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IL SOLONE DEL LIBRO – VA IN SCENA L’ENNESIMO BLA BLA RETORICO DEI POLITICI AL SALONE DEL LIBRO CON LA SOLITA COLATA DI OVVIETÀ TIPO “LEGGERE FA BENE”, “ABBASSO LA TV”, ETC. – MA NELL’ULTIMO ANNO SONO STATI VENDUTI 2 MILIONI DI LIBRI IN MENO

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Silvia Truzzi per "il Fatto Quotidiano"Salone Internazionale del Libro di Torino ‘'Vieni, c'è uno famoso", strilla una ragazzina alla sua amica. Invece no, è solo il giro inaugurale del ministro Dario Franceschini. C'è di bello che, con la frequenza con cui cambiano i governi, è difficile rivedere la stessa persona per due anni di seguito. Invece restano sempre uguali i cordoni di polizia, C...

EXPO 2015, CIELLE VERSUS BERGOGLIO! –“L’ATTACCO NON E’ SU FORMIGONI, E’ SUI CIELLINI. IN VATICANO NON C’E’ PIU’ NESSUNO IN GRADO DI PROTEGGERLI, PERCHE’ CON IL PAPA NUOVO…SE NE STRAFREGA DEL MONDO ITALIANO” - FRIGERIO: “NELL’EXPO C’E’ UN GRANDE PROBLEMA DI SERVIZI SEGRETI CHE SALA NON CAPISCE”

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DAGOREPORT Si parla perfino del "nuovo Papa" e del Vaticano "che non protegge più i ciellini" nella montagna di intercettazioni accluse all'ordinanza di custodia cautelare che ieri ha dato inizio a una nuova Tangentopoli sull'Expo e non solo. E in alcune conversazioni tra gli indagati si coglie anche la durezza dello scontro sugli affari tra berlusconiani e alfaniani, dopo la scissione e la na...

C’È CHI IL PORNO VORREBBE VIETARLO. LORO, LE “RAGAZZE DEL PORNO”, PROVANO A MIGLIORARLO

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Enrica Brocardo per Vanity Fair

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«Combatti per il diritto di essere eccitata alla tua maniera». È il punto 2 del manifesto che ha ispirato Dirty Diaries, una raccolta di corti pornografici «femministi» prodotti in Svezia nel 2009. In tutto 10 voci, così convincenti che le «Ragazze del porno» italiane lo hanno sottoscritto e sono partite da lì. Obiettivo: My Sex.

Né con le Olgettine, né con chi le critica
Era il momento delle olgettine e di Se non ora quando, il movimento che lamentava il degrado dell'immagine femminile per colpa di Berlusconi e del bunga bunga», ricorda la regista Monica Stambrini. «Da un lato c'erano le escort, dall'altro le donne che si scandalizzavano. Noi non ci sentivamo rappresentate da nessuna delle due parti».

La giornalista Tiziana Lo Porto non appare nel servizio fotografico, ma l'idea di My Sex viene da lei. Dice: «Pur di prendere le distanze da questo erotismo brutto che ci viene continuamente sbattuto in faccia, si finisce per "abbottonarsi"».

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Qualche tempo prima aveva scritto un articolo su Dirty Diaries. Ne parlò con Monica Stambrini.
Al numero 7 di quel manifesto si legge: «Lotta contro il vero nemico». Ovvero: non è con la censura che si libera la sessualità e si cambia l'immagine femminile.
«Ci siamo dette: "Proviamo a realizzare dei corti porno in cui anche le donne si possano riconoscere"».

Hanno contattato altre registe con cui avevano già lavorato, o che conoscevano.
«Quasi una ventina. Tutte si sono dette entusiaste, ma un conto è dire che sei d'accordo, un altro è metterci la faccia». Alla fine, sono rimaste in dieci.

Ragazze, il catalogo è questo
Siamo nel settecento, un condannato a morte sta per essere giustiziato in piazza. In mezzo alla folla, una donna assiste all'esecuzione. All'improvviso un uomo la cinge da dietro, le alza la gonna, la prende e se ne va senza che i due si siano mai scambiati uno sguardo.

ragazze del porno

Non è la storia di uno dei dieci cortometraggi che entreranno in My Sex, ma secondo la sceneggiatrice Olga Nerina Lateano rende l'idea della differenza tra fantasie maschili e femminili: «Un uomo avrebbe avuto bisogno di essere guardato per compiacere la sua virilità».

Olga ha appena vinto il premio Solinas, dedicato alle web series, e adesso ne sta scrivendo una nuova, erotica.
Ma davvero c'è bisogno di nuova pornografia? L'impressione è che su un sito come YouPorn il «catalogo» sia già completo: si va per età, colore della pelle, orientamento sessuale, preferenze erotiche, numero dei partecipanti.

Le ragazze porno registe

Mi rispondono che Internet ha reso il genere più «democratico»: gli uomini non sono sempre superdotati e ci sono anche le donne con la cellulite, «ma è comunque tutto pensato e realizzato per la visione maschile».

Spiega la film-maker Titta Cosetta Raccagni (anche lei assente della foto, ma parte del progetto): «È vero che trovi vari generi, ma ciò che esula dal sesso etero con palestrati e bellone gonfiate viene trattato come devianza. E poi c'è una questione estetica: in rete puoi trovare qualunque cosa, ma fa sempre schifo».

Siate liberi di eccitarvi come vi pare
Erika z. galli usa una metafora: «Mettiamo che hai voglia di mangiarti un bel piatto di lasagne. L'hard è come una pasta scotta con due polpette buttate sopra, il discount del cibo».
Con Martina Ruggeri ha fondato la compagnia teatrale Industria Indipendente, loro due sono le ultime a essersi aggiunte al gruppo e, infatti, il corto lo stanno ancora scrivendo, «ma avrà come tema la parafilia».

Le ragazze del porno x

Il termine ingloba una serie di preferenze che una volta avrebbero chiamato perversioni, visto che si va «dal feticismo all'uso di oggetti, dal turpiloquio all'esibizionismo». Lei racconta che l'ispirazione la cercano anche in letteratura: «Per esempio Baudelaire, che si eccitava con l'odore delle puzzette». Ma promette che il linguaggio che useranno sarà poetico.

Se a Erika il porno mainstream fa venire il mal di stomaco, l'esperta del gruppo, Silvia Corti, conosciuta con il nome d'arte di Slavina, lo trova noioso. Lei è l'unica ad averci lavorato: «Ho iniziato come doppiatrice e traduttrice nel 2005, quando mi sono trasferita in Spagna», racconta.

Ma già nel 2001 era entrata a far parte di Sexyshock, un collettivo femminista pro-sex, e da cinque anni organizza seminari e laboratori di scrittura, performance e video. Fa conoscere un lato meno noto della pornografia, quello più femminile o femminista di performer, ex pornostar e registe come Belladonna e Annie Sprinkle. E ha dato una mano alle altre del gruppo a superare i loro pudori: «Se abbiamo potuto posare nude» spiegano, «è soprattutto grazie a lei».

Il tocco del diavolo
Ci sono un altro paio di cose che alle ragazze del porno non piacciono dell'hard tradizionale.
Al numero uno la finzione. «Non so se dipenda dal fatto che sono un'attrice, ma quello che non sopporto è l'ostentazione di un piacere che è evidentemente finto», dice Regina Orioli. «Appena qualcuno le tocca reagiscono come se fossero possedute».

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Al secondo posto c'è la prevedibilità. Si ripetono sempre gli stessi stereotipi che alla fine, dicono, non soddisfano nessuno: «È come se anche gli addetti ai lavori sentissero di dover sempre mostrare gli identici atti nell'identico ordine, nonostante non lo trovino eccitante neppure loro».

L'idea di girare dieci corti, invece di un solo film, arriva da lì.
«Il fatto che siamo tutte donne non è così importante. Il punto è che quello che piace a te, a me può anche dare fastidio. Vogliamo punti di vista diversi», spiega la montatrice Aurelia Longo.

E poi c'è il fatto che, da registe, alcune di loro sentivano il bisogno di realizzare quelle scene che non hanno mai potuto girare come avrebbero voluto. «Com'è possibile che ci metti un sacco di tempo per far piangere un attore e dare così veridicità a una scena, e poi arrivi al momento che vanno a letto e sei talmente imbrigliato nelle regole che ne viene fuori una specie di balletto?», si domanda Anna Negri. «È tutto finto: al posto del pelo pubico ci mettono un toupet».

Il genere che vogliono per My Sex lo chiamano realismo sessuale: corpi veri, situazioni verosimili. I casting cominceranno a giugno. Cerchiamo chiunque abbia voglia di farlo: «L'importante è che siano in grado di esprimere un'emozione. Oltre che un'erezione, ovviamente».

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Secondo voi Bertolucci faceva l'attore a luci rosse?
Se si vede la vagina scatta il divieto ai minori di 14 anni, con il pene si sale a 18», dice Stambrini, «e già questo la dice lunga sul modo in cui la sessualità viene vissuta in Italia». Racconta di alcuni incontri con i produttori. «Una volta ho chiesto: "Ma se la donna tiene le gambe aperte?".

Risposta: "Ah, no, così fa 18"». Qualcuno ha proposto: «Perché, invece, non fate un film a episodi?». C'è stato chi ha pensato a come tagliare i costi («Visto che siete registe donne ai costumi ci pensate voi, no?») e chi ha posto come condizione per parlarne che si togliesse la parola «porno».

Ma Ultimo tango a Parigi era pornografico o no? E L'impero dei sensi?
A quanto pare stabilire un confine tra erotico e hard è quasi impossibile.
Lo Porto ricorda la definizione ironica di una pornostar: «Diceva che la differenza sta nelle luci. Se illumini troppo il set diventa un porno».

Slavina premette che l'argomento non l'appassiona molto: «La risposta standard è che l'erotismo è legato alla costruzione del desiderio, mentre la pornografia propone la soddisfazione di quel desiderio».

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Ma fuori dagli uffici dei produttori l'equivoco più comune è un altro: «La prima cosa che ti domandano è se fai l'attrice. A Bertolucci nessuno si sarebbe sognato di chiederlo. Evidentemente è una questione culturale e, se ci pensi, è un po' irritante», dice Tiziana Lo Porto.

In attesa di un finanziatore, hanno lanciato una raccolta di fondi sul sito di crowdfunding Indiegogo: chi crede nel progetto può contribuire con una somma che va dai 5 euro ai 2 mila.
Finora ne hanno raccolti un po' più di 3 mila. «Ne servono cinque volte tanto per coprire le spese, ma l'idea di raccoglierli in questo modo ci piace: è come una rassicurazione che il progetto interessa anche agli altri», dice Anna Negri.

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Per il bene dei figli
Come altre del gruppo, anche lei ha figli, un ragazzo di 12 anni. «Ho scoperto che era entrato in un sito hard», racconta, «considerato che faccio parte delle Ragazze del porno fargli una scenata sarebbe stato un po' assurdo. L'ho presa come un'occasione per discuterne. Gli ho detto che secondo me non era il modo giusto per imparare che cos'è il sesso. E gli ho spiegato che volevo girare un film su questo argomento proprio per dare un'immagine dell'amore che fosse diversa. Purtroppo, in giro c'è un sacco di gente che ormai si comporta come gli attori dei porno».

È una delle critiche che da tempo si fanno nei confronti della pornografia, soprattutto online: far crescere gli adolescenti con l'idea che quello che vedono sia una replica della realtà. «Tutto è finalizzato a far contento lui, la donna sta lì e "gorgheggia". È diseducativo».

E così si torna al punto di partenza: la pornografia esiste, inutile far finta di niente. Perché, invece di condannarla, non provare a migliorarla?
E, poi, fa notare Regina Orioli: «Qualcuno si ricorda come reagisci da ragazzina quando ti dicono che una certa cosa è male? Io sì: a quell'età tutto quello che è proibito ti piace».

 

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A PIAZZA AFFARI (-1,56%) TORNANO A PESARE LE TENSIONI IN UCRAINA - TERREMOTO SU POPOLARI

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Carlotta Scozzari per Dagospia

Dopo il balzo di ieri, torna subito la tempesta a Piazza Affari, che chiude il venerdì con l'indice di riferimento Ftse Mib in ribasso dell'1,56% a quota 21.390,11 punti. L'andamento della Borsa conferma così un andamento cui negli ultimi tempi si è assistito in continuazione: a una giornata su di giri, segue subito una sessione in forte calo.

LOGO BPER

Dopo le parole di ieri del numero uno della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi, che ha lasciato intravedere per il prossimo mese una qualche misura da parte dell'authority monetaria a sostegno dell'economia dell'area dell'euro, oggi i listini sono tornati a guardare alle tensioni in Ucraina. In particolare, gli occhi sono puntati sul referendum che si terrà domenica a Donetsk, che potrebbe nuovamente condizionare i mercati all'apertura di lunedì. Nel frattempo, lo spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi ha appena alzato la testa a 150 punti.

banco popolare

All'interno del Ftse Mib, si è chiuso un venerdì da dimenticare per le banche, soprattutto quelle Popolari. Così, Bper è affondata del 7%, il Banco Popolare del 5,76% e Bpm del 5 per cento. Profondo rosso anche per Mediobanca, nel giorno dopo l'uscita dei numeri trimestrali, che ha terminato in calo del 5,39 per cento.

Oggi, invece, a mercato chiuso, è stata la volta della Banca Popolare di Milano, guidata da Giuseppe Castagna, che ha annunciato di avere archiviato il primo trimestre con un utile netto di 64,3 milioni di euro, in rialzo del 12,3% rispetto allo stesso periodo del 2013.

Logo "Fiat"

Giornata di Borsa da dimenticare anche per Prysmian, che ha lasciato sul campo il 5,35% il giorno dopo l'annuncio di numeri trimestrali che hanno deluso il mercato. Oggi la ex Pirelli Cavi ha smentito di avere allo studio un'integrazione con Nexans.

Tra i pochi titoli in rialzo del Ftse Mib, da segnalare Snam, che ha preso l'1,59%, Autogrill, che ha guadagnato l'1,52% e Fiat che, dopo due sedute di fila da dimenticare, è rimbalzata dell1,21 per cento. In positivo anche Atlantia (+0,49%), che oggi ha annunciato di avere chiuso il primo trimestre del 2014 con un utile di 128 milioni di euro, in crescita del 13,3% rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente.

prysmian

Fuori dal Ftse Mib, in volata dell'11,76% Seat pagine gialle, nel giorno in cui la società, in concordato preventivo, ha reso noto di avere ricevuto una manifestazione di interesse vincolante da parte di D.Holding, veicolo di GF1 dell'industriale Vittorio Farina e di Odessa Srl del patron dell'Atalanta Antonio Percassi. I due imprenditori puntano a "processo di integrazione che coinvolge Dmail", la quale pure a Piazza Affari ha fatto i numeri e ha chiuso con un balzo di poco più del 5 per cento.

Seat Pagine Gialle

 

 

SCALFARI: L’UNICA NOSTRA SPERANZA? ATTACCARSI AL WURSTEL DELLA MERKEL

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Eugenio Scalfari per "L'Espresso"

Eugenio Scalfari e Silvia Monti De Benedetti

Ma che cosa vuole fare la Germania con il continente Europa di cui è il paese egemone, il più popoloso, il più ricco, il più efficiente ma anche il più incerto e diviso al proprio interno tra le più diverse e contrapposte opzioni?
Giorni fa avevo letto una recensione di Antonio Polito sul "Corriere della Sera" sul libro di Angelo Bolaffi intitolato "Cuore tedesco" (editore Donzelli) che mi aveva molto interessato.

Poi ho letto il libro che affronta la questione esaminandola attraverso le vicende di cent'anni di storia, dalla guerra del 1914 fino ad oggi, anzi ancora da più lontano, addirittura dalla "cannonata" di Valmy, la battaglia nella quale l'esercito popolare creato da Danton, e comandato da Dumouriez e da Kellermann sconfisse l'armata prussiana aprendo la strada a Napoleone.

Eugenio Scalfari

È UNA STORIA LUNGA due secoli della quale furono protagonisti la Germania, la Francia, l'Inghilterra (allora si chiamava soltanto così), e la Russia, costellata da quattro guerre, milioni di morti e culminata nel genocidio della Shoah.

Di quelle quattro guerre le ultime due non furono soltanto europee ma mondiali perché vi parteciparono anche gli Stati Uniti, il Giappone, la Russia, la Turchia e l'Italia; ma la Germania ne fu comunque la principale protagonista alternando vittorie sempre rimesse in causa e sconfitte finali dalle quali è però sempre resuscitata più vitale di prima.

Angelo Bolaffi è un germanista molto esperto, ma il libro che ha scritto, pur partendo da lontano, usa la storia per rispondere alla domanda con la quale ho iniziato quest'articolo perché è quella domanda che oggi domina l'interesse di tutti i popoli del nostro continente e del suo (nostro) futuro.

L'Europa potrà nascere come potenza continentale se la Germania vorrà assumere il compito che le spetta e nei modi giusti per farne uno Stato democratico e federale. Solo se questo obiettivo sarà realizzato gli europei saranno in grado di partecipare alla società globale che ormai è configurata da entità continentali.

Altrimenti i paesi europei, Germania compresa, saranno irrilevanti in politica come in economia e forse anche nella cultura; diventeranno appendici di altre potenze e cesseranno di partecipare alla storia dopo esserne stati protagonisti per molti secoli.

Eugenio Scalfari

Bolaffi pone una data e un evento al centro del suo "Cuore tedesco": la caduta del muro di Berlino del 1989 e la riunificazione della Germania che l'ultima guerra aveva diviso in due Stati, quello occidentale radicato in Europa e quello orientale, satellite dell'Unione Sovietica.

L'autore ricorda che sia Mitterrand, sia la Thatcher, sia Andreotti, che allora guidavano rispettivamente, Francia, Gran Bretagna e Italia erano contrari a quella unificazione. Forse avevano ragione?

FORSE SÌ, risponde dubitativamente l'autore: una Germania unificata ha infatti accresciuto il suo peso in Europa ma non ha superato le sue incertezze sul da fare. Le intuizioni di Schuman sulla Federazione europea e quelle coeve, anzi precedenti, di Altiero Spinelli politicamente portate avanti da Adenauer, De Gasperi, Monnet, sono col passar del tempo appassite invece di produrre i fiori e i frutti che gli europeisti si aspettavano.

RENZI E MERKEL A BERLINO

L'opinione pubblica europea è rimasta ad uno stadio embrionale, le cessioni di sovranità da parte degli Stati membri della Comunità e poi dell'Unione europea si sono limitate alla creazione della moneta comune e della Banca centrale incaricata di gestirne la liquidità.

Qualche passo avanti importante si sta realizzando sul piano dell'unione bancaria, ma siamo ancora molto lontani dalla prospettiva di dar vita agli Stati Uniti d'Europa e questo obiettivo non può esser portato avanti se la Germania non se ne assumerà il compito.

Su un punto non sono d'accordo con Bolaffi: attribuisce alla caduta del muro di Berlino anche la nascita della società globale. Francamente non mi pare che tra i due eventi ci sia un rapporto di causa-effetto. La riunificazione tedesca è stata molto importante per l'assetto europeo ma non ha avuto alcun peso sulla crescita dei paesi emergenti che hanno tutti dimensioni continentali e in buona parte deriva dalle nuove tecnologie.

RENZI, MERKEL

RESTA COMUNQUE APERTO il problema Europa-Germania e qui entrano in gioco anche la Francia e il Regno Unito. Su quest'ultimo non si può contare, sarà sempre favorevole a partecipare a una Comunità di libero scambio, ma molto difficilmente andrà oltre, la storia inglese si è sempre mossa entro questo limite e semmai ha preferito la "partnership" con gli Usa.

La Francia no, e anch'essa è fondamentale come la Germania. Se metterà da parte il tema della "grandeur" e sarà disponibile a cessioni importanti di sovranità politica oltreché economica, sarà difficile che la Germania possa tirarsi indietro.

BERLU E Andreotti thumb x jpeg

Bisogna puntare soprattutto sui poteri del Parlamento europeo, della Commissione della Ue e della Banca centrale; bisogna porre con forza il tema dei debiti sovrani che debbono diventare debito comune dell'Europa con facoltà di emettere titoli di sovranità europea.

Questa è la metodica per avviarsi verso lo Stato federale. Bisogna altresì scontare la prospettiva dell'egemonia tedesca, almeno nella fase iniziale di questo percorso.
Un'egemonia che non sia la prevalenza di interessi nazionali, bensì di valori.

SILVIO BERLUSCONI E GIULIO ANDREOTTI

Se la Germania accetterà di assumersi la responsabilità europeista, avrà il peso che le compete in un grande continente che esprime molti valori e molti interessi ma deve essere unito nella prospettiva dell'interesse comune superando quelli particolari delle singole nazioni.

Margaret Thatcher

Questo è il futuro che i popoli europei dovrebbero augurarsi, sperando che si sveglino dall'indifferenza che ancora li pervade.

 

MA CHI L’HA DETTO CHE BRUXELLES È NOIOSA? INVECE È UNA CITTÀ “COOL”, ANZI “VERY CUL”

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Alberto Dandolo per Dagospia

Ma chi l'ha detto che Bruxelles è una città amministrativa, polverosa e noiosa? Certo qui è possibile ( se ti va male) che ci si possa imbattere in qualche locale e avere come vicini di tavola Iva Zanicchi e Matteo Salvini, ma è un luogo comune considerare la capitale d'Europa come uno dei luoghi meno cool del Vecchio Continente.

BRUXELLES SERATA FUSE

Bruxelles infatti è una cittadina assi "cool...a" oltre che cool, nel senso che qua si copula come dei ricci, si beve come delle spugne, ci sia accoppia velocemente e senza discriminazioni di genere e si fanno le ore piccole come se non ci fosse un domani.
Ma sapete la maggior parte degli incravattatissimi eurodeputati, ambasciatori, funzionari e diplomatici, oltre che una buona fetta delle liftate signore delle banche e delle holding finanziarie a na certa ora cosa fanno? Si sballano come degli adolescenti infoiati e fanno le peggio cose lontani dall'ossessiva idea di "perfezione" ed "efficienza" che hanno di se stessi e delle loro vite mummificate nei paesi di provenienza.

BRUXELLES SERATA FUSE

Qua i nostri amministratori europei non hanno l'ansia di tornare a casa dalle agitate e insoddisfatte consorti. E già negli ultimi scampoli delle interminabili e quasi sempre inutili riunioni e conference call si inizia a drinkare. Soprattutto al venerdì.

BRUXELLES SERATA FUSE

E non è un caso quindi che la serata più tosta d'Europa, la più trasgressiva, porcina e meno pubblicizzata di tutte si tenga proprio in sta città ogni primo sabato del mese.
E' la mitologica serata "Fuse"( fusibile) dove i mejo trasgressivi dell'Unione si danno appuntamento, dando vita ad un'orgia di piaceri, droghe, sesso e fiumi di alcol senza pari.
Intanto la serata Fuse non si svolge sempre nello stesso luogo.

Le locations cambiano ogni mese. Dalle chiese sconsacrate ai parcheggi in disuso alle vecchie stazioni ferroviarie. Questo sabato la serata si è tenuta in una fabbrica di componentistica idraulica in dismissione alle porte della città. Quattro Dj provenienti due dal Belgio, una da Londra e l'altro da Tel Aviv hanno dato vita a una serata strafattissima dove se per caso ti capitava di non drogarti eri comunque fatto come una mina vista la quantità di fumo proveniente dagli enormi cannoni dislocati in ogni dove e in ogni fauce.
Qui nulla è plateale. E tutto viene fatto e vissuto con nordica discrezione.

BRUXELLES SERATA FUSE BRUXELLES SERATA FUSE

Ma quando i corpi si riscaldano e le menti si "diradano" ci si da tutti appuntamento nella enorme "dark room" creata per l'occasione. Centinaia di corpi che si sfiorano, si toccano e si danno gioie. Qua non si fa differenza. Non esistono "generi". Si vive il piacere con chi in quel momento ti ispira. Qui è tutta "carne sopra carne". Ma la cosa più civile e assieme più surreale è che in sta serata ti puoi portare pure il tuo cane. C'è sempre una sala apposta per gli animali con tanto di dog-sitter e cat -sitter. Qua anche i più fedeli amici degli uomini se la godono alla grande. Qualcuno avverta Dudù, e il suo badante...!

 

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METTI UNA SERA FEDELE CONFALONIERI CHE FA MAURIZIO POLLINI AL PIANOFORTE: BENVENUTI AL PREMIO GUIDO CARLI!

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Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia

Premio Guido Carli Virman Cusenza Antonio Catricala Antonio Patuelli

Roberta Petronio per "il Messaggero"

Sala della Regina, al primo piano del Palazzo di Montecitorio. Qui veniva declamato il discorso della Corona. Qui ieri pomeriggio, sotto i grandi lampadari di ferro battuto, ha preso la parola il presidente del Premio Guido Carli, Gianni Letta. «Questo è un riconoscimento speciale. Perché la lezione dell'economista Carli è ancora attualissima, perché nasce da un atto di devozione, perché la giuria è eterogenea, fantasiosa e rappresentativa degli umori che percorrono il Paese».

Anche il prestigioso parterre presenta più sfumature, dalla politica all'economia, all'imprenditoria e oltre. In prima fila siedono Francesco Gaetano Caltagirone, presidente dell'omonimo gruppo, Antonio Catricalà, Lamberto e Donatella Dini.

Premio Guido Carli Torta Tricolore

«La speranza è un rischio da correre»: ricorda Romana Liuzzo, ideatrice del Premio e presidente dell'associazione "Guido e Maria Carli", citando una frase del nonno, ex Governatore della Banca d'Italia. Applaudono Mara Carfagna, Laura Ravetto, Michaela Biancofiore, Giulio Terzi di Sant'Agata, e ancora Franca Leosini, Marisela Federici, Umberto Croppi, Ferdinando Brachetti Peretti, Francesco Rutelli, Sabrina Florio, Valeria Licastro, Simona Agnes, Laura Melidoni, Francesco Palombi. La liturgia del Premio può contare sul commento "di rinforzo" del presidente Letta.

Premio Guido Carli Sveva Belviso

Per tutti i premiati ha una nota in più, un ricordo, un aneddoto. Mario Orfeo premia Andrea Guerra. Giovanni Malagò premia Federico Ghizzoni. Ogni volta si scatena una selva di fotografi e operatori. Roberto Rocchi premia Giuseppe Vegas. Tocca poi a Carla Fendi, al rettore dell'Università Bocconi Andrea Sironi, a Barbara Palombelli, Lorenzo Bassetti, Guido Dell'Omo, Debora Paglieri consegnare il riconoscimento a Fedele Confalonieri, Virman Cusenza,Francesco Paolo Fulci, Andrea Illy, Giovanni Lo Storto, Antonio Patuelli, Alfonso Signorini, Nicoletta Spagnoli, Nicola Zingaretti.

Premio Guido Carli Sala della Regina

A cerimonia conclusa, mini esodo da Palazzo a Palazzo. Novanta invitati varcano il portone blasonato di Palazzo Colonna. Il dinner è riservato a premiati e ad amici di lunga data e di provata fedeltà alla mission del Premio. Il padiglione del Settecento è un miracolo di Barocco. Sotto il soffitto decorato da un allievo di Guido Reni, trionfa il lilla, colore preferito di Romana Liuzzo, che ha un debole anche per le sorprese dolci: quella dell'edizione numero cinque è una grande torta tricolore alta più di un metro e mezzo.

 

Premio Guido Carli Romana Liuzzo premia Fedele Confalonieri Premio Guido Carli Francesco Gaetano Caltagirone con la fidanzata Malvina Premio Guido Carli Antonio Patuelli con la moglie Premio Guido Carli Buffet

 

Premio Guido Carli Andrea Guerra Mario Orfeo Francesco Gaetano Caltagirone Premio Guido Carli Barbara Palombelli premia Nicoletta Spagnoli Premio Guido Carli Federico Ghizzoni Premio Guido Carli Giovanni Malago e Federico Ghizzoni Premio Guido Carli Giuseppe Vegas con la moglie Premio Guido Carli Carla Fendi premia Virman Cusenza Premio Guido Carli Laura Ravetto con Romana Liuzzo Premio Guido Carli Taglio della torta Premio Guido Carli Taglio della torta

MENTANA: “MAI PRESO IN CONSIDERAZIONE L’IPOTESI DI ANDARE IN ONDA STASERA CON BERSAGLIO MOBILE”

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ENRICO MENTANA E MICHELE SANTORO presentazione libro Walter Molino

LETTERA DI ENRICO MENTANA A DAGOSPIA
Caro Dago, per rispetto nei confronti di chi sta scioperando non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di andare in onda stasera con Bersaglio Mobile. Avrei potuto registrarlo ieri, come hanno fatto altri programmi. Lo sforzo informativo del mio tg in questa giornata è concentrato solo sulle due edizioni principali, delle 13.30 e delle 20, per rispetto del telespettatore, di chi sciopera, e anche dei giornalisti della testata, che hanno ritenuto di non partecipare all'agitazione. Il tutto linearmente, senza condizionamenti o prevaricazioni. Buon lavoro
Enrico Mentana

ENRICO MENTANA presentazione libro Walter Molino

 

Urbano Cairo con Roberto e Signora Amodei

SALONE DEL LIBRO LA BANALITÀ DEL BENE

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Silvia Truzzi per "il Fatto Quotidiano"

Salone Internazionale del Libro di Torino

‘'Vieni, c'è uno famoso", strilla una ragazzina alla sua amica. Invece no, è solo il giro inaugurale del ministro Dario Franceschini. C'è di bello che, con la frequenza con cui cambiano i governi, è difficile rivedere la stessa persona per due anni di seguito.

Invece restano sempre uguali i cordoni di polizia, Carabinieri, security: la solita messa in scena del potere che si autolegittima. Ricorrono i luoghi comuni sul libro "centrale" nella formazione culturale (ma va?), l'importanza della lettura per "costruire il futuro" e altre simili amenità.

All'incontro d'apertura, oltre al ministro, c'è anche il sindaco con il dito medio facile e il fisico da Corazziere (copyright Carlo De Benedetti): "La città è orgogliosa perché il Salone è diventato via via uno dei pilastri della cultura internazionale, che diventa al tempo stesso sempre più elemento identitario della città".

Lì accanto il governatore rimasto metaforicamente in mutande improvvisa una riflessione sul libro digitale. Ecco i pensieri di Roberto Cota, o quel che politicamente resta di lui dopo il poco glorioso naufragio della sua giunta: "Vorrei fare un parallelo con le fotografie: adesso sono quasi tutte digitali. Ma che succede se cambiamo computer? O se cambiano i programmi? Perdiamo le foto! Bisogna pensare a un modo per conservare i libri".

FRANCESCHINI AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Dopo due ore di saluti, ringraziamenti, reciproci complimenti (col fatto della Santa Sede paese ospite poi, è tutto un ossequio a eminenze reverendissime, monsignori, vescovi e cardinali) finalmente tocca al neo ministro.

"La vera sfida è ricreare un elevato numero di lettori. Per questo penso a un festival, magari all'inizio dell'anno scolastico, che invada tutte le scuole, dalle elementari alle superiori". C'è ancora il tempo, si domanda Franceschini, in quest'epoca multitasking e sempre più veloce (tipo "una riforma al mese") per una cosa così lenta come la lettura?

Alla fine - colpo di scena - punta il dito contro il nemico mortale. "Le televisioni, tutte, devono risarcire il danno fatto alla lettura. Come? Facendo più trasmissioni che presentino libri e facendo pubblicità alla lettura. Nelle fiction Rai i protagonisti fanno di tutto, tranne che leggere".

SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Applausi e gridolini d'approvazione in sala. Giurano gli organizzatori del Salone che non si erano messi d'accordo con il ministro, ma proprio quest'anno hanno pensato di lanciare una campagna virale che denuncia la scomparsa del libro. Prova ne siano gli strafalcioni in cui incappano le star dei cosiddetti reality sul tema libri.

E così tre brevi filmati (si possono vedere anche sul sito www.salonelibro.it), proiettati prima degli incontri, illustrano perle tipo "Nel mezzo del mattin di nostra vita" e rocambolesche congetture sul famoso traghettatore infernale, "Oronzio" .

La tv ha ucciso i libri: incroyable. Strano tempismo quello di Franceschini, ministro di un governo (il fu Letta) nato dalle larghe intese con il padre della televisione commerciale italiana. Per non dire che la Rai è in mano ai partiti (unico caso al mondo dove una commissione parlamentare vigila sull'informazione e sulla televisione di Stato).

Meglio tardi che mai? Il direttore di Rai1, Giancarlo Leone raccoglie l'invito: "Ci sono molte trasmissioni in Rai che promuovono il libro. Ma si può e si deve sempre fare di meglio. Ben venga lo stimolo".

GODOY E FASSINO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Che la classe dirigente di questo Paese non brilli particolarmente per originalità di pensiero e profondità non lo scopriamo ora (anche se, tra le parole in libertà di questa mattinata, qualcuno si è spinto fino a definire Matteo Renzi "un uomo di libri"). Alla riflessione pensano gli scrittori, gli intellettuali, i professori.

O meglio: dovrebbero pensare. Mercoledì sera il Salone si è inaugurato con l'ennesimo forfait: il Papa ha declinato, il premier ha disdetto, il cardinal Ra-vasi si è ammalato. Un'indisposizione problematica, perché a lui era affidata la lectio magistralis inaugurale. Lo ha sostituito la madrina dell'edizione 2014, Susanna Tamaro, con un intervento che avrebbe potuto intitolarsi "La banalità del bene". O "la banalità fa male".

BENEDETTA PARODI

"Tutto ciò che porta verso la vita è bene, tutto ciò che porta alla morte è male. Il male esiste per spingerci verso il bene. È ora di finirla con la ridicolizzazione del bene. Bisogna parlare con coraggio ai ragazzi del bene, del bello e della verità. Essere buoni non è debolezza, ma per essere buoni occorre essere forti".

SALONE DEL LIBRO DI TORINO

E poi via, invettive contro il cinismo, l'individualismo, il narcisismo, l'homo homini lupus (povero Hobbes), l'ambizione. Il guaio non è nemmeno l'inno buonista in sè. Il male è lo spaventoso impoverimento intellettuale, di cui si deve prendere atto persino durante la cerimonia inaugurale di un Salone come quello di Torino. Di questo passo la madrina dell'anno prossimo potrebbe Benedetta Parodi. Il "cibo è un atto d'amore", no?

SALONE DEL LIBRO DI TORINO SALONE DEL LIBRO DI TORINO

 

INTERCETTAZIONI EXPO/ GLI ARRESTATI: “IL PAPA NUOVO SE NE STRAFREGA DEL MONDO ITALIANO”

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DAGOREPORT

Si parla perfino del "nuovo Papa" e del Vaticano "che non protegge più i ciellini" nella montagna di intercettazioni accluse all'ordinanza di custodia cautelare che ieri ha dato inizio a una nuova Tangentopoli sull'Expo e non solo. E in alcune conversazioni tra gli indagati si coglie anche la durezza dello scontro sugli affari tra berlusconiani e alfaniani, dopo la scissione e la nascita di Ncd.

ALICIA BARRIOS E BERGOGLIO

1. TELEFONATA DEL 23 DICEMBRE 2013 tra Gianstefano Frigerio, ex tesoriere della Dc milanese condannato per le tangenti della Metro, e Antonio Rognoni, manager del Pirellone vicino a Comunione e Liberazione e a Roberto Formigoni
LEGENDA:
F: Frigerio
C: Cattozzo

F: "Continui a seguirla l'Expo?"
R: "Sì a titolo gratuito".

GIANSTEFANO FRIGERIO

F: "E allora! Guarda si fidano molto di te. E' una cosa complicatissima. C'è dentro un problema di servizi segreti che è enorme... E SALA (commissario straordinario Expo) sembra che non abbia coscienza di quelle robe lì. Perché lì bisogna fare un protocollo di aziende accreditabili nel nostro Paese...magari che non ci siano interferenze di terrorismo e compagnia bella"

BERLUSCONI PRESENTA IL LIBRO DI GIANSTEFANO FRIGERIO

R: "SALA in generale...come uomo di marketing, è più bravo sul commerciale
F: "No lui ha una buona immagine, però le altre robe non le sa fare...quindi a me il fatto dei tumori a me preoccupa moltissimo sull'Expo...vedremo ...bloccarli"
R: "No, non verranno bloccati".
F: "Ma con GIGI abbiamo coinvolto nell'equipe di MALTAURO (costruttore, arrestato, ndr) anche MANUTENCOOP (Coop rosse, ndr)... abbiamo tirato dentro anche MANUTENCOP, vuole che vada alla CASCINA (vicina a Cl, ndr)"

mazzetta

La telefonata prosegue e si arriva a parlare del senatore Formigoni, passato con Lupi e Alfano, e delle sue disavventure giudiziarie, di Cl e delle coperture in Vaticano che non ci sono più per via di Bergoglio.

R: "Io ho contro tutti i giornali che mi contestano che ho più di un incarico e mi vogliono morto...Che non faccio lo scatenato che son stanco morto!"

EXPO Nutrire il pianeti rda

F: "Ci credo. Ma GIGI (GRILLO) credo che lo portiamo ... la tesi che abbiamo noi lì è di poterlo portare a fare il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con ALFANO, in modo che possa monitorare tutte le nomine e le robe...Lui ti stima molto"

R: "Io però preferisco dare un appoggio esterno".

F: "Poi ho tirato indietro FABRO che ha una gestione da 20 milioni per tutti i comandi dei Carabinieri ed è un bravo ragazzo. Comunque ho detto: prendetevi anche la CASCINA, ma al di là dei loro meriti o demerito non c'è più stima per sti personaggi qui perché, la mia tesi ... anche parlando un po' in Vaticano ...è che l'attacco non è su ROBERTO (Formigoni, ndr) ma sul mondo ciellino".

GREGANTI fbb db cc c a ad ba ad ff

R: "Embè, certo!"
F: "E non c'è protezione in Vaticano perché là con il Papa nuovo... se ne strafrega del mondo italiano e poi tra loro, tra i cardinali, non c'è più nessuno che sia in grado di proteggere...Anche il mio amico delle Finanze, il cardinal VERSALDI, non protegge certo i ciellini".

ANTONIO ROGNONI

2. TELEFONATA DEL 29 OTTOBRE 2013 tra i due mediatori Gianstefano Frigerio e Sergio Cattozzo, ex segretario dell'Udc ligure, entrambi arrestati ieri
LEGENDA:
F: Frigerio
C: Cattozzo

expo cemento

F: "No, no, con GIGI (Grillo, ex deputato Forza Italia, arrestato) non dobbiamo parlare di queste cose... Dobbiamo fare un altro lavoro. Siccome questo poveretto, PARIS (direttore aquisti Expo, arrestato anche lui ndr), che è stato nominato dalla MORATTI nel 2007 ed è lui che ha gestito tutti i rapporti internazionali...me l'ha spiegata...per portare a casa l'Expo..., adesso non trova nessun collegamento in questo maledetto partito, l'unico con cui ha rapporti, mi ha detto lui, è MANTOVANI (Mario, senatore brianzolo Fi, ndr)...e quindi giro BERLUSCONI, e ha subito le angherie di quegli altri, dei ciellini che gli facevano la guerra e compagnia bella, allora lui è in giro che ha bisogno di avere dei collegamenti, perché ho visto che non ne ha".

GIULIANO PISAPIA EXPO

"Ad esempio potremmo anziché fare Gigi, per primo facciamo SCINO (Mario Antonio, avvocato dello Stato, Authority Trasporti), che è lì... cioè gli presentiamo persone del livello romano...poi magari faccio venire il mio amico BERARDUCCI, che sta all'Authority dei Lavori pubblici...poi magari facciamo venire GIGI, ma quando siamo già in campagna elettorale...io non ho bisogno con PARIS della sponda di GIGI."

C: "Perché qui dentro c'è già PRIMO (Greganti, ex cassiere del Pci, nuovamente arrestato, ndr)"

foody mascotte expo

F: "No basta, noi non abbiamo bisogno che ci sia PRIMO perché è già accoppiato a... Quando io parlerò con Paris gli dirò: guarda che ti copre la sinistra e ti copriamo da..."
C: "Allora martedì fissiamo subito un incontro con SCINO per farglielo incontrare"
F: "Sì, lui è uno dei nostri vecchi, è disponibile... Poi Paris sa che ci impegneremo fino alla morte per portargli a casa la Città della Salute e la roba di Roma".
C: "E altre robe..."

F: "Le cose che io vedo più evidenti sono queste qui...Poi la Città della Salute finisce all'estate prossima, la SOGIN secondo me finirà a primavera prossima...Paris finisce prima".
C: "Però adesso bisogna che io e te e PRIMO lo vediamo in modo che lui si tranquillizzi".
F: "Certo, quindi sono quelle che volevo dire".

alfano formigoni maroni luigi grillo001 lap

C: "Ti porto i saluti di SAVERIO ROMANO (deputato di Forza Italia, siciliano)".
F: "Ci siamo parlati...poi io dopo ho parlato anche con...sia con FEDELE che con SILVIO".
C: "Siccome ALFANO dà per certo che in Sicilia vince lui contro SILVIO BERLUSCONI se andassero a votare..."
F: "No, non vince proprio un cazzo!"

Il 18 novembre scorso, i due si sentono ancora e offrono un bel flash di "politica concreta".
F.: "Ma GIGI (GRILLO, ndr) è dall'altra parte?
C: "Sì GIGI è rimasto con ALFANO"
F: "Ma va bene...piazzarne uno per ogni angolo va bene".

 

 

LA MOGLIE DI MATACENA, CHIARA RIZZO, ERA UNA “FEMME FATALE” MICA DA RIDERE

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1 - L'AUTO ALLA MOGLIE DI MATACENA LEI: SU DI ME SI SONO DETTE FALSITÀ
Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"

CHIARA RIZZO MATACENA buss scajola f bellavista caltagirone

«Sto rientrando in Italia. Mi voglio mettere a disposizione della giustizia. Mi scusi tanto... non mi sento bene». Al telefono da Palazzo «Le Victoria», al numero 13 della prestigiosa Boulevard Princess Charlotte di Montecarlo, Chiara Rizzo, la moglie dell'ex senatore pdl latitante Amedeo Matacena, risponde con voce provata: «Su di me sono state dette tante cose ingiuste». Ma davvero sta tornando? «Sì, sì, ma datemi un po' di tempo. Voglio soltanto abbracciare i miei figli. Non voglio altro».

Il sogno dorato della bionda quarantatreenne, che da Messina ha scalato le vette dell'alta società, affascinando politici, ministri e imprenditori, si è infranto giovedì fragorosamente su quelle righe dell'ordinanza di custodia cautelare che la rende ufficialmente latitante, finché non si presenterà come ieri prometteva. Considerata l'«anello di congiunzione indispensabile» per «l'intera operazione di mascheramento» del marito, sfuggito a un mandato di cattura per concorso esterno in associazione mafiosa.

AMEDEO E CHIARA MATACENA Claudio Scajola e Francesco Bellavista Caltagirone

Nell'intrigo 'ndrangheta-politica-massoneria, che fa da sfondo alla fuga di Matacena, Chiara Rizzo è l'elemento più brioso. Il 25 febbraio di quest'anno, in piena latitanza del marito, viene colta da un paparazzo, al «Festival de la Comedie» di Montecarlo, con l'ingegnere Francesco Gaetano Bellavista Caltagirone e scambiata per la «sua signora». Un equivoco nato forse dal rapporto di amicizia di Lady Matacena con l'imprenditore romano, finito sotto inchiesta per il porto turistico di Imperia, che spesso l'ha ospitata per il week-end nella casa vicino Nizza.

A Imperia Chiara Rizzo era vista spesso sfrecciare sulla Porsche Cayenne in compagnia di Claudio Scajola che, secondo l'ordinanza di custodia cautelare, le era completamente «asservito». E le aveva messo «a disposizione un complesso apparato logistico ed una fitta rete di relazioni personali, per tutelare gli interessi di natura economica».

Ma anche a Montecarlo Chiara Rizzo riscuoteva un discreto successo personale. Nel 2010 era comparsa fra le 11 più belle «Women of Monaco», in un libro fotografico i cui proventi erano stati devoluti all'Association Mondiale Amis De l'Enfance , della principessa Grace.
Nata a Messina, due figli. La sua storia con l'ex parlamentare azzurro, conosciuto a Panarea, l'aveva raccontata in una rivista patinata della Costa Azzurra: Il foglio italiano .

CHIARA RIZZO AMEDEO MATACENA

Dove dichiarava: «Tutto ruota attorno alla famiglia, la mia bella, unica, indissolubile famiglia e i suoi amici». Monaco per lei era «un'utopia realizzata» dove «avvengono cose che nelle altre parti del mondo stentano a realizzarsi».

Claudio Scajola e Francesco Bellavista Caltagirone

Il primo duro colpo arriva con l'arresto del marito a Dubai. Lei si lamenta con l'amica Elvira che «non era vero quello che gli hanno detto che poteva andare» e che invece «appena arrivato lo hanno preso».

Poi le manovre per la fuga di lui. Le telefonate con l'ex ministro dell'Interno che, secondo i magistrati, pianifica con lei la latitanza della «mamma» (per gli inquirenti il marito in fuga). E le offre un amichevole sostegno, informandosi delle sue condizioni e augurandole «sogni d'oro». Quelli che, se torna, Chiara Rizzo dovrà fare dietro le sbarre.

2 - SCIABOLETTA, PASSIONE E GELOSIA: "PAPPA E CICCIA NON SI FA!"
Giampiero Calapà e Lucio Musolino per "il Fatto quotidiano"

CHIARA RIZZO MATACENA

Un latitante, Amedeo Matacena, condannato per mafia (concorso esterno) che si rifugia in Libano, un ex ministro dell'Interno, Claudio Scajola, che lo copre, torbide storie di una vicenda a metà tra un b movie anni Settanta e una commedia con Alvaro Vitali.

casli52 amedeo chiara matacena

Infatti, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, nel 2010 selezionata nel libro Women of Monaco tra le dieci più belle donne del Principato, raggiunta anche lei da un provvedimento di custodia cautelare, pensava da tempo di lasciare il marito. In una conversazione telefonica, intercettata, ne prende così le distanze: "Gli ho detto all'avvocato: che cazzo mi dici, hanno aperto un'indagine per me? (...) Ma se io non ho fatto niente nella vita mia, che c'entro io? (...) Io sono stata stupida a non chiedere subito il divorzio, la separazione, però io che ne sapevo? Pensavo che le cose si aggiustavano".

Ma le cose non si aggiustano. Tanto che Chiara Rizzo ha in Scajola un amico con cui poter parlare di questioni, diciamo, intime oltre che finanziarie. Lui fa di tutto per lei, gli organizza un incontro a Montecarlo con un professionista svizzero, per aiutarla a girare dei fondi. Ma l'incontro non solo va male, va peggio.

Lo svizzero ammicca, ci prova e Scajola, che l'ha mandata tra le fauci del lupo, s'incazza : "Pappa e ciccia non si fa!"

Rizzo: Ora mi ha accompagnato che io mi dovevo comprare gli asso... cioè, mi voleva accompagnare qua dentro, poi io ho evitato. Che una volta eravamo qua dentro, gli ho detto, scusa ma sai, devo fare delle cosine. Gli ho detto, scusami ma io sai devo fare ...

SCAJOLA CON BELLAVISTA CALTAGIRONE TAGLIA IL NASTRO ALL'AVVIO DEL CANTIERE DEL PORTO vllmnicsl66 ignazio larussa chiara matacena

Scajola: Ma pappa e ciccia non si fa, pappa e ciccia non si fa.

Rizzo: Ecco! Gli ho detto, scusa ma io ho delle cosine da fare, gli ho detto, devo comprare delle cremine ...

Scajola: Pappa e ciccia non si fa!

Rizzo: E lui mi ha detto, non vorrei, sai che mi ha detto? "Non vorrei che tu fraintendessi!". Guarda che è stato furbo. E lì, "ma sai, ho pensato a te, certo una donna quando va a letto da sola, ma nel senso buono, con tutti i suoi pensieri, le cose... sappi, eh, non vorrei che fraintendessi, perché sei una amica di Claudio, che qualsiasi cosa hai bisogno chiamami". Gli ho detto io: certo, ti ringrazio.

E quando il legittimo marito le dice "Ti amo, ti amo, ti amo tanto", lei lo liquida con un veloce: "Anch'io, ciao ciao". Ma le storie sull'asse Montecarlo-Imperia-Roma-Beirut sono tormentate e Claudio Scajola, già orfano della vista sul Colosseo, perde la pazienza.

la segretaria di Matacena Maria Grazia Fiordelisi e la moglie dellex parlamentare Chiara Rizzo

Rizzo: Non ho niente da decidere , voglio dire, cioè, non capisco qual è il motivo, perché mi dici queste cose, boh! Decidere, non ho capito cosa devo dec... che cosa posso decidere?

Scajola: No, tu... mi pare che tu abbia già deciso, non è che devi decidere, no?

Rizzo: E che cosa devo decidere?

Scajola: Tu hai già deciso, tu hai già deciso... ma tu hai già deciso quello che stai facendo, ci siamo parlati a lungo dicendo, "hai delle opzioni da scegliere, sceglietele bene!", io ho provato a costruire una opzione che ti desse assoluta libertà... ma, devo sapere se è una opzione che ti interessa o non ti interessa, tutto qua, per essere più chiari, insomma.

Rizzo: Cosa è cambiato, da quando ci siamo parlati, io questo non capisco!

Scajola: Che è da tempo che facciamo infingimenti e che non ci diciamo le cose. Voglio, da amico, eh, da amico, non altro, solo da amico (...)

la segretaria di Matacena Maria Grazia Fiordelisi e la moglie dellex parlamentare Chiara Rizzo

Rizzo: Cioè, ma dimmi, tu che le cose le sai benissimo, quale scelta posso fare?

Scajola: Siamo al telefono, siamo al telefono.

Rizzo: E allora, non ti preoccupare , guarda, stai sereno, tu, le tue... stai sereno, tutto quello che fai, che dici, questa bontà, questa cosa, perché una vuole bene, perché vuole fare, perché dire, non è possibile perché ogni volta la butti sempre come una cosa... allora, lasciamo perdere... (...)

Scajola: Tu hai già fatto una scelta, figliola mia...

Rizzo: E qual è questa scelta?

Scajola: Dobbiamo rendere conciliabile questa scelta con le altre cose, tutto qua! L'hai già fatto no, non è che devono essere... fare degli intrugli.

Rizzo: Che c'entra la mia scelta...

Scajola: Ma basta! Senti, figliola, basta balle e sotterfugi, su... uno dice le cose com'è, ognuno ha il coraggio delle sue posizioni nella vita, no?

Rizzo: Ma va'! Chiara Rizzo riattacca e tronca la conversazione.

CHIARA RIZZO

Come se non bastasse c'è anche l'uso improprio della scorta dell'ex capo del Viminale, come annota il gip: "Lo Scajola è nuovamente al telefono con Roberta Sacco (la segretaria, ndr): nel corso di questa conversazione emerge con maggiore spregiudicatezza l'uso improprio del personale di scorta, tanto che Claudio Scajola si spinge a dare disposizioni che la scorta si rechi in territorio estero senza gli attrezzi", cioè non seguendo la procedura giusta d'informazione sugli spostamenti.

Usa tutte le misure necessarie di riservatezza nei confronti della stessa scorta come della moglie, cercando di lasciare tutti all'oscuro, tranne la segretaria. E se proprio la segretaria obietta che se gli agenti di scorta lo sanno comunicheranno gli spostamenti seguendo la procedura, Scajola sbotta: "E che lo comunichi pure, che me ne frega... tanto, non lo sa mia moglie, basta che lo tengano riservato, facciano quello che devono fare però mi lasciano là allo svincolo!".

CHIARA RIZZO MATACENA

È il 15 gennaio scorso e l'ex ministro accompagna Chiara Rizzo in Brianza, a una riunione d'affari. Sono soli e guida lui un'Alfa 159, lei è salita vicino al confine di Ventimiglia. Scajola non partecipa alla riunione. Aspetta in macchina, solo, per ore. E quindi la riaccompagna in Costa Azzurra. Quando parlano tra loro del marito latitante usano spesso un linguaggio cifrato e Matacena diventa "Mamma": "La mamma è tranquillo?", chiede la Rizzo a Scajola in un'occasione.

Ieri Chiara Rizzo parla all'Ansa: "Sto tornando da un viaggio programmato per mettermi a disposizione della giustizia e per chiarire la mia posizione. L'unica cosa che voglio è riabbracciare i miei figli e chiarire. Credo nella giustizia e ritengo che presto si farà chiarezza". Storie di una passione a cornice di una vicenda di illegalità che ha radici lontane.

CHIARA RIZZO E AMEDEO MATACENA

Grazie alle indagini della Dia, la Procura di Reggio ha individuato una "fitta ragnatela relazionale che caratterizza il mondo imprenditoriale, economico e finanziario, nazionale e internazionale, funzionalmente collegata in uno perverso rapporto di prestazioni corrispettive con le più evolute manifestazioni della 'ndrangheta". Una fitta rete di relazioni di cui "è membro di rilievo lo stesso Claudio Scajola": ieri dal gip si è avvalso della facoltà di tacere.

 

DELL’UTRI CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA A 7 ANNI PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA

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1 - DELL'UTRI E LA MAFIA ORA LA CONDANNA A 7 ANNI È DEFINITIVA
Riccardo Arena per "la Stampa"

MARCELLO DELL UTRI TORNO SUBITO

La parola fine su una vicenda cominciata in un giorno di giugno del 1996, con l'invito a comparire che fu pervicacemente e curiosamente negato - contro ogni evidenza - dall'allora procuratore aggiunto di Palermo Guido Lo Forte, è arrivata ieri sera poco prima delle 22. Sette anni erano e sette anni sono, per Marcello Dell'Utri non ci sono sconti ma l'imputato non c'è, è in Libano, in una corsia dell'ospedale Al Ayat di Beirut, in un reparto speciale per detenuti. Il Sostituto Procuratore Generale di Palermo Luigi Patronaggio ha emesso subito un ordine di carcerazione.

MARCELLO DELL UTRI CON L AVVOCATO GIUSEPPE DI PERI

Concorso esterno in associazione mafiosa, per una continuità di vicinanza e di legami con Cosa nostra che, per l'ex senatore del Pdl, parte dai primi anni '70 e si prolunga fino al 1992, come ha sostenuto ieri nella sua requisitoria il sostituto procuratore generale Aurelio Galasso e come ha confermato la prima sezione della Cassazione, con una decisione firmata dal collegio presieduto da una donna, Maria Cristina Siotto. Che ha confermato la sentenza scritta da un'altra donna, il consigliere della Corte d'appello di Palermo Daniela Troja.

Come aveva già fatto nel 2012 in occasione del primo giudizio di fronte alla Suprema Corte, Dell'Utri non ha atteso in Italia il verdetto, inizialmente fissato per il 15 aprile e che però è slittato a ieri, per il contemporaneo impedimento fisico dei suoi due difensori.
Per arrivare al verdetto definitivo ce ne sono voluti cinque, di processi: due condanne di merito (a nove anni in tribunale, a sette nel primo processo di appello), poi l'annullamento con rinvio da parte della Cassazione, il 9 marzo 2012, quando l'imputato era verosimilmente a Santo Domingo: anche in quel caso non aveva atteso il giudizio finale in Italia.

MARCELLO DELL'UTRI

La situazione non è però cambiata nel nuovo processo palermitano, celebrato davanti alla terza sezione della Corte d'appello, presieduta da Raimondo Loforti. L'imputato, secondo la ricostruzione fatta in primo grado dai pm Antonio Ingroia e Domenico Gozzo e in appello dai pg Nino Gatto e Luigi Patronaggio, oltre a contribuire alla fondazione dell'impero economico e imprenditoriale di Silvio Berlusconi e ad essere determinante per la nascita di Forza Italia, fu sempre in contatto con la mafia.

Come ha sostenuto ieri il pg Galasso, non c'è stata soluzione di continuità nel contributo «esterno» all'associazione mafiosa, dato che l'imputato era passato dalle "mani" dei boss della vecchia mafia come Stefano Bontate e Mimmo Teresi a quelle di Totò Riina.

Dell'Utri aveva portato ad Arcore, da Berlusconi, un mafioso conclamato come Vittorio Mangano, boss di Porta Nuova, e fatto pagare pizzo e protezioni all'amico Silvio, allora «re» delle costruzioni e delle tv. Mediatore interessato di un Berlusconi vittima consapevole, avevano scritto i giudici.

Ma la Cassazione aveva preteso di conoscere in che modo, dopo il '78, quando ci fu una temporanea frattura con l'ex premier, si era estrinsecato il contributo: e ieri Galasso ha avallato la tesi della continuità, dei contatti ininterrotti con Riina, dei pagamenti che andarono avanti fino al 1992.

marco e marcello dell'utri.

Mentre i legali hanno dovuto difendere l'imputato non tanto o non solo dalle accuse di merito, ma anche dalla sua fuga all'estero, un macigno per la difesa: «È molto provato - ha detto l'avvocato difensore Massimo Krogh -. Vent'anni di indagini. Non lo giustifico, ma lo capisco. Può avere perso la testa, fatto una stupidaggine». «Siamo delusi - gli fa eco il collega Giuseppe Di Peri - ora ricorreremo alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

2 - ESTRADIZIONE DAL LIBANO DIFFICILE. DECISIVO IL TRATTATO INTERNAZIONALE
Grazia Longo per "la Stampa"

No, Marcello Dell'Utri non aveva bisogno di fuggire in Sudamerica per garantirsi la libertà. Il trasferimento in Libano è più che sufficiente a risparmiargli il carcere. La possibilità che da Beirut arrivi l'ok per la richiesta di estradizione si profila, infatti, sempre più distante.

A sostenerlo non è solo il legale libanese del braccio destro dell'ex premier Silvio Berlusconi, Akram Azoury, ma anche l'avvocato Fausto Pocar, ordinario di diritto internazionale all'Università degli Studi di Milano.

«Non solo l'ex senatore non va estradato, ma non andava neppure arrestato il 12 aprile scorso - dichiara l'avvocato Azoury -. L'Italia, quando lo ha fermato all'hotel Phoenicia, ha violato l'articolo 20, punto C del trattato internazionale tra i due Paesi, secondo il quale l'estradizione non può essere concessa per reati prescritti in uno dei due Stati».

Marcello Dell'Utri

E, secondo il difensore, i reati per cui Dell'Utri è stato condannato sono ampiamente coperti dalla prescrizione in Libano «perché sono già passati 10 anni dal '92». Per non parlare, poi, dell'inconsistenza giuridica del «concorso esterno» in associazione mafiosa, non previsto dalla legge libanese.

Non è la prima volta che Azoury, agguerrito e con ampio margine di manovre politiche, assiste persone con ruoli istituzionali. Avvocato di primo piano in Libano, ha difeso tra l'altro l'ex capo della sicurezza nazionale Jamil Sayyed dall'accusa di aver partecipato all'uccisione dell'ex primo ministro Rafiq Hariri e dopo la rivoluzione in Tunisia nel 2011 è diventato legale del deposto presidente, il dittatore Ben Ali.

E se Azoury si spinge addirittura a chiedere la liberazione del cofondatore di Forza Italia, il professore Fausto Copar ammette che «il trattato internazionale con il Libano, del 10 luglio 1970, per regolare i rapporti di assistenza giudiziaria reciproca, non sembra a favore dell'estrazione dell'ex senatore.

fel08 marcello dell utri

Oltre all'articolo 20, infatti, anche il numero 16 complica il suo rientro in Italia, sia a scopi processuali, sia per l'applicazione di una pena definitiva. In entrambe le circostanze vale il principio della "doppia incriminazione", nel senso che sia il reato, sia la pena devono essere contemplate in entrambi i Paesi». Più nel dettaglio Pocar precisa: «Se per la legge libanese i reati sono davvero già prescritti, Dell'Utri ha l'opportunità di non essere estradato perché decadono i motivi. Idem per il "concorso esterno"».

Fiduciosi di centrare l'obiettivo sono, invece, al ministero della Giustizia. Il Guardasigilli, Andrea Orlando, ha inviato lunedì scorso la traduzione - in francese e in parte in arabo - della sentenza di secondo grado e i suoi allegati. Ora si limiterà a «comunicare che la sentenza è diventata definitiva e quindi l'estradizione viene richiesta per applicazione della pena e non per scopi processuali».

DELL UTRI DELLUTRI CON L AVVOCATO MASSIMO KROGH

La strada verso l'esecuzione dell'estradizione è, tuttavia, lastricata di ostacoli e difficoltà. Alla luce delle dichiarazioni dell'avvocato Akram Azoury, tanto per capirci, si comprende meglio anche l'atteggiamento del procuratore generale della Cassazione libanese, Samir Hammud. Finora non solo non ha mai interrogato Marcello Dell'Utri, a cui ha concesso gli arresti domiciliari per motivi di salute, dal 16 aprile, nel reparto detenuti dell'ospedale Al Hayat. Ma ha sempre sostenuto che lo avrebbe incontrato «solo dopo aver letto tutte le carte».

Aspetta forse la sentenza definitiva per poi evidenziarne l'incongruità con la legge libanese? Inoltre, la sensazione più forte che arriva dagli ambienti giudiziari di Beirut è il peso politico della decisone finale.

MARCELLO DELL UTRI INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO

 

DOPO IL PRIMO GIORNO A CESANO BOSCONE, IL BANANA FA IL GIGIONE: “HO FATTO TANTE BATTUTE”

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Michele Brambilla per "la Stampa"

SILVIO BERLUSCONI ALL'USCITA DALLA SACRA FAMIGLIA DI CESANO BOSCONE

Il più inutile appostamento della storia del giornalismo comincia alle sette del mattino, quando i primi cronisti cominciano ad arrivare alla Sacra Famiglia, e finisce verso le due del pomeriggio, quando anche i più ostinati capiscono che non si tira fuori mezza notizia neanche a pagarla.

In mezzo a queste sette ore, il nulla. Silvio Berlusconi arriva alle nove e mezza ed entra nella palazzina San Pietro, dove ci sono i malati di Alzheimer, senza aprire bocca; e se ne va alle due meno dieci sempre senza proferire parola. Ai giornalisti che gli urlano «presidente, com'è andata?», o altre fondamentali domande di questo genere, l'ex premier risponde allargando le braccia come per dire: abbiate pazienza, ho l'obbligo di stare zitto.

GIORNALISTI APPOSTATI PER IL PRIMO GIORNO DI SILVIO BERLUSCONI A CESANO BOSCONE

Solo più tardi, e non qui, Berlusconi racconterà, sia pure con parsimonia, com'è andata. Lo farà nell'intervista a Telelombardia: «Ho fatto tante battute, abbiamo parlato tanto di Milan, e la prossima volta porterò anche degli orologi del Milan», ha scherzato. Poi, più serio, ha aggiunto: «La cosa che mi ha colpito di più è stata la dedizione delle persone che sono a contatto con questi malati di Alzheimer».

Parole pronunciate verso sera davanti alle telecamere, e che quindi hanno reso un po' grottesco uno spiegamento di uomini e mezzi - più di cento giornalisti, forse duecento, da tutto il mondo - che ha colpito anche l'ex premier: «Mi è sembrata esagerata tutta questa attenzione, la calca di fotografi e giornalisti per una cosa normale che rientra in cose che già si conoscevano», ha detto a Telelombardia.

Ma nel frattempo la calca di giornalisti a Cesano Boscone, per ingannare il tempo, non ha trovato niente di meglio che intervistarsi a vicenda. Il che è servito, tra l'altro, per renderci conto della figura che stiamo facendo all'estero. C'è ad esempio una cronista di una radio francese e le chiedo se nel suo Paese ci sia molto interesse attorno a questa faccenda dell'ex presidente del Consiglio condannato ad assistere anziani in genere più giovani di lui. «Sì», mi risponde, «c'è molto interesse, anche se un po' cinico».

le troupe davanti alla casa di cura di cesano boscone

In che senso cinico? «Nel senso che ci dà l'opportunità di ridere di voi». I colleghi tedeschi, che non per niente sono tedeschi, colgono un altro aspetto: «Anche da noi», mi dicono, «esistono le pene alternative. Ma se uno viene condannato a quattro anni, non finisce per fare quattro ore alla settimana per dieci mesi».

Ma poi, Berlusconi può davvero essere utile ai malati? E a se stesso? A Telelombardia lui dirà più tardi di «non sentirsi bene nell'affrontare una situazione che mi ha limitato molto». «Non sono solo quelle quattro ore e mezza», ha spiegato, ma anche tutti gli altri vincoli posti dall'Uepe alla sua vita privata. Comunque, ha osservato che la sua permanenza alla Sacra Famiglia è stata di «ore intensissime, ma sono stato anche di disturbo per loro: spero recupereremo la prossima volta. Io mi sono messo a disposizione, non so poi se vorranno usufruire della mia esperienza».

berlusconi arriva alla casa di cura di cesano bosone

L'impressione, per ora, è però che la sua presenza, più che aiutare l'istituto, lo paralizzi: polizia dappertutto, strade interne sbarrate, personale di servizio con consegne blindate. La Sacra Famiglia - due chilometri e ottocento metri di perimetro, diciotto ingressi - pare trasformato in un fortino.

Ovviamente anche la massiccia presenza di noi giornalisti è una scocciatura: quelli dell'istituto ci avrebbero volentieri lasciati fuori tutti, ma per evitare assalti scomposti hanno dovuto accettare una soluzione di compromesso: tutti dentro ma al di là di una serie di transenne. Insomma la nostra presenza qui è frutto di una trattativa, un po' come quella fra i giocatori del Napoli e Genny 'a carogna.

In ogni caso i costi paiono superare ampiamente i benefici che il condannato può, con tutta la buona volontà, portare. Qui qualcuno ironizza: «Magari Silvio tocca i malati e li guarisce». Ma c'è anche chi invece non scherza affatto sull'ex presidente caduto in disgrazia: da un balcone di via Cottolengo 20 - che si affaccia proprio sul vialetto della palazzina San Pietro - la signora Stella Parrillo attende adorante fin dalle otto del mattino: «Dovevo andare a lavorare», spiega, «ma resto qui in casa perché voglio assolutamente vederlo. È una persona brava, brava, brava».

berlusconi arriva alla casa di cura di cesano boscone

La prima giornata di Berlusconi a Cesano Boscone finisce insomma come finisce al solito tutto quello che riguarda Berlusconi: con il diventare spettacolo. Ma in realtà questa storia, più che uno spettacolo, è una vicenda eccezionalmente densa di significato, non politico o giudiziario, ma umano. Un significato evidente, a meno che non si voglia vedere niente di profondo nella parabola di una persona che ha costruito tutta la sua vita sul diventare un personaggio famoso, e che finisce con il trovarsi in compagnia di uomini che non sono neppure in grado di riconoscerlo.

 

NON SOLO GHEDDAFI, ANCHE ABU MAZEN AMA CIRCONDARSI DI DONNE COME GUARDIE DEL CORPO

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Maurizio Molinari per "la Stampa"

Scalano torri con funi di corda, si gettano dall'alto per abituarsi al pericolo, guidano auto veloci e si addestrano a proteggere i leader: il fiore all'occhiello della guardia presidenziale palestinese sono 23 donne-soldato destinate a difendere Abu Mazen. A comandarle è Minar Qemal Daramer, 43 anni, di Ramallah, madre di nove figli con sulla mimetica la scritta «Palestine» e il logo «Swat» delle armi speciali.

LE GUARDIE DEL CORPO DI ABU MAZEN

«Avevamo molte richieste, abbiamo scelto queste 23 ragazze perché sono le più determinate» ci spiega durante una pausa degli addestramenti. «Per far parte della guardia presidenziale devono essere superiori alla media - aggiunge - sommando forza fisica, sensibilità, intelligenza, passione per la patria e almeno una laurea».

Le donne-soldato - tutte classe 1991 - vengono addestrate dall'unità dei carabinieri comandata da Massimo Mennitti. Per comprenderne le tecniche siamo entrati nella base di Gerico dei 2600 militari della guardia nazionale trovando Akia, Salan, Hanin, Sabra e Dalia mentre simulano la difesa di un leader. L'attacco può avvenire mentre il vip stringe le mani in una cerimonia, attraversa un cortile, scende dall'auto, entra in ufficio o percorre scale e corridoi: in ogni occasione c'è un carabiniere che simula l'aggressione e loro reagiscono.

ABU MAZEN

Lo schema si ripete nei test di guida sicura, quando viene insegnato alle soldatesse come superare ostacoli improvvisi. «Sono molto motivate», assicura Mennitti. Per comprendere da dove nasce tale grinta basta ascoltarle. Zakia dice di «voler proteggere tutti i palestinesi, uomini e donne». Salan vede nell'uniforme la conferma che «le donne sono al centro della nostra società».

E aggiunge: «Sono qui per dimostrare quanto valiamo». Hanin definisce «un sogno» la possibilità di «servire la Palestina» e Sabra promette: «Darò tutto alla mia nazione». A concludere è Dalia: «Se volete sapere cos'è la Palestina dovete guardarci». Vengono da Jenin, Nablus e Gerico. È il velo a svelarne la fede: le musulmane lo indossano fra divisa e berretto mentre le cristiane non lo hanno. Fra gli addestratori c'è chi le definisce «una sorta di ninja» perché non si tirano mai indietro anche quando gli ufficiali palestinesi le sottopongono a situazioni estreme.

Abu Mazen

Fra i 30 mila militari palestinesi le donne sono circa 900 e le 23 «guardie presidenziali» ne riassumono lo spirito. «Tengono a dimostrare di non essere da meno degli uomini», spiega Daramer, secondo cui «la società palestinese si distingue per reggersi su donne forti e le forze armate ne traggono vantaggio».

È una caratteristica che le avvicina più alle soldatesse israeliane che non alle fedelissime del colonnello libico Muammar Gheddafi. Anche perché il legame con la Palestina, per le reclute di Gerico, prevale su tutto il resto. È il tassello di un mosaico più ampio: Gerico è la città militare dell'Autorità nazionale palestinese, proprio come Ramallah ne è il centro politico. Per spazi, caserme e reparti è qui, nella Valle del Giordano, che le forze armate di Abu Mazen stanno nascendo.

 

LE AMAZZONI DI GHEDDAFIGHEDDAFI AMAZZONI

L’EXPO 2015 RISCHIA DI ESSERE L’ENNESIMO, GRANDE FALLIMENTO ITALIANO

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Gianni Barbacetto e Marco Maroni per il "Fatto quotidiano"

mazzetta

Sull'orlo della catastrofe. Manca un anno all'inaugurazione di Expo, il 1 maggio 2015, anzi esattamente 355 giorni, e ai ritardi si sono aggiunti gli arresti della Cupola bipartisan degli appalti. In cella è finito anche il manager operativo dell'evento, Angelo Paris, accusato di vendere la sua funzione di pubblico ufficiale al clan delle mazzette. Ora davvero il treno dell'evento, partito tardi e con una tabella di marcia da brivido, rischia di deragliare.

Il programma dei lavori era già fuori controllo due anni fa. Non lo dice un critico No Expo, ma Carmen Leo, l'avvocato che doveva assistere Expo spa nella realizzazione del sito, finita agli arresti domiciliari lo scorso marzo: "Ho finito una riunione con quelli di Expo, hanno un crono-programma che piange vendetta, si trovano nell'impossibilità di completare le opere".

Ora, due anni dopo questa affermazione intercettata dalla Guardia di finanza, la maggior parte dei lavori previsti non è neppure iniziata e ci si trova nella necessità di nominare al volo un nuovo responsabile di costruzioni e appalti, al posto dell'arrestato Paris. Quella in cui sono finiti il commissario Giuseppe Sala e i vertici di Expo è ormai una battaglia contro il tempo che rischia di lasciare sul campo morti e feriti. E non soltanto in senso metaforico.

GREGANTI php jpeg

UNA "TORTA" DA 11 MILIARDI
La storia dei ritardi dell'Expo e delle lotte per spartirsi i suoi 11 miliardi di investimenti pubblici appare fin da subito grottesca. Assegnato a Milano nel marzo del 2008, il primo anno è perso discutendo su poteri e compenso degli amministratori, primo fra tutti quello dell'amministratore delegato Paolo Glisenti, già uomo comunicazione del sindaco di Milano Letizia Moratti.

Alla prima riunione, il presidente del collegio dei sindaci (quelli che controllano la correttezza di amministratori e conti), Dario Fruscio, un leghista che sa fare il suo mestiere, si fa un'idea precisa: "Questo di aziende non capisce niente". Ne chiede la testa. Dopo un braccio di ferro Letizia Moratti cede. Glisenti è sostituito da Lucio Stanca, berlusconiano, ex ministro dell'Innovazione.

expo pisapia

È ricordato solo per la pretesa di una sede più lussuosa rispetto alla cinquecentesca villa di Quarto Oggiaro che gli aveva assegnato, gratis, la Provincia. Lui pretende 2.300 metri quadrati a Palazzo Reale, al costo di 1,1 milioni l'anno, altrimenti se ne va. Riesce a indispettire tutti, dal sindaco al presidente della Regione Roberto Formigoni, fino ai rappresentanti del Tesoro.

Anche lui è costretto ad andarsene. Lascia il posto a un manager vero, Giuseppe Sala, già direttore generale al Comune di Milano. Ma intanto siamo già al 2010 e non si è ancora neppure deciso come rilevare dai Cabassi e dalla Fiera di Milano i terreni scelti per l'evento. Ancora imprecisi anche i contorni di qullo che dovrà essere il progetto finale. Le cose non migliorano neppure con l'arrivo, nel maggio 2011, del nuovo sindaco, Giuliano Pisapia, anche perché la gestione dell'affare rimane soprattutto nelle mani della Regione guidata da Roberto Formigoni. Si arriva al 2012 e già scatta l'emergenza.

guaglio mascotte dell expo

L'idea di "orto planetario" concepita da Stefano Boeri, assessore comunale con delega all'esposizione, viene scartata: troppo poco appetibile per i Paesi espositori, si dice. E poi: troppo poco cemento con cui far quadrare i conti. Si risolve il problema comprando a 160 milioni di euro, da Cabassi e Fiera, terreni che erano agricoli. I lavori veri non sono ancora partiti, ma i tempi stretti sono una buona giustificazione per l'assegnazione diretta di molti appalti.

Quello più grosso, da 272 milioni, è la realizzazione della cosiddetta "piastra", complessa infrastruttura su cui dovranno essere costruiti i padiglioni. La gara è gestita da Infrastrutture lombarde, riserva formigoniana. Favorita Impregilo, vince a sorpresa la Mantovani (in che modo, è oggetto d'indagine della procura). A settembre 2012, Sala dichiara: "Le aree sono state consegnate alla Mantovani per la realizzazione della piastra.

La tempistica che ci hanno assicurato è di 600 giorni di lavoro". Nel 2012 e nel 2013, mentre i pochi lavori in corso sul sito da 1,1 milioni di metri quadrati procedono lentamente, si cominciano a indebolire le procedure antimafia. Un processo di alleggerimento delle "linee guida" anticriminalità che aumenterà progressivamente. Fino al 5 maggio scorso, quando si decide di alzare da 50 mila a 100 mila euro la soglia che fa scattare i controlli più severi.

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ALTRO CHE CONTROLLI ANTIMAFIA: 50 MILIONI DATI SENZA GARA
Nel frattempo ci si dà un gran daffare per distribuire una cinquantina di milioni, per lo più senza gara aperta, in servizi collaterali, in gran parte marketing, pubblicità, comunicazione, e finanziamenti ai maggiori giornali. L'appalto per il software che avrebbe dovuto agevolare la mole di controlli antimafia necessari per vagliare le centinaia di aziende che saranno al lavoro sul sito è assegnato, senza gara, a un'azienda decotta del giro Compagnia delle Opere.

Dopo qualche la società finisce in liquidazione, risultato: il software ancora oggi non c'è. Del resto ormai non serve, visto che per i controlli non c'è più tempo. Il 13 gennaio 2013 in Prefettura si decide di semplificare ulteriormente le procedure: le verifiche saranno limitate all'autocertificazione di proprietari, amministratori e procuratori, come suggerito dal ministero guidato da Angelino Alfano.

Giuseppe Sala ad expo

La legalità è un lusso che non ci si può più permettere. Emblematico è proprio il caso della Mantovani, definita dalla magistratura "gruppo economico criminale": l'emissione di un eventuale provvedimento interdittivo, che la allontanasse dai cantieri, ora sancirebbe la fine dell'Expo. Lo stesso vale per la Maltauro, che dovrebbe fare le "architetture di servizio" (edifici accessori, punti di ristoro, servizi igienici e via dicendo).

Ormai è chiaro anche il fatto che la gran parte delle infrastrutture inserite nel dossier con cui Milano aveva vinto la gara internazionale non si faranno. Non si finirà l'autostrada Pedemontana, a corto di soldi, nè altre opere stradali pensate per agevolare, oltre alle imprese degli amici, lo spostamento dei 20 milioni di visitatori ottimisticamente stimati.

Non si faranno in tempo - e forse mai - le linee 4 e 6 della metropolitana. L'alta velocità non arriverà a Malpensa. Non sarà potenziata la ferrovia Rho-Gallarate. Le vecchie cascine milanesi, che avrebbero dovuto accogliere frotte di entusiasti turisti planetari, resteranno per lo più dei ruderi.

CANTIERE EXPO MILANO

GRU IMMOBILI E SILENZIO
Lo scorso 15 marzo, Jolanda Nanni, consigliere regionale del Movimento 5 stelle, è andata con una delegazione di politici a visitare il sito Expo. Percorso blindato, vietato scendere dal pullman. La sua impressione: "Qualche gru immobile, sparsa in uno spazio immenso, pochi operai, il ricordo più forte è il silenzio". Questa è l'attività che avrebbe dovuto portare, in 600 giorni, alla conclusione delle opere.

I tentativi di fare miracoli, in una corsa contro il tempo, riguardano ora tutti gli impegni del programma pubblicato dalla stessa società Expo sul suo sito. Gli arresti di giovedì non hanno fatto che aggravare la precarietà della situazione. A oggi, non è iniziata la costruzione dei padiglione dei paesi ospiti, nonostante a metà dicembre siano stati consegnati simbolicamente i lotti; nessuna opera in muratura per il palazzo Italia, l'unico destinato a rimanere dopo l'evento; sono ancora da rimuovere gran parte delle cosiddette "interferenze" (fossi, edifici, tubature, viadotti); nulla dell'annunciata piantumazione di migliaia di alberi.

CANTIERE EXPO MILANO

E probabilmente non si faranno le contestate Vie d'acqua, che dovevano far rifluire l'acqua dai canali e dal lago artificiale del sito devastando tre parchi cittadini, al costo di 90 milioni. Mercoledì scorso il consiglio di amministrazione di Expo aveva annunciato l'interramento del corso d'acqua sotto i parchi. Ma l'amministratore della società che ha vinto l'appalto, la Maltauro, ora è finito agli arresti.

Forse non è un caso che dei 140 paesi attesi, per ora abbiano firmato solo in 103. La Svizzera è stata la prima a firmare, nel 2010, per un padiglione di oltre 4 mila metri quadrati e 10 milioni di franchi d'investimento: cinque torri cariche di prodotti alimentari che i visitatori potranno portare via. Dicono al consolato elvetico: "Stiamo definendo la timetable con Expo, appena avremo l'ok al progetto potremo partire con la costruzione".

CANTIERE EXPO MILANO

Sul loro house organ sono meno diplomatici: "L'enorme sagoma del cantiere a forma di pesce, oggi, assomiglia piuttosto a una balena spiaggiata. Tra lavori rallentati e arresti, il rischio è quello di non arrivare preparati all'appuntamento del primo maggio 2015". Dalla società Expo fioccano assicurazioni che con i nuovi turni di lavoro, venti ore al giorno, sabati e domeniche compresi, si farà in tempo .

Ma il maggior problema a questo punto non è che cosa si riuscirà a fare, ma come le cose saranno fatte. Dice Antonio Lareno, responsabile del Progetto Expo per la Cgil: "L'accelerazione esasperata pone prima di tutto un problema di sicurezza. Oltre ai controlli antimafia, si alleggeriscono collaudi, certificazioni, vigilanza antinfortunistica". Quello dei lavoratori è ovviamente il primo cruccio del sindacato.

CANTIERE EXPO MILANO

"A regime sul sito ci saranno più di 100 cantieri e oltre 4 mila lavoratori, in buona parte stranieri, reclutati in tutta fretta", dice Lareno, "con lavorazioni multiple, anche la notte alla luce delle torce: è evidente che la sicurezza diventa critica. Le Olimpiadi di Torino nel 2006 sono costate cinque morti. L'Inail , l'Istituto nazionale per la sicurezza contro gli infortuni, ha fatto un calcolo, pura statistica: per un evento come Expo si rischiano 20 mila infortuni e 40 morti sul lavoro".

Altro aspetto problematico, la sicurezza durante l'esposizione. "Solo per dirne una, la commessa per la sorveglianza non è stata ancora affidata", spiega il sindacalista, "non si sa come farla. Il sito è stato assimilato a un aeroporto, ma come si fa a far passare dagli scanner 20 milioni di persone? E si consideri che l'evento, essendo dedicato al cibo, ha un consistente rischio biologico e igienico. Non è come una fiera del mobile". Expo 2015, l'evento che doveva rilanciare Milano e l'immagine e l'economia italiana, si è trasformato in un grosso incubo.

progetto Expo dal Corriere della Sera

 

expo 2015expo milano

ACCOLTO COME SALVATORE DELLA PATRIA, L’EGOMANE SEEDORF VIENE RISPEDITO AL MITTENTE MENTRE GALLIANI SONDA SPALLETTI

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1 - SEEDORF LICENZIATO CON UNA BATTUTA SPALLETTI VEDE GALLIANI
Monica Colombo per il "Corriere della Sera"

CONTE E SEEDORF

Il de profundis sull'esperienza di Clarence Seedorf sulla panchina milanista è stato recitato all'ora dell'happy hour da Silvio Berlusconi a Telelombardia. «Alla Sacra Famiglia ho incontrato molte persone che potrebbero gestire lo spogliatoio del Milan e farsi amare dai giocatori». Chi avesse in mente Berlusconi con quella battuta non è dato sapere.

Di certo la frase pronunciata, pur con tono scherzoso, e arrivata dopo le dichiarazioni poco rassicuranti dell'altro giorno («Del futuro decideremo a fine campionato»), chiude senza se e senza ma l'avventura dell'olandese alla guida dei rossoneri. Giudicato inadeguato a ricoprire il ruolo di tecnico, Seedorf a due gare dal termine della stagione, con l'obiettivo Europa League ancora da centrare, appare completamente delegittimato.

BARBARA BERLUSCONI E SEEDORF heroa

Le battute sul sarto sibilate ai tempi di Zaccheroni («Non è adatto alla stoffa di qualità che ha») sono un buffetto sulla guancia se paragonate alla dichiarazione «definitiva» dedicata all'attuale tecnico. Eppure dall'entourage di Seedorf non trapela preoccupazione per l'affermazione che sa di licenziamento imminente, non intravvedendo un nesso fra le parole del presidente e la figura dell'allenatore.

Anzi le persone vicine a Clarence forniscono un'interpretazione sui generis alla battuta considerandola riferita alla società.
«Ho in mente un nome ma non lo dico» ha poi confessato Berlusconi fuori onda lasciando intendere che il prescelto non sarà Inzaghi. Chissà se il nome misterioso è quello di Luciano Spalletti, già vicino alla panchina rossonera nell'estate del 2010 quando poi arrivò Massimiliano Allegri.

barbara

Dopo i contatti telefonici degli ultimi giorni, il tecnico esonerato dallo Zenit a marzo (ma legato ai russi da un altro anno di contratto), sarà a Milano la prossima settimana. «Per questioni personali» ha precisato il tecnico di Certaldo, in teoria intenzionato a rimanere fermo la prossima stagione (con lo stipendio di 4,5 milioni di euro garantito dallo Zenit). Però intanto è previsto un incontro con Adriano Galliani il quale sonderà la disponibilità dell'allenatore toscano ad accontentarsi di uno stipendio più basso (magari dopo aver incassato una buonuscita dai russi).

La trattativa è complessa anche perché Spalletti si attende rinforzi di qualità. La campagna acquisti sarà affidata a Rocco Maiorino, già responsabile scouting rossonero. Promosso sul campo dopo l'addio di Braida, blocca l'arrivo di nuovi ds, da Sogliano a Giovanni Galli, da Pradè a Berta. Chissà se la decisione troverà d'accordo tutte le anime del Milan.

2 - CONTE-AGNELLI RINVIO LA SOCIETÀ ASPETTA MA VALUTA ALTERNATIVE
Filippo Bonsignore per il "Corriere della Sera"

ANTONIO CONTE ANDREA AGNELLI

L'attesa continua. Il futuro di Antonio Conte e della panchina della Juventus sono ancora da scrivere. La giornata di ieri infatti, indicata nelle previsioni come decisiva, non ha portato novità. L'incontro tra il tecnico bianconero e il presidente Andrea Agnelli non c'è stato. Slittato, si presume, ai primi giorni della prossima settimana. Dopo Roma-Juve, dunque, ogni giorno sarà buono per diventare quello della verità.

L'epilogo del caldo venerdì torinese si è delineato attorno a metà pomeriggio. Dopo l'allenamento, Conte era atteso nella sede del club, in centro a Torino, dove al lavoro c'erano lo stesso Agnelli, l'amministratore delegato Marotta, raggiunti poi dal direttore sportivo Paratici. All'esterno, media, tifosi e semplici curiosi in quantità. Con il passare delle ore, però, ha preso corpo una delle eventualità che si erano ipotizzate nella vigilia ricca di sussurri e grida più o meno controllati.

ANDREA AGNELLI ANTONIO CONTE

E cioè che nessun appuntamento fosse davvero in agenda tra dirigenti e allenatore. Così in effetti è stato. Anche perché già giovedì c'era stato un contatto a Vinovo e sembra che non siano emersi fatti nuovi di portata tale da richiedere un nuovo incontro dopo poche ore. Rinvio, dunque; con la consapevolezza che, allungando un po' (ma non troppo) i tempi, anche Conte, potrebbe ritrovare serenità e forze perdute.

Le posizioni restano cristallizzate. Conte non vuole replicare l'esperienza dell'Inter del Triplete, squadra vincente ma che non si è rinnovata dopo i successi. Mira a un profondo ricambio di giocatori, guardando anche ai giovani, così da costruire un nuovo ciclo. Per continuare a vincere e alzare il livello degli obiettivi a quota Europa. L'idea di fondo di innestare nuove energie, e quindi nuovi uomini, è condivisa dalla società che però non può distogliere l'attenzione dall'equilibrio dei conti.

roberto mancini

Per proseguire, di pari passo con i successi, nell'opera di risanamento del bilancio perseguita in modo vincente in questi anni. La chiave sarà trovare la sintesi. E non sarà facile. Mai come in questo caso non si può dare per scontato il finale della storia. Logico, dunque, pensare a un piano B, a una Juventus che deve voltare pagina. Il borsino dei possibili sostituti contempla sempre gli stessi protagonisti. Il nome forte è ancora quello di Roberto Mancini. In calo Spalletti, su cui ora c'è forte il Milan, sale il gradimento per Diego Simeone.

6pa 47 luciano spalletti

 

 

SORCINI VERDI PER RENATO ZERO - IL CANTANTE E’ STATO PRESO A PUGNI E RAPINATO

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Rinaldo Frignani per il "Corriere della Sera"

renato zero

Ai poliziotti ha detto di non essersi spaventato. Ma per Renato Zero non deve essere stato lo stesso un bel pomeriggio. Due rapinatori in motorino lo hanno seguito ieri alle 17 all'interno del complesso residenziale dove il cantante romano abita in via della Camilluccia e gli hanno strappato dal polso un orologio da 45 mila euro. L'ultimo assalto di banditi specializzati in questo genere di colpi, che agiscono ogni giorno - più volte al giorno -, nei quartieri della Roma bene: sono quasi sempre napoletani in trasferta (per lo più in treno), ma da qualche tempo vengono affiancati da rapinatori romani, come basisti o come complici.

renato zero

Di bande la polizia ne ha già arrestate molte, ma il fenomeno non si placa. Fra le loro vittime - sono parecchie decine solo nell'ultimo anno e mezzo, non poche quelle minacciate con la pistola alla testa - anche attori (Lino Banfi aggredito in ascensore a piazza Bologna, i banditi sono stati poi bloccati), sportivi, imprenditori.

Ieri pomeriggio il copione è stato simile ad altri: Zero rientrava a casa al volante di una Porsche bianca: varcato il cancello, ha rallentato nei pressi del gabbiotto del custode, poi ha proseguito la marcia nel vialetto d'ingresso. A quel punto i banditi - uno biondino, con la barba, l'altro moro, entrambi con giacche scure - lo hanno seguito su uno scooter chiaro.
«Ahò, faccelo salutà», hanno gridato al portiere che ha pensato fossero fan all'inseguimento del loro idolo. «Sorcini» a caccia di un autografo.

Renato Zero

E forse è proprio quello che ha finito per ingannare il «cantattore», come viene considerato Zero, uno degli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi (oltre 45 milioni). Secondo il racconto fatto alla polizia il cantante si sarebbe sporto dal sedile per voltarsi, con il finestrino abbassato e il braccio sinistro fuori, ma a quel punto uno dei rapinatori lo ha colpito alla testa con un pugno e gli ha strappato l'orologio, una versione di Audemars Piguet Black Hawk particolarmente preziosa.

Stordito, sicuramente sorpreso, Zero - che poi ha preferito non recarsi in ospedale, ha avuto qualche graffio su un polso - non ha avuto il tempo di reagire. I banditi sono tornati su via della Camilluccia e sono scomparsi. È possibile che siano stati ripresi dalle telecamere della videosorveglianza all'ingresso.

Dall'accento non si capisce se fossero romani oppure no, ma sono in corso accertamenti sullo scooter usato per l'aggressione e sulla sua provenienza. Gli investigatori della Squadra mobile, diretti da Renato Cortese, hanno ascoltato il racconto dell'artista al quale sono state anche mostrate delle foto segnaletiche dei pregiudicati per questo genere di reati.

renato zero

Una ricerca non facile anche perché i banditi indossavano i caschi e gli occhiali da sole. Fra le ipotesi c'è anche quella - confermata poi in altre occasioni - che i rapinatori siano entrati in azione dopo aver pedinato il cantante forse non soltanto nella giornata di ieri, ma anche prima. Sapevano dove abita, conoscevano i suoi orari e hanno colpito proprio quando si sentiva più al sicuro. A casa.

 

 

TRA OTTOBRE E NOVEMBRE 2013, MARINA BERLUSCONI ERA PRONTA A SCENDERE IN CAMPO E IL BANANA LE AVEVA SCRITTO IL DISCORSO

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Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

CAMPER CON FOTO MARINA BERLUSCONI jpeg

C'è la figlia, poi ci sono i figli. E per la figlia già sette mesi fa aveva organizzato la discesa in campo: «Mai avrei immaginato di trovarmi su questo palco», è l'incipit del discorso scritto per Marina, che Silvio Berlusconi ha riletto nei giorni scorsi, trovandolo ormai superato. A logorare quel testo è stato il radicale cambio di scenario, in base al quale l'erede - se per davvero decidesse di misurarsi con il consenso - dovrebbe fare i conti con gli altri figli del Cavaliere, «perché Renzi e Grillo sono figli di Berlusconi», secondo l'ex ministro Matteoli.

«Di Berlusconi, Renzi a suo modo ripropone l'epopea della rivoluzione liberale per il cambiamento dello Stato. Mentre Grillo - a detta del dirigente forzista - ha ereditato il profilo antipolitico», compresa la prosa iconoclasta, la stessa che venti anni fa contraddistingueva il Cavaliere, impegnato a bonificare la «cloaca romana».

CAMPER CON FOTO MARINA BERLUSCONI jpeg

Non è un caso, quindi, se l'ex premier aveva tentato di avvicinare i leader del Pd e dei Cinquestelle, perché in entrambi aveva rivisto un pezzo di se stesso. Ora che i due sembrano avergli strappato ruolo e primato, offrendosi agli elettori come i capi di un nuovo bipolarismo, Berlusconi si rammarica per quello che considera un suo errore: «Ho sbagliato e mi morderei la lingua», ha ammesso il Cavaliere, quando alcuni dirigenti gli hanno rimarcato i «troppi endorsement» a favore del premier democratico.
Ma le difficoltà non possono essere ridotte a questo passo falso.

È vero, inseguendo l'abbraccio con Renzi, Berlusconi ha disatteso una regola aurea della politica, che ha sempre ripetuto ai suoi adepti e che lo ha reso vincente: «Non c'è grande partito senza un grande nemico».

berlusconi marina fininvest cir esproprio crop display

Ma il leader del Pd, non avendo l'imprinting comunista, impedisce oggi di riproporre il vecchio schema. C'è invece un altro problema, di cui il Cavaliere è consapevole, e che di fatto è stato evidenziato con il rilancio del marchio Forza Italia: un'operazione simile a quella decisa agli inizi degli anni Novanta dalla Dc, che ripropose il simbolo del Ppi perché sperava con un ritorno alle origini di rigenerarsi.

L'idea del futuro incarnato dall'eventuale discesa in campo di Marina resta così all'orizzonte per esorcizzare il declino, sebbene sia ancora legato a molte, troppe variabili. Di certo quel discorso - preparato lo scorso autunno - prefigurava la fine immediata della legislatura e il ritorno alle urne. Adesso tutto è cambiato, e c'è un motivo se il possibile «sacrificio» della figlia non pare aver acceso l'immaginario di quella parte dell'elettorato azzurro che - a detta dei rilevamenti demoscopici - sarebbe per il momento intenzionata a disertare il voto.

Il fatto è che gli «altri figli» di Berlusconi stanno cannibalizzando la competizione, come si fossero divisi l'eredità politica e mediatica del Cavaliere. Anche se nulla è scontato, visto che ieri non c'è stato sondaggista a non aver preso le distanze da se stesso e dai propri numeri. Diamanti su Repubblica ha esortato i lettori alla «prudenza», D'Alimonte sul Sole li ha invitati alla «cautela».

MARINA BERLUSCONi

L'unica certezza è «l'incertezza», per dirla con Pagnoncelli sul Corriere . Ma è evidente che Forza Italia non decolla, se Berlusconi ha già cambiato comunicazione in campagna elettorale. All'inizio c'era la sfida con Grillo per il secondo posto, ora - come se avesse già metabolizzato il terzo posto - cerca di invogliare l'elettorato, puntando al superamento di una certa «quota».

SILVIO BERLUSCONI CON LA FIGLIA MARINA

Già, ma quale? Se fosse «quota 20%» si tratterebbe del peggior risultato mai ottenuto da Berlusconi in undici competizioni dal ‘94 ad oggi. Perciò da ieri ha preso a parlare del 25%.

Resta la preoccupazione di ritrovarsi il giorno dopo le urne dietro Renzi e Grillo, inseguito dalla profezia di Alfano che - dopo la separazione - disse che «senza di noi Forza Italia sarà un terzo polo». Il fatto è che la disgregazione del centrodestra potrebbe anticipare una crisi di sistema, che le ultime inchieste rischiano di accelerare. Infatti il leader di M5S - come nel ‘94 fece Berlusconi - vellica il giustizialismo, perché nel fuoco purificatore in cui si vedono bruciare gli altri è più facile pensare di purificare se stessi.

«O noi o loro», dice Grillo: un concetto semplice e rivoluzionario, con cui prova ad accomunare tutti gli avversari. E Renzi, l'altro «figlio» di Berlusconi, prova ad evitare l'equiparazione con il Cavaliere, e contrappone alla «rabbia» del capo dei grillini la «speranza» del suo esecutivo. Perché, ecco la novità, dai sondaggi è emerso che una parte consistente di elettori considera Renzi il leader di un «partito del governo». La partita elettorale dunque è vista come una sfida a due, e sembra al momento oscurare il ruolo dell'ex premier.

francesca pascale e marina berlusconi

Gli effetti di questo nuovo scenario saranno chiari solo all'apertura delle urne, ma la morsa in cui si trova Berlusconi fa capire che sono pochi i margini di azione. Per questo motivo ha frenato i propri istinti e ha evitato la rottura sulle riforme con Renzi, per non consegnarsi a Grillo. Il Cavaliere, che sette mesi fa aveva preparato il discorso per la figlia, deve vedersela con i suoi «figli».

 

NON DITE A MEDIASET CHE MURDOCH VUOLE CREARE UNA PAY TV EUROPEA

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Giuliano Balestreri per "Repubblica.it"

Murdoch ha chiesto il divorzio da Wendi una settimana dopo le voci della tresca

Rupert Murdoch studia la pay tv europei. Lo "squalo" sta "esplorando" la possibilità di utilizzare la sua quota di maggioranza in BSkyB ,dove è salito lo scorso anno al 39%, per raggruppare le sue emittenti Sky in Italia, Regno Unito e Germania in una piattaforma paneuropea a pagamento: lo scrive il Financial Times citando fonti a conoscenza del progetto.

Si tratta di un'operazione ancora nelle "fasi iniziali di valutazione", aggiunge il giornale, che vedrebbe l'acquisto di Sky Italia e Sky Deutschland - controllate da Murdoch attraverso la 21st Century Fox - da parte del gruppo satellitare britannico: un'operazione da circa 10 miliardi di euro.

Un'operazione che rivoluzionerebbe il mercato dei diritti televisivi europei che potrebbero essere acquisiti a questo punto da un unico soggetto e poi trasmessi nei paesi dell'Unione europei sfruttando il principio della libera circolazione dei beni e dei servizi.

confalonieri con marina e piersilvio berlusconi

D'altra parte una sentenza del 2011 della Corte di Giustizia europea ha chiarito che è un diritto dei cittadini europei comprare l'abbonamento alla pay nel paese che preferiscono - o per loro più conveniente - e poi guardare la televisione con il loro decoder e la loro scheda dove preferiscono.

Per esempio, dal 2015 la Champions League, in Italia, sarà trasmessa in esclusiva da Mediaset Premium, ma se la fusione tra i network di Murdoch andasse in porto, nulla vieterebbe a Sky di trasmettere le stesse partite utilizzando i diritti acquisiti in Inghilterra o Germania in Italia. Magari traducendo semplicemente la telecronaca.

I LEADER DEL G GUARDANO LA FINALE DI CHAMPIONS CAMERON OBAMA MERKEL BARROSO HOLLANDE

Certo, un'operazione del genere passerebbe sotto il vaglio dell'Antitrust Ue che vede di cattivo occhio ogni eccessiva concentrazione, ma in questo caso il gruppo potrebbe far prospettare conseguenza positive sul fronte dei consumatori con maggiori servizi e minori costi. D'altra parta anche Mediaset sta valutando un progetto simile: il gruppo della famiglia Berlusconi ha avviato il progetto di integrazione delle attività pay in Italia e in Spagna con l'obiettivo di rafforzarsi e attrarre un partner industriale internazionale.

champions_league

Una delle fonti citata dal Ft ha comunque sottolineato che al momento non ci sono colloqui in corso tra BSkyB e Fox, e che un'operazione non è "imminente", d'altra parte ci sarebbero da vincere anche le resistenze degli azionisti di minoranza della società inglese che difficilmente saranno felici di vedere le loro quote diluirsi a favore del magnate australiano. Fox, però, ha degli argomenti forti: un raggruppamento del genere dovrebbe creare un maggior valore da queste attività attualmente frammentate.

Ogni eventuale accordo dipenderà dall'allineamento dei valori delle controllate. E quindi anche dal fatto che Sky Italia si assicuri i diritti tv per la Serie A. Inoltre se la controllata tedesca, quotata in Borsa, con i suoi 3,5 milioni di abbonati, ha una capitalizzazione di 5,5 miliardi di euro, mentre Sky Italia con i suoi 5 milioni di abbonati viene valutata intorno ai 5 miliardi.

 

APPLE OFFRE 3,2 MILIARDI PER LE CUFFIE DELLA BEATS - UNICREDIT, PARTE LA PROCEDURA SUI 5482 ESUBERI

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1 - L'EX MINISTRO LIBICO BEN YEZZA ALL'ASSEMBLEA DELL'ENI
S.Agn. per il "Corriere della Sera" -
Il ritorno del fondo sovrano libico sulla scena della finanza italiana. Quella dell'altro giorno all'assemblea degli azionisti dell'Eni potrebbe non essere un'apparizione unica del Libyan Investment Authority, che si è presentato al palazzo romano dell'Eur forte di più di 42 milioni di azioni del Cane a sei zampe, pari all'1,16% del capitale (in soldoni: una fiche di 800 milioni di euro).

Logo "Eni"

Gli azionisti libici potrebbero averci preso gusto e ripresentarsi nelle prossime occasioni anche alle assise di Unicredit e di Finmeccanica. Come socio dell'istituto di credito si trova, per la verità, la Central bank of Libya (2.9%), mentre il fondo sovrano ha in prima persona il 2,01% del gruppo della difesa.

Non è dato sapere se anche nel prossimo futuro (le assemblee Unicredit e Finmeccanica sono in calendario per martedì e giovedì prossimi) il Lia sarà rappresentato dal medesimo delegato. All'Eni si è vista seduta in sala una vecchia conoscenza degli uomini del gruppo guidato ora da Claudio Descalzi: Abdulrahman Ben Yezza, ex ministro del petrolio di Tripoli tra il 2011 e il 2012, ed ex presidente di Eni Oil & co, joint venture tra il Cane a sei zampe e la compagnia petrolifera nazionale libica, la Noc. Sembra, inoltre, che Ben Yezza e il Lia si siano avvalsi anche della consulenza legale di un grande studio internazionale americano: Curtis, Mallet-Prevost, Colt&Mosle.

TORRE UNICREDIT

2 - UNICREDIT, PARTE LA PROCEDURA SUGLI ESUBERI
Ri.Que. per il "Corriere della Sera" -
Parte il conto alla rovescia per la vertenza sui 5.482 esuberi Unicredit. Ieri una delegazione della banca guidata dal responsabile del personale, Paolo Cornetta, ha incontrato i sindacati e formalizzato l'avvio della procedura. Ora ci sono 50 giorni di tempo per arrivare a un accordo. Sempre ieri da registrare lo sciopero di Uccmb, Unicredit credit management bank , la controllata dell'istituto che si occupa di recupero crediti destinata alla cessione. In Italia Unicredit ha poco meno di 50 mila dei suoi 147 mila addetti.

Nell'incontro di ieri a Milano si è andati poco oltre la formale apertura della procedura. La riduzione del personale auspicata dalla banca corrisponde all'11% dell'organico e dovrà avvenire da qui al 2018. Entro questo termine 2.794 dipendenti Unicredit matureranno i requisiti per la pensione.

L'istituto valuta la possibilità di evitare il ricorso al fondo di solidarietà del settore. In queste prime mosse del confronto dura la posizione dei sindacati della categoria. «Dal 2007 al 2018, i posti persi in Unicredit saranno circa 35mila, tra esuberi, prepensionamenti, esternalizzazioni e blocco del turn over - fa i conti Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi -. Se l'azienda confermerà l'obiettivo di congelare il contratto integrativo e tagliare il welfare, la trattativa partirà in salita».

Chopard Italia

3 - CHOPARD, DAGLI OROLOGI ALL'HÔTEL VENDÔME
Giu.Fer. per il "Corriere della Sera" -
Chopard entra nel business degli hotel. Il marchio svizzero degli orologi e dei gioielli ha acquisito l'Unione Hôtelière Parisienne, la società che possiede l'Hôtel Vendôme a Parigi. L'edifico, costruito nel 1723 da Pierre Perrin, è al numero 1 di Place Vendôme, la piazza su cui si affacciano le vetrine dei più noti marchi della gioielleria mondiale.

Al primo piano si trova l'hotel, un 5 stelle, costituito da 29 camere di cui 10 suite, oltre a un ristorante di una certa fama. Il piano terra, invece, ospita la boutique Chopard. L'operazione, di cui non è stato comunicato il valore, rientra nella strategia del gruppo svizzero di sviluppare una rete di boutique di proprietà, ma allo stesso rappresenta il primo passo di un progetto di diversificazione nel lusso. «Le possibilità di sinergia tra questi due mondi del lusso sono molteplici», spiegano dall'azienda familiare, che ha sede a Meyrin, vicino a Ginevra. E prevedono altri «investimenti in futuro».

logo apple

Del resto non è la prima volta che le griffe del lusso sbarcano nel settore dell'ospitalità: da Armani a Bulgari, da Ferragamo a Lvmh, da Missoni a Ferretti, il business degli hotel di lusso è diventato uno passaggio chiave per sviluppare attorno al marchio uno stile di vita. Oltre, naturalmente, ad assicurarsi location di prima qualità per le proprie boutique.

4 - APPLE OFFRE 3,2 MILIARDI PER LE CUFFIE DELLA BEATS
Bruno Ruffilli per "la Stampa" -
Apple sarebbe pronta a pagare 3,2 miliardi di dollari per Beats Electronics, noto marchio di cuffie e altoparlanti bluetooth. In realtà con la più grande acquisizione della storia di Cupertino (superiore anche a quella di Next, che riportò Steve Jobs ad Apple), Tim Cook mira altrove. Intanto, al servizio di streaming musicale Beats Music.

Un'arma utile per controbattere la crescita di Spotify e Deezer: iTunes, il più grande negozio di musica del mondo è in calo per la prima volta, e i giovani non sembrano più così interessati a possedere dei file Mp3, preferiscono lo streaming (o la pirateria). Ma conoscono e apprezzano i prodotti Beats, realizzati con la consulenza del rapper Dr. Dre, lo scopritore di Eminem: l'accordo porterebbe ad Apple un'immagine nuova, più fresca. E se davvero Jimmy Iovine, fondatore di Beats e presidente di Interscope, diventasse consulente di Cook, i suoi rapporti con l'industria musicale potrebbero essere molto utili alla Mela.

SPOTIFY

5 - POPOLARE VICENZA, DA LUNEDÌ DOPPIO AUMENTO DI CAPITALE
R.E. per "la Stampa" -
Parte lunedì la doppia operazione di rafforzamento patrimoniale lanciata dalla Banca Popolare di Vicenza. La prima tranche, da 608 milioni, sarà offerta in opzione ai soci e ai possessori di bond convertibili dal 12 maggio all'8 agosto. La seconda tranche, da 300 milioni, sarà riservata a nuovi soci e potrà essere collocata da qui al 2016, a meno di esaurimento anticipato dei 300 milioni. Per il 2014 l'offerta partirà lunedì e si chiuderà il 19 dicembre.

BANCA POPOLARE DI VICENZA

Sempre sul fronte delle Popolari, ieri Bpm ha chiuso il primo trimestre con un utile di 64,3 milioni (+12,3%). A fine marzo, i proventi operativi sono saliti del 3,3% a 442,1 milioni. Inoltre come ha precisato l'ad Giuseppe Castagna, se Bpm chiuderà il 2014 con il common equity tier 1 sopra il 10%, tornerà a distribuire la cedola ai soci. La banca ha reso noto che è parzialmente favorevole l'esito dell'ispezione di Bankitalia alla controllata Webank.

6 - CONFINDUSTRIA NAUTICA, GAVIO SBATTE LA PORTA
Fabio Pozzo per "la Stampa" -
Beniamino Gavio, l'imprenditore delle autostrade e trasporti sbarcato nel mercato degli yacht con l'acquisto dei marchi Baglietto e Cerri, lascia con dissenso Ucina, la Confindustria nautica. In una lettera al presidente uscente, AntonFrancesco Albertoni, accusa il sodalizio di «ostracismo».

beniamino gavio

Pesano il diniego alla partecipazione di Baglietto al Salone nautico di Genova nel 2012, e il mancato coinvolgimento del gruppo nelle cariche associative. «Ho compreso che non siamo graditi» dice l'imprenditore. Ucina venerdì prossimo a S. Margherita Ligure, nell'ambito del Satec 2014, rinnoverà i suoi vertici: scontata, salvo colpi di scena (un nome espresso dal 30% dell'assemblea), l'elezione di Massimo Perotti, torinese, presidente di Sanlorenzo, designato dal consiglio. Rumors avevano indicato nei mesi scorsi tra i papabili anche Lamberto Tacoli, presidente e ceo di Crn (Ferretti); Giancarlo Ragnetti, ex ad di Perini Navi e Gavio stesso.

 

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