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IL MANIACO DI FIRENZE: “LE DONNE NON MI VOLEVANO, NEMMENO QUAND’ERO RAGAZZO"

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1 - PRESO IL KILLER DELLA RAGAZZA CROCIFISSA LA PRIMA CONFESSIONE ALLA MAMMA
Marco Gasperetti per il "Corriere della Sera"

L'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZE

Davanti alla madre e agli agenti che fanno irruzione all'alba nel suo appartamento con un fermo per omicidio volontario, ha quasi un'espressione liberatoria. Confessa subito, senza esitazione, «sono stato io, ho fatto una bischerata». L'anziana lo guarda smarrita negli occhi, si porta le mani alla testa. Poi una domanda, la più disperata: «Ma allora sei tu il mostro?».

Lui abbassa lo sguardo e annuisce. «Sì, sono io». Un'ora più tardi, in una stanza della questura di Firenze, Riccardo Viti, 55 anni, idraulico, incensurato, una moglie ucraina, due genitori che abitano con lui e che nulla hanno mai immaginato, racconterà ogni particolare, anche il più crudo. Alternando momenti di disperazione e pianto ad altri di estrema lucidità.

L'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZE

È lui «la bestia» (così, con un'espressione sopra le righe, l'ha definito il questore di Firenze Raffaele Micillo), catturata dopo tre giorni di lavoro straordinario delle forze di polizia che ricevono anche i ringraziamenti del premier Matteo Renzi ieri in città. È lui il «maniaco seriale della porta accanto», l'uomo qualunque capace di trasformarsi, come spiega il pm Paolo Canessa, in un «sadico che gode sessualmente nel veder soffrire le sue vittime». È lui il killer di Andreea Cristina Zamfir, 26 anni, prostituta romena, crocifissa a una sbarra e seviziata sotto il viadotto dell'Autosole nell'hinterland di Firenze, e lasciata agonizzare per più di un'ora per un'emorragia interna.

L'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZE

Durante l'interrogatorio, durato più di sette ore, Viti ammette di aver violentato almeno altre cinque donne, con la solita odiosa modalità, usando manici di scopa, due dei quali sono stati appena trovati nel garage della sua casa di via Locchi, insieme ai rotoli di nastro adesivo dell'ospedale di Careggi (dove lavora la moglie ucraina che si trova all'estero) con i quale legava e «crocifiggeva» le prostitute.

«Ma forse ce ne sono state altre, non riesco a ricordare. Quando urlavano io scappavo, non andavo oltre», spiega il maniaco. Potrebbero essere più di dieci e le indagini proseguono per cercare di stabilire il numero esatto. E il massacro di Andreea? «Io non la volevo ammazzare», risponde l'idraulico, spiegando che quel «gioco erotico», che aveva pattuito con la vittima per trenta euro, è «andato oltre» gli è sfuggito di mano.

L'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZE

E forse proprio da questa dichiarazione partirà la difesa dell'uomo che, oltre a chiedere la perizia psichiatrica, punterà sulla non volontarietà del delitto. Molto difficile da dimostrare. Per gli investigatori Viti potrebbe aver degenerato in sadismo i suoi incontri con le prostitute da circa quindici anni.

Il maniaco seriale è stato individuato grazie ad alcuni indizi primari. L'identikit ricavato dalle testimonianze delle prostitute, i filmati delle telecamere di sorveglianza del furgone Fiat Doblò grigio dell'idraulico, la testimonianza dell'agente delle volanti Paolo De Giorgi che il primo maggio del 2012 identificò Riccardo Viti dopo essere intervenuto durante un litigio tra una prostituta e un cliente che pretendeva di legarla.

E infine i Dna, del delitto e di altre tre aggressioni, assolutamente compatibili con il profilo genetico del sospettato. Fuori dalla questura, dopo l'interrogatorio, c'è tanta gente ad aspettare l'assassino di Andreea. Lo insultano violentemente, gli gridano d'impiccarsi. Lui sfila a testa a bassa e si infila nell'auto.

2 - VITA DA MANIACO INSOSPETTABILE «LE DONNE NON MI VOLEVANO COSÌ LE LEGAVO E POI LE SEVIZIAVO»
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"

DONNA CROCIFISSA TELO CHE RICOPRE IL CADAVERE

«Non mi volevano. Le donne non mi hanno voluto nemmeno quand'ero ragazzo. Con loro non ho mai avuto fortuna». Riccardo Viti parla di un passato lontano. «Quand'ero ragazzo», dice. Cioè quando aveva vent'anni. E adesso ne ha cinquantacinque. Torna indietro a un giorno preciso: «Ricordo che mentre facevo il militare ho sfogliato un fumetto e ho visto l'immagine di una donna seviziata con un bastone. È nata da lì la mia passione per i giochi erotici sadici e siccome nessuna mi considerava ho cominciato a frequentare le prostitute e a soddisfare i miei istinti con loro perché a loro potevo chiedere di fare tutto quello che mi piaceva...».

DONNA CROCIFISSA LUOGO DEL DELITTO

L'interrogatorio è in questura. Lo stupratore di prostitute, l'uomo che ha violentato e lasciato a morire Andreea Cristina sotto un cavalcavia, il maniaco al quale decine di uomini hanno dato la caccia per cinque giorni adesso è lì, davanti il pubblico ministero Paolo Canessa, al capo della squadra mobile Lorenzo Bucossi e al maggiore del nucleo investigativo dei carabinieri Carmine Rosciano. Ha l'aria dimessa ed è lucido abbastanza per capire che sarà vecchio, molto vecchio, quando uscirà dalla prigione.

DONNA CROCIFISSA LA ZONA TRANSENNATA

«Ho fatto una bischerata» aveva detto a sua madre e suo padre quando all'alba avevano bussato alla sua porta, una casa popolare alla periferia nord-ovest della città. Vive lì (in un appartamento comunicante con quello dei suoi genitori) da quando si è sposato, nel 2005, con una ucraina, madre di un ragazzo nato da un matrimonio precedente. Lei e suo figlio non sono in Italia da molti giorni e non c'erano nemmeno domenica sera quando, per l'ennesima volta lui è uscito alla ricerca della ragazza di turno.

DONNA CROCIFISSA LA SBARRA

Viti spiega che «come sempre non l'ho scelta con criteri precisi, semplicemente andavo con la prima che accettava la mia offerta». Andreea Cristina Zamfir, 26 anni, gli ha detto sì per 30 euro. «Siamo andati sotto il cavalcavia e le ho proposto quello che proponevo a tutte: di legarla e lasciarmi fare il mio gioco erotico». Il copione dei suoi incontri («di solito una o due volte alla settimana») è sempre lo stesso: si accorda per un prezzo base, le porta in luoghi isolati (spesso gli stessi), chiede che si spoglino mentre sono ancora in macchina e poi propone il suo «gioco sadico», a volte alzando il prezzo.

La sua versione: «Loro scendevano dall'auto, io le legavo e cominciavamo. Se tutto andava bene poi le slegavo e le riportavo indietro, se cominciavano a urlare o scalciare o si rifiutavano, io scappavo via e poi buttavo i vestiti e le borsette strada facendo». Che scappasse via è vero ma alcune delle sue vittime raccontano che «continuava anche se io lo imploravo di smettere». Le sevizie, le urla, facevano parte di quello che lui chiama «gioco».

DONNA CROCIFISSA LE INTERVISTE AI RESIDENTI DELLA ZONA CHE DA TEMPO LAMENTANO IL DEGRADO

Anche se l'arresto è per l'episodio più tragico, l'unico finito con la morte della ragazza, gli investigatori sono certi di potergli attribuire almeno una decina di casi, e siamo soltanto all'inizio delle indagini. Perché di ragazze che «cominciavano a urlare o scalciavano o si rifiutavano» ce ne sono diverse, tutte riuscite in qualche modo a liberarsi dopo la fuga di lui, e tutte testimoni della brutalità di quell'uomo che fino a ieri mattina non aveva un nome.

Riccardo Viti di mestiere fa l'idraulico e nel suo quartiere è conosciuto perché fa il giudice di karatè per i ragazzini, disciplina di cui lui è cintura nera. Un'arte marziale richiede un certo grado di autocontrollo, di equilibrio. Lui sembrava averne più del necessario, era «un uomo mite» nel racconto di chi l'ha conosciuto fino a ieri mattina. La sua attività negli ultimi anni non rendeva quasi nulla e lui si e era ritrovato a vivere con i soldi di sua moglie, che lavora in una ditta di pulizie. Nessun guadagno, quindi pochi, pochissimi soldi anche per le prostitute.

«Una volta pagavo anche 150 euro, negli ultimi tempi sono sceso a 30» racconta lui. Si spiega così la ricerca delle ragazze più disperate, spesso quelle costrette a prostituirsi per procurarsi la droga. Con il passare degli anni la «passione per il sadismo» si è spinta sempre un po' più in là.

«Mi sono accorto subito l'altra sera che sono andato oltre... ho avuto paura e sono stato egoista, ho pensato soltanto a me e sono scappato via. Credevo che si sarebbe liberata, come le altre. E invece il giorno dopo ho saputo dalla televisione che era morta. Ci ho pensato in continuazione... non volevo che finisse così».

Nel fascicolo dell'inchiesta ci sono i fotogrammi del Fiat Doblò (di suo padre) che lui ha usato per caricare le ragazze. Sono immagini recuperate dalle telecamere nella zona della città più battuta dalle prostitute. La sera del 4 si vede quell'auto passare alle 23.49. Chi guida - cioè lui - indossa qualcosa di rosso. Accanto si intuisce la sagoma di una seconda persona che porta una camicia o una giacca bianca. Adesso sappiamo che era lei, Andreea Cristina. E che stava andando incontro alla morte.

 

 


PERCHÉ LA SOPAF DEI FRATELLI MAGNONI HA POTUTO REALIZZARE OPERAZIONI FINANZIARIE SPERICOLATE, SENZA OSTACOLI?

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1 - I FRATELLI MAGNONI E I CONTROLLI INESISTENTI
Salvatore Bragantini per il "Corriere della Sera"

Corruzione e reati finanziari sempre ci saranno, ma la società civile risponde in modi diversi a questi eventi nei diversi Paesi; tutto sta a vedere come si lavora per prevenirli prima, e poi come si reagisce quando essi si verificano. Infiacchito da decenni di tolleranza per ogni malversazione, il nostro organismo non produce quasi più gli anticorpi per combatterle prima, e gli antidoti per evitare le ricadute poi.

ruggero magnoni

A Milano, per il crollo di una finanziaria un tempo blasonata, la Sopaf, sono finiti in prigione i tre fratelli Magnoni, persone di notevole peso nell'ambiente finanziario. Quando purtroppo avvengono, scandali simili devono essere occasioni di riscatto da cogliere per emendarci e rafforzare gli anticorpi a protezione dell'organismo.

Servirebbe spietatezza nell'analisi delle nostre manchevolezze, ma purtroppo questo non è carattere tipico della nostra società: siamo inclini al perdono dato alla leggera, nella speranza che un giorno, se toccasse a noi averne bisogno, lo riceveremmo con altrettanta facilità.

RUGGERO GIORGIO ALDO MAGNONI

Tutti dobbiamo augurarci che gli arrestati possano provare la propria innocenza rispetto ai gravi reati loro contestati. Se i fatti sono quelli ieri resi noti, tuttavia, bisogna pur prenderne atto, al di là della loro qualificazione giuridica. In Sopaf si sono potute realizzare operazioni finanziarie almeno spericolate, senza grandi ostacoli, fino all'irruzione della magistratura.
Dobbiamo domandarci dove era, in quel caso, la moltitudine di livelli di controllo che la nostra farraginosa legislazione impone a tutti, onesti e disonesti.

Giorgio Magnoni e Roberto Colaninno

Non produciamo né gli anticorpi né gli antidoti, perché non sembriamo prendere nota di questi comportamenti, non ne percepiamo la gravità, fino a quando si spalancano le porte del carcere. I controlli spettano sempre a qualcun altro, la responsabilità non è mai nostra. Se non emergono elementi che un magistrato ritenga penalmente rilevanti, finché non scattano le manette, per noi nulla accade; e anche dopo non è detto che cambi qualcosa.

In questa luce andava letta la proposta del ministero dell'Economia volta a vietare la nomina in Consiglio di amministrazione (Cda) di persone che abbiano riportato condanne, proposta che i grandi fondi d'investimento hanno invece bocciato in assemblea Eni: l'han fatto, evidentemente, nella corretta sì, ma astratta, convinzione che spetti al Cda sfiduciare un amministratore «macchiato».

Giorgio Magnoni

Ne soffre la nostra reputazione, in un mondo già di per sé incline ad affibbiarci un giudizio morale negativo sommario, forse ingiusto ma del quale non possiamo scordarci.
Con tutti i loro ben noti difetti, gli Usa mostrano la reazione giusta di un grande Paese ad eventi che minano le basi della convivenza civile: bisogna guardarsi dentro per cogliere al proprio interno, e stroncare, i sintomi di una grave malattia.

La Securities and Exchange Commission (Sec), organo di controllo dei mercati mobiliari americani, dopo un glorioso passato veniva da una lunga stagione di appannamento, ravvisabile nella mancanza di attivismo nella lunga incubazione della grande crisi finanziaria, o nella mancata reazione alle segnalazioni sulle anomalie delle gestioni (poi rivelatesi truffaldine) di Bernard Madoff.

Dall'inizio della crisi è toccato a due donne presidenti, prima Mary Schapiro (esperta di mercati finanziari), poi a Mary Jo White, ex procuratrice distrettuale a New York, rimettere la Sec sul binario giusto. Davanti ai disastri della crisi, Schapiro aveva badato al sodo, cercando di far pagare il massimo possibile per le loro malefatte alle investment bank; queste pagavano sì ma senza riconoscere alcuna violazione di norme, anche per depotenziare le indagini penali (su cui negli Usa anche la Sec è competente).

Ruggero Magnoni

È stata la magistratura, a partire della decisione del giudice federale Jed Rakoff, a costringere la Sec a invertire la rotta, respingendo la sua proposta di un «patteggiamento» con Citicorp. Dopo di lui anche altri giudici federali hanno respinto proposte simili, sostenendo che esse pur assicurando buoni incassi, impediscono l'indispensabile risanamento di un ambiente finanziario gravemente malato.

È più importante far emergere i fatti, e costringere i responsabili ad assumersene le responsabilità, che incassare i soldi, anche tanti soldi. Di qui la scelta della nuova presidente, White, che ha preso una linea determinata, andando fino in fondo nelle indagini; ne sono venuti incassi miliardari, ben superiori ai «patteggiamenti», ma soprattutto è cominciata a venir fuori la verità.

giorgio magnoni

Non c'è bisogno di imitare in toto la Sec, che costituisce perfino società di copertura per adescare e incastrare potenziali criminali; basterebbe che noi almeno usassimo bene le risorse che abbiamo, senza atteggiamenti retrò (come quello della Consob per i calcoli probabilistici sul rendimento dei titoli offerti al pubblico). Prendiamo però esempio da White, che ha lanciato un grande piano di investimenti in tecnologia informatica, essenziale per decifrare programmi e algoritmi utili a realizzare le strategie di trading. Big data sconvolgerà anche la vigilanza.

La lezione sarebbe chiara, per chi avesse voglia di ascoltarla: controlli più semplici, ma con chiara attribuzione e riconoscimento delle responsabilità, un po' più di schiena dritta da parte di tutti. E indagini senza paraocchi per far emergere i fatti.

2 - LA SAGA DEI MAGNONI FINISCE IN GALERA
Marco Franchi per il "Fatto quotidiano"

lehman brothers

Associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, truffa, appropriazione indebita e frode fiscale. Sono i reati contestati dalla magistratura di Milano che ieri hanno fatto scattare le manette per i fratelli Ruggero, Aldo e Giorgio Magnoni, e per il figlio di quest' ultimo, Luca. Tutti coinvolti nell'inchiesta sulla Sopaf che avrebbe distratto oltre 100 milioni dal patrimonio.

Sono stati arrestati anche Andrea Toschi, Alberto Ciamperoni e Gianluca Selvi. Toschi è stato in passato presidente di Arner Bank, il cui conto corrente numero uno era intestato a Silvio Berlusconi, e amministratore delegato della Adenium, controllata da Sopaf. Attraverso Adenium, alcuni degli indagati si sarebbero appropriati di 50 milioni della Cassa nazionale di previdenza dei ragionieri, di 7 milioni dell'Inpgi (giornalisti) e di 20 dall'Enpam (medici).

NOMURA

Per la procura Giorgio Magnoni è il "promotore e capo dell'associazione", il figlio Luca, "collaborava in tutte le attività illecite ", Aldo Magnoni "seguiva le operazioni immobiliari", mentre Ruggero, "formalmente privo di cariche sociali in Sopaf, svolgeva un ruolo attivo quale amministratore di fatto".

Ma chi sono i Magnoni? La storia di questa famiglia è intrecciata a quella della finanza italiana degli ultimi trent'anni. Il capostipite Giuliano Magnoni fu anche socio di Michele Sindona nonché consuocero perché il primogenito Piersandro ne aveva sposato la figlia e ne era diventato il braccio destro.

Il fratello minore di Giorgio, Ruggero, era uno degli azionisti di maggioranza di Sopaf ma soprattutto vicepresidente di Lehman Brothers Europe e poi banchiere di Nomura con cui Mps aveva sottoscritto i famosi derivati Alexandria. Giorgio e Ruggero sono stati vicino anche a Gianpiero Fiorani nell'estate del 2005: i due fratelli si schierarono a fianco del banchiere lodigiano proprio mentre la Lehman di Ruggero era consulente dei rivali di Fiorani nella partita su Antonveneta, gli olandesi di Abn Amro.

9 gian fiorani lap

Ruggero vantava anche la stima dei due nemici Berlusconi e Carlo De Benedetti che negli anni Novanta gli fecero seguire rispettivamente i dossier Mondadori-Telepiù e poi i telefonini Omnitel. Come ha raccontato di recente il Fatto Quotidiano, Ruggero aveva tentato di coinvolgere De Benedetti nel salvataggio di Mps senza però riuscirvi.

Non solo. Luca Magnoni, ex presidente del Monza, nel 2012 si è seduto per pochi mesi anche nel cda del Siena Calcio sponsorizzato - si mormora nelle contrade - dall'allora vertice di Rocca Salimbeni. La tela dei rapporti di affari di Ruggero tocca infine la Intek di Vincenzo Manes (considerato oggi molto vicino a Renzi) di cui è azionista e consigliere di amministrazione.

Ma i Magnoni vengono associati soprattutto alla cosiddetta razza padana: furono loro a ideare negli anni 90 il fondo Oak con base alle Cayman che partecipò alla scalata a Telecom guidata da Roberto Colaninno e benedetta da D'Alema. I legami fra Colaninno e i Magnoni hanno poi spaziato per tutta la galassia dell'imprenditore mantovano, dalla Omniainvest a Piaggio passando per la Immsi, che ha in pancia anche Alitalia.

Il declino è cominciato quando le banche creditrici hanno cominciato a battere cassa e la Sopaf è finita sull'orlo del fallimento. A far barcollare la finanziaria è stato soprattutto l'investimento in Banca Network messa in liquidazione a luglio 2012 dopo il fallimento della ristrutturazione di un debito di oltre 100 milioni con le banche (tra cui Unicredit e Mps). Ieri a fare crac è stata un'intera famiglia.

 

A CASA DI SCAJOLA E’ STATA SEQUESTRATA UNA LETTERA DI AMIN GEMAYEL SU MATACENA

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Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

Una lettera di una ventina di righe scritta al computer, in lingua francese, per garantire che «la persona potrà beneficiare in maniera riservata della stessa posizione di cui attualmente gode a Dubai. Avrà un documento di identità. Della questione si occuperà un mio incaricato e troveremo un modo per far uscire la persona dagli Emirati Arabi e farlo arrivare in Libano».

AMIN GEMAYEL

È indirizzata a «mio caro Claudio», si conclude con un «amichevolmente», ed è stata sequestrata a Claudio Scajola durante la perquisizione effettuata dopo l'arresto. In calce c'è una sigla illeggibile, ma gli investigatori della Dia sono convinti che il mittente sia l'ex presidente libanese Amin Gemayel.

Proprio lui sarebbe infatti il terminale della «rete» tessuta per favorire la latitanza dell'ex parlamentare del Pdl Amedeo Matacena, aiutandolo a trasferirsi da Dubai a Beirut e così a sfuggire all'esecuzione della condanna definitiva a cinque anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, inflitta in Italia.

Nella missiva l'autore specifica che «per poter agire bisogna soltanto aspettare che si trovi un accordo per la formazione del nuovo governo». Ma soprattutto rassicura l'ex ministro italiano sulla consapevolezza che «la questione merita la massima attenzione e il mio incaricato ti terrà informato».

AMIN GEMAYEL

LA SCORTA USATA ANCHE DALLA SIGNORA PER SPOSTAMENTI PIÙ AGEVOLI
I magistrati - il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, il suo sostituto Giuseppe Lombardo e il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio - accusano Scajola di aver favorito la latitanza di Matacena «per tutelare gli interessi di natura economico-imprenditoriale in comune e portare a buon fine le operazioni in corso» e di aver «messo a disposizione un completo apparato logistico e una fitta rete di relazioni personali».

Di questo apparato fa parte anche la scorta dell'ex ministro che, evidenziano i pubblici ministeri, «risulta parte attiva e determinante a garantire agevoli spostamenti nel territorio italiano della moglie di Matacena». Non solo. I pedinamenti e le intercettazioni dimostrano come Scajola «si spinge a dare disposizioni che la scorta si rechi in territorio estero senza "gli attrezzi"».

AMIN GEMAYEL

Spesso Scajola utilizza gli uomini della scorta anche per effettuare controlli per conto della signora Matacena. Annotano gli investigatori: «La prudenza e le procedure utilizzate per lo spostamento da Montecarlo a Milano e l'attenzione dimostrata per situazioni ritenute anomale - vedi il caso dell'autovettura di cui Stefano (uno dei poliziotti inseriti nel dispositivo di tutela, ndr ) si annota la targa e per la quale Scajola si adopera per sapere il proprietario - non fanno altro che confermare la natura illecita della condotta, particolarmente grave per la piena consapevolezza che si registra in capo al predetto e per la strumentalizzazione verso fini antigiuridici, ed ancor prima eticamente riprovevoli, del suo ruolo pubblico e della particolare influenza che ne deriva».

AMIN GEMAYEL

L'INTERESSE «AUTONOMO» DI SCAJOLA VERSO L'OPERATIVITÀ DI MATACENA
Nella richiesta di arresto i pm scrivono: «La determinazione che caratterizza l'agire dello Scajola dimostra in modo inattaccabile che lo stesso è portatore di un interesse autonomo verso la pianificata conservazione dell'operatività diretta del Matacena... Ciò che merita di essere sottolineato è l'utilizzo distorto di pregressi rapporti con esponenti politici libanesi, che vengono piegati verso interessi di parte finalizzati a concordare le modalità di una operazione diretta a procurare la "evasione" di un soggetto condannato in via definitiva».
Anche la candidatura sfumata dell'ex titolare del Viminale al Parlamento europeo, secondo l'accusa rientrava nei piani del gruppo che fa capo a Matacena.

«Lo stesso Scajola - scrivono i pubblici ministeri - diviene funzionale nel complessivo panorama criminale, proprio in quanto interlocutore istituzionale proiettato verso una candidatura di rilievo alle prossime elezioni europee. La reazione scomposta di cui si rende protagonista Scajola nel momento in cui realizza di essere stato estromesso, è la migliore conferma del particolare interesse, non solo personale, verso quell'ambito politico sovranazionale particolarmente appetibile».

Nella ricostruzione della procura viene evidenziato «il sistema perverso e illegale finalizzato a garantire ancora oggi la utilizzabilità di canali privilegiati di arricchimento anche in ambito comunitario».

CHIARA RIZZO AMEDEO MATACENA

IL RUOLO DI MEDIATORE «DECIDI, MI SONO ESPOSTO»
L'8 ottobre scorso, quando Matacena viene liberato dopo essere stato fermato a Dubai, Scajola contatta la moglie Chiara Rizzo.
Scajola : «Allora, senti sono contentissimo, stanotte ho dormito bene fino alle sette e mezza di mattina, ieri sera l'ho detto subito a Maria Teresa che tu mi hai chiamato per dirmi che Amedeo ti aveva detto la notizia, te l'aveva data Amedeo a te».
Rizzo : «Sì».
Scajola: «E che ti ha ... e che ti ha detto, "avverti per primo Claudio perchè Claudio ci è stato molto vicino!"».
Rizzo : «Okay».

ARRESTO CLAUDIO SCAJOLA

Scajola : «"Maria Teresa" (verosimilmente Verda Maria Teresa, moglie di Scajola, ndr ) mi ha detto, "se la senti ancora, un abbraccio forte forte!", punto ... seconda cosa, tu, qualunque cosa tu abbia bisogno adesso, qualunque cosa, telefonami, dalla più scema alla più importante, capito?».
Rizzo : «Va bene».
Scajola : «Per andare giù ti serve qualcosa?».
Rizzo : «No, no, non mi serve niente».
Scajola : «Non hai bisogno di...».
Rizzo : «No, niente, grazie, non ho bisogno di niente ... che fai tu?».
Scajola : «Sei sicura, tranquilla».
Rizzo : «Sicura... tranquilla!».

... OMISSIS ...
Rizzo : «Ma ora la notizia uscirà, secondo te?».
Scajola : «Ma io aspetterei ... se serve te la faccio uscire io ma, bisogna aspettare, prima sappiamo bene le motivazioni».
Rizzo : «No, ora se la tengono ... no, no, io non la voglio, però, per dirti ... per dirti, prima fanno 50.000 pagine, "ah, ecco ... così, colà ... ", ora voglio vederla tutta per vedere, no?».

matacena amedeo

Scajola : «Eh, si, ma lì ce la giochiamo poi bene... ieri sera ho ricevuto un messaggino...».
Il ruolo di mediatore con gli esponenti libanesi ricoperto da Scajola emerge in maniera chiara proprio dalle sue conversazioni con la moglie di Matacena, Chiara Rizzo. Il 10 dicembre scorso, dopo aver avuto alcuni contatti riguardanti la permanenza di Matacena a Dubai, l'ex ministro la chiama «siccome dobbiamo definire quelle cose, volevo sapere se ti interessano o se non ti interessano perché bisogna prendere delle decisioni perché io mi sono esposto... e sono di tre generi le decisioni, una... non so se mi riesco a far capire, una è quella laggiù dove io devo dare delle risposte».

 

 

PER ROMA-JUVENTUS ALLO STADIO CI SARANNO MILLE AGENTI IN PIÙ RISPETTO ALLE MISURE STANDARD

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Mauro Favale per "la Repubblica - Edizione Roma"

CCCCCC OO S U N F x LaStampa it

In una scala da uno a 10 la pericolosità per l'ordine pubblico della partita tra Roma e Juventus di domani, fanno sapere dalla Prefettura, è fissata a metà, a 5, e, anche per questo, il dispositivo di sicurezza messo in campo sarà quello per una partita «importante ma non importantissima».

Dopo il caos di una settimana fa, con gli scontri e gli spari prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, la parola d'ordine è «prudenza » per l'ultima gara interna della Roma, seconda in classifica, contro la Juventus che ha già festeggiato lo scudetto.

Daniele De Santis l ultras della Roma arrestato in un immagine del fdca ff c fca dbf kwcE U sTC x LaStampa it

Ma non è tanto la rivalità tra le due squadre a preoccupare Questura e Prefettura quanto una possibile coda dell'agguato che il 3 maggio ha visto coinvolti tre ultrà del Napoli e un
gruppo di tifosi romanisti vicini agli ambienti dell'estrema destra.

Al momento non si hanno notizie di arrivi dal capoluogo partenopeo di possibili infiltrati ma verranno comunque predisposti controlli agli ingressi autostradali di Roma e alle stazioni. Da Torino, invece, è già noto che saranno un migliaio i tifosi bianconeri all'Olimpico.

GENNY 'A CAROGNA DA' IL VIA ALLA COPPA ITALIA

Il momento più delicato, secondo i responsabili dell'ordine pubblico, sarà al termine
della partita con polizia e carabinieri impegnati a evitare invasioni di campo e a presidiare il deflusso all'esterno. Mille gli agenti che verranno impegnati allo stadio in più rispetto agli standard.

Intanto la Procura continua ad indagare sui fatti di sabato scorso. Ieri i pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio hanno ascoltato i tre testimoni che per primi hanno soccorso Daniele De Santis accusato di aver sparato contro tre tifosi
napoletani e successivamente pestato da altri supporter partenopei.

I magistrati si sono concentrati soprattutto sulla pistola, convinti comunque che sia stato solo De Santis a maneggiare l'arma sulla quale da lunedì cominceranno gli esami tecnici. Su quanto accaduto sabato torna il presidente del Senato Pietro Grasso: «Ci sono stati degli errori nei comportamenti che, probabilmente, non si ripeteranno più».

 

CQDFCZNT U hfF x LaStampa it

MATACENA: “QUI A DUBAI CAMPO FACENDO IL MAITRE. NON HO MAI PENSATO DI ANDARE IN LIBANO"

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Giuseppe Baldessarro per "la Repubblica"

CHIARA RIZZO E AMEDEO MATACENA

Il volto asciutto, i lineamenti tirati, il suo solito colorito chiaro, più da scandinavo che da meridionale. Eccolo Amedeo Matacena, lo vediamo sullo schermo del computer di uno studio legale di Reggio Calabria. Lui risponde attraverso Skype dal suo telefonino. È ormai l'unico strumento che da Dubai, a 3.979 chilometri di distanza, lo unisce alla Calabria. Una terra che ha fatto la fortuna di suo padre, l'armatore Amedeo senior, e che è stata la disgrazia della sua carriera politica e imprenditoriale.

AMEDEO E CHIARA MATACENA

Per la prima volta parla con i giornalisti e dice «Vivo lavorando, altro che latitanza dorata». Da quando è arrivata la condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa è sparito dalla circolazione. È scappato prima che i carabinieri gli potessero notificare l'ordine di arresto. A giugno scorso è volato via facendo tappa alle Seychelles per alcuni mesi e poi negli Emirati Arabi, dove è stato fermato alla fine di agosto scorso.

Da allora è fermo a Dubai dove vive in una casa affittata con l'aiuto di alcuni amici italiani. Risponde da un bar, forse un ristorante, «non mi chieda dove sono, non glielo direi, lei capisce che non posso...», e decide di parlare «perché dopo quello che è accaduto è tempo di chiarire alcune cose, a partire dal fatto che nell'ordinanza di custodia cautelare ci sono un sacco di sciocchezze ».

CHIARA RIZZO AMEDEO MATACENA

Quali sciocchezze?
«Non avevo nessuna intenzione di andare a Beirut, un'idea del genere non mi ha neppure sfiorato. Sarebbe stata una follia. Scusi, io mi trovo in un Paese in cui non esiste l'estradizione, perché avrei dovuto andare in Libano dove invece esistono accordi bilaterali con l'Italia? Tra l'altro anche volendo mi è stato ritirato il passaporto e non posso muovermi da Dubai. Anche volendo, per me è impossibile spostarmi da qua».

E tuttavia dalle intercettazioni emerge che sua moglie Chiara Rizzo e Claudio Scajola avevano un piano per farla trasferire in quello che definiscono un «posto sicuro».
«Guardi, io non so di quale piano lei parli, e comunque da qua non mi sarei mosso. È semplicemente illogico anche solo ipotizzarlo».

ARRESTO CLAUDIO SCAJOLA

Come spiega allora le intercettazioni con l'ex ministro?
«Provi a mettersi nei panni di mia moglie. Io sono andato via dopo la sentenza. Lei era da sola a Montecarlo con i due figli, di cui uno di appena 14 anni. Secondo me è andata nel panico ed ha cercato di trovare una soluzione rivolgendosi a chiunque potesse aiutarla sia in Italia che all'estero. È stata nient'altro che una legittima richiesta d'aiuto. Claudio Scajola è un amico di famiglia e non si dimentichi che oltre ad essere un politico è anche un avvocato. Credo che Chiara si sia rivolta a lui per chiedere il parere di una persona qualificata, di un professionista del diritto con esperienze importanti».

Da quanto tempo conosce Scajola?
«Da quando sono diventato parlamentare di Forza Italia nel ‘93, poi i rapporti politici si sono trasformati in amicizia. Mi creda, sono amareggiato per quanto gli sta accadendo per colpa di questa storia, spero ne esca presto. E spero che altrettanto presto venga restituita la libertà anche a tutti gli altri. Hanno arrestato gente perbene. Prenda Martino Politi, il mio collaboratore, le assicuro che è una delle persone più oneste che io abbia mai conosciuto. È un santo quell'uomo, una persona cristallina, sono davvero dispiaciuto per lui».

CHIARA RIZZO MATACENA

Magari potrebbe rientrare in Italia ed andare a chiarire lei stesso questa vicenda.
«Lei crede che non ci abbia mai pensato? Ogni giorno trascorso da quando sono lontano rifletto sull'opportunità di rientrare e consegnarmi. Ogni santo giorno. Crede che mi faccia piacere stare lontano dalla mia famiglia? Sono stato condannato ingiustamente, il mio è stato un processo politico e anche le accuse sono basate sul nulla, sono stati lesi tutti i diritti della difesa. Abbiamo già prodotto due ricorsi da cui ci aspettiamo tanto. Un ricorso straordinario alla Corte di Cassazione ed uno alla Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani e dei diritti della difesa. Attenderò le decisioni dei giudici e poi deciderò cosa fare».

Certo una condanna per le sue amicizie mafiose con Giuseppe Aquila, affiliato del clan dei Rosmini non è cosa da poco.
«Intanto diciamo che Peppe Aquila lavorava a bordo delle navi di mio padre da quando aveva 14 anni. Suo padre era un poliziotto e per come lo conoscevo io era una persona perbene. La sua candidatura l'ha voluta mio padre, non io.

Ed anche quando fu nominato vice presidente della Provincia di Reggio Calabria, avvenne con voto unanime di tutti i gruppi della maggioranza consiliare. Significa che era amico di tutti e nessuno aveva dubbi. Tra l'altro non c'è un suo atto da amministratore o da assessore a vantaggio di ‘ndranghetisti.

CHIARA RIZZO MATACENA

E anche la storia dei voti che mi avrebbe portato è falsa. Eravamo candidati in due diversi collegi elettorali. A me questa storia pare una forzatura enorme. Una sentenza politica, appunto. Tra l'altro se avessero applicato lo stesso metro usato per Andreotti il reato sarebbe stato ampiamente prescritto. Sono l'unico ad essere stato condannato in continuità, assurdo».

Tra le accuse c'è anche quella secondo cui lei avrebbe tentato di nascondere i suoi patrimoni, e francamente non sono spiccioli.
«Intanto chiariamo che il patrimonio che ho gestito in questi anni è quello che ho ereditato da mio padre. Guadagni leciti di una vita da imprenditore. Le società che sono state sequestrate sono inattive e infruttuose da un decennio. Se proprio lo vuol sapere da quando sono fuori non ho ricevuto un centesimo da nessuno. Quando mi hanno fermato a Dubai mi hanno levato 21mila euro di soldi miei, che erano gli unici che avevo, e ora non ho più alcuna entrata».

matacena amedeo

E come si mantiene?
«Mi mantengo con il mio lavoro ».

Lavora?
«Sì, faccio il maître in un locale: di quello vivo, altro che latitanza dorata. Lavoro a Dubai come ho sempre fatto nella mia vita. Non mi chieda dove lavoro perché non glielo posso dire, ma è così. Le assicuro che l'impegno politico in Forza Italia mi è costato molto. Ho perso praticamente tutto, compreso la mia famiglia».

Da quanto non vede i suoi familiari?
«Mia madre è venuta a trovarmi alcune settimane addietro e mia moglie la scorsa settimana. Chiara mi ha portato mio figlio piccolo un paio di volte. E di recente è venuta per sbrigare le pratiche della separazione. Non ha mai accettato il fatto che io me ne fossi andato dopo la sentenza. Quella mia scelta ha compromesso anche la nostra vicenda personale. Penso che peggio di così non si possa fare, ma penso anche che per quanto sia lunga la notte dopo viene sempre il giorno. Come vede, nonostante tutto, sono un ottimista».

 

KAZAKI AMARI PER ALFANO - LA PROCURA DI PERUGIA RIAPRE IL CASO SHALABAYEVA

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Paolo Mondani per "Report Time - Corriere della Sera"

A meno di un mese dalla concessione dello status di rifugiato politico ad Alma Shalabayeva e alla figlia Alua il caso giudiziario si riapre. La notizia può preoccupare e non poco il Viminale dove atterrisce l'idea che i documenti che sembravano dimenticati stanno per essere rimessi in fila, uno ad uno, a ricordare quel che accadde in quelle 67 ore, dalla sera del 28 al pomeriggio del 31 maggio 2013.

shalabayeva - bonino

La Procura della Repubblica di Perugia ha aperto un fascicolo sul caso Shalabayeva e chiama in causa la responsabilità di un magistrato in ordine all'espulsione della moglie del banchiere e dissidente kazako Mukhtar Ablyazov e della loro figlia Alua avvenuta a Roma un anno fa.

Sulla base di un passaporto diplomatico emesso della Repubblica Centrafricana dichiarato falso e poco dopo rivelatosi autentico, in nemmeno tre giorni il Viminale aveva consegnato Alma nelle mani del Presidente kazako Nursultan Nazarbayev.

Dittatore a tutto tondo. Il 19 luglio il ministro Alfano aveva incassato una fiducia a denti stretti quando M5S e Sel ne avevano chiesto le dimissioni al Senato, e il Pd, pur smontando pezzo a pezzo la sua ricostruzione dei fatti, con un triplo carpiato l'aveva salvato. Ora i fatti appaiono più chiari, almeno secondo gli avvocati di Alma Shalabayeva che due mesi fa hanno depositato un esposto alla Procura di Roma finito successivamente a Perugia.

ALMA SHALABAYEVA TORNA A ROMA

Centrale è la descrizione di cosa avvenne all'udienza presso il Cie di Ponte Galeria il 31 maggio, alla presenza del Giudice di Pace Stefania Lavore. In aula sono presenti gli avvocati di Alma, Federico e Riccardo Olivo e il legale svizzero della famiglia Ablyazov Charles de Bavier, che parla perfettamente italiano. Con enfasi segnalano che Alma è moglie di un dissidente kazako, che rischia la persecuzione se rimandata nel suo Paese e che per questo intende chiedere asilo all'Italia. Ma di tutto questo, scrivono i legali nell'esposto, non vi è traccia nel verbale di udienza.

ALMA SHALABAYEVA TORNA A ROMA

I poliziotti dell'Immigrazione presenti in aula hanno una strana fretta e tutto si chiude in poche decine di minuti, perché Alma deve essere rapidamente trasferita all'aeroporto di Ciampino dove un aereo la aspetta per il ritorno in Kazakistan.

«Omissione nella verbalizzazione e nella decisione - scrivono gli avvocati - che implicano valutazione di carattere penale con riferimento ai reati di falso e di abuso». Eppure nella relazione del capo della Polizia Pansa, ribadita dallo stesso ministro Alfano chiamato a rispondere dei fatti in Parlamento, si ripeteva che Alma Shalabayeva non aveva mai fatto cenno alla richiesta di asilo così come alla condizione di dissidente del marito.

ALMA SHALABAYEVA TORNA A ROMA

Ma anche su questo un nuovo documento mette in luce le contraddizioni del Viminale: si tratta del rapporto alla Procura di Roma del 3 giugno 2013 firmato da Luca Armeni e Renato Cortese, dirigenti della Questura, dove si dà conto che i poliziotti che erano intervenuti nella notte del 29 maggio nella villa romana di Alma Shalabayeva avevano ritrovato uno scambio di e-mail tra l'avvocato De Bavier e l'avvocato Riccardo Olivo dove lo svizzero descriveva precisamente chi è Alma e chi è il marito. Il Viminale era quindi perfettamente a conoscenza dello status di dissidente del marito e dei pericoli che correva sua moglie in caso di espulsione.

Ma un altro documento è stato acquisito dalla procura di Perugia. Si tratta di una dettagliata cronologia dei fatti che l'ex ministro degli Affari esteri Bonino aveva a suo tempo inviato al presidente Napolitano. Avvenimenti seguiti al 31 maggio, perché Emma Bonino e il suo dicastero erano stati tenuti fino ad allora all'oscuro di tutto. E qui emergono le schizofrenie della politica: i silenzi di Alfano e le forzature della Bonino che conquista prima la revoca del decreto di espulsione (12 luglio) e infine riporta a Roma la Shalabayeva (27 dicembre).

mukthar ablyazov figlia alua e alma shalabayeva

Il 13 giugno, in vista dell'incontro di Napolitano con il presidente della Commissione Ue Barroso previsto per il giorno dopo, Bonino informa del caso kazako il Consigliere diplomatico del presidente perché è lei a infilare il «fuori sacco Shalabayeva» nel fascicolo del colloquio e a fare in modo che Barroso rivolga una precisa domanda a Napolitano sull'argomento. Ed è sempre lei a respingere il ricatto del governo di Nazarbayev che aveva deciso di negare il sorvolo del territorio kazako alle nostre truppe di ritorno dall'Afghanistan visto l'eccesso di esposizione del governo di Astana in virtù del superattivismo del ministro italiano.

Alma Shalabayeva con la figlia Alua nel giardino della casa in cui vive ad Almaty article

E c'è la strana storia di due milioni di dollari che alcune autorità kazake avevano chiesto personalmente alla Shalabayeva in cambio dell'autorizzazione a tornare in Italia e di fronte al suo no la nuova la richiesta «scontata» di un solo milione avanzata agli avvocati di Alma che rifiutano di pagare quel che appariva a tutti gli effetti un riscatto verso chi l'aveva rapita. Ma i kazaki non mollano l'osso neppure oggi.

alma shalabayeva ipad

Da ultimo emerge la lettera dell'ambasciatore della Repubblica Centrafricana a Parigi Emmanuel Bongopassi al ministro degli Esteri Leonie Banga-Bothy datata 12 febbraio 2014, nella quale comunica che il suo omologo kazako nella capitale francese chiede che i passaporti diplomatici rilasciati a Mukhtar Ablyazov e alla moglie Alma vengano annullati.

I kazaki offrono importanti aiuti economici e Bongopassi sembra sponsorizzare lo scambio. Proprio la presunta nullità del passaporto di Alma fu causa dell'espulsione dall'Italia, un documento che le autorità africane dichiararono immediatamente autentico e sulla bontà del quale nessuno ha più dubbi. Il 18 febbraio è il ministro degli Esteri centrafricano a replicare al collega kazako che Bongopassi è stato rimosso e che quei passaporti sono autentici.

 

 

Shalabayeva passaporto LESPULSIONE DI ALMA SHALABAYEVA DOCUMENTO CON IL NOME DA SPOSATA DI ALMA SHALABAYEVAShalabayeva alma ALMA SHALABAYEVA RIPRESA DALLE TELECAMERE A CIRCUITO CHIUSO NELLA CASA AD ALMATY LESPULSIONE DI ALMA SHALABAYEVA

UN NUOVO LIBRO GETTA OMBRE SULLA MORTE MISTERIOSA DI RAIMONDO LANZA DI TRABIA

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Natalia Aspesi per "la Repubblica"

IL LIBRO SU RAIMONDO LANZA DI TRABIA

Poco prima di morire lo zio Galvano le sussurrò: «Non si è ucciso». Chi? Lui, il padre di Raimonda, quel principe Raimondo Lanza di Trabia che anni prima, la mattina del 30 novembre 1954, a Roma, era precipitato dalla finestra di una camera dell'Hotel Eden: ricchissimo e aristocratico dandy siciliano, aveva 39 anni, una moglie, Olga Villi, l'attrice "dalle più belle gambe d'Italia", una figlia piccola, Venturella, e un'altra in arrivo.

Poco più di due mesi dopo la sua morte, l'11 febbraio 1955, nasceva infatti Raimonda; che a quel padre sconosciuto, di cui nessuno in famiglia, né la vedova, né il fratello, parlava mai, come se tutta la sua vita e soprattutto la sua fine nascondessero un misterioso pericolo, adesso, assieme alla figlia Ottavia Casagrande, dedica una nuova biografia (ne esistono già due, scritte da Vincenzo Prestigiacomo, e da Marcello Sorgi).

Per raccontarne non solo la vita avventurosa e mondana, di spia e playboy, tra la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale, tra Edda Ciano e Susanna Agnelli, tra Errol Flynn e Onassis, tra le solfatare e le tonnare dei suoi immensi feudi e il petrolio dello Scià di Persia.

RAIMONDO LANZA DI TRABIA

Ma partendo da quella rivelazione, «non si è ucciso», e da una misteriosa valigia piena di documenti, trovata per caso in un ripostiglio, e una piccola chiave contenuta in un anello, le due signore hanno deciso di andare oltre le frettolose e pompose cronache d'epoca: per addentrarsi, 60 anni dopo, nello scenario oscuro e incerto di una ipotetica storia molto siciliana, di mafia e politica, che trasformerebbe il suicidio di quel giovane uomo che aveva tutto dalla vita in un delitto premeditato e subito occultato.

Dice oggi Raimonda: «Nessuno seppe perché non era sceso come sempre al Grand Hotel dove aveva il suo appartamento, come mai aveva scelto l'albergo dove si incontravano i petrolieri e dove in quel momento alloggiava Enrico Mattei; da che piano si era buttato, (il primo, il terzo, il quarto?), perché era precipitato a testa in giù, per quale ragione nessuno cercò di rintracciare il medico che l'aveva appena visitato, e soprattutto perché il caso fu
subito chiuso, senza inchieste giudiziarie.

RAIMONDO LANZA DI TRABIA

Mi toccherà ballare ( Feltrinelli) è il titolo di questa biografia che due donne di rara, semplice, aristocratica grazia, una figlia e una nipote, dedicano a uno degli ultimi grandi principi siciliani, la cui immensa ricchezza è totalmente svanita nel mistero. Le eredi di nulla, se non del desiderio di ricordarlo, hanno dato al loro libro il titolo di una specie di diario incompiuto in cui il principe si confessava: «Se avessi seguitole regole sarei stato per sempre bastardo. Non avrei buttato piatti di vermeil e reliquie di santi tra i flutti. Non avrei amato Magdalene. Non avrei fumato oppio. Non avrei amato la morfina e l'alcol. Non avrei risparmiato la vita a un comandante repubblicano in cambio del suo impermeabile. Non avrei fuso 72 motori. Non avrei comprato un uomo. Non avrei ballato coi tonni in punto di morte. Non saprei che gusto si prova ad andare in giro nudo. Non saprei se le americane baciano meglio delle italiane. Be', mi sarei perso molte cose».

Un principe bastardo? Si, il certificato di nascita di Raimondo è quanto mai complicato; risulta figlio di N. N. e di madre che non vuole essere nominata, gli viene dato il cognome Ginestra. Viene registrato all'anagrafe di un paesino lombardo dalla levatrice, tutore l'amante della levatrice che lo rapisce e ne chiede il riscatto. È l'11 settembre del 1915, il padre, Giuseppe Lanza principe di Scordia sta combattendo sul Carso, la madre, l'aristocratica veneziana Madda Papadopoli ha già un noiosissimo marito, il principe Gino Spada Potenziani.

RAIMONDO LANZA DI TRABIA E VITTORIO EMANUELE ORLANDO

L'adultera se dichiara la sua maternità fuori dal matrimonio rischia la prigione, la legge impedisce al padre di riconoscere figlio naturale. Ci riesce finalmente nel 1926, ma solo nel 1942, quando Raimondo aveva già 27 anni, un decreto reale ammette il suo riconoscimento e quello del fratello minore Galvano. L'ultimo ostacolo l'aveva superato la grandiosa nonna Giulia Florio, che pur odiando Mussolini, si era piegata a farsi ricevere da lui per ottenere nel nuovo codice civile l'equiparazione tra figli legittimi e naturali.

La bellissima signora che viveva a Palermo a Palazzo Butera solo dopo la morte del figlio Giuseppe si era finalmente decisa a incontrare Madda la peccatrice e i suoi nipoti ormai adolescenti. E l'accordo fu: il primogenito Raimondo sarebbe vissuto da principe in Sicilia con lei, Galvano con la madre a Vittorio Veneto.

Palermo non bastava al bel principe scapestrato che si precipitò instancabile nelle guerre e nella mondanità internazionale del cinema e del grande business, tanto che sarebbe lui ad avere ispirato a Domenico Modugno l'elegante personaggio della sua canzone Vecchio frack .

Ma era così facile sfuggire alla Sicilia e ai suoi cupi autentici padroni? Nel suo libro 50 anni nel Pci , Emanuele Macaluso ricorda come ai tempi in cui era ancora segretario della Camera del lavoro di Caltanissetta, «Li Causi mi chiamò a Palermo per dirmi che i principi Galvano e Raimondo Lanza di Trabia, proprietari di grandi feudi tra Villalba e Mussomeli, volevano trattare una possibile concessione in affitto delle loro terre alle cooperative ».

RAIMONDO LANZA DI TRABIA

Affittuari erano allora Calogero Vizzini, Genco Russo e soci, e i Lanza volevano uscire da una situazione in cui i mafiosi li taglieggiavano. Ma i mafiosi non erano d'accordo, e «ci furono occupazioni, intimidazioni, sparatorie, cause civili e penali, una generazione visse un'autentica guerra civile».

Ma il disastro arrivò con il tentativo di Raimondo, che voleva andarsene e mettersi nel grande business del petrolio, di vendere la solfatara Tallarita in cui erano stati sperperati milioni per un impianto di flottazione, quando oramai lo zolfo siciliano da anni, non era più competitivo, spinto fuori dal mercato da quello americano.

Ma quell'inutile monumento alla disumana fatica dei poveri, dando lavoro a tanta gente, rappresentava ancora un irrinunciabile bacino di voti ed era amministrato come tutti i beni dei Lanza di Trabia, da un potente avvocato siciliano che prendeva ogni decisione.

Nella valigia dei misteri, Raimonda e Ottavia hanno ritrovato l'atto di vendita della Tallarita firmato solo da Raimondo, non da Galvano, quindi inutilizzabile. Raimondo cadde dalla finestra, Galvano, anni dopo, rompendo ogni legame con l'amministratore disse, «mi ha tradito». Tutte le miniere siciliane furono rilevate dalla Regione e i debiti i pagati con i soldi pubblici. Tutte tranne la Tallarita, che fu lasciata fallire, divorando il denaro dei Lanza di Trabia.

 

ON LE ELEZIONI ALLE PORTE, IL BANANA RISPOLVERA SU “GENTE” UN CLASSICO DELLA SUA PROPAGANDA

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Articolo di Monica Mosca* pubblicato da "il Giornale"
*direttore di «Gente»

BERLUSCONI E FRANCESCA PASCALE SU GENTE

Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista rilasciata dall'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al direttore del settimanale Gente Monica Mosca. È la prima volta che il leader del centrodestra posa in versione famigliare con la compagna Francesca Pascale e l'immancabile cagnolino Dudù: «Francesca è la musica della mia vita, il mio Inno alla gioia» ,ha detto Berlusconi in un passaggio dell'intervista

Sul prato del parco di Villa San Martino i pollini sembrano un leggero strato di neve. A sollevarli ci pensa Dudù, il cagnolino più famoso che c'è, bianco candido anche lui, soffice come un batuffolo. Francesca Pascale sbuca dal salone ocra che dà sul giardino: è vestita di rosso dalla testa ai piedi, è sottile («Sono dimagrita due chili in una settimana!»,dice soddisfatta), una giovane donna di certa bellezza. Il presidente si presenta poco dopo. «Allora, direttore, si comincia?».

BERLUSCONI E FRANCESCA PASCALE SU GENTE

Il fotografo Livio scatta, Berlusconi e Francesca camminano per mano nel parco, Dudù si infila in ogni foto. Presidente, lei ha detto che, per affrontare la disoccupazione giovanile, occorre sgravare di tasse le aziende che assumono giovani.

«Il dramma dell'occupazione è oggi la prima questione da risolvere. Solo la riduzione delle imposte può creare maggiori consumi, più produzione e più posti di lavoro, ma per ottenerequesto risultato occorre cambiare la politica di rigore e austerità impostaci dall'Europa».

Qual è l'impresa che le ha dato maggiori soddisfazioni, non solo economiche?
«Le maggiori soddisfazioni sono i miei cinque figli, sono tutti speciali e ricambiano il mio amore con totale dedizione. Le maggiori delusioni: la politica, per i tanti casi di ingratitudine ma soprattutto perché non sono ancora riuscito a cambiare l'Italia come avrei voluto. Ma i miei avversari possono rassegnarsi: io non ho mai abbandonato un compito senza portarlo a termine».

BERLUSCONI PASCALE DUDU IN AEREO

Lei è nonno di sei bambini bellissimi. È vero che li vizia?
«Per coccolarli e per viziarli vorrei avere molto più tempo di quello che ho effettivamente. Mi piace tanto stare con loro, farli giocare, inventare storie, scherzi, sorprese. Sono una delle poche oasi di serenità in una stagione piena di amarezze».

È vero che Francesca ha applicato una sorta di spending review ad Arcore?
«Come in ogni famiglia o azienda, ogni tanto si vede se si può spendere meno o spendere meglio. Credo sia un dovere farlo, anche per rispetto ai tanti italiani che vivono in difficoltà economiche. Tutto qui. Francesca se ne è occupata con l'abilità,l'intelligenza e il dinamismo che mette in ogni cosa».

SILVIO BERLUSCONI CON LA FIGLIA MARINA E I NIPOTI

Lei ha sempre avuto un debole per il Sud e anche per il temperamento dei suoi abitanti: è così?
«Certamente sì. La simpatia, l'intelligenza, la vivacità di chi vive nel Sud mi hanno sempre affascinato. Così come la laboriosità, il senso civico, l'apertura mentale di chi vive al Nord. Ma attenzione a non cadere negli stereotipi. Non esistono i meridionali o i settentrionali, esistono singole persone, ognuna con le sue caratteristiche ».

Dei suoi figli, chi le ha dato il maggior sostegno? E come padre ha qualche rimorso?
«Non farò mai una scelta fra i miei figli, sarebbe impossibile. Ognuno di loro mi è stato straordinariamente vicino, in questo periodo in particolare. Come padre, sono orgoglioso di avere dei figli così capaci di darmi affetto, sostegno, consigli. Ho un rimorso verso di loro: se non mi fossi occupato della cosa pubblica, non sarebbero stati colpiti anche loro dalle calunnie e dalle volgarità che sono state inventate sulla mia vita privata».

BARBARA BERLUSCONI COI FIGLI EDOARDO E ALESSANDRO

Se potesse tornare indietro nel tempo, quale scelta non farebbe?
«Non rimpiango nulla. Ho soltanto commesso l'errore di credere che in politica valessero le stesse regole della vita normale, come la lealtà,l'amicizia,il rispetto della parola data. In tanti mi hanno deluso, ma io continuo a credere nei valori che mi hanno inculcato i miei genitori e che io ho insegnato ai miei figli».

Come ha accettato l'affidamento ai servizi sociali?
«Con animo combattuto, perché da un lato ho l'amarezza di chi è stato condannato ingiustamente, ma dall'altro perché non riesco a considerare quella di occuparmi degli anziani come una punizione. Al contrario, è in un certo senso un privilegio. Tanti anziani, pur colpiti da malattie gravissime come l'Alzheimer, sono in grado di trasmettere con la loro umanità e la loro stessa fragilità il senso di quello che conta nella vita ».

Berlusconi la figlia Marina e nipoti in Provenza

Lei ha detto che Francesca è una sinfonia.
«Francesca mi aiuta anche semplicemente con il fatto di esserci. La sua presenza accanto a me dona serenità alle mie giornate. Mi viene in mente l' Inno alla Gioia di Beethoven. Le sue bellissime parole, la sua splendida musica,che spazzano via l'amarezza, le sofferenze, il pessimismo. Ecco, Francesca è proprio così, l' Inno alla Gioia di questa stagione della mia vita».

Qual è la dote di Francesca che apprezza maggiormente? E qual è stato il primo regalo che le ha fatto?
«Faccio fatica a scegliere tra le sue qualità. La determinazione, la dedizione, la gioia di vivere, la dolcezza inattesa e sorprendente. Come si fa a non farsi conquistare da una ragazza che ti ha fatto volare sopra la testa un aereo con la scritta "Silvio mi manchi"? Direi che Francesca è entrata a poco a poco e con naturalezza nella mia vita. Il primo regalo? Le sembrerà una cosa banale: una mia foto con dedica, come mi chiedono in tanti. Ma per lei ho scritto una dedica molto particolare, molto personale. Che non racconterò».

berlusconi e figlia

Quali sono gli impegni più importanti che la aspettano?
Sono convinto che le elezioni politiche non siano lontane ed è una sfida che dobbiamo attrezzarci a vincere. I cambiamenti che riteniamo indispensabili sono sostanzialmente tre: un presidente del Consiglio dotato degli stessi poteri dei suoi colleghi delle democrazie occidentali. Una sola Camera, auspicabilmente dimezzata nel numero dei suoi componenti, che approvasse i disegni di legge nel termine perentorio di 90-120 giorni.E soprattutto l'elezione diretta del presidente della Repubblica.Solo così potremo diventare un Paese davvero governabile, nel quale si possano realizzare anche le altre riforme indispensabili: quella della burocrazia, quella fiscale e quella della giustizia. Questo è il mio sogno.

1 berlusconi figli chi

 


1. CUORE A SINISTRA, PORTAFOGLIO A DESTRA: LA7 DI CAIRO SI TROVA IN UN VERO CAOS

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URBANO CAIRO

1. SCIOPERO A LA7, MENTANA VA IN ONDA GRAZIE A UN PC
Da "Il Fatto Quotidiano"


La prima delle cinque giornate di sciopero indette dai dipendenti non giornalisti de La7 ha raccolto un'adesione del 90%. Visto che a Roma, in regia e dietro le telecamere, non c'era nessuno, Enrico Mentana, per farsi il suo Tg, è stato costretto a volare a Milano, dove la rete opera con alcuni service esterni: il problema è che in regia c'era un computer programmato per mandare la pubblicità a un orario fisso. Risultato: sia l'edizione della mattina che quella serale sono state brutalmente tagliate a metà di una frase.

kgr 14 gruber mentana DIEGO DELLA VALLE DA LILLI GRUBER A OTTO E MEZZO

Problemi anche tra Maurizio Crozza e Urbano Cairo, patron de La7: il comico genovese, il cui programma è affidato a un service esterno, avrebbe chiesto di non andare in onda, ma l'editore lo ha minacciato di fargli pagare una penale e gli ha chiesto di inserire lui le cassette delle pubblicità. Crozza ha quindi accettato di andare in onda, ma si è rifiutato di mandare gli spot, gestiti infine da un altro service esterno.

2. CAOS LA7, MENTANA AGGIRA LO SCIOPERO
Laura Rio per "Il Giornale"


Non è semplice per un direttore di telegiornale con il cuore che batte a sinistra trovarsi nel bel mezzo di una rivendicazione sindacale, di un'agitazione di lavoratori arrabbiati.
Ieri Enrico Mentana ha dovuto scegliere. E ha deciso di mandare in onda il suo Tg nonostante uno sciopero della rete, La7. Non indetto dai giornalisti della sua redazione (nel qual caso avrebbe avuto del clamoroso), ma della struttura tecnica dell'azienda.

In ogni caso di dipendenti in lotta per la salvaguardia di accordi aziendali, tema che certamente sta a cuore a un giornalista come Mentana che ha sempre cercato di mantenere integra la propria immagine di uomo politicamente corretto.
Il direttore, ieri, è riuscito a mandare in onda il notiziario (non senza qualche problemino tecnico) dell'ora di pranzo e quello della sera grazie alla struttura di Milano, che non è alle dipendenze dell'azienda, ma di una società esterna, un service.

Le protagoniste con Urbano Cairo - Copyright Pizzi

A Roma, infatti, la stragrande maggioranza dei tecnici ha aderito allo sciopero tanto che i programmi del mattino, da Omnibus a Coffee Break, non sono stati trasmessi, mentre ‘L'aria che tira' era in replica. Il direttore, che già si trovava a Milano dal giorno prima (e che spesso conduce il Tg dal capoluogo lombardo) smentisce di essere andato apposta negli studi milanesi per bypassare lo sciopero, sta di fatto che il suo spostamento ha permesso la diretta del notiziario. Scelta diversa per ‘Bersaglio Mobile', il programma di approfondimento realizzato sempre da lui nella seconda serata del venerdì, che è saltato.

LA7 - Victoria Cabello - Myrta Merlino - Lilli Gruber - Enrico Mentana - Daria Bignardi - Ilaria D'Amico - Gad Lerner

Così ha replicato al sito Dagospia che per primo ha raccontato gli spostamenti del direttore e che ha ipotizzato che sia stato invece l'editore Cairo a non volere una diretta a Milano per timore dei costi elevati: «Per rispetto nei confronti di chi sta scioperando non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di andare in onda con ‘Bersaglio Mobile' - ha spiegato -. Avrei potuto registrarlo ieri, come hanno fatto altri programmi».

Una stoccatina all'altra giornalista rossa di cuore e di capelli, Lilli Gruber, che ha invece permesso che il suo programma ‘Otto e mezzo' fosse regolarmente in onda, registrandolo prima. In imbarazzo si è trovato anche un altro personaggio molto attento alle istanze sociali: Maurizio Crozza.

SANREMO MAURIZIO CROZZA CONTESTATO

Pare che non volesse proprio saperne di aprire il suo studio, poi Cairo lo avrebbe ricondotto a più miti consigli, anche perché sarebbero in gioco delle penali pesantissime.

crozza-imita-renzi

Comunque, posizione politiche a parte, La7 si trova in un vero caos. E non poteva essere diversamente dopo l'acquisto della rete da parte di Urbano Cairo e l'avvio del suo piano di spending review.

Si sa, l'editore guarda al sodo: il suo obiettivo è quello di risanare le aziende che acquista e trarne profitto. Per cui se ci sono tagli da fare non va troppo per il sottile. E gli scioperi lo fanno andare su tutte le furie, soprattutto pensando al passivo in cui ha sempre versato l'azienda televisiva.

Ma a La7 i lavoratori, quando la rete faceva parte del gruppo Telecom, erano abituati a tutto un altro tipo di gestione. Per cui sia i dipendenti tecnici sia i giornalisti da tempo sono in subbuglio, lamentando la mancanza di rispetto degli accordi sindacali, i tagli lineari, il mancato pagamento (o con netto ritardo) dei contratti con le società di produzione esterne, la mancata applicazione della retribuzione equiparata ai dipendenti ai neo assunti o ai contratti a tempo determinato.

maurizio crozza 001 lap

La preoccupazione principale, comunque, sta nel futuro dell'azienda, perché Cairo avrebbe messo in atto «un vero e proprio disinvestimento nei settori produttivi vitali».
I giornalisti, che ieri hanno appoggiato i tecnici pur lavorando, hanno indetto a loro volta cinque giorni di sciopero in date da definire: ora si starà a vedere come si comporteranno Mentana, Gruber e gli altri anchormen della rete in quelle occasioni.

 

POTERE ROSA - ARTNET SI METTE A CONTARE LE DONNE PIU' POTENTI NELL'ARTE D' EUROPA. ECCO LA TOP LIST

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Ma quante sono le donne che hanno fatto carriera nell'arte? O dell'arte una carriera? Artiste escluse ecco che "Artnet" mette in fila on line tutti i nomi che contano in Europa.

Beatrix Ruf

Una carrellata di signore collezioniste, galleriste, critiche dove spicca un'unica italiana.

 

Patrizia Sandretto

 

 

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo Meritato terzo posto per una collezionista e mecenate molto determinata che da Torino è riuscita a tessere un lavoro continuativo e di eccellenza sull'arte italiana e internazionale.

McCory, giuria Turner Prize

 

Al primo posto invece Beatrix Ruff che dalla Kunsthalle di Zurigo è arrivata allo Stedelijk di Amsterdam con mission di talent scout.

 

Ma l'elenco spazia dalla bionda e severa capo delle comunicazioni di Art Basel, alla giovane Sarah Mc Crory curatrice del festival di Glasgow e in giuria del Turner di quest'anno he ha già sfornato una selezione molto avantgarde.

Iwona Blazwick, Whitechapel

 

E poi: impeccabili galleriste come la londinese Victoria Miro,

donne con grande talento visivo come Caroline Bourgeois che ci ha regalato le più belle mostre di Palazzo Grassi

Maike Cruse, capo comunicazione Art BaselBice Curiger, critico e curatore

o menti provviste di forte pensiero radical vedi Iwona Blazwick che governa con pugno femminista la Whitechapel.

Jennifer Flay, direttore artistico della FIAC

Il catalogo è questo.

ON UNA AVVELENATISSIMA E CAFONISSIMA INTERVISTA AL “FATTO”, SANTORO SILURA E SBEFFEGGIA MARCO TRAVAGLIO

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Peter Gomez per il "Fatto quotidiano"

innocenzi travaglio vauro santoro

Abbiamo sentito la necessità di rompere gli schemi degli ultimi anni. Abbiamo approfittato di questa circostanza per creare una specie di confine rispetto al passato. Da questo momento non solo Anno Uno, ma tutta la nostra produzione prenderà un'altra piega". Michele Santoro al telefono esordisce così. I dati Auditel sul successo del nuovo programma con Giulia Innocenzi sono appena arrivati: 2 milioni di spettatori, share oltre il 10%.

MICHELE SANTORO MARCO TRAVAGLIO

I fatti, anzi i numeri, gli hanno dato ragione. Mercoledì 6 maggio, durante una lunga chiacchierata faccia a faccia (oggi disponibile integralmente su ilfattoquotidiano.it  ), aveva illustrato il suo pensiero su tv, giornalismo, politica e Beppe Grillo. Ora parla con il tono soddisfatto dell'allenatore che sa di non aver sbagliato né la formazione, né la tattica di gioco.

SANTORO INNOCENZI ANNOUNO

Anno Uno, rispetto a Servizio Pubblico, è stato un programma più solare, meno cattivo e con meno mediazioni giornalistiche.
Guarda, qualcuno ha fatto riferimento ad Amici, ma secondo me è un errore. Qui c'entrano a Bocca Aperta di Funari e Per voi Giovani di Arbore. Sono questi i riferimenti, non i reality. È chiaro però che il precipitare di questi giovani anche con punti di vista forti dentro la trasmissione è stato un elemento di innovazione. E poi, soprattutto, c'è stata Giulia che, come pensavo, è andata alla grande.

SANTORO ANNOUNO

Non chiedere a Matteo Renzi niente sullo scandalo bipartisan dell'Expo è stata una dimenticanza o una scelta?
Rispetto a Servizio Pubblico l'andamento è volutamente più narrativo. Anche se siamo sempre giornalisti con Anno Uno siamo meno aperti alle notizie dell'ultima ora. Non è stata una trasmissione su Renzi e sulle domande giornalistiche che solleva, come sarebbe accaduto in qualunque altro programma d'informazione. Qui c'era un tema, La Paura, e lo abbiamo affrontato con l'ospite. È un format preciso che segue una narrazione. Altrimenti avremmo rifatto Servizio Pubblico.

VIGNETTA BENNY TRAVAGLIO INGINOCCHIATO DAVANTI A GRILLO

Domande dei ragazzi, nessun contraddittorio con politici di altri partiti. È il format ideale per ospitare Beppe Grillo.
Secondo me sì. Grillo si dovrebbe trovare a casa sua. Questi giovani, oltretutto, sono destinati a crescere. Possono esprimere qualunque tipo di sorpresa. Alcuni già ora suscitano interesse sul web. Anche perché sono tutti personaggi interattivi. Sarebbe bello vederci Berlusconi, una cosa drammatica che lo metterebbe alla prova.

MARCO TRAVAGLIO CON BEPPE GRILLO

Punti insomma al remake del programma del 2012?
No. Rifare Berlusconi a Servizio Pubblico sarebbe inutile. Non avrebbe mai la drammaticità del primo incontro e non avrebbe mai quel risultato. Vederlo con questi giovani sarebbe invece uno spettacolo nuovo.

Anche perché lo scorso anno c'era un clima diverso. Berlusconi era percepito come il pericolo pubblico numero uno...
Allora stavamo raccontando una stagione di grandissimi cambiamenti. Per questo i cosiddetti talk andavano in controtendenza: con la tv che andava straordinariamente male e loro che andavano straordinariamente bene. Tanto che, con Servizio Pubblico, La7 in quella fascia era costantemente la seconda rete italiana. Batteva sempre Canale 5.

BEPPE GRILLO E MARCO TRAVAGLIO - Copyright Pizzi

Non che poi quest'anno le cose siano andate male. Anche se non lo dice nessuno, infatti, in quella fascia La7 ora è terza, noi abbiamo fatto in media il 9.3% di share. In ogni caso, l'ascolto della puntata con Berlusconi è un fenomeno megagalattico. Ha fatto esplodere la Rete a percentuali che nessuno credeva pensabili.

SANTORO E BERLU To Pol x

Restano però le critiche che conosci. Rifaresti tutto alla stessa maniera? Non pensi che il fuoco di fila delle domande sia stato troppo leggero? O che non includere Marco Travaglio tra gli intervistatori sia stato un errore?
Ma, sai, se vogliamo esseri freddi nell'analisi dobbiamo depurare la valutazione dal dibattito politico. La curva di ascolto lì cresce dall'inizio alla fine. Per me che faccio televisione vuol dire che è stato un programma avvincente dall'inizio alla fine. Bisogna respingere il vizio italiano di chiedersi se il programma è servito a Berlusconi o a Bersani.

La scaletta, la costruzione, i protagonisti sono stati assolutamente azzeccati. Poi, semmai, se devo rimproverarmi qualcosa è di non essere intervenuto in quel famoso momento nel quale Berlusconi si è messo nei panni di Marco, con una trovata spettacolarmente mediocre, che è diventata abnorme per il semplice fatto che Marco ha scelto di non reagire.

SANTORO BERLU

Non pensi però che la crisi dei talk di quest'anno sia causata non solo dal fatto che sono troppi e tutti simili, ma anche da una crisi di noi giornalisti? Agli occhi di molti, non solo Santoro, ma anche Gomez, sono Casta...
C'è un principio che sta passando, come dice Fedez il rapper: prima io mi informavo attraverso i contenitori di politica, oggi io penso di fare direttamente da me. Non riconosco più il ruolo di mediazione che avevano la Gabanelli, Santoro, Floris o Vespa. È una sorta di rivolta nel consumo dell'informazione, che riguarda anche la carta stampata.

grillo travaglio abbraccio lap

Si è creata una gigantesca piazza Tahrir, una rivolta verso tutto ciò che è istituzionale e dentro questa gigantesca piazza in subbuglio non c'è spazio benevolo chi è portatore di una mediazione sia istituzionale sia informativa. Perché quelli che fanno informazione sono vissuti, tu dici come Casta, io dico come istituzione.

Grillo interpreta questo clima?
Non possiamo continuare a pensare che Grillo sia una specie di Masaniello che urla per dire qualunque sciocchezza. Dobbiamo valutarlo per quello che è: un leader politico, che deve avere una visione. Non si può limitare a raccogliere dalla Rete sensazioni, emozioni e poi restituirle alla Rete. Mi preoccupa questo posizionamento di Grillo e Casaleggio rispetto alla realtà italiana. I Di Battista cresceranno, il M5S raggiungerà il 51%, la storia finirà bene perché loro diventeranno più liberali e prenderanno in mano le sorti del Paese e finalmente diventeremo una vera democrazia.

berlusconi, santoroberlusconi, santoro

E se questo non accadesse?
La trasformazione di una parte del web in una sorta di curva Nord o curva Sud della politica italiana può avere degli effetti pericolosi.

E quindi in futuro programmi di Santoro come si posizioneranno?
Qui viene il problema del rapporto tra me e Marco Travaglio. Un rapporto di grandissima amicizia prima di tutto, di stima smisurata sotto il profilo professionale. Ma il vero punto è cosa dobbiamo fare? Agire per il crollo del sistema o per la rigenerazione? Non possiamo sposare quello che fa Renzi, ma neanche quello che fa Grillo. No, non dico che Marco abbia perso la sua indipendenza. Sarebbe una banalizzazione.

berlusconi, santoro

Penso semplicemente che Marco sia portato a vedere tutto quello che sta fuori da questa piazza Tahrir come un elemento che non contenga tanti spunti positivi. La sua è una visione pessimistica sul mondo politico organizzato. Lui è come se pensasse che non è che si può stare in mezzo, bisogna stare dentro quella piazza. Però stando dentro piazza Tahrir il rischio è il fondamentalismo al governo.

berlusconi santoro

È una differenza di analisi, non è una cosa banale che contrappone Santoro e Travaglio. Nel momento in cui, quando andremo a disegnare un nuovo programma, questa differenza di valutazione di approccio è giusto che venga fuori si confronti, insieme tracciamo la strada di come deve essere fatto un programma diverso da quello che stiamo facendo tutti e due.

BERLUSCONI SPOLVERA LA SEDIA SU CUI ERA SEDUTO TRAVAGLIO

Marco quindi se ha voglia parteciperà al tuo programma il prossimo anno?
È possibilissimo, ma potrebbe anche essere possibile per esempio che avendo io delle carte in mano da giocare, diverse da quelle del programma, perché non pensare che ci possa essere un programma di Marco. Magari con il mio aiuto. Perché queste differenze non le facciamo diventare un elemento di ricchezza, invece di farle diventare un elemento di contrapposizione?

 

BERLUSCONI BAU-BAU – L’AMICO DI DUDU’ ABBAIA: 'M5S ORMAI È UNA SETTA, GRILLO ANTIDEMOCRATICO'

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1. BERLUSCONI BAU-BAU
Ivan Rota e Alberto Dandolo per Dagospia

BERLUSCONI E BRAMBILLA

Cani di tutti i tipi, di tutte le razze nel Chiostro dei Glicini della Società Umanitaria, hanno accolto Silvio, l'amico degli animali. Unico neo della festa organizzata da Michela Vittoria (a volte) Brambilla, responsabile Dipartimento Amici degli animali di Forza Italia: è stata la festa di Dudù senza Dudù, rimasto (non si sa perchè, forse aveva il mal di pancia) a casa con la sua padroncina Francesca Pascale. Si aggirava anche Mario, un cane vero e proprio maniaco sessuale, che cercava di zomparsi tutti i suoi simili, ma, si sa, è la stagione degli amori.

BERLUSCONI E BRAMBILLA

Il quadrupede più fotografato? Yaris, dotato di coccarda di "Forza Italia", in braccio a Daniela Javarone: un nuovo concorrente per Dudù. Alla domanda: "Ma se il suo cane fosse di sinistra?", la signora risponde: "Chiedetelo a lui!" Inoltre Raffaella Curiel con il suo amato Ludwig. E ancora Milena Castriota, proprietaria di una boutique dove si recava spesso la Brambilla, con il suo Pussy.

BERLUSCONI E BRAMBILLA

In ogni caso un'idea vincente: gli animali so' pezzi o' core: buffet per animali e, separato, per i loro padroni. Berlusconi ha annunciato, tra i punti del programma della campagna elettorale, di voler trovare persone disposte ad adottare centocinquantamila prigionieri dei canili. Il cavaliere non si poteva proprio fermare: logorroico in mezzo a una selva di televisioni e di fotografi. A sostenere l'iniziativa anche Giovanni Toti, Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta.

2. BERLUSCONI: 'M5S ORMAI È UNA SETTA, GRILLO ANTIDEMOCRATICO'
Ansa.it

Ormai il M5S è ''diventato una setta'', con il suo leader ''il signor Grillo che minaccia, sbraita , urla e non tollera nessuna democrazia interna''. Lo ha detto il leader di Fi Silvio Berlusconi che in un intervento elettorale a Milano è tornato ad accostare i discorsi di Grillo con quelli di Hitler.

BERLUSCONI E BRAMBILLA

L'ex premier è arrivato alla manifestazione con i proprietari di cani e i loro animali, organizzata da Michela Vittoria Brambilla, senza il suo cane Dudù, ma l'ha citato subito dal podio: ''Lo conoscono anche in America''. E poi, ha aggiunto, ''ho avuto anche notizia che stanno facendo cibi e vestitini targati Dudù, peccato che non ho pensato di andare a depositare il marchio...''.

BERLUSCONI

"La sinistra si presenta con il volto nuovo di Matteo Renzi - ha detto Berlusconi - ma Renzi deve sempre fare i conti con la vecchia sinistra in Parlamento e nei sindacati". "La situazione oggi è peggiore che nel '94 quando scesi in campo, perché c'è sempre il pericolo di una sinistra che nel 90% delle sue persone non ha rinnegato la storia e la radice ideologica comunista".

BERLUSCONI E BRAMBILLA

"Io ne sono qualcosa, in Italia ci sono milioni di vittime della giustizia: abbiamo fatto un sondaggio, se ci fosse un partito col nome "Vittime della giustizia" varrebbe tra il 18 e il 21%". Lo ha detto Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia ha invitato i sostenitori in vista del voto "a rintracciare chi è stati maltrattato da una giustizia non giusta e con norme non democratiche".

BERLUSCONI

Tutti fattori, uniti alla crisi economica, che hanno fatto dire a Berlusconi che bisogna "prendere atto che siamo in un momento pericoloso e dobbiamo far capire ai moderati che non possono più restare indifferenti o a guardare dalla finestra, ma devono prendersi la responsabilità del loro destino e del nostro comune destino".

 

MICHELLE OBAMA HA OCCUPATO LO SPAZIO RISERVATO AL DISCORSO DEL SABATO DEL PRESIDENTE PER LE RAGAZZE RAPITE IN NIGERIA

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Paolo Mastrolilli per "la Stampa"

Michelle Obama per la campagna Ridateci le nostre ragazze

«In queste ragazze, Barack e io vediamo le nostre figlie. Vediamo le loro speranze, i loro sogni, e possiamo solo immaginare l'angoscia che i genitori provano in questo momento».

È diventato un fatto personale, per Michelle Obama, il rapimento delle 276 ragazze nigeriane che il gruppo terroristico Boko Haram vuole vendere come schiave. Oltre la polemica politica. Come quando suo marito, commentando l'omicidio del giovane nero Taryvon Martin, aveva detto che «poteva essere il figlio che io non ho avuto». Barack e Michelle invece hanno due figlie e pensano che se fossero cresciute in Nigeria, quella notte potevano stare nel dormitorio della scuola da cui sono state strappate.

Il presidente così ha lasciato l'abituale discorso radiofonico del sabato alla moglie, che in audio e video si è rivolta agli americani e al mondo, per lanciare il suo appello in questa festa della mamma resa tragica. «Come milioni di persone in tutto il globo, mio marito e io siamo oltraggiati e straziati dal rapimento.

Malala Yousafzai sostiene quelle che chiama le sue sorelle

Questo attacco inconcepibile è stato commesso da un gruppo terroristico determinato a impedire che le ragazze ricevessero un'istruzione. Uomini adulti che cercano di spegnere le aspirazioni di giovani ragazze. Voglio che sappiate che Barack ha indirizzato il nostro governo a fare tutto il possibile per sostenere quello nigeriano nello sforzo di riportarle a casa». Sono state divise in gruppi, secondo l'intelligence Usa, ma sarebbero ancora nel Paese.

Secondo Michelle, però, il problema è assai più ampio: «È una storia che vediamo ogni giorno, con ragazze in tutto il mondo che rischiano la vita per realizzare le proprie ambizioni». Come Malala in Pakistan, sopravvissuta all'aggressione dei taleban e diventata un esempio di fermezza per tutti. Come queste stesse ragazze nigeriane, che avevano continuato ad andare a scuola, nonostante avessero già ricevuto minacce.

Leona Lewis Bring Back Our Girls

Averle perse dovrebbe far riflettere tutti, anche in America, sul valore dell'istruzione che spesso diamo per scontata. Ritrovarle invece è indispensabile, per ridare ai genitori e alle ragazze di tutto il mondo la serenità e la determinazione per continuare a mandarle a scuola.

L'intervento della First Lady ha dato un aspetto umano a questa tragedia, che in America era diventata l'occasione di polemiche politiche per la reazione timida del governo. Washington ha mandato otto agenti in Nigeria per aiutare le ricerche, anche per i timori dei contraccolpi che un intervento più deciso potrebbe provocare, ma ci sono parlamentari che chiedono di inviare le forze speciali per liberare le ragazze.

 

Abubakar Shekau leader di Boko Haram

 

Alex Chung Bring Back Our Girls

UNA DELLE VITTIME DEL “MANIACO DELLE PROSTITUTE”: “VITI HA SEVIZIATO ANCHE ME E MI DICEVA DI AVERE TANTO POTERE"

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Fabio Poletti per "la Stampa"

RICCARDO VITI

Alle Cascine la vita è tornata quella di sempre. Le prostitute si vendono di giorno e di notte. I clienti fanno la fila per comperare un'illusione a basso costo. La paura di Riccardo Viti, l'uomo «gentile» con il Doblò bianco che seviziava e almeno una volta ha ucciso, sembra passata per sempre. Per sempre ma non per tutte.

Marta I., 50 anni, romena, dieci figli, tracagnotta, un nido di capelli neri e il vestito bianco sporco e le infradito verdi, su questo stradone alberato che attraversa il parco, da tre anni ci viene controvoglia. Da quando anche lei è salita sull'auto con quell'uomo «gentile». Per incontrarla bisogna andare fino alla villa fatiscente di via Olmatello, quasi all'aeroporto, dove abitano intere famiglie romene tra un nugolo di bambini.

DONNA CROCIFISSA POLIZIA A LAVORO

Signora Marta, ha visto che l'hanno finalmente preso quell'uomo?
«Sono contenta che abbiano preso quel bastardo. Ma io ho ancora paura. Me lo sogno anche di notte. Il pomeriggio che l'hanno arrestato è passata un'auto nera con uno uguale a lui. Forse suo fratello, un cugino...».

Ma no, quell'uomo, l'idraulico agiva sempre da solo...
«Non lo so questo. Qui passano le auto con gli italiani che ci gridano: "Puttane, vi spariamo...". Tornerei in Romania se potessi, ma chi mi dà i soldi? Io facevo la badante una volta, sempre in nero... Sono sette anni che sono qui. A casa ho dieci figli. Una si sposa tra poco. Dovrei regalarle un'automobile ma come faccio..».

DONNA CROCIFISSA LUOGO DEL DELITTO

Il suo ricordo di quella notte è stato tra i più decisivi per arrivare a identificare quell'uomo.
«Mi ricordo che era ottobre o novembre, faceva tanto freddo. Mi dava 30 euro se andavo con lui. All'inizio sembrava normale. Quando siamo arrivati in quella strada gli ho detto di andare a sinistra e lui invece è andato a destra. Ho iniziato ad avere paura. Mi ha fatto spogliare. Mi ha legata con lo scotch. Quando mi sono messa a urlare è scappato. Io sono riuscita a liberarmi e sono finita in ospedale, perdevo tanto sangue...».

DONNA CROCIFISSA LUOGO DEL DELITTO

Il suo ricordo è stato tra i più dettagliati.
«Alla polizia ho detto che aveva i capelli bianchi, gli occhi chiari. Ricordo che non era giovane. Ma allora usava un'altra auto, sempre una che sembrava un furgone. Gli agenti mi hanno messo in bocca il cotone per prendere la saliva e farmi il dna mi hanno detto. Adesso spero che non lo facciano uscire presto di prigione quel bastardo, ma non ci credo tanto».

Perché?
«Quando gridavo mi diceva che lui era un uomo importante che aveva tanto potere. Le mie amiche mi hanno detto che era un giudice».

Solo un giudice sportivo, agli incontri di karate. Faceva l'idraulico. Adesso non potrà fare più male a nessuno. Purtroppo non lo hanno fermato in tempo prima che uccidesse Andrea Cristina, la sua ultima vittima...
«Povera ragazza. La conoscevo bene. Quando è arrivata ero andata a prenderla io alla stazione. Era così bella quando stava qui con me. Poi se ne è andata e si è sposata con quell'uomo che l'ha rovinata».

DONNA CROCIFISSA LA SBARRA

Ma dopo quella volta lei non lo ha più visto?
«Io no ma le mia amiche mi dicevano che ogni tanto tornava a volte con macchine diverse. Nessuna però aveva pensato a prendere la sua targa. Tra di noi parlavamo di tutti i tipi strani che incontriamo ma lui mi faceva proprio paura. Ci penso ancora. Ma da quel giorno io non avevo saputo più niente. Da quella volta che ho fatto la denuncia ho un avvocato. Ma nemmeno lei mi ha detto più niente. Meno male che lo hanno preso quel bastardo. Ma tu cosa dici, posso chiedergli almeno dei soldi per quello che mi ha fatto passare?».

 

 

L'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZEL'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZEL'ARRESTO DI RICCARDO VITI - MANIACO DELLE PROSTITUTE A FIRENZE

SCHULZ: “GRILLO È SOLTANTO VENTO, MI RICORDA STALIN. O CHÁVEZ. E COME ATTORE NON VALE BERLUSCONI”

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Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"

Martin Schulz, in tutto il mondo si reagisce alla crisi con una politica di espansione e di investimenti. L'Europa ha scelto l'austerità. Non è un errore?
«Certo che lo è. Agire solo sul versante dei tagli è folle e sbagliato. Dobbiamo far crescere i redditi e i consumi. La disciplina di bilancio e gli investimenti strategici sono le due facce della stessa medaglia».

schulz martin official portrait

Lei ha le sue responsabilità. E' presidente del Parlamento europeo. Candidato alla guida della Commissione. Ed è un leader politico tedesco. L'austerità è la linea tedesca.
«Non è così. In questi anni la Germania è stata in buona compagnia: Austria, Paesi bassi, il mondo scandinavo...».

Ma a comandare è la Merkel. Non è troppo potente?
«Mi viene mente Lineker, quando diceva: "Il calcio è uno sport che si gioca in undici contro undici e alla fine vince la Germania". Purtroppo, non è vero; come ben sapete voi italiani. La Merkel è senz'altro una donna forte. Ma a Berlino non governa più da sola. Da quando i socialdemocratici fanno parte della maggioranza, la politica tedesca è oggettivamente cambiata».

Voi dell'Spd avete ottenuto qualcosa sul piano interno, ad esempio sul salario minimo. Non sulla politica europea.
«Non è così. Pensi all'unione bancaria. Pensi alla tassa sulle transazioni finanziarie. Ma già il secondo salvataggio della Grecia passò con i voti dell'Spd. Abbiamo stabilito il principio per cui il rispetto dei parametri di Maastricht non può prevalere sui diritti sociali: una conquista fondamentale, che farà valere i suoi effetti nel tempo. E Sigmar Gabriel, il nostro leader, ha detto chiaramente a Wolfgang Schäuble che il ministro delle Finanze da solo non può fare la politica della Repubblica federale tedesca».

beppe grillo a genova

Riuscirete anche a rompere il tabù del 3% sul rapporto deficit-Pil?
«Il 3% va rispettato. Ma per calcolarlo bisogna distinguere il debito dello Stato dalle spese per l'emergenza e dagli investimenti per il futuro. Ad esempio, i fondi spesi in via eccezionale per far fronte alla crisi bancaria non devono essere computati nel calcolo del 3%. Lo stesso vale per gli investimenti produttivi».

GIANROBERTO CASALEGGIO E BEPPE GRILLO FOTO LAPRESSE

In un'intervista a «Le Monde», lei si è detto favorevole ad accordare un anno di tempo in più a Francia e Italia per mantenere gli impegni di bilancio. Conferma?
«Prendo atto che sia la Francia sia l'Italia hanno detto di non aver bisogno di rinvii. Ma non è importante il tempo in cui si consegue la stabilità; è importante la stabilità».

Di questo passo, a vincere le Europee saranno le forze anti-europee. Sarà una catastrofe? O potrebbe essere uno choc salutare, come sostiene Prodi?
«Forse Romano ha bisogno di uno choc. Io sono choccato già ora. Ma non dall'ascesa degli estremisti, che considero un allarme esagerato; dai 27 milioni di disoccupati, dai giovani senza lavoro, che sono il terreno fertile su cui gli estremisti seminano. Oggi gli anti-europei hanno 90 seggi a Bruxelles. Potranno averne 20 o 25 in più; ma non avranno alcun impatto sulla direzione dell'Europa. Cosa cambierà se Marine Le Pen avrà 8 o 10 o 12 seggi?».

MARINE LE PEN b c ee afccb d c ffd

Resta il fatto che la crisi sociale dovrebbe rafforzare la sinistra. Invece non accade. Perché?
«Sono convinto che la sinistra sarà il primo gruppo al Parlamento europeo. Le do ragione però sul fatto che non c'è lo spostamento a sinistra che vorremmo. Dobbiamo mobilitare il nostro elettorato tradizionale, che è tentato dall'astensionismo e dal populismo».

Come giudica Grillo?
«Grillo è vento. Come si fa a giudicare il vento? Non vedo la sostanza. Berlusconi ha una sostanza politica, su cui posso dare un giudizio. Grillo minaccia ammende ed espulsioni per i deputati che non votano come dice lui. L'ultimo a dire una cosa del genere è stato Stalin. O forse Hugo Chávez. Se l'avesse detto in Germania, avrebbe dovuto temere l'intervento della magistratura. La libertà di mandato dei parlamentari è uno dei fondamenti della democrazia. Mi verrebbe da dire che Grillo è espressione di un totalitarismo moderno...».

SILVIO BERLUSCONI TRA LE STELLE EUROPEE jpeg

Addirittura?
«Diciamo che si sente in Grillo una tendenza autoritaria. In Spagna si direbbe caudillismo».

Renzi?
«Coraggioso e combattivo. Vincerà le Europee».

Cos'è successo tra lei e Berlusconi? Sono dieci anni che vi beccate.
«Berlusconi è un fenomeno. Condannato al carcere, se la cava con quattro ore alla settimana di volontariato. Come attore, Grillo non vale Berlusconi».

la stretta di mano Berlusconi Merkel al Consiglio Europeo

Berlusconi ha vinto tre volte le elezioni.
«Ma ha fallito. Ha lasciato l'Italia con più debito e più disoccupazione».

Molti italiani, non solo tra i berlusconiani, pensano che la Germania abbia raggiunto con la pace lo scopo che aveva fallito con due guerre mondiali: imporre la sua egemonia in Europa.
«Questo è falso. La grande maggioranza dei tedeschi vuole "una Germania europea, non un'Europa germanizzata", secondo la formula di Thomas Mann. Su 700 miliardi di euro messi per stabilizzare le finanze europee, 400 miliardi vengono o sono garantiti dalla Germania. Non si può dire che i tedeschi non siano solidali. Eppure, su questo le do ragione, restiamo impopolari. Dobbiamo stare attenti a presentare i nostri aiuti all'Europa non come carità ai più poveri, ma come un'azione che rientra nell'interesse di un Paese il cui Pil è legato per il 35% all'export: la stabilità dei nostri vicini è la nostra».

Lei è favorevole agli eurobond?
«Sì. Ma per gli eurobond ci vuole l'unanimità. Oggi non ci sono le condizioni. E' bastato però che Draghi si dichiarasse pronto a intervenire comprando i buoni del tesoro dei vari Stati europei, per far diminuire i tassi. Dobbiamo appoggiare tutto quel che va verso la garanzia europea dei debiti sovrani dei singoli Stati».

DRAGHI AL SUPERMERCATO

Draghi le piace?
«Draghi ha salvato l'Europa».

L'euro è troppo forte?
«E' eccezionalmente forte. Capisco le preoccupazioni dei Paesi esportatori. Ma la materia è di competenza della Banca centrale europea. Rispetto la sua autonomia».

Tsipras come lo trova?
«Mi pare si stia socialdemocratizzando».

C'è un pericolo Mosca per l'Europa?
«No. Mosca deve capire che un Paese con potere di veto all'Onu non può violare il diritto internazionale; e la Crimea rappresenta un vulnus. Ma, come dice Obama, dobbiamo tenere un canale negoziale aperto, alla ricerca di un terreno comune. Sono convinto che tra la Russia e l'Unione europea ci sia un terreno comune».

Non prova imbarazzo nel vedere Schröder che abbraccia Putin e lavora per Gazprom?
«Non condivido tutto quello che fa Gerhard Schröder. Però, come ha riconosciuto lo stesso Putin, il nostro ex cancelliere ha fatto pressione perché i tedeschi ostaggio dei filo-russi fossero liberati. Il che è avvenuto».

TSIPRAS

Il suo ultimo libro, pubblicato in Italia da Fazi, si intitola «Il gigante incatenato». Vedremo mai una vera unione politica europea, magari senza il Regno Unito?
«Proprio Cameron faceva notare che nel 2040 nessun Paese europeo sarà nel G8. La stessa Germania sarà soltanto la nona economia al mondo. L'unione politica degli Stati sovrani europei non è solo un sogno; è una necessità».

 


NELL’INCHIESTA SU EXPO 2015, VIENE FUORI CHE TRA I CONTATTI SPECIALI DI GIANSTEFANO FRIGERIO C’È IL CARDINAL VERSALDI

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Paolo Rodari per "la Repubblica"

CARDINALE GIUSEPPE VERSALDI jpeg

«Non dobbiamo mai abbassare la guardia. La corruzione fa parte del male che c'è nel mondo». Sono parole del cardinale Pietro Parolin, segretario di stato vaticano, che a margine della sua visita di ieri al Salone del libro di Torino ha commentato l'inchiesta Expo 2015. Secondo Parolin questi venti anni passati da Tangentopoli non sono trascorsi invano: «Sono serviti», ha detto.

«C'è stato un impegno che è entrato nelle coscienze». D'altra parte, «finché esiste il mondo il male continua ad avere i suoi effetti. Questo non è per giustificarlo, ma per dire che la corruzione è una realtà umana e non dobbiamo abbassare la guardia. Questo il messaggio che ci deve arrivare da questa vicenda».

Parolin non ha fatto nessun accenno alle intercettazioni agli atti secondo le quali, fra gli amici importanti rivendicati da Gianstefano Frigerio, c'è anche il cardinale Giuseppe Versaldi. Parlando col manager Stefano Cetti, Frigerio afferma: «Il terzo canale è il mondo del Vaticano, dove noi abbiamo amici il ministro delle finanze che è il cardinale Versaldi».

CARDINALE GIUSEPPE VERSALDI jpeg

E ancora: «È proprio un mio amico il cardinale, è una persona seria... uno di Alessandria... ma poi un uomo di quelli di una volta». Parolin, piuttosto, ha fatto propria una critica che più volte Papa Francesco ha rivolto ai mezzi d'informazione: «Le immagini e la comunicazione veicolate con l'unico scopo di indurre al consumo o manipolare le persone per approfittarsi di esse rappresentano un vero assalto, un golpe».

E ha così ha fatto proprio un profilo prudente. Anche perché, dicono oltre il Tevere in merito a Versaldi, un'intercettazione telefonica non fonda nessuna colpa. E, infatti, ecco ancora Parolin smentire le voci che vogliono una rinuncia del Vaticano a partecipare all'Expo: «Credo che il nostro impegno - ha detto - continuerà, anche perché il tema dell'alimentazione ci interessa e ci riguarda direttamente. Ed è un tema che sta molto a cuore anche al Papa».

GIANSTEFANO FRIGERIO

Versaldi è oggi alla guida di un «ministero» con sempre minor campo d'azione. È presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede - è l'ufficio che si occupa della sorveglianza delle amministrazioni che dipendono dal Vaticano -, la cui attività potrebbe essere assorbita da altri soggetti, stante la riforma economica voluta da Francesco che ha portato alla creazione di un Segretariato per l'economia.

CANTIERE EXPO MILANO

Versaldi venne creato cardinale nel penultimo concistoro guidato da Ratzinger (18 febbraio 2012), che portò alla berretta, non senza qualche perplessità, molti italiani. Arrivato in Vaticano già nel 2011, divenne subito, assieme al manager Giuseppe Profiti, presidente del Bambin Gesù (riconfermato dalla Santa Sede nel proprio ruolo nel marzo scorso per altri tre anni), una delle personalità più ascoltate in materia finanziaria. Fu
nell'era Ratzinger che il Vaticano aprì, su impulso della segreteria di Stato, un canale privilegiato in Italia con il centro destra.

Francesco non gradisce alcun interventismo della Chiesa in politica: offre alle istituzioni un'alleanza sulle emergenze sociali, ma non accetta che i porporati diano patenti di cattolicità ai politici. È un cambio di linea totale rispetto agli anni recenti. Per questo le parole di Frigerio che vantano amicizia con Versaldi sanno di un mondo che non ha più diritto d'esistenza.

Ma non c'è soltanto il Vaticano a doversi adeguare. C'è anche la Conferenza episcopale. L'ultimo segnale è del segretario della Cei don Nunzio Galantino: «Spero di non essere costretto ad assistere al mortificante spettacolo di vecchi e sospetti collateralismi con candidati - ha detto recentemente - vedere un vescovo o un sacerdote impegnarsi nell'orientare il voto, ipotizza una sola cosa: l'interesse personale o la ricerca di favoritismi».

CANTIERE EXPO MILANO

Certo, il cammino che il Papa ha chiesto d'intraprendere non è semplice. Lo ha confermato il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, capo del C8 che collabora con Francesco nel governo della Chiesa: «Francesco sta cercando di costruire un nuovo modo di essere Chiesa ma il suo cammino sta incontrando difficoltà nella curia romana ».

 

SULLA CARTA IL CONTRATTO CON LA JUVENTUS SCADE NEL 2015 MA DOPO TRE SCUDETTI DI FILA, CONTE HA ANCORA STIMOLI PER RESTAR

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Massimiliano Nerozzi per "la Stampa"

I GIOCATORI DELLA JUVE FESTEGGIANO ANTONIO CONTE DOPO LO SCUDETTO

Se è il viaggio che conta, più della destinazione, non è mai stato vero come stavolta: Roma-Juve del tardo pomeriggio è la meta, dove ci si gioca onore e record ma non la classifica; mentre tra voli e hotel, ovvero chiacchiere, magari balla un pezzo di futuro. Di Antonio Conte e, va da sè, della Juve. Sull'aereo che ieri pomeriggio portava i bianconeri nella capitale, c'era infatti anche il presidente Andrea Agnelli, che nelle trasferte non è presenza di serie.

Ormai l'incontro decisivo, che magari verrà, ma a cose fatte, s'è diluito nei giorni: Agnelli è andato diverse volte a vedersi gli allenamenti a Vinovo, compresa l'ultima settimana, e l'allenatore abita a pochi passi dalla sede, dove capita spesso. Una decisione, però, ancora non c'è. Il che comincia a preoccupare la società: perché Conte è uno dei migliori allenatori del mondo (copyright Beppe Marotta, ad); e per il motivo che senza certezze sul tecnico non puoi averne sulla squadra. Agnelli ha detto che «la Juve sta già lavorando per la prossima stagione», ma prima bisognerebbe essere sicuri su chi la piloterà dalla panchina.

antonio conte foto mezzelani gmt

Sulla carta, quella del contratto, l'allenatore ci sarebbe: Conte, almeno fino al giugno 2015. Anche se come disse uno che da queste parti non amò la fuga di Fabio Capello, gli accordi sono fatti per essere stracciati. Conte non è ancora di questo avviso, ma continua ad avere un dubbio persistente: fermarsi qui, con la Juve. Detto che sarà pure stremato da tre stagioni a tutto gas, un addio del genere non si decide solo per stanchezza.

Ci sono altre perplessità, su cose fondamentali: dall'aspettativa di risultati, in rapporto alle potenzialità è ovvio, alla forza della società di ristrutturare la squadra. Questi sono i punti in ballo, non la volontà del club che è di tenersi Conte. Dopo di che, ci si può anche mettere l'ambizione legittima di un tecnico che non ha mai nascosto il desiderio di voler ampliare gli orizzonti.

ANTONIO CONTE INCAZZATO IN JUVENTUS GENOA

Competitivo e talentuoso com'è, a fine carriera non vorrebbe essere deluso dalle cose che non ha fatto: e allora è diventato un pensiero allontanarsi dal porto sicuro, l'Italia, la Juve, per esplorare, scoprire, sognare altrove. Ma servono anche approdi e al momento non se ne vedono migliori di dov'è ora. Poteva esserlo il Monaco, almeno per capacità di spesa, ma nel Principato paiono aver messo gli occhi su Jorge Jesus, tecnico del Benfica: per dire quanto possa contare la vetrina europea, Champions o Europa League che sia.

testata zidane materazzi reuters

Per gli approdi, vale anche l'opposto: cioè, basta la sola ipotesi che possa liberarsi la panchina bianconera, e si aprono le iscrizioni al bingo. Ieri l'ultimo nome, dalla Spagna, è stato quello di Zinedine Zidane: che sarebbe un colpo mediatico planetario (e juventino), ma ha il non trascurabile difetto di non aver mai allenato. Così, con Klopp fuori mercato (e sarebbe la prima scelta), nell'urna restano i soliti: da Mancini a Spalletti e Allegri. Nessuno si sbilancia, compreso Angelo Alessio, il vice: «Sul futuro non posso rispondere».

Mauro Sandreani, il collaboratore tecnico di più lunga esperienza, ne traccia invece un identikit: «Se le doti di un grande allenatore sono motivazione, preparazione tattica, cura dei dettagli, gestione dell'organico e dello staff, la voglia di migliorarsi, ecco, Antonio le ha tutte». E magari sarebbe un peccato farle andare altrove.

 

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DELL'UTRI: "“SE MI ESTRADANO, VOGLIO ANDARE AI SERVIZI SOCIALI COME BERLUSCONI. MI DICHIARO PRIGIONIERO POLITICO"

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Francesco Viviano per "la Repubblica"

marco e marcello dellutri

Se mi estradano? Vorrei essere affidato ai servizi sociali, come il Presidente Silvio Berlusconi». Sdraiato sul lettino dell'ospedale Al Hayat a sud di Beirut dove si trova agli arresti dal 12 aprile scorso, l'ex senatore Marcello Dell'Utri è sorpreso della visita inaspettata e non annunciata del giornalista di Repubblica.

Marcello Dell'Utri nella stanza di ospedale a Beirut che si affaccia sulla soglia della sua stanza, la 410, al quarto piano del reparto riservato ai detenuti. È sorvegliato da tre militari, uno con la pistola in pugno e il dito sul grilletto e gli altri con i mitra che lo sorvegliano 24 ore su 24: stazionano nel salottino con un divano e due poltrone che comunica con la sua stanza con la porta sempre aperta.

Chiediamo al capo della pattuglia se è possibile "salutare" quel malato "speciale", i militari sembrano stupiti e quando gli mostriamo il passaporto con la data di nascita di Palermo, stessa città dov'è nato Dell'Utri, poi si tranquillizzano e chiedono: "Marcello (così lo chiama il militare che evidentemente ha ormai familiarizzato con il detenuto "eccellente", ndr) c'è qui un signore che dice di conoscerti, possiamo farlo entrare?". L'ex senatore alza la testa dal cuscino del suo lettino, guarda l'intruso e risponde: «Ah è sempre lei, è la seconda volta che riesce ad entrare, ma non l'avevano arrestato?».

DELL UTRI DELLUTRI CON L AVVOCATO MASSIMO KROGH

Così ci troviamo faccia a faccia in questa piccola stanza d'ospedale, alle pareti due quadri che descrivono paesaggi di mare («Li ho fatti io durante la detenzione», dice lui sorridendo), un comodino alla destra del letto dove sono appoggiati libri (I Promessi Sposi, La Divina Commedia e un volume su Canova") e il giornale libanese in lingua francese, L'Orient Le Jour.

trova dell utri

Fa caldo qui dentro e Dell'Utri indossa una t-shirt bianca sopra i calzoncini neri. Il lenzuolo è arrotolato ai piedi del letto. «Questo si che è un giornale serio, non come quelli italiani che scrivono "minchiate"», dice prendendo il mano il quotidiano libanese.

Allora, per evitare di scrivere "minchiate" come le chiama lei, perché non ci dice quello che è veramente successo? Perché è venuto qui in Libano poco prima della prevista sentenza della Cassazione che l'ha condannato a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa? Qual è la sua verità? Voleva sfuggire alla giustizia italiana? Dell'Utri - con accanto la figlia più piccola, Margherita che gli stringe la mano confortandolo - abbassa il volume della televisione che sta trasmettendo incontri di calcio dei Paesi arabi, e risponde.

DELLUTRI E BERLU images

«Io sono un prigioniero politico perché quella di venerdì è stata una "sentenza politica", una sentenza già scritta di un processo che mi ha perseguitato per oltre 20 anni soltanto perché ho fatto assumere Vittorio Mangano come stalliere nella villa di Arcore del Presidente Silvio Berlusconi. Una persona per me davvero speciale anche se aveva dei precedenti penali: per me Mangano era un amico e basta».

Sarà una "sentenza politica" ma tre processi e il giudizio della Cassazione, dicono il contrario. E poi, perché è andato via dall'Italia ed è venuto in Libano alcuni giorni prima della prevista sentenza di Cassazione?
«Ero un libero cittadino, avevo un regolare passaporto e potevo andare dove volevo. Ho scelto il Libano perché qui ci sono medici bravissimi. E sono partito in compagnia di mio figlio Marco. Non sono fuggito, come avete scritto».

Berlusconi DellUtri Mangano

Ma perché proprio pochi giorni prima della sentenza? Questa coincidenza, secondo gli inquirenti italiani, è molto "sospetta". Dicono che lei qui ha amici "importanti", politici, imprenditori, conoscenze influenti che potrebbero aiutarla a rimanere in Libano...
«Ma quali aiuti, sono venuto qui senza nascondermi e da quando sono a Beirut ho sempre usato il mio cellulare che probabilmente poteva essere intercettato. Io sono partito con il mio nome e cognome, non ho usato altri mezzi».

berlu dellutri

Quindi sono tutte favole quelle che si dicono, che lei è "intimo" amico dell'ex presidente del Libano, Amin Gemayel, dell'imprenditore calabrese che vive qui, Vincenzo Speziali, quello che voleva aiutare anche l'ex deputato del suo stesso partito, Matacena a raggiungere Beirut?
«Guardi, io so chi è Gemayel, certo che lo conosco, ma non l'ho mai incontrato durante la mia permanenza in Libano. Non c'era motivo: non ho avuto alcuna "protezione", né "assistenza", sono venuto qui da solo e basta».

PRIMI ANNI BERLUSCONI MARCELLO DELLUTRI E MIRANDA RATTI A MILANO jpeg

E Vincenzo Speziali, la persona che è indagata nel caso Matacena? Neanche lui conosce? non lo ha aiutato a trasferirsi in Libano? Gli investigatori italiani hanno rilevato dai tabulati telefonici suoi e di Speziale, che vi siete sentiti numerose volte, prima e dopo il suo viaggio in Libano? Sono "minchiate", come le chiama lei, anche queste?
«Vincenzo Speziali? Il nipote omonimo del mio ex collega di partito? Certo che lo conosco, l'ho incontrato diverse volte perché voleva candidarsi nel Pdl e quindi l'ho incontrato, ma è ormai da tempo che non lo vedo e non lo sento. Non so da dove spuntino questi tabulati».

BERLU DELLUTRI

I suoi avvocati italiani e libanesi si appelleranno alla Corte di Giustizia Europea contro questa sentenza e faranno di tutto, hanno detto, per non farla estradare in Italia.
«Guardi io sono qui in ospedale e le posso assicurare che, come si dice a Palermo, "meglio il carcere che una tinta malattia" (Meglio la galera che una brutta malattia, ndr ) e se sarò estradato in Italia vorrei fare quello che fa il Presidente Berlusconi, essere affidato ai servizi sociali, ma io sono condannato per mafia e non posso assistere gli anziani come sta facendo lui. Posso solo assistere, se me lo permetteranno, i carcerati».

La conversazione viene interrotta, i militari che lo sorvegliano dicono "stop". Lo salutiamo mentre la figlia gli stringe ancora la mano: «Mio padre è quello che vede - dice Margherita Dell'Utri - non è un mafioso, è stato ed è un grande padre».

DELLUTRI

 

PER COSTRUIRE LA SUA RETE, FRIGERIO HA ATTOVAGLIATO I TRE MONDI CHE CONTANO: LA SINISTRA, LE BANCHE E FINANZA CATTOLICA

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Giuliano Foschini per "la Repubblica"

GIANSTEFANO FRIGERIO

Quella ricetta che gli aveva permesso, nonostante le condanne passate in giudicato, di essere nel cuore dei big di Forza Italia, a partire da Silvio Berlusconi. E grazie alla sua rete di amicizie e protezione, far vincere appalti, assicurare fulminanti carriere politiche negli enti, nelle pubbliche amministrazioni e anche in Forza Italia. Il tutto chiaramente in cambio di tangenti.

Eccola la ricetta di Frigerio: «I canali da seguire sono tre - spiegava al telefono
il Professore - il rapporto con la sinistra e lì ti devi far fissare un appuntamento con Primo (ndr, Greganti); poi le banche che sono gli azionisti veri e lì il canale è Gigi (ndr, Luigi Grillo, ex parlamentare Pdl). E poi c'è il terzo canale che è il mondo cattolico e li ti faccio parlare io con il cardinale».

BERLUSCONI E FORZA ITALIA
Paris non parla a caso, per lui Frigerio è davvero come la Madonna. Il 3 febbraio del 2014 tramite «Fabrizio Sala, consigliere regionale con delega all'Expo molto vicino allo stesso Frigerio - ricostruisce la Procura - Paris ha un invito per partecipare a un incontro ristretto organizzato da Silvio Berlusconi».

BERLUSCONI PRESENTA IL LIBRO DI GIANSTEFANO FRIGERIO

Sala è molto grato: «Ci sono indicazioni? Vado tranquillo? Vorrei un consiglio» chiede a Sergio Cattozzo, il politico ligure che fa da braccio destro a Luigi Grillo. Cattozzo subito va da Frigerio che chiama Sala «attribuendosi la paternità dell'appuntamento ». «Quando ci siam visti quella volta a colazione, tu credi io che abbia fatto con quello che c'era? Fedele (ndr, Confalonieri) e così via, eh! Ho detto di metterti negli incontri, poi ne ho parlato anche alla Gelmini».

«Quindi vado tranquillo? » gli chiede Paris. E Frigerio risponde: «Tranquillo, dopo mi dici, tanto domani ci vediamo». Frigerio parla di incontri quindi con Confalonieri e la Gelmini. Ma sono soltanto alcuni dei nomi di big citati nelle telefonate: da Cesare Previti, a «zio Gianni Letta», da Confalonieri a Raffaele Fitto, a credere alle sue parole, Frigerio, è in grado di arrivare ovunque.

Gianstefano Frigerio

IL SISTEMA CAORSO
Evidentemente non tutte sono millanterie, come dimostra la storia di Fabio Callori, sindaco di Caorso, comune nel piacentino. Frigerio e la sua banda sono interessati all'appalto per lo smantellamento della centrale nucleare di Caorso. Devono cercare di fare entrare nell'affare (da un miliardo e 200 milioni complessivi) la ditta Maltauro che è pronta a versare loro una mazzetta da 600mila euro. A mettersi di mezzo arriva il governo Letta che cambia i vertici della Sogin (la società che bandisce la gara).

Frigerio si attrezza e prova a trovare le contromisure: «Ne ho parlato con Gianni Letta, ho mandato Alatri (ndr, Alberto Alatri, ex direttore amministrativo di Sogin, indagato) da Letta, da Cesare (ndr, Previti) anche da Donato Bruno » dice al telefono, prepara un'interrogazione da far presentare al gruppo di Forza Italia al Senato. Infine con i suoi sodali individua il sindaco Callori come strumento.

massolo x

«Lui - spiega infatti Cattozzo a Frigerio - è rimasto in Forza Italia e mi dice: "Sai Sergio se mi dicessero che il Coordinatore Provinciale lo faccio io... " (...) Allora io con lui ho fatto questo accordo: lui si fa negare (ndr, dalla Sogin), qualsiasi cosa che chiedono: chiedono i permessi, poi prima o poi glieli darà, però li fa morire. Fino al tentativo di far dire a Alberto Alatri al suo amministratore delegato, se volete io lo chiedo al sindaco attraverso un amico carissimo - che sarei io - se c'è da smuovere un po' il sindaco di Caorso e a quel punto entriamo in ballo in modo forte all'interno ». Il sindaco di Caorso è stato poi nominato vice presidente regionale di Fi.

LA POLITICA
Nel cuore di Frigerio rimane sempre la politica. Tant'è che spesso nelle intercettazioni disegna strategie e alleanza. Ma l'operazione che fa con l'ex senatore Gigi Grillo è diabolica. Grillo lascia infatti Forza Italia per andare con Alfano in Ncd. Ma è un trucco. «Abbiamo mandato Grillo nella compagina di governo perché io sono rimasto con Berlusconi. Gli ho detto vai di là, tanto alle prime elezioni politiche che ci saranno dovremmo fare le alleanza sennò perdiamo tutto, e allora ho detto facciamo così, dividiamoci».

LE ALTRE RELAZIONI
Il centrodestra è di casa da Frigerio. Ma i politici citati sono decine: da Maurizio Lupi a Pierlugi Bersani, in tanti però hanno già negato contatti. Così come al momento non c'è alcun riscontro della cena con il comandante generale della Finanza, Saverio Capolupo di cui parlava al telefono: «Io mercoledì sera faccio l'altro lavoro di copertura politico-giuridica e mi porto a cena Gigi Grillo con il Comandante della Finanza che è un mio amico».

Pierluigi Bersani

O dei millantati contatti con il direttore del Dis, Gianpiero Massolo, a cui fa riferimento l'ex segretario della Dc. Che racconta anche di un incontro con Lorenzo Guerini (Pd), e di un pranzo saltato con Renzo Lusetti (Udc) per poi lasciarsi andare a un amarcord: «I miei ragazzi! Quando ero segretario, il segretario nazionale dei giovani era Lusetti, i due vie erano Enrico Letta e Franceschini, il loro capo della segreteria si chiamava Gabrielli. Che classe dirigente!».

MAURIZIO LUPI DA GIOVANE

 

TRAMONTATO IL BANANA E SALTATO IL CEMENTO DELL’ANTI-BERLUSCONISMO, ORA TRA I PARA-GURU SINISTRI È SCATTATA LA GUERRA

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Fabio Martini per "la Stampa"

travaglio, santoro

Tra i più celebri guru dell'indignazione - Michele Santoro, Marco Travaglio, Beppe Grillo, Stefano Rodotà, ma anche alcuni magistrati - si stanno intensificando le reciproche ostilità: qualcosa che somiglia ad una diaspora in un mondo che per anni ha fatto massa, esercitando una profonda influenza in una parte dell'opinione pubblica di sinistra.

Due giorni fa, in una intervista al "Fattoquotidiano" Michele Santoro ha dato una veste ideologica al suo possibile divorzio da Marco Travaglio: «Non dico che Marco abbia perso la sua indipendenza», ma lui vuole stare dentro la «gigantesca piazza Tahir», «la rivolta verso tutto ciò che è istituzionale» e in questo c'è «il rischio del fondamentalismo», con «una differenza di analisi» tra i due che Santoro stesso definisce «una contrapposizione non banale».

MARCO TRAVAGLIO CON BEPPE GRILLO

Al punto da immaginare una separazione professionale da Travaglio, da anni protagonista di un monologo di grande successo all'interno dei contenitori televisivi santoriani.

L'annuncio di separazione di Santoro da Travaglio segue di pochi giorni un altro divorzio: quello che Santoro ha subìto ad opera di Grillo. Nel blog del guru cinque stelle è comparso con evidenza un commento molto critico verso una puntata di Servizio pubblico, colpevole di aver ospitato opinioni critiche nei confronti dell'ex comico, in particolare quella di un operaio della Lucchini: «Perché tutto quell'accanimento contro Grillo? Triste, molto triste assistere a trasmissioni faziose come quella».

Gustavo Zagrebelsky foto La Presse

Anche in quel caso Santoro non aveva mancato di farsi sentire: «Credo che di fronte a questo attacco sia un'operazione di legittima difesa battersi per la libertà di stampa». Con tanto di avvertimento: «O Grillo impara a rispettare noi, o lo ripagheremo con la stessa moneta».

Se non è ancora una guerra di tutti contro tutti, poco ci manca. Di sicuro è l'inizio di una diaspora in un mondo un tempo monolitico, unito per decenni dalla granitica convinzione nelle proprie invettive contro il Palazzo e la Casta, ma anche nella individuazione dei nemici: non solo Berlusconi, ma chiunque fosse sospettato di avere un qualche rapporto col Cavaliere.

Un mondo con i propri leader, con i suoi organi di informazione e incardinato su ambienti diversi (giornalisti, magistrati, sindacalisti, costituzionalisti) e più recentemente da un personaggio come Beppe Grillo che avrebbe potuto diventare il catalizzatore dell'area, ma che invece si sta rivelando personaggio irriducibile e quindi divisivo.

RODOTA

Fino ad oggi - accanto all'iniziatore Michele Santoro (in campo da 27 anni e inventore di quelle piazze mediatiche che ora ripudia senza tracce di autocritica) e a Marco Travaglio, il quotidiano "il Fattoquotidiano" diretto da Antonio Padellaro, il periodico "Micromega" di Paolo Flores d'Arcais. Maggiore ricambio nel mondo della magistratura: per anni il punto di riferimento è stato Antonio Ingroia (dopo l'infelice esperienza elettorale, vive con lo stipendio che gli eroga la Regione Sicilia), mentre ora il personaggio emergente di questo mondo è il viceprocuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo, sostenuto nella sua contrapposizione ad Edmondo Bruti Liberati.

E quanto al mondo dei costituzionalisti l'appello contro i progetti del governo Renzi, promosso da Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, è stato quasi ignorato dal "loro" giornale, "la Repubblica". Una diaspora destinata a nuovi scrosci polemici se sarà confermata la presenza di Beppe Grillo a "Porta a Porta", teoricamente la trasmissione simbolo della informazione detestata dal guru genovese, ma anche da tutta l'area un tempo unita nell'invettiva contro il Palazzo.

CAMERA ARDENTE DI GERARDO DAMBROSIO ALFREDO ROBLEDO

 

 

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