei soli nominati dagli enti locali: questo è un caso davvero singolare. [...] La domanda che sostanzialmente pone l'onorevole Taradash è la seguente: può il nominante nominare se stesso e, in un secondo tempo, dimettersi dall'incarico che gli ha consentito di nominarsi e, a quel punto, risultare compatibile? Si tratta di una domanda che rivolgerò ai miei uffici e attenderò con gusto la risposta».

Se l'obiettivo era fugare i sospetti che la politica potesse essere troppo contigua al mondo delle fondazioni, si sono viste risposte più efficaci. In realtà poi la norma sugli statuti è stata rivista. Resta il fatto che proprio Amato, come ha mostrato una dettagliata ricostruzione di Marco Alfieri per Linkiesta. it, non è figura estranea al sistema di potere senese, tanto da aver appoggiato l'ascesa di Mussari assieme a Franco Bassanini. Anche qui, ovviamente, nulla di male.

Tornando alla corsa per il Colle, una padronanza intima del sistema italiano e dei suoi gangli economici è un vantaggio competitivo. Se tuttavia proprio quei gangli sono «sotto osservazione», il discorso può cambiare. E anche il ruolo di advisor di Deutsche Bank (istituto che avrebbe un ruolo nell'accordo sui derivati che hanno fatto detonare i problemi di Mps) rischia di non essere più il migliore dei biglietti da visita. Secondo alcuni, lo stesso Amato avrebbe avuto proprio nei contrasti devastanti (e tutti interni alla sinistra) sulle scalate 2005 uno stop decisivo per la corsa al Colle.

Non è escluso che vecchi rancori tornino a esplodere. E Prodi? Il Professore era a palazzo Chigi al tempo dell'operazione Antonveneta. A Bologna, è - come normale - vicino alla fondazione cittadina. La suscettibilità con cui ha reagito minacciando querele per un ironico articolo del vicedirettore di Libero Franco Bechis sui legami tra l'ex premier e i cinesi la dice lunga sulla delicatezza del pedigree da esibire in certe fasi. E fa pensare che gli effetti più grossi di Mps potrebbero vedersi dopo il 24 e 25 febbraio.

 

PETROLDOLLARI PER ALITALIA? LA COMPAGNIA DI ABU DHABI INTERESSATA ALL’ACQUISTO…

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Roberto Sommella per "Milano Finanza"

Etihad-aircraft

Quale miglior cavaliere bianco di uno che monta un puledro arabo? È questa la svolta che si profila per Alitalia, compagnia aerea in debito di ossigeno e con alle viste un nuovo prestito ponte che dovrebbe permetterle di andare avanti ancora qualche mese. Secondo quanto risulta a MF/Milano Finanza, Etihad, la compagnia aerea di Abu Dhabi ha seriamente intenzione, e formalizzerà presto il progetto, di fare un'offerta per rilevare dagli attuali soci (i famosi patrioti e Air France) il 49% del capitale del vettore italiano.

airfrance

Gli arabi vorrebbero anche una quota maggiore, ma le leggi dell'Unione europea impediscono loro una scalata vera e propria: una compagnia extra-Ue non può avere il controllo di un'azienda di volo comunitaria pena la perdita dei diritti di trasporto internazionali.

alitalia logo passeggero

Così Etihad, che ha già manifestato l'interesse a trasformare Malpensa in un hub intercontinentale, dovrà convincere i futuri possibili alleati: da una parte Air France, che possiede il 20% di Alitalia ma non è in grado di spendere altri soldi per godere della fine del lock-up che libererà i soci italiani dal mantenimento delle azioni; dall'altra, il futuro governo italiano che, appena insediato, dovrà affrontare tra i dossier più scottanti proprio quello del salvataggio definitivo della compagnia di bandiera.

spinetta daLaStampa

È chiaro che per mandare in porto un'operazione così clamorosa servirà l'assenso in primo luogo del presidente francese François Hollande, che potrebbe non vedere di buon occhio le mire espansive dell'hub milanese, che rischia di offuscare quello di Parigi. Dunque servirà un'intesa italo-francese che non è però affatto da escludere viste le condizioni in cui versano Air France e Alitalia, pronta a chiedere il prossimo 4 febbraio un prestito ponte ai soci da 150 milioni, forse anche per scavallare la fase di vacatio governativa.

Che l'ipotesi Etihad non sia peraltro mai stata un sogno, lo ha confermato recentemente la stampa transalpina. Les Echos, giusto qualche settimana fa, aveva scritto che la compagnia di Abu Dhabi sarebbe stata pronta a rilevare le quote di parte dei piccoli azionisti di Alitalia. L'intervento di Etihad sarebbe servito, secondo il quotidiano francese, a evitare che quelle quote italiane finissero in altre mani, dando tempo ad Air France-Klm di mettere insieme i mezzi necessari per rilevare la maggioranza di Alitalia nel 2014.

FRANCOIS HOLLANDE

Ora il progetto è cambiato, gli arabi vogliono contare di più in Alitalia, se ciò verrà loro concesso dai governi nazionali. Ma già a suo tempo gli analisti avevano giudicato con favore l'eventuale ingresso della compagnia emiratina nel capitale di Alitalia. Secondo fonti di mercato, infatti, uno dei dossier nel cassetto del presidente di Air France-Klm, Jean-Cyril Spinetta, e del ceo di Etihad, James Hogan, sarebbe proprio un'aggregazione tra le due compagnie allargata ad Alitalia e ad Air Berlin, di cui il vettore emiratino è il maggiore azionista con il 29,2% del capitale.

MALPENSA

Tramontata ogni ambizione stand alone di Alitalia, questa potrebbe quindi essere una soluzione gradita anche a molti degli azionisti riuniti in Cai. Ufficialmente dal quartier generale di Etihad non sono mai arrivati commenti. Le uniche dichiarazioni trapelate giorni fa confermano però l'interesse generale della compagnia del Golfo ad acquisire partecipazioni in altri vettori.

«Etihad Airways continua a guardare alle opportunità di investimento che ci potrebbero essere in altre compagnie aeree come evoluzione positiva della sua strategia di partnership», è la posizione ufficiale del gruppo aereo. «Questi investimenti saranno realizzati solo nel caso in cui Etihad Airways ritenga che ci siano forti prospettive commerciali, che ci sia la stessa filosofia aziendale e che vengano accolti positivamente».

Nel suo carnet ci sono già il 3% circa del vettore irlandese Air Lingus, il 29,2% di Air Berlin e il 40% di Air Seychelles. Etihad si starebbe preparando a raddoppiare la partecipazione del 4,9% in Virgin Australia, mentre ha avviato negoziati con la compagnia indiana Jet Airways, di cui vuole il 24% per 330 milioni di dollari. Tutto, insomma, ne fa il veicolo perfetto per rilevare anche una quota di Alitalia.

 

DALLA PADELLA ALLA BACOLI - IL COLOSSEO RISCHIA DI CROLLARE A PEZZI, E DUE AZIENDE SI SCANNANO PER RESTAURARLO

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Emiliano Fittipaldi per "Espresso.Repubblica.it"

IL COLOSSEO PERDE PEZZI

Per il restauro del Colosseo giovedì è un giorno cruciale: il Tar del Lazio deciderà infatti se la (prima) gara per l'aggiudicazione dei lavori è stata regolare, e decreteranno finalmente il vincitore.

Se tutto filasse liscio, i lavori finanziati da Diego Della Valle (per 25 milioni di euro complessivi) «potrebbero cominciare entro la fine di febbraio», ha promesso Gianni Alemanno irritato dai continui ritardi.

FRAMMENTI DI TRAVERTINO CADONO DAL COLOSSEO

Il condizionale è doveroso: perché è possibile che la battaglia tra aziende, appaltatori e sovrintendenza che dura da mesi si trascini anche al Consiglio di Stato.

La torta è grossa: il primo appalto per la progettazione esecutiva e il restauro effettivo dei prospetti meridionali e settentrionali dell'Anfiteatro Flavio (più le nuove cancellate del primo ordine) vale oltre otto milioni di euro. Che ballano tra due aziende: la Gherardi di Roma e la Lucci di Bacoli, paesino vicino Napoli. Sono loro i due contendenti che hanno ingolfato il tribunale amministrativo di ricorsi e controricorsi.

COLOSSEO PERDE PEZZI

La vicenda è intricata. Gherardi aveva ottenuto l'aggiudicazione definitiva della gara lo scorso 30 agosto, ma a novembre 2012 il ministero dei Beni culturali e la soprintendenza hanno escluso l'impresa dalla gara. Motivo: alcuni documenti non sarebbero stati presentati entro i 10 giorni previsti. Un'esclusione contestata al Tar.

Anche Lucci, in precedenza, aveva eccepito davanti al Tar la mancanza da parte dei concorrenti di alcuni requisiti necessari a partecipare alla gara.

ALEMANNO ISPEZIONA I FRAMMENTI DEL COLOSSEO

Questo il secondo vulnus da sciogliere domani. La Gherardi da parte sua ha fatto un ricorso incidentale contro Lucci, spiegando che il progettista dei rivali non avrebbe le carte in regola per partecipare a un bando così importante.

In teoria, dunque, la Lucci è in pole position. Se il Tar dovesse dare ragione alla soprintendenza che ha escluso gli avversari, saranno loro a rifare uno dei monumenti più importanti del mondo.

Una rivincita per un imprenditore che oggi è sotto processo a Napoli. Già: a 'l'Espresso' risulta che Luigi Lucci nel dicembre del 2010 è stato rinviato a giudizio con l'accusa di corruzione. «Il processo si avvia verso la prescrizione, ma io voglio essere prosciolto da ogni accusa», risponde Lucci.

GIANNI ALEMANNO E DIEGO DELLA VALLE AL COLOSSEO

L'imprenditore fu arrestato nel 2009 dalla Guardia di Finanza insieme all'ex soprintendente per i Beni architettonici di Napoli Enrico Guglielmo e ad altre due persone, mentre gli indagati a piede libero furono sette.

COLOSSEO

I pm napoletani ipotizzano che Guglielmo, accusato di associazione a delinquere e turbativa d'asta, per anni avrebbe «sistematicamente» favorito Lucci «nell'aggiudicazione di appalti di ingente valore». Una sorta di egemonia in alcuni affidamenti per la zona dei Campi Flegrei (i magistrati citano la gara da 12 milioni per il restauro del Castello di Baia), mentre altre volte (come nel caso dei bandi per il real Albergo dei Poveri e per il sito borbonico di Portici) il soprintendente «avrebbe consentito che imprese riconducibili direttamente o indirettamente a Luigi Lucci venissero invitate e comunque partecipassero» alle gare, «determinando in tal modo un'obiettiva alterazione della regolarità della procedura».

Restauratori al Colosseo

Secondo l'accusa l'imprenditore di Bacoli avrebbe ricompensato Gugliemo pagando una quota (poco meno di 40mila euro) di una barca acquistata dal funzionario.

lorenzo ornaghi

Per la cronaca, la gara di cui il Tar deciderà il vincitore è stata bandita nell'agosto del 2011. Se tutto va bene, i lavori inizieranno quasi due anni dopo. Chissà se anche per gli altri appalti ancora da assegnare (quella per il cosiddetto centro servizi, e per il restauro degli emicicli e delle parti interne del Colosseo) bisognerà aspettare le calende greche.

 

MUSSARI DISARCIONATO! - IL FEELING TRA L’EX BOSS DI MPS E IL FANTINO ACETO CEMENTATO DALLE CAVALCATE…

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Gian Marco Chiocci per "il Giornale"

giuseppe mussari

«Oh, non faccia il bischero. Lei non può uscirsene così e dire che Mussari era amico mio. Mussari è amico mio, lo è ora più di prima. Capito? In città non si fa più vedere? Non lo so, e non mi interessa. Qui, da me viene, mi telefona e dice, "o Andrea, domani vengo a fare una cavalcata". E poi viene e cavalca, anche per scacciare i pensieri. Che c'è di male?».

Giuseppe Mussari

Prende subito d'aceto il mitico Aceto, al secolo Andrea Degortes, il più carismatico, burbero e vincente fantino del Palio. Dal suo buen retiro di Asciano, il vincitore di 14 corse in piazza del Campo, si produce in una cavalcata senza freni in difesa dell'uomo diventato, all'improvviso, il più detestato dai senesi e il più ricercato dai piccoli azionisti montespaschini che in assemblea sono arrivati a proporre manifesti col wanted, la sua faccia e il dead or live.

Dei legami del Mussari con Aceto, e col figlio Antonio detto «Acetello», si mormora tanto. Così come strettissimi sono i rapporti dell'ex presidente Mps con Luigi «Trecciolino» Bruschelli, il fantino più vincente del decennio mussariano che con il cavallo di don Peppe, l'esordiente Gia del Menhir, nel 2 luglio 2008 vinse un Palio ancora oggi molto, troppo, chiacchierato.

ANDREA DEGORTES ACETO jpeg

Già perché Mussari e il Palio sono un tutt'uno: «Mi fa dolore vedere tutta queste gente che adesso se la prende con Giuseppe - attacca Aceto - lui non è il solo responsabile di quanto accaduto con Babbo Monte che, va detto, teneva in piedi tutta la baracca. Siena è il Monte dei paschi e il Monte dei Paschi è Siena. Avrà anche delle colpe, Giuseppe, ci mancherebbe. Ma è come nel calcio, no? Se in campo scende una squadra che gioca male le colpe se le prende solo il presidente? Eddai su».

Facciamo notare che il paragone non è che calzi poi tanto a pennello, ma Aceto s'incazza: «Che cosa dice? Qui c'è una crisi mondiale, sta cascando tutto, e anche Siena gli va dietro. Ma l'irriconoscenza, sotto vari punti di vista, di certa gente per Giuseppe è una cosa che no, non la mando giù».

ANDREA DEGORTES ACETO jpeg

Si sta riferendo al Palio, alle contrade foraggiate dal Babbo e via discorrendo? «Mussari ha fatto tanto per il Palio, non è un mistero - insiste Degortes - e ha fatto tantissimo per le contrade e i contradioli. Ma è innegabile che oggi la situazione sia completamente cambiata rispetto a dieci, cinque anni fa, dunque è naturale che anche il Palio, per certi versi, sconterà la crisi della banca. Sono preoccupato, non vedo una via d'uscita. Nel piccolo anche a Siena la crisi del Monte si sente, già certi soldi e certi premi alle contrade sono diminuiti».

LA PARTENZA DEL PALIO DI SIENA

Dunque, per sintetizzare, Mussari un capro espiatorio? «Ecco, sì». Ma gliel'ha detto lui? «No, guardi, io di quel che mi dice Mussari non parlo. Il fine settimana mi telefona, dice oh Andrea prepara il cavallo, viene, monta, stiamo insieme e se ne va». Il cavallo è sempre Gia del Menhir? «Certo, quello. E adesso scusi, ma ho daffare». Clic. Già, Gia del Menhir, il mezzosangue inglese di proprietà del veneratissimo Mussari nel 2008: esordiente e dato incredibilmente per vincente, pur non avendo mai vinto prima. Nel Palio delle polemiche infinite, il grande Luigi Bruschelli, noto Trecciolino, stravincerà per l'Istrice, la contrada della moglie di Mussari.

LA PARTENZA DEL PALIO DI SIENA

Ma torniamo ad Aceto. Anzi, al figlio Antonio Degortes che s'è ritrovato catapultato ai vertici della galassia Montepaschi grazie all'amicizia con «Giuseppe» (lui lo chiama così, l'ex presidente Abi, sulla sua seguitissima bacheca Facebook) che ha fatto premio su un curriculum forse non proprio adatto al profilo di banchiere.

Ma tant'è. Quarantacinque anni, senese, Degortes jr è diventato vicepresidente di Mps Factoring e leasing dopo un'esperienza nel board del Monte dei Paschi in Belgio e una parentesi in Francia. Studi presso il liceo scientifico «Galileo Galilei» di Siena, Acetello più che di conti correnti e bonifici, titoli e fondi sovrani, è un esperto di locali e di movida. E se il padre era soprannominato il «re della piazza», lui lo è della notte.

MPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA

Per vent'anni è stato al timone della «Capannina» di Castiglione della Pescaia. In un'intervista al Tirreno, ha raccontato che a quarant'anni suonati non ce la faceva più a sostenere i ritmi dei nottambuli, non è facile passare dallo spritz allo spread. Dello scandalo Mps, dice (fonte Facebook) di essere «moralmente distrutto da ciò che sta accadendo alla nostra banca e alla comunità» e al contrario del padre, di aspettarsi «da parte di Giuseppe (lo chiamo così perché è un mio amico) delle spiegazioni che deve prima di tutto alla città».

 

ANCHE I SONDAGGI DI ‘’REPUBBLICA’’ E ‘’BALLARҒ’ DEVONO AMMETTERLO: IL CENTROSINISTRA DI BERSANI AVANTI MA PERDE QUASI 2

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1. BANANA SURPRISE?
Spin Doctor per Dagospia

PIERLUIGI BERSANI GIUSEPPE MUSSARI

Se fossimo negli Stati Uniti, la lista dei candidati premier sarebbe diversa. Lì i partiti sanno scegliere, quasi sempre, i candidati più adatti a vincere le elezioni. Un esempio? Nel Partito Democratico USA Hillary Clinton era la figura di spicco, con una militanza lunghissima e una influenza capillare, ma Obama aveva più chance di battere i repubblicani. Sapete come è andata a finire.

Da noi prevalgono spesso altre logiche, spesso tutte interne ai partiti e alle coalizioni. Il risultato? Ce lo spiega Ilvo Diamanti su Repubblica oggi: tra i primi sei leader per gradimento degli italiani, ben tre non sono candidati: Renzi al primo posto, davanti a Culatello; Bonino al quarto, davanti a Kim Yon-Grillo; Monteprezzemolo al sesto.

La campagna elettorale ne risente, con l'agenda ostaggio dell'attualità e pochi salti di immaginazione. Nessuno si prende la briga di raccontare alle persone come sarà il Paese tra cinque anni. Forse perché, sotto sotto, se lo immaginano uguale a cinque anni fa? Ma la giusta combinazione di visione del futuro e risposte concrete ai problemi è la via maestra per il consenso.

EMMA BONINO FOTO AGF REPUBBLICA jpeg

Intanto passano i giorni e si riducono gli incerti. Si riduce di conseguenza il bacino nel quale pescare voti e questo penalizza sopratutto Mortimer, alle prese con una vera crisi di identità. Per uscire dal suo recinto (10-12% degli elettori) deve cambiare registro. Ma quando lo cambia scontenta la sua base colta, scolarizzata, di mezza età, di professionisti. E soprattutto sconfina in campo Pd. Soprattutto in quell'area moderata piddina che non sembra avere rappresentanza (a proposito dov'è Enrico Letta? e Franceschini?). E questo mette in ansia Culatello, già colpito dal caso Montepacchi di Siena.

BEPPE GRILLO DURANTE UN COMIZIO

Tutti impallati e rassegnati all'ingovernabilità? Ad ora sembra così. Ma c'è tempo e, si sa, gli elettori decidono nelle ultime due settimane. Come fare? Intanto c'è qualcuno che nei partiti lavora ai database? Una volta erano le liste delle famiglie tenute aggiornate dalle sezioni Pci e Dc. Oggi sono i file di direct marketing usati dai venditori e dalle associazioni no profit ad essere indispensabili. E poi Google che, alla fine, si rivelerà il mezzo più impattante di questa campagna 2013. Per Ingroia, Monti, Tremonti, La Russa poi c'è la necessità di far conoscere il simbolo. L'elettore - come al supermercato - sarà attratto dal simbolo più noto e qui Pd e Pdl la fanno da padroni.

SILVIO BERLUSCONI

E mentre gli uffici comunicazione stanno affilando le armi ed i messaggi, tutti rischiano di inseguire il Banana. L'acquisto di Super Mario Balotelli, si dice, valga un punto in più per il PDL nei sondaggi (a proposito, proprio il 24 febbraio c'è il Derby Milan Inter...). Ma la mossa a sorpresa del Pompetta potrebbero essere altre, più vicina alle tasche degli italiani. Lui su questo ci sa fare. Dopo l'abolizione dell'Imu, le assunzioni in nero, non è che ha in serbo un bel condono fiscale? O forse sta pensando di cambiare nome ad Equitalia?

LA RISATA DI MARIO BALOTELLI

2 - BERSANI AVANTI MA PERDE QUASI 2 PUNTI DOPO SCANDALO MPS. RENZI UNICO LEADER CHE SALE, +18 DA CULATELLO
Ilvo Diamanti per "La Repubblica"


A meno di un mese dal voto, le distanze tra le coalizioni si riducono. Ma di poco. Le polemiche intorno alle vicende del Monte dei Paschi di Siena sembrano aver prodotto effetti, fin qui, limitati sulle intenzioni di voto. È ciò che emerge dal sondaggio di Demos per Repubblica, realizzato negli ultimi giorni. Per quanto coinvolto da critiche e sospetti, il Pd, alla Camera, ha ceduto meno di un punto e rimane appena sotto al 33%. Mentre il Pdl ha recuperato un punto e supera, così, il 19%.

MARIO MONTI CON LE MANI ALZATE jpeg

Il Centrosinistra, comunque, si attesta sul 36,4%, circa 10 punti più del Centrodestra (2 meno di una settimana fa). Al Senato, il vantaggio risulta ancora più ampio: 38% a 27%. Cioè, 11 punti. A livello nazionale. Tuttavia, la legge elettorale non permette previsioni, perché al Senato l'assegnazione dei premi di maggioranza avviene regione per regione. 
Resta, quindi, l'impressione che lo scandalo Mps, nonostante abbia monopolizzato il dibattito pubblico, non sia riuscito a produrre una svolta decisa nel clima d'opinione.

Le intenzioni di voto, negli ultimi giorni, non hanno subito variazioni sensibili. Così, le differenze osservate, rispetto a una settimana fa, sembrano dettate da altre ragioni. Soprattutto, dal progressivo scongelamento degli indecisi - ancora numerosi: circa il 30%. Un processo che favorisce il Centrodestra - la cui "riserva" di delusi è molto ampia. Ma anche la coalizione guidata da Monti. Nell'insieme, ha guadagnato un punto e mezzo e si avvicina al 18%. Spinta dalla formazione del premier, Scelta Civica, salita al 12,5% (cioè, di quasi un punto).

LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO

Anche l'Udc, per la prima volta, recupera consensi (anch'essa quasi un punto). E frena l'emorragia di voti che aveva subito, fino ad oggi, a favore della Lista Monti. La principale indicazione offerta dal sondaggio di questa settimana, dunque, riguarda proprio il peso assunto dal Terzo Polo. Il quale, per la prima volta dopo il 1994, sembra interrompere, o comunque indebolire, la dinamica bipolare del sistema partitico e della competizione elettorale in Italia.

MATTEO RENZI IN BICI

D'altronde, altri indizi, raccolti dal sondaggio, concorrono a spiegare - e a confermare - questa tendenza. In primo luogo, l'immagine del leader. La fiducia verso Monti, infatti, nell'ultimo mese è scesa di quasi 5 punti. Ma resta comunque alta: 42,5%. Il premier è terzo, nella graduatoria dei leader. Peraltro, il 38% degli elettori lo considera il più "competente".

E il 61%, soprattutto, lo riconosce in grado di "garantire la credibilità del Paese all'estero". 
La capacità "competitiva" di Monti e della coalizione di Centro marca, dunque, la principale differenza rispetto alle ultime due elezioni. In particolare, rispetto a quelle del 2006, quando il Centrodestra trascinato da Berlusconi, riuscì a rimontare tutto lo svantaggio accumulato in precedenza. Fin quasi a pareggiare, con Prodi. Ma allora il confronto (lo scontro?) era diretto. Tra Berlusconi e Prodi: non c'era nessuno. Casini e l'Udc erano alleati con il Cavaliere. Oggi, invece, "in mezzo" c'è Monti. Il quale, nell'ultima settimana, ha preso di mira il Centrosinistra. In modo aggressivo.

Letta Enrico

Per rubare il mestiere - e la scena - a Berlusconi. Per apparire la vera alternativa a Bersani - e soprattutto a Vendola. Per chiudere e confinare il Cavaliere "a destra". E intercettare il flusso dei delusi del Pdl - tanti, ancora rifugiati fra gli indecisi. In attesa di decidere. Se votare e per chi. Un altro segno delle difficoltà che incontra il "bipolarismo", in questa fase, è offerto dall'atteggiamento verso il "voto utile".

Meno condiviso rispetto al passato. Certo, il 54% degli elettori ritiene ancora opportuno "concentrare il voto sulle due coalizioni maggiori". Ma nel 2008 l'orientamento "maggioritario" veniva espresso da un'area di cittadini superiore di quasi 9 punti. In un sistema attraversato dall'alternativa pro/anti-berlusconiana, l'indebolirsi del bipolarismo danneggia proprio lui. Berlusconi. Il quale, non a caso, ha rifiutato di partecipare a un confronto in tivù con gli altri cinque leader. Avrebbe significato porsi sul medesimo piano di tutti gli altri. Ammettere e riprodurre la fine del bipolarismo - e del berlusconismo.

A Centrosinistra, Bersani (48,5%) è ancora il secondo tra i leader, nella valutazione degli elettori. Dietro al suo avversario delle primarie, Matteo Renzi. Che ottiene un giudizio positivo da quasi due terzi degli intervistati. A conferma della grande fiducia di cui gode ben oltre i confini del centrosinistra. Evidentemente, la scelta di "volare basso", di tirarsi fuori dalla contesa per i posti al Parlamento, ne ha rafforzato ulteriormente la credibilità. Tanto più in questa fase di distacco dalla politica.

Proprio per questo, però, diventa importante - e utile - per Bersani coinvolgere Renzi. Come testimonial del proprio progetto. Della propria leadership. Il Centrodestra, come abbiamo visto, sta risalendo. Ma, fin qui, non sfonda. L'appeal del Cavaliere resta debole. Ultimo nella graduatoria dei leader, per popolarità. Fermo al 20%. Nonostante la grande capacità di tenere la scena, in tivù.

NICHI VENDOLA

E nonostante la tivù resti, per la larga maggioranza degli elettori (60%), il principale canale di informazione in questa campagna elettorale. Il che contribuisce a spiegare la scelta, annunciata da Beppe Grillo, di tornare in televisione, in vista del voto. Non si sa dove, come e quando. D'altronde, il M5S, nelle stime di voto, è accreditato del 13%. Tanto, ma meno di qualche mese fa. Così Grillo - l'unico a riempire le piazze, in questa campagna elettorale - ha deciso di tornare alle origini. In televisione. Non so che pagherei per vederlo a un "faccia a faccia". Con Monti, Bersani, Berlusconi. E Vespa...

2 - SONDAGGIO POLITICO IPSOS PER BALLARO': IN LIEVE CALO PD 32,5% E MONTI 10,7, SALE PDL 18,2%
Da "Clandestinoweb.com"


Nel nuovo sondaggio realizzato da Ipsos per Ballarò, presentato nel corso della puntata del 29 gennaio, il Pd segna un leggero calo passando dal 33,1% della scorsa rilevazione (22 gennaio) al 32,5%. Giù anche Con Monti per l'Italia che scende di 0,3 punti percentuali attestandosi al 10,7%. In leggera rimonta invece il Pdl con il 18,2% e il Movimento 5 Stelle con il 13,6%, rispetto al 17,8 e al 12,8% rispettivamente. Stabile la Lega Nord al 5,2%. Queste le intenzioni di voto per la Camera.
Per quanto riguarda le coalizioni, l'istituto diretto da Nando Pagnoncelli fa sapere che il centrosinistra cala leggermente al 37,6%, stabile il centrodestra al 26,8%. Perde un po' anche il centro al 15,4% mentre si registra un lieve aumento del Movimento 5 Stelle al 13,6%. Alla domanda chi preferirebbe come presidente del Consiglio, il 28% ha risposto Bersani, il 16% Monti, il 1% Grillo, l'11% Alfano e appena il 4% Tremonti e Ingroia.

GV Ridotte Niki Vendola

3 - ELEZIONI:SONDAGGIO CORSERA, LOMBARDIA E SICILIA IN BILICO
(ANSA) - Un sondaggio condotto da Ipso per il Corriere della Sera nel mese di gennaio, pubblicato oggi dal quotidiano di via Solferino, assegna in Lombardia il 34,5% dei
consensi alla coalizione del centrosinistra (se vincente incassera' 27 senatori) e il 35,3% dei consensi alla coalizione di centrodestra (a sua volta 27 senatori se vincente). Al Centro con Monti viene assegnato il 10,6%, il 10,5% al Movimento 5 stelle, il 2,5% a Rivoluzione civile mentre gli indecisi sono al 41,9%.

Per quanto riguarda la Sicilia, anche qui il risultato del sondaggio evidenzia un esito incerto del voto che si riflette sul Senato. Alla coalizione del centrosinistra, la rilevazione Ipso assegna il 32,3% (14 seggi al Senato se vincente) e al centrodestra il 31,1% (a sua volta 14 seggi se vincente).

Il Centro con Monti e' al 9,4%, il Movimento 5 Stelle al 18,7%, Rivoluzione civile al 6,4%. Gli indecisi sono al 30,6%. ''Quella per la maggioranza al Senato - commenta Renato Mannheimer - sara' probabilmente una battaglia all'ultimo voto. Gli esiti dei sondaggi effettuati Regione per Regione dai diversi istituti offrono un quadro diversificato ma comunque caratterizzato da una situazione di difficile governabilita'''.

 

 

I RISPARMIATORI SENESI CHE HANNO PERSO MOLTO DI QUANTO INVESTITO IN MPS PENSANO A UNA CLASS ACTION

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Paolo Bracalini e Gian Marco Chiocci per "il Giornale"

Una città che ruota attorno al Monte, la banca dove lavora o ha lavorato quasi un senese su cinque. Truffati dunque non solo gli azionisti, ma i senesi.
I dipendenti per primi, invitati negli anni a ricevere in anticipo la liquidazione da investire in azioni del Mps, poi tutti i risparmiatori, che nelle follie tra derivati e operazioni miliardarie ci hanno rimesso più dell'80% di quanto ci avevano messo (nel 2006 una azione Mps valeva 4 euro, oggi 0,26 centesimi). Pronti, adesso, a dare battaglia, a fare causa a chi li ha truffati.

monte dei paschi di siena

Maria Alberta Cambi si ritrova solo 1.300 dei 20mila euro che aveva messo nella banca. È la presidente di una associazione di piccoli azionisti, circa 500, l'associazione Buon governo Mps, che si è gia costituita come persona offesa nel probabile processo che coinvolgerà gli ex vertici di Mps, e che a giugno 2012 aveva già allertato, con un esposto, la Procura di Siena, invitando i pm a «valutare la ricorrenza dei presupposti per intraprendere eventuali azioni in sede civilistica» contro i dirigenti della banca responsabili del tracollo. «Ci sono gli estremi per la truffa aggravata, vogliamo che i colpevoli restituiscano i soldi che ci hanno rubato, a noi, a Mps e a tutti gli azionisti».

GIUSEPPE MUSSARI

I piccoli soci poi non sono cosi piccoli, valgono attorno al 5% del capitale, ma sono poco coalizzati. Dopo il crac e la conseguente ira, pero, si stanno organizzando. Hanno chiesto ripetutamente al presidente Alessandro Profumo di intraprendere azioni di responsabilità verso i precedenti amministratori, ma il manager ha sempre invitato alla prudenza: «Lo faremo quando ci saranno le condizioni perché la banca non ne abbia dei danni», ha risposto.

MPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA

«Forse questa timidezza dipende dal fatto che alcuni ex amministratori a cui fare causa sono amministratori a tutt'oggi del Monte...» sussurrano i senesi, e il riferimento è a Marco Turchi, di famiglia dalemiana, ex membro del consiglio sindacale del Mps e oggi nel Cda. Altri truffati pensano ad azioni ancora più aggressive, come a una class action, a cui stanno lavorando insieme alle associazioni di consumatori.

Profumo Alessandro

Il dottor Rocca, commercialista di Cromwell Italia, società di consulenza fiscale, nell'assemblea straordinaria di venerdì scorso ha preso la parola brandendo un codice civile, sbattuto più volte sul tavolo (con Profumo costretto a invitare i prossimi soci a «non sbattere nulla»), perché un articolo di quel codice prescrive la responsabilità in solido degli amministratori che procurano un danno alla società. «Da quello che apprendiamo i bilanci presentati da Mps erano palesemente falsi, chi ci ha truffato deve rendere il maltolto», tuona Rocca.

L'avvocato senese Pagni, socio di Mps, vuole che «il fieno torni in cascina. La partita Antonveneta è ancora aperta - avverte - Faremo una verifica attenta del contratto che può essere nullo perché ha un contenuto illecito, dietro c'erano interessi illeciti. Finalmente a Siena c'è una magistratura più attenta. La causa sarà difficile, la politica farà muro, ma andremo avanti lo stesso». Una cosa per ora è certa, sarà difficile quest'estate che Mussari si faccia vedere al Palio, dove prima correva trionfante il suo cavallo Gia del Menhir.
PBra - GMC

 

SE NON FOSSE UN MASCHIO BIANCO, JOE BIDEN SAREBBE LO STRAFAVORITO PER IL DOPO-OBAMA…

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Massimo Gaggi per il Corriere della Sera

JOE BIDEN AL GIURAMENTO OBAMA

Alla fine della settimana dell'inaugurazione del secondo mandato di Barack Obama, la cosa di cui si discute di più a Washington - forse ancor più della svolta a sinistra del presidente - è l'iperattivismo del suo vice, Joe Biden. Che, dicono gli analisti democratici, è sempre più convinto di poter succedere a Obama alla Casa Bianca nonostante i suoi fallimenti precedenti, l'età avanzata (nel 2016 avrà 74 anni), le «gaffe» micidiali che semina qua e là e gli indici di gradimento non proprio stellari.

OBAMA E BIDEN

Domenica, alla cerimonia del giuramento privato - adempimento costituzionale che il presidente ha condotto in perfetta solitudine, come da protocollo - Biden ha invitato un centinaio di ospiti. Soprattutto democratici degli Stati - Iowa, New Hampshire, South Carolina - dai quali fra tre anni comincerà la corsa per la «nomination» alle elezioni del 2016. E ha voluto che ad amministrare il giuramento fosse Sonia Sotomayor, primo giudice ispanico della Corte Suprema.

BARACK OBAMA E JOE BIDEN

I «latinos», si sa, stanno diventando un fattore determinate nelle consultazioni elettorali americane. E, infatti, Biden è andato al loro raduno a Washington dopo aver ospitato una festa sontuosa all'Osservatorio navale, la residenza del vicepresidente, anche qui con molte facce provenienti dagli Stati-chiave della prossima battaglia elettorale. Una giornata intensissima nella quale Joe ha trovato anche il tempo per presentarsi a sorpresa al ballo dell'Iowa. Sul palco per un saluto, è riuscito a pronunciare un «sono orgoglioso di essere il presidente degli Stati Uniti» che ha subito fatto il giro del mondo.

OBAMA BIDEN

Joe si è corretto ridacchiando, ma i suoi esegeti dicono che stavolta non di «gaffe» si è trattato, ma di messaggio. Del resto, bastava vederlo il giorno dopo durante la parata tra la folla assiepata lungo la Pennsylvania Avenue: Obama camminava, salutando con sorridente distacco. Biden correva da un lato all'altro della strada stringendo più mani possibile. «Ogni mano un voto» ironizza sul Washington Post Chris Cillizza, che lo conosce bene. «Su queste cose un politico come lui non fa "gaffe", calcola». Anche Mike Allen, fondatore di Politico.com, è convinto che nella testa di Biden il dado della candidatura sia ormai tratto.

HILLARY BILL CHEALSEA CLINTON

Certo, ci sono molte controindicazioni. E c'è di mezzo un candidato molto più popolare e credibile di lui: Hillary Clinton. Ma, problemi di salute a parte, l'ex «first lady» ha sempre detto di non voler correre per la Casa Bianca. Forse sta solo tenendo coperte le sue carte: pensa di poter decidere più in là, magari dopo le elezioni di «mid term» del 2014. Biden lo sa e, vista la popolarità di Hillary e i suoi stretti legami con la famiglia Clinton, quasi certamente non scenderebbe in campo se lei decidesse di candidarsi. Ma probabilmente pensa che, iniziando a consolidare subito le aspettative per una sua candidatura, renderà più difficile un ripensamento del Segretario di Stato uscente che, a oggi, dichiara pubblicamente di considerare conclusa la sua carriera politica nelle istituzioni.

Hillary Clinton

Quello che è certo è che Biden non dissimula più di tanto le sue ambizioni: intervistato dalla Cnn ammette che ci sarebbero buone ragioni per non candidarsi, ma poi aggiunge che non deve decidere adesso e spiega di avere un vantaggio sugli altri possibili concorrenti: «Quello che devo fare nei prossimi anni - aiutare Obama a governare bene - sarà utile, comunque vadano le cose».

Insomma, Biden è fin d'ora sul trampolino di lancio. Certo, non sarebbe un candidato di altissimo profilo, diventerebbe il presidente più vecchio della storia americana (Reagan aveva 69 anni al tempo della prima campagna, 73 quando fu rieletto) e in questi anni rischia grosso: sarà sotto i riflettori, le sue gaffe verranno amplificate e un eventuale nuovo crollo della popolarità di Obama a fine mandato (l'«anatra zoppa» quasi sempre inciampa) peserà anche su di lui. L'America, poi, ama Hillary (che ha un gradimento del 67 per cento, mentre Biden è a quota 48) e i democratici, infranto il tabù del colore della pelle, vorrebbero portare la prima donna alla Casa Bianca.

Ma c'è anche da considerare l'atteggiamento del presidente: la sua svolta a sinistra fa di Biden - amico dei sindacati, fautore di un «welfare» generoso, l'uomo che ha condotto il negoziato sul «fiscal cliff», che ha preparato la nuova legge sulle armi e che l'anno scorso anticipò il presidente col suo sì ai matrimoni gay - un continuatore della politica obamiana molto più credibile di una Hillary Clinton che ha ereditato le posizioni centriste del marito Bill: il presidente che aveva decretato la fine del «big government». Una Hillary che ancora due giorni fa ha sollecitato una maggiore presenza Usa in Africa proprio mentre la Casa Bianca rinuncia a stare in prima linea nelle zone dalle quali non partono minacce dirette agli interessi americani.

 

 


LE AUTORITÀ USA VOGLIONO PURGARE LA “ROYAL BANK OF SCOTLAND” CON UNA MULTA DA 790 MLN $ PER LO SCANDALO LIBOR

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1 - PER RBS VICINA UNA MULTA DA 790 MILIONI DI DOLLARI
Marco Valsania per il "Sole 24 Ore"

Bank Of Scotland

Le autorità americane stringono l'assedio alla Royal Bank of Scotland nello scandalo Libor: sono pronte a imporre alla banca, oggi controllata dal Governo britannico, una multa da 790 milioni di dollari, 500 milioni di sterline, e a richiedere una sua esplicita ammissione di colpa per truffa. L'ammissione riguarderebbe una controllata di Rbs, probabilmente in Asia dove la manipolazione dei tassi d'interesse da parte degli operatori avrebbe avuto il suo epicentro. E un accordo sulle sanzioni con la banca, che vuole evitare il rischio di incriminazioni, potrebbe essere annunciato entro due settimane.

Obama barak

L'offensiva dimostra che i funzionari statunitensi, che indagano su almeno una dozzina di grandi istituti globali assieme alle authority britanniche, hanno deciso di insistere con una linea dura per far progredire il caso.

Secondo il Wall Street Journal, che ha rivelato le imminenti sanzioni, il modello è quello seguito nell'intesa raggiunta con un'altra grande banca, la svizzera Ubs: a dicembre la sua divisione giapponese ha ammesso il reato di truffa e l'istituto ha pagato una multa record da oltre 1,4 miliardi di dollari. Con Rbs le banche finora colpite diventano tre - la prima era stata Barclays in giugno con una multa da 450 milioni - per un totale di sanzioni che sfiora ormai i tre miliardi.

Logo "Ubs"

Nuove multe e accuse sono considerate molto probabili: tra le stesse banche c'è la convinzione che le autorità non si fermeranno prima di aver colpito almeno altri due o tre grandi istituti, a cominciare da Deutsche Bank. Il presidente di Ubs, Axel Weber, ha suggerito un accordo di settore per aiutare gli istituti a uscire dalla bufera: durante un incontro a porte chiuse al World Economic Forum di Davos, al quale erano presenti rappresentanti delle autorità di regolamentazione e vertici di banche quali JP Morgan, Citigroup e Hsbc, ha invocato un'accelerazione dei compromessi.

I contatti tra gli istituti per forgiare una posizione comune appaiono tuttavia preliminari e le authority appaiono fredda all'idea di abbreviare l'inchiesta e concludere un accordo complessivo entro fine anno che assolva le banche da rischi di ulteriori denunce, anche da parte di investitori.

La strada degli accordi, oltretutto, non è semplice. Rbs sta cercando di opporsi all'ammissione di colpa, adducendo il timore che questo scateni fughe di clienti e aumenti i costi legali per una possibile pioggia di ricorsi da parte di chi si ritiene danneggiato dallo scandalo. Anche se la calma reazione del mercato all'intesa con Ubs rassicura le autorità sulla stabilità degli istituti che riconoscano un ruolo nella truffa.

Logo "Barclays"

Il coordinamento tra authority resta a sua volta foriero di incertezze: la multa verrebbe spartita tra americani e britannici, ma le autorità di Londra appaiono meno propense a perseguire accuse penali contro Rbs, preferendo semmai procedere nei confronti di singoli individui. Ma per gli americani il giro di vite nei confronti di Rbs è giustificato dagli sviluppi delle indagini: dipendenti e dirigenti del gruppo avrebbero per anni cercato di manipolare i tassi d'interesse attraverso gli indici interbancari Libor e Euribor, partecipando a un network che collegava operatori di numerosi istituti internazionali.

GEORGE OSBORNE

2 - MA I BONUS PER I BANCHIERI RESTANO ALTI
L.Mais. per il "Sole 24 Ore"

La sforbiciata vale un terzo, ma non basterà, crediamo, a placare le polemiche. Royal bank of Scotland marcia verso un patteggiamento miliardario con le autorità di regolamentazione anglo-americane per lo scandalo Libor, mentre si finisce di mettere a punto il pacchetto di bonus per banchieri.

Le voci dicono che ci sarà un calo di più del 30% rispetto allo scorso anno, quando furono elargiti 390 milioni ai banchieri dell'area investment, e fissano in non più di 250 milioni il tesoretto che dovranno dividersi quest'anno. I numeri veri usciranno a giorni in coincidenza, crediamo, con l'ufficializzazione della mega-multa. Milione più o milione meno, la cifra è comunque di questa grandezza e consente di ipotizzare che almeno 150 milioni dei 500 che chiedono le authority americana e inglese usciranno dal pool dei bonus destinati agli investment bankers.

Sul tema la Gran Bretagna si è divisa. Gli oppositori sottolineano che i responsabili del raggiro con manipolazioni dolose e sistematiche del tasso interbancario Libor che regola transazioni per migliaia di miliardi, provengono tutti dalla divisione dell'investment banking e che quindi non possono essere premiati. Soprattutto non possono esserlo sulle spalle dei contribuenti, veri azionisti di un istituto che per l'82% è controllata dal Tesoro e che quindi deve applicare criteri etici differenti.

george osborne

Considerazione che mette nel mirino, direttamente, il Cancelliere George Osborne che lo scorso anno si trovò al centro di una polemica che colpì gravemente la sua popolarità proprio per via dei bonus concessi ai banchieri di Rbs. Chi invece considera favorevolmente la posizione che l'istituto di Edimburgo si appresta ad adottare sottolinea due punti.

Il primo è che nessun banchiere anche solo sfiorato dal caso sarà premiato con gratifiche, anzi sono allo studio e in taluni casi avviate misure per recuperare i bonus pagati in passato a chi è considerato vagamente correo dei ritocchi al tasso interbancario.

La seconda considerazione è invece di fondo e riguarda il destino di una banca schiaffeggiata dalla crisi del credit crunch e devastata dai colpi di una cattiva gestione che ha pochi precedenti.

In altre parole si fa notare che per stare sul mercato una divisione di investment banking deve potere reclutare i manager migliori e quindi deve poterli anche pagare. Se così non dovrà più essere, prosegue il ragionamento, è meglio prendere misure radicali e liquidare l'intera area, consegnando Rbs a svolgere solo funzioni di banca retail e commerciale. Il dibattito è questo, ma la polemica promette di essere incandescente.

 

SAIPEM, SAPEVATELO - A CHE SERVONO BANCHE D’AFFARI E ANALISTI PAGATI PER SPULCIARE I CONTI DELLE AZIENDE? A NIENTE

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1- SAIPEM CROLLA IN BORSA DOPO PROFIT WARNING IERI, CONSOB ACCENDE UN FARO
Giancarlo Navach per Reuters - Saipem è in caduta libera a Piazza Affari, giù anche la controllante Eni. I mercati stanno reagendo male al profit warning, annunciato ieri sera a sorpresa dal nuovo management di Saipem sugli utili 2012 e 2013. Gli analisti parlano di revisioni "shock" e diversi broker hanno abbassato i prezzi obiettivo sul titolo, alla luce della nuove stime.

UMBERTO VERGINE jpegSAIPEM

Intanto Consob ha avviato un accertamento sul collocamento di un grosso pacchetto di titoli della società di ingegneristica dell'Eni lunedì sera, solo ventiquattro ore prima dell'annuncio della revisione delle stime.

Intorno alle 13,20 Saipem perde il 32,45% a 20,51 euro, dopo avere raggiunto un minimo intraday a 18,61 euro. Ieri il titolo aveva chiuso a 30,45 euro. Molto sostenuti i volumi, pari a 16 volte la media giornaliera, l'8% del capitale. Le vendite su Saipem trascinano giù anche Eni che cede il 4,61% a 18,41 euro. Stamani il Cfo di Eni, Massimo Mondazzi, ha detto in una dichiarazione che "l'impatto per gli azionisti Eni di quanto comunicato ieri da Saipem sarà nel 2013 di circa 200 milioni di euro, circa il 3% dell'ultimo utile annuale pubblicato da Eni".

MASSIMO MONDAZZI

Molto duri i commenti che si leggono sui numerosi report apparsi oggi: "Questa profonda revisione delle attese, legata anche in parte a un rinnovato e conservativo approccio del nuovo management, ha colto di sorpresa il mercato", sottolinea Icbpi. Che aggiunge: "Le indicazioni sulla profittabilità per il 2013 sono meno della metà delle attese di consensus. Alla luce delle nuove indicazioni, poniamo stime, raccomandazione e target price under review. Nonostante la società sia confident in una ripresa della crescita dei margini già nel 2014, non pensiamo che gli investitori torneranno a considerare Saipem un investimento sicuro nel breve-medio periodo".

CATTELAN PIAZZA AFFARI BORSA MILANO

Mediobanca - che già in un report dello scorso 15 gennaio evidenziava una situazione di "limbo" per il gruppo dopo l'avvio dell'indagine da parte della Procura di Milano su alcuni contratti in Algeria - ha ridotto l'obiettivo di capitalizzazione del gruppo a 8,4 miliardi o 19 euro per azione dal precedente target di 29,7 euro. Secondo il report, "oltre al trend shock sulla redditività vediamo rischi sulla reputazione e per gli investitori".

Banca Akros - in uno studio dal titolo "Profit earning, vi ricordate di Pearl Harbor?" -, sottolinea che "si tratta di una revisione imponente delle nostre stime e del consensus inattesa e non prevedibile di questa grandezza. Di conseguenza abbiamo rivisto le nostre stime e il target price da 35 euro a 20 euro per azione".

Fra i broker internazionali, Credit Suisse ha portato il prezzo obiettivo a 20 da 35 euro, Deutsche Bank a 21 da 35 euro.

DEUTSCHE BANK

Le nuove stime fornite ieri dai vertici di Saipem, sotto la guida del nuovo AD Umberto Vergine, indicano per il 2012 un Ebit intorno a 1,5 miliardi di euro, in calo di circa il 6% rispetto alle precedenti stime e un utile netto di circa 900 milioni. Per il 2013, oggi Saipem prevede ricavi di circa 13,5 miliardi di euro, un Ebit complessivo di circa 750 milioni di euro, un utile netto di circa 450 milioni di euro, nonché un livello di investimenti per circa 0,9-1 miliardo di euro. Un miglioramento è invece atteso per il 2014 e negli anni successivi.

mediobanca

Nel mezzo di questa tempesta che sta colpendo Saipem si inserisce anche il giallo del collocamento di un grosso pacchetto di azioni della società, avvenuto lunedì sera come riferito da alcuni trader ieri. L'operazione è stata curata da Bank of America Merril Lynch che ha collocato per conto di un investitore istituzionale, 9,97 milioni di azioni per 350 milioni di euro, a 30,65 euro ad azione circa, pari al 2,3% circa del capitale. I broker hanno citato come venditore il fondo Fidelity, l'unico azionista secondo gli aggiornamenti Consob ad avere una partecipazione sopra il 2% del capitale, e precisamente il 2,641%, oltre a Eni che detiene il 42,93%.

CREDIT SUISSE

Oggi un portavoce del fondo da Londra ha smentito il rumour, mentre ieri un portavoce del fondo dall'Italia non aveva commentato. Ventiquattro ore dopo, a mercati chiusi, l'annuncio "shock" di revisione delle stime con conseguente caduta del titolo in Borsa.
"Consob ha avviato il monitoraggio sull'andamento anomalo del titolo, poi con riferimento all'operazione di due giorni fa relativa al collocamento di una quota del capitale, prima dell'uscita del profit warning, la Commissione ha avviato accertamenti", ha detto a Reuters una fonte dell'Ente che vigila sui mercati.


2- SAIPEM: FIDELITY, NON ABBIAMO COLLOCATO QUOTA 2,3%
Radiocor - Fidelity non ha collocato il 2,3% di Saipem, contrariamente alle voci circolate in Borsa. La puntualizzazione arriva dalla sede londinese del fondo. 'Normalmente non discutiamo la nostra attivita' di trading, ma poiche' sul mercato c'e' stata disinformazione, ci preme chiarire che non abbiamo collocato il 2,3%' di Saipem, ha spiegato Tom Stevenson, investment director e capo della comunicazione corporate di Fidelity nel Regno Unito, contattato da Radiocor.

Bank_of_America_Merrill_Lynch

In base alle indicazioni Consob, Fidelity detiene attualmente il 2,6% di Saipem e figura come unico azionista oltre il 2%, a parte Eni che controlla il 42,9%. Nella serata di lunedi' e' avvenuto il collocamento da parte di Bofa Merrill Lynch di 10 milioni di azioni Saipem, pari al 2,3% del capitale, per conto di un cliente istituzionale. L'operazione e' stata realizzata alla vigilia del profit warning lanciato dalla societa' a mercati chiusi, che oggi affossa il titolo in Borsa. Il placement e' avvenuto con un valore dell'azione sopra i 31 euro (chiusura a 31,56 euro), mentre attualmente quota 19,93 euro (-34,55%). Consob ha avviato accertamenti.

fondo americano Fidelity FONDO D INVESTIMENTO FIDELITY


3- SAIPEM: MONDAZZI, IL PROFIT WARNING IMPATTERÀ PER 200 MLN SUI CONTI DI ENI
Finanza.com - La revisione al ribasso delle stime effettuata da Saipem avrà una ricaduta sui conti di Eni pari a 200 milioni di euro. Lo ha detto Massimo Mondazzi, responsabile dell'area Finanza del gruppo, in un'intervista rilasciata a Bloomberg. Mondazzi ha poi sottolineato che il calo degli utili di Saipem sarà temporaneo e nel 2014 si assisterà ad una significativa ripresa.

 

 

INCUBO IN NEW MEXICO: UNA DONNA ARRESTATA PER AVER RINCHIUSO LA FIGLIA ADOTTIVA DI 8 ANNI IN UNA GABBIA…

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(Agi) - Una donna americana e' stata arrestata insieme al fidanzato per aver rinchiuso la loro bambina adottiva di 8 anni in una sorta di gabbia fatta in casa per andare al cinema. E' accaduto a Las Cruce, nel New Mexico. Cindy Patriarchias, 33 anni, e Edmond Gonzales, di 37, avevano costruito all'interno della loro abitazione, una casa mobile, una gabbia larga 72 centimetri, lunga 152 e alta 126 con due fermi sulla porta e un materasso all'interno appoggiato al pavimento, ha spiegato la polizia.

BAMBINI IN GABBIA CINDY PATRIARCHAS ED EDMOND GONZALEZ jpegLA CASA DI cindy patriarchas edmond gonzales

Gli agenti erano stati avvertiti da un vicino che si era insospettito vedendo la coppia uscire di casa solo con gli altri tre figli. Quando la polizia e' entrata ha trovato la casa al buio e hanno atteso che i proprietari ritornassero. Gli agenti hanno trovato cosi' in un angolo della camera da letto la gabbia con dentro la bambina di otto anni. La piccola e' stata visitata dai medici, che hanno riscontrato una microcefalia.

 

VIDEO-CAFONALINO - IN COMPAGNIA DEL MITOLOGICO “KAISER” LAGERFELD, LE FENDI ANNUNCIANO IL RESTAURO DELLE FONTANE DI ROM

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Video di Veronica Del Soldà per Dagospia

 

FENDI

 

LAGERFELD GASPERINI ALEMANNO SILVIA VENTURINI FENDI

Maria Grazia Filippi per "Il Messaggero"

Dopo il Colosseo, ora è il turno della Fontana di Trevi. Un secondo restauro griffatissimo. Dopo Tod's, questa volta tocca a Fendi. Che, con 2,5 milioni di euro, finanzierà il cantiere e, marginalmente, un piccolo intervento di pulitura ad acqua per il complesso delle Quattro Fontane. Ieri, sotto lo sguardo fiero del Marco Aurelio in Campidoglio, conferenza stampa affollatissima (presenza d'eccezione il genio creativo di Fendi, Karl Lagerfeld) per la presentazione della nuova liaison tra il Comune di Roma e il mecenate d'eccezione pronto ad investire la cospicua cifra senza alcun ritorno pubblicitario se non la presenza di una targa di ringraziamento, dimensioni 30 x 40 cm, che fiancheggerà la fontana immortalata da Totò e Fellini per la durata del restauro che si dovrebbe concludere entro il 2015.

SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE jpeg

«Niente sponsorizzazioni ma solo puro mecenatismo», ha spiegato orgoglioso dell'operazione il sindaco Alemanno, mentre l'assessore Gasperini ha parlato di «giornata storica, che segna un punto di partenza per la tutela del nostro patrimonio, resa possibile dalla delibera che sceglieva la via del mecenatismo culturale per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali senza nulla in cambio».

Karl Lagerfeld Silvia Venturini Fendi Pietro Beccari e Gianni Alemanno

Fendi for fountains prevede una serie di interventi conservativi patrocinati dalla casa di moda romana e mira al risanamento e alla tutela di fontane storiche di Roma. Questo spiega l'intervento non solo sulla più famosa tra queste, ma anche sul Complesso delle Quattro Fontane che arreda l'incrocio tra l'omonima via e via Sistina.

IL TEVERE QUATTRO FONTANE jpeg

«Ma si tratterà solo di un intervento di idropulitura delle superfici afflitte dall'inquinamento», ha specificato il sovrintendente capitolino Umberto Broccoli. «Un patto suggellato con la città - ha spiegato Silvia Venturini Fendi, direttore creativo accessori della maison - a sostegno e per la conservazione di un bene patrimonio dell'intera umanità».

FONTANA TREVI

Un patto e l'impegno a realizzare anche un volume fotografico a firma del creativo Lagerfeld. L'intervento riguarderà il restauro conservativo di tutte le superfici, la revisione e l'impermeabilizzazione delle vasche, la realizzazione di un nuovo impianto idrico e di videosorveglianza, e il ripristino dell'area di rispetto che circonda la fontana. «Si procederà in tre tranche di lavori - ha specificato Broccoli - partendo dal centro e poi proseguendo con i lati e la vasca. E si interverrà anche sulle iscrizioni di metallo che deteriorandosi fanno saltare la pietra».

Fendi Lagerfeld Fontana di Trevi x

APPELLO PER L'AUGUSTEO
Il restauro targato Fendi segue l'intervento d'urgenza, finanziato con 320 mila euro, voluto la scorsa estate dall'amministrazione capitolina, in seguito alla caduta di alcuni frammenti. Dallo screening successivo era emersa la necessità di un provvedimento più risolutivo che ha spinto il sindaco ad un appello ai privati per salvare il monumento. Ma l'appello non è rimasto unico. Anche ieri il sindaco ha lanciato un nuovo grido d'allarme, questa volta per il mausoleo di Augusto. «Servono 12 milioni di euro. Quattro li ha messi il Mibac, quattro il Capidoglio, ne mancano ancora quattro per i quali serve l'intervento di privati». Ma forse anche le sfilate di moda potrebbero fruttare ulteriori finanziamenti. «Sì - ha detto il sindaco - ma abbinando l'evento all'impegno delle maison a finanziare restauri».

Karl Lagerfeld Silvia Venturini Fendi e Pietro Beccari

 

PERIODO O COLPO DI GRAZIA? - IL CDA DI SEAT PAGINE GIALLE, LA SOCIETÀ DEGLI ELENCHI TELEFONICI, È IN PROFONDA CRISI

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Maddalena Camera per "il Giornale"

Seat Pagine Gialle

Il debito è ancora protagonista delle vicissitudini di Seat Pagine Gialle. La società tuttora editrice degli elenchi telefonici, fondata nel 1925, è di nuovo, dopo pochi mesi dall'ultima e radicale ristrutturazione, nell'occhio del ciclone.

Il cda infatti ha deciso una pausa di riflessione, utilizzando il cosiddetto «periodo di grazia» prima di pagare i 42 milioni della cedola in scadenza agli obbligazionisti (gli ex Senior secured bond più 65 milioni residui del prestito Lighthouse).

Google

Il risultato dell'annuncio che ha colto alla sprovvista creditori, bondholder e azionisti un ennesimo tracollo in Borsa del titolo che ha perso circa il 41%, arrivando a valori ormai vicinissimi a zero (0,0031 euro) e collezionando un'altra bocciatura da parte di Equita. La decisione sulla cedola sarà presa entro il 6 febbraio ma da più parti si teme un'altra pesante ristrutturazione. Alla base c'è la difficoltà del rispetto del business plan a causa del forte rallentamento del mercato pubblicitario, soprattutto sul fronte della capacità di spesa delle piccole e medie imprese che sono i maggiori clienti di Seat.

YAHOO

Non c'è dubbio che il quadro congiunturale è peggiorato e le prospettive per Seat anche. Il fatturato delle società è infatti legato ancora per la maggior parte al business convenzionale degli annunci sulle Pagine Gialle, cartacee o online. Non c'è dubbio però che in questo ambito la concorrenza, da Google e Yahoo passando per Facebook sia sempre più agguerrita. Da qui la sofferta decisione.

Oltretutto il 6 febbraio, peraltro, scadono i termini di pagamento per altri 6,3 milioni, relativi agli interessi sul debito bancario contratto dal gruppo. In realtà Seat i soldi in cassa li ha: 200 milioni di liquidità (di cui 100 nella controllata tedesca). Ma prima di mettere mano al portafoglio il consiglio vuole rifare i conti e ragionare sul piano industriale che il nuovo ad, Vincenzo Santelia che proviene dalla società di consulenza Bain, ha ereditato dalla procedente gestione. In ballo ci sono 4mila posti di lavoro e una storia quasi centenaria che ha portato Seat ad essere prima protagonista degli eccessi della new economy e poi di una scellerata acquisizione da parte di fondi di private equity che si sono assegnati una cedola da 3,5 miliardi lasciando il debito alla società.

LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARI

A pesare sulla sospensione del pagamento c'è anche il ricorso presentato da alcuni azionisti di minoranza che hanno chiesto il sequestro dell'intera società. Il ricorso è stato discusso ieri presso il tribunale di Roma e, anche se la società lo ritiene destituito di fondamento, essendoci di mezzo la magistratura l'emittente deve agire per preservare gli interessi dei soci, anche attraverso la sospensione del pagamento degli interessi sui bond.

Pertanto Seat ha adottato tutte le misure per non dare l'impressione di ignorare gli interessi di quegli azionisti. Anche perché i 42 milioni di euro «fermati» non sono pochi per una società che chiuderà il 2012 con un ebitda (margine operativo lordo) stimato di circa 340 milioni.

 

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