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LE MILLE E UNA NOTTE DIGITALE! IL SACRO CUORE DI CASABLANCA DIVENTA UN TAPPETO MAGICO

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da www.designboom.com

VIDEO http://vimeo.com/91624877

L'artista digitale Miguel Chevalier ha creato l'installazione "Magic Carpets 2014" per il Sacro Cuore di Casablanca, ispirata all'arte islamica tradizionale, in particolare ai mosaici e ai tappeti. La cattedrale marocchina si trasforma in un mondo di colori e forme in movimento che invitano nell'universo magico delle Mille e una Notte. Le immagini astratte, pixel e spirali, sono proiettate sul pavimento da un gigantesco caleidoscopio su cui camminano i visitatori. In sottofondo c'è la musica del compositore Michel Redolfi.

Spirali sul pavimento del Sacro Cuore marocchino

 

 

 

Installazione Magic Carpets di Miguel Chevalier Il tappeto magico del Sacro Cuore a casablanca La Cattedrale del Sacro Cuore a Casablanca

ALFANO: ‘IL CAV È RIUSCITO PRIMA AD UNIRE E POI A DIVIDERE, FI È UNA CALAMITA CHE SI È SMAGNETIZZATA’

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1. ALFANO (NCD) A MIX24 SU RADIO 24: "FORZA ITALIA UNA CALAMITA CHE SI È SMAGNETIZZATA"
Comunicato stampa da ‘www.radio24.it'

"Noi siamo, dopo tutti i guasti del Centro destra, i primi che uniscono. Questa unione con Casini è l'embrione, ma sarà un embrione grosso, dell'aggregazione dei moderati, di quella forza alternativa alla sinistra, che si candiderà nel futuro a guidare il Paese. Il Presidente Berlusconi è riuscito prima a unire e poi a dividere: prima Forza Italia era la calamita ora si è smagnetizzata. "Lo afferma il leader di Ncd Angelino Alfano a Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24.


2. 'HAPPY': ALFANO, SCHIFANI E DE GIROLAMO SI LANCIANO NEL BALLETTO
DA ‘repubblica.it'

Il tormentone di Pharrell Williams arriva anche all'assemblea costituente del Nuovo centro demoratico: al termine delle votazioni, che hanno riconfermato Alfano alla presidenza del partito, il leader e altri esponenti hanno ballato sulle note di Happy


3. DA ANGELINO SE MAGNA
Da ‘f.bechis.blogspot.it'

alfano schifani saltamartini de girolamo ballano happy al congresso di ncd

http://www.youtube.com/watch?v=uSsBVlBAtYo

Alla assemblea costituente del Nuovo Centro Destra c'erano i leader politici, c'era il DIBBATTITO, c'era una poltrona da presidente per tutti. Ma soprattutto c'era da mangiare. Tanto e gratis. E come in "C'eravamo tanto amati", a un certo punto è calata la porchetta... E il popolo Ncd è partito all'assalto. Felice, perchè da Angelino se magna....

4. ALFANO CERCA DONNE DA CANDIDARE
Da f.bechis.blogspot.it'

http://www.youtube.com/watch?v=BNxPrOpSmd8

Angelino Alfano ha un problema: non trova abbastanza donne da candidare alle prossime europee, dove l'abbinamento donna-uomo è obbligatorio. Nunzia De Girolamo si offre in qualsiasi collegio. Ma non basta. Eppure all'assemblea costituente di Ncd era pieno di delegate donne. Solo che molte di loro hanno scambiato l'evento per una sfilata di moda. Sfoderando delle scarpette invidiabili....

alfano schifani de girolamo ballano happy al congresso di ncd alfano schifani saltamartini de girolamo ballano happy al congresso di ncd

 

nunzia de girolamo e saltamartini con cicchitto all assemblea di ncd

LE PRIME INDISCREZIONI SULLE SCELTE DI RENZIE DANNO EMMA MARCEGAGLIA ALL’ENI, CON DESCALZI COME AD

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1. DAGOREPORT
Dopo quattro ore di confronto con il ministro Padoan e un salto al Colle da Re Giorgio, le prime indiscrezioni sulle scelte di Renzie danno Emma Marcegaglia alla presidenza dell'Eni, con l'interno Claudio Descalzi come amministratore delegato. In Enel ci sarebbe ancora uno stallo. In Finmeccanica praticamente certa la conferma di Gianni De Gennaro alla presidenza, secondo fonti interne.

MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN

2. QUATTRO ORE DI VERTICE A PALAZZO CHIGI - SOCIETÀ PUBBLICHE, DECISE LE NOMINE
Da www.corriere.it

Quattro ore di confronto per limare gli ultimi dubbi e riempire tutte le caselle. Un incontro a Palazzo Chigi, presenti sia il Presidente del Consiglio Renzi sia il ministro dell'Economia, Padoan, ha definito i nomi dei nuovi vertici delle grandi società quotate pubbliche, Eni, Enel, Terna, Finmeccanica, Poste Italiane, Ferrovie.

Le scelte vengono rese note alla chiusura dei mercati e l'attesa è molta, perché questo è uno dei primi banchi di prova per il nuovo governo e le promesse di rinnovamento. Questione che riguarda sia l'età di nuovi amministratori delegati e dei nuovi direttori generali, ma anche la parità di genere.

RENZI E NAPOLITANO AL GIURAMENTO claudio descalzi

Le ipotesi fin qui circolate hanno ristretto la platea dei pretendenti a pochi nomi. Ma va ricordato che anche nella scelta dei ministri Renzi ha in alcuni casi fatto scelte non previste dagli osservatori. Il toto nomine ha previsto per Finmeccanica un possibile arrivo di Mauro Moretti dalle Ferrovie (nonostante la polemica sul tetto agli stipendi dei manager) mentre per l'Eni una soluzione interna: Scaroni sarebbe sostituito da Claudio Descalzi, ora capo del settore Esplorazione.

Per l'Enel favorito alla carica di ad è Francesco Storace, ora con lo stesso incarico alla controllata Green Power, con Andrea Mangoni, numero uno di Sorgenia (gruppo Cir) come outsisder. In Terna è considerato in pole position l'amministratore delegato di GdF-Suez Italia, Aldo Chiarini. Al posto di Massimo Sarmi alla guida di Poste potrebbe arrivare Francesco Caio.

EMMA MARCEGAGLIA A BAGNAIA

 

MAURO MORETTI FS Gianni De Gennaro

ORLANDO, IL FRONT-MAN DEL GARANTISMO DE’ SINISTRA, PIACE A NAPO E NON VUOLE PARLARE DEL CAV

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Marianna Rizzini per ‘Il Foglio'

Andrea Orlando

Parlano tutti di giustizia, nel giorno del Giudizio per il non-più-Cav. disarcionato che non può più essere chiamato Cav., ma che dal preludio ai probabili servizi sociali suscita le più alte e più basse disquisizioni sulla famosa e sempre attesa "riforma" (della giustizia, appunto).

Parlano tutti di giustizia senza davvero parlarne, dunque, e tutti s'affannano ad appiccicare al singolo caso il discorso generale - e l'azione penale e il pm e il non pm - mentre il convitato di pietra di ogni dibattito sul tema, il neo Guardasigilli Andrea Orlando, pensa tutto il contrario: che si debba partire non da grandi roboanti riforme, come ha spiegato giorni fa a Liana Milella su Repubblica (una Milella che, sul suo blog, a nomina di Orlando fresca-fresca, due mesi fa, pur scontenta di non vedere in quel ruolo "un valente costituzionalista", gli aveva concesso il beneficio del dubbio: vediamo che cosa fa, scriveva, "ma quanto peserà" la "pietra di Ncd e di Alfano e dei centristi" sul suo collo?, si chiedeva).

Orlando vuole partire dal basso: dai detenuti, da un lato, e dai tribunali ingolfati, dall'altro, labirinti di lentezze che danno l'immagine di un'Italia-mastodonte burocratizzato, morte di ogni spirito d'impresa anche in caso di controversie. Non esiste "la grande riforma", dice Orlando, serve un'azione ordinata di "interventi strutturali" che facciano prima funzionare il motore inceppato, e che ci tolgano l'onta di paese con carceri non all'altezza del livello di civiltà.

"Basta parlarmi di Berlusconi a ogni intervista", ha detto a Liana Milella, ripetendo il concetto espresso dopo l'accettazione dell'incarico: "Non faccio patti sottobanco", "ho sempre fatto le mie proposte alle luce del sole", "ho guidato la battaglia del Pd contro le intercettazioni" (garantista sì, ma non al punto da passare per filo Cav.).

PINOTTI ANDREA ORLANDO BEATRICE LORENZIN IN SENATO FOTO LAPRESSE

Prima bisogna "eliminare le macerie", bisogna "snellire il processo civile", la vera "rivoluzione è ripristinare l'efficienza dell'organizzazione carceraria", dice il ministro non renziano del governo Renzi ed ex ministro non proprio lettiano nel governo Letta, anche se presente nel network del lettiano think tank Vedrò. Era all'Ambiente, con Letta, Orlando, uomo dal mai cancellato imprinting Pci-Pds-Ds, socialdemocratico per formazione, "giovane turco" per posizione, politico puro ma tecnico nell'approccio.

E quando qualcuno, dal Fatto quotidiano e non solo, ricorda a Orlando che quattro anni fa, su questo giornale, il suo programma da responsabile del Forum giustizia del Pd che voleva dialogare sul tema con l'allora maggioranza "piaceva alla destra" e scontentava l'ex magistrato Bruno Tinti e l'ex procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, Orlando il garantista storico (che finora solo il radicale storico Massimo Bordin trova troppo cauto) dice che è passato del tempo, che intanto alcune proposte sono state realizzate, che anche all'interno della magistratura ormai pensano a riformare la legge elettorale del Csm, e che comunque molto d'altro c'è da fare, prima di mettere mano alla riorganizzazione degli uffici "sulla base delle priorità, fatta salvo l'obbligatorietà dell'azione penale" (tu vuoi eliminarla, gli dicevano i critici nel 2010, e hai voglia a fare distinguo, allora, hai voglia a dire "non è vero". Si era in pieno deflagrare della lotta tra pro B. e no B., schierati come bande tutto attorno alla Via Pál).

ANDREA ORLANDO

Quattro anni fa, quel manifesto per una Giustizia non irrazionalmente preda di lotte all'ultimo sangue tra pro B. e anti B. scatenò il putiferio dentro e fuori il partito, con tanto di raccolta firme a favore di Orlando (più di cento) tra i deputati nel Pd alle prese con popoli viola e professori (gli stessi che oggi si oppongono con virulenza decrescente alla riforma del Senato): professori e popoliviola convinti che il dialogo con la maggioranza su giudici e carceri fosse più che mai disdicevole. Risolviamo "le emergenze esplosive", dice ora Orlando, usiamo gli strumenti poco utilizzati per il rimpatrio dei detenuti, informatizziamo, abbattiamo i tempi morti, rafforziamo gli strumenti di contrasto alle mafie. La riforma del Penale può attendere.

LIANA MILELLA

Non si mostra molto, ultimamente, men che meno in televisione, il quarantacinquenne Orlando, ex responsabile Giustizia del Pd bersaniano, uomo con volto da ragazzo vagamente nostalgico di spensieratezza (la ritrova col calcio, sia da tifoso della Fiorentina sia da calciatore dilettante: prima di essere ministro era una delle risorse della Nazionale parlamentare - "piedi e fantasia", dice l'amico e deputato pd Daniele Marantelli). Fuori dal campo ha i movimenti misurati e sfuggenti di chi controlla al millimetro le conseguenze, il neo ministro, per nulla ragazzo per Weltanschauung politica quanto ragazzo per stile di vita. Non è sposato - vuoi per dedizione agli impegni partitici e governativi vuoi per indole - ed è quello a cui i colleghi, scherzando, dicono: "Ma quand'è che metti la testa a posto?".

Liana Milella e Oliviero Diliberto

Al suo quarantacinquesimo compleanno un'amica di vecchia data gli ha mandato un sms sottoscritto dall'intero gruppo di compagni spezzini: "Serio ma non serioso, imprevedibile ma non inaffidabile, 45 anni ma eterno Peter Pan". Fatto sta che, a La Spezia, Andrea Orlando resta "Andre" per tutti, quello delle rimpatriate estive: stessi giri, stessa casa in un quartiere popolare dove ora, vedendolo arrivare con la scorta, gli anziani dicono "magari ci sarà più sicurezza", e anche stesso mare e stessa passione buffa per Claudio Villa come quando, ventenne, l'allora militante Orlando faceva campagna elettorale per il Comune. Il gruppone di amici è la sua famiglia pure a Roma, anche se ora ha dovuto ridurre la frequenza delle cene in pizzeria dopolavoro.

Pondera l'energia anche a rischio di apparire poco energico, Orlando ("il troppo stroppia", questo era l'insegnamento della vecchia politica in cui Orlando è cresciuto, ma a sentire gli amici il nuovo Guardasigilli è così di suo: attento, prudente, pignolo, non impaziente, spiccio, ma non timoroso e anzi curioso di cambiare vita, argomento o ministero.

BERSANI LETTA RENZI

"Era contento quando passava da un ruolo all'altro", raccontano i colleghi dell'ex Pci-Pds-Ds, convinti che l'accumulo di esperienze fosse per lui un tesoro da mettere nello scrigno, a garanzia di prontezza e sangue freddo per future imprese). Figlio di famiglia semplice, campana d'origine ma ligure d'adozione, il ministro di La Spezia (a La Spezia dicono: il primo spezzino ministro), ha cambiato vita molte volte, ma sempre con il faro del partito ben visibile nel Golfo dei Poeti da cui proviene: segretario provinciale della Fgci nel 1989 della Bolognina, consigliere comunale, segretario cittadino, giovane assessore del sindaco Giorgio Pagano, infine segretario provinciale.

L'ha scoperto Pier Luigi Bersani, dicono i bersaniani; l'ha lanciato Piero Fassino, dicono i fassiniani. Hanno ragione tutti: Bersani scovò Orlando a qualche Festa dell'Unità genovese a inizio millennio, e nel 2009, da segretario, lo volle responsabile del Forum Giustizia e poi commissario a Napoli, tra primarie contestate e voti sospetti (tra ombre di camorra e concretissime liti intestine).

Fassino invece l'aveva chiamato in Direzione, nel 2003, prima all'Organizzazione poi agli Enti locali, "cariche importanti", dicono nel Pd, facendo capire che Orlando poteva essere, mutatis mutandis, "come un Davide Zoggia per Bersani o uno Stefano Bonaccini per Renzi". Ma hanno ragione pure i veltroniani quando affermano, come fa il deputato Walter Verini, che un "inclusivo" Veltroni post Lingotto, sei anni fa (con i buoni auspici di Goffredo Bettini), spostò in prima linea "alcuni ragazzi di Fassino", come Orlando, e addirittura nominò Orlando portavoce del neonato Pd.

Tuttavia, dice Marantelli, Orlando "non se la tira e non è pretenzioso nella scelta di cibi, vini e luoghi, come tutti i ragazzi che vengono da famiglie popolari". La famiglia di Orlando era molto militante, ai tempi del Pci, e suo padre portò l'allora adolescente futuro ministro a Roma, per i funerali di Enrico Berlinguer, in quell'estate del 1984 che ha fatto piangere tutti gli ex ragazzi Pci ora nel Pd, anche i meno berlingueriani, quando si sono ritrovati uniti dall'amarcord all'Auditorium di Roma, a fine marzo, per la prima del documentario "Quando c'era Berlinguer" di Walter Veltroni (c'era pure il ministro Orlando, e all'uscita, per una volta senza tenersi, commentava con punte di allegra nostalgia che quel "film molto politico" faceva capire all'Italia di oggi "che cosa fosse il Pci ieri").

Famiglia "normale" anche dal punto di vista economico, gli Orlando (presenti in febbraio al secondo giuramento del figlio ministro in un anno) mandarono a studiare il giovane Andrea a Pisa. Lui si iscrisse a Giurisprudenza (non terminata per pochi esami e per sopraggiunta passione politica), non disdegnando però lavori scollegati dal contesto della sua formazione (metronotte in un supermercato, nonostante la stazza non imponente e, come ha scritto Aldo Cazzullo per "2Next", Rai2, scaricatore di porto - cassette di pesce, pare - e anche in quel caso la stazza non aiutava, ma l'energia per una volta non frenata sì).

Armando Spataro

"Felpato", dicevano di Orlando i nemici interni che lo accusavano di rapido adattamento ai vari segretari pd - "Orlando si sa muovere", era la sentenza quando da Piero Fassino si passava a Walter Veltroni e poi a Dario Franceschini e poi a Pier Luigi Bersani.

"Non è mai stato dalemiano, però", notano oggi alcuni suoi colleghi, anche se poi Orlando è un giovane turco come molti ex dalemiani storici, per esempio Matteo Orfini, che con Orlando va d'accordo nonostante la diversità di piglio: "Andrea è più rotondo nelle risposte, io sono più spigoloso, forse siamo il poliziotto buono e il poliziotto cattivo", dice Orfini, convinto che la presenza del prima bersaniano e poi cuperliano Orlando nel governo Letta e nel governo Renzi, in due diversi ministeri, non abbia nulla a che fare con torsioni, furbizie o trasformismi, ma che sia la prova del nove della superiorità della scuola di partito: "Se uno ha fatto politica come si deve è in grado di occuparsi di argomenti diversi in modo efficace, e infatti sarebbe ora di rivalutare chi si è formato in partiti degni di questo nome".

bruno tinti lap

"Orlando non si vergogna di fare politica, parolaccia di questi tempi presso una parte dell'opinione pubblica", dice Marantelli, ancora memore del discorso che Orlando aveva fatto un anno fa, ai funerali del sindaco di Cardano al Campo Laura Prati, amica di Marantelli morta per le conseguenze delle ferite da arma da fuoco dopo l'assalto di un ex vigile urbano sospeso dal servizio per una truffa.

Orlando aveva detto ai figli di Laura Prati: "Quando qualcuno vi parlerà male della politica, raccontategli la storia della vostra mamma". Ora che si è passati dalla segreteria Bersani (e dal governo Letta) alla segreteria Renzi (e al governo Renzi), Orlando resta al governo, sì, ma non è diventato un renziano dell'ultima ora. Sta lì, il ministro, convinto di starci, ma anche con una vaga aria da scudo umano e ostaggio nel magico e scoppiettante mondo renziano - in qualità di testimone di una concezione partitica che fu, scuro e neutro nelle giacche quanto colorata è la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi, vestito comunque in modo meno ingessato di un tempo

PIERLUIGI BERSANI PIERO FASSINO

("ma siamo noi che l'abbiamo svezzato quanto a cravatte", dice il deputato pd Enzo Amendola, suo estimatore e amico al punto da pretendere la fulminea presenza dell'allora ministro dell'Ambiente alle sue nozze, nonostante gli incarichi dell'Orlando che, da quando è al governo, non importa in quale ministero, non può più fare il tradizionale viaggione agostano, Messico la prima scelta) né può dedicarsi all'attività ricreativa che più lo divertiva nelle pause d'Aula: indovinare chi ha cantato cosa a Sanremo nell'anno tal dei tali, attività in cui, tra il 2009 e il 2013, gareggiava con il campione di memorie televisive e compagno di banco in Parlamento Walter Veltroni, allora reduce dal sogno infranto della prima segreteria pd.

Enzo Amendola è stato collega di preoccupazione del ministro della Giustizia ai tempi della trasferta napoletana dell'Orlando commissario per conto di Bersani: "Andrea veniva, andava, tornava, ripartiva - non si sa con quanta rapidità", dice Amendola. Andava, veniva, guardava carte in Federazione, sentiva gente, telefonava, ammetteva con i cronisti che "era un casino", ci lavorava sopra, pensava a che cosa intendesse Bersani quando gli aveva detto "fatti carico" e infine guardava consumarsi il crollo elettorale (amministrativo) del 2011, pensando che fosse anche un po' inevitabile, visto il livello di sfiducia dei cittadini.

PIERLUIGI BERSANI PIERO FASSINO ROSY GRECO

E oggi ancora pubblica su Facebook, Orlando, con rassegnazione, le code velenose della vicenda (qualche giorno fa Roberto Saviano, sempre su Facebook, ha lanciato l'allarme anti candidatura pd alle Europee di Andrea Cozzolino, nel 2011 vincitore contestato delle primarie per il sindaco di Napoli e autore di un "passo indietro") che oggi rivendica in nome dell'"estrema correttezza" - Orlando lo pubblica in bacheca, senza commenti, forse memore di quando le polemiche intra moenia (nel Pd) avevano portato la Napoli post bassoliniana dritta dritta nelle braccia di Luigi De Magistris.

Il suo modello di partito e di leadership Orlando l'ha descritto pubblicamente non più tardi di febbraio, sul sito di Rifare l'Italia, l'associazione dei giovani turchi, dove non nasconde, per esempio, le critiche socialdemocratiche al Jobs Act. L'idea di Orlando è quella della "costruzione di un rapporto di cooperazione e competizione" per temi con i vincitori delle primarie per la segreteria, ora colleghi di governo: "L'idea di partito che si è affermata con Renzi", ha scritto, "non è soltanto il frutto dello spirito del tempo. E' anche l'effetto dei nostri limiti e delle nostre contraddizioni... Renzi è apparso agli occhi di un'opinione pubblica delusa come lo strumento per superare lo stallo... A questo punto, un suo fallimento sarebbe inevitabilmente il fallimento di tutti noi e più in generale l'ennesimo fallimento della politica".

Certo Orlando s'immaginava di restare all'Ambiente, forte del "collegato" alla Legge di stabilità (una sorta di Agenda verde) e del decreto sulla Terra dei fuochi, argomento difficile affrontato senza sottovalutazioni ma anche senza allarmismi da stregoneria laica ("l'allarme disorienta", diceva qualche mese fa dall'Ambiente; bisogna rispondere con "fondi per le bonifiche, istituzione di nuovi reati, controllo del territorio, screening sanitario").

GIANNI ALEMANNO GIANNI LETTA WALTER VELTRONI FOTO AGF REPUBBLICA jpeg

Anche la sera prima della salita di Matteo Renzi incaricato al Quirinale pensava di restare all'Ambiente, Orlando (il nome del Guardasigilli doveva infatti essere, nell'intenzione del premier, quello di Nicola Gratteri). Invece si è risvegliato alla Giustizia, l'ex ministro dell'Ambiente, con il dispiacere, dice chi lo conosce, "di dover abbandonare i progetti già avviati", ma soprattutto con la preoccupazione di quelli a venire. Da allora studia la situazione alla Giustizia in maniera intensiva, il ministro che anche a cena con gli amici sente il "peso della responsabilità, dicono gli amici un po' scherzando e un po' no, ed esamina in lungo e in largo dipartimenti e scartoffie, per inquadrare il tutto personalmente, come quando metteva mano dall'Ambiente al dossier Ilva, nel pieno delle polemiche sul commissariamento, rispondendo punto per punto alla puntata critica di "Report" sul Corriere della Sera, e ribadendo che la materia era "complessa", certo, che si voleva risanare salvando il lavoro degli operai, ma che "non c'era mai stato nessun favore ai Riva".

Tanto sente il famoso "peso della responsabilità", il neo ministro, da restare per due mesi sotto il livello della sondabilità, defilato anzichenò, pur avendo un recente passato di frontman del discorso garantista (nei giorni peggiori dell'antiberlusconismo disse che "la sbornia scandalistica" non avrebbe portato da nessuna parte e che avrebbe anzi impedito una riforma ragionata della giustizia che "puniva secondo criteri di classe": chi può permettersi il miglior avvocato forse esce, gli altri marciscono in galera).

Stefano Fassina e Matteo Orfini

Mentre firmava da Guardasigilli, nella già impegnativa mattina di fine febbraio, Orlando guardava Giorgio Napolitano con un sorriso di soddisfazione mista a sgomento, e diceva "grazie presidente, eh" (grazie di questo macigno), e il presidente rispondeva "devi stare tranquillo" come si dice a un nipote, ché Orlando è per lui uno dei "ragazzi" del partito, garantista a vent'anni tra i giovani miglioristi nel Pci ma anche a quaranta, nei giorni manettari in cui Antonio Di Pietro si metteva a capo di piazze e moltitudini rigorosamente "noB.", indignate contro i fantomatici e spesso presunti corrotti, corruttori, immoralisti e quaranta ladroni nascosti in ogni angolo dello Stato - moltitudini non ancora traslocate, allora, nell'anticasta grillesca.

Oggi il neo ministro silenzioso fa da specchio al renzismo loquace e arrembante (Orlando appare addirittura antistorico rispetto alla strategia di comunicazione del premier che non solo parla ma twitta e commenta e ricommenta e annuncia e controannuncia). "Questo proprio non parla", dice nella sua "Andrea's Version" Andrea Marcenaro, guardando al ministro che da quando è arrivato al ministero "pensa" e osserva ("per capire", dice Orlando quando qualcuno gli chiede perché dichiari così poco).

MATTEO ORFINI

E insomma: laddove il Romano Prodi d'antan "non scandiva" - da cui il tormentone "Prodi scandisci" di Maria Laura Rodotà - Orlando "non spiccica", scrive Marcenaro, divertendosi da ligure e genovese a punzecchiare il ligure e spezzino ministro, nato nella città dove d'estate i turisti passano distrattamente, nei primi giorni di pioggia d'agosto, quando sono stanchi di inerpicarsi tra le vie di Lerici, Portovenere e delle Cinque Terre, o quando la gita nell'interno (prima tappa, la piccola e curata Sarzana), lascia qualche ora per affacciarsi sul portuale capoluogo, dove oggi Orlando torna volentieri ma con l'imbarazzo di chi non è abituato all'imponenza (e ubiquità) della scorta: se compra un paio di scarpe, e di solito vuole comprarle a La Spezia, capita che dia nell'occhio più di prima, e capita pure che fuori dal negozio si crei il bailamme di folla e controfolla.

Roberto Saviano

"Tanto meglio andare a casa", dice, ora che non è più il "ragazzo" ex Pci che i cronisti descrivevano sempre intento a conversare alla Camera con Luciano Violante - Violante gli cingeva le spalle con un braccio mentre passeggiavano avanti e indietro lungo il Transatlantico, e quello per molti era un segno: è il suo allievo, dicevano, immaginando un trasbordo di idee per osmosi, e poi restavano di stucco, gli osservatori, perché Orlando parlava di Giustizia solo soletto, mentre l'intera batteria di anti inciucisti gridava all'intesa scellerata con B., e mentre Anna Finocchiaro e Beppe Fioroni scuotevano il capo, e vai a pensare che l'allievo, non il maestro, sarebbe diventato ministro della Giustizia (per giunta nel governo Renzi).

NAPOLITANO ANDREOTTI COSSIGA PRODI NICOLA GRATTERI

 

IL MADE IN ITALY PARLA SOLO INGLESE - A LONDRA CI CELEBRANO MENTRE NOI LITIGHIAMO…

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Giusi Ferré per ‘Il CorrierEconomia'

mostra italian fashion al victoria and albert foto vogue

Dopo il red carpet. Dopo la cena di gala. Dopo i festeggiamenti, i complimenti, la nostalgia, le fotografie, compreso il selfie di Franca Sozzani, direttore di Vogue Italia , incoronata da Domenico Dolce, Stefano Gabbana e il premier Matteo Renzi, la mostra «The Glamour of Italian Fashion 1945-2014» ha spalancato i battenti al V&A di Londra e resterà aperta al pubblico fino al 27 luglio. Grande, insomma, è stata l'eccitazione intorno a questa retrospettiva sull'abbigliamento italiano: unica per la quantità dei pezzi esposti (120 raccolti con il contributo del Metropolitan Museum of Modern Art di New York) ma soprattutto perché si tratta delle prima collettiva di questo respiro sul fashion italiano.

Ora, se pensiamo che questo settore è ritenuto, per lo meno all'estero, uno dei valori della nostra immagine e sempre in attivo nelle esportazioni, possiamo tranquillamente affermare che è stata un'occasione sprecata. E non soltanto perché mancava il contributo di un curatore italiano, ma perché appare evidente la mancanza di una riflessione profonda su questi temi.

mostra italian fashion al victoria and albert foto vogue

Non a caso, secondo Maria Luisa Frisa, storica e direttrice del corso di laurea in Design della moda dello Iuav di Venezia, «la sezione meglio riuscita è quella dedicata alla Sala Bianca di Palazzo Pitti, con le prime sfilate veramente internazionali organizzate da Giambattista Giorgini, antesignano nel riflettere sull'identità della moda come industria del bello, inserita in un contesto estetico adeguato. Manca invece l'osservazione della fase di passaggio dalla moda boutique alla grande stagione del prêt-à-porter. Non è ben delineata Milano, non c'è la rappresentazione di questa metropoli, capitale del design e della moda, dunque della capacità di progettare e realizzare in serie».

mostra italian fashion al victoria and albert foto vogue

Ma la città di Albini, Armani, Ferré, Versace, Dolce&Gabbana, Prada è anche quella che, fingendo di parlarne per decenni, non è mai riuscita nemmeno a immaginare un museo della moda. Anche se la storia sofferta del Museo del design alla Triennale, discusso per anni, qualcosa insegna sulla difficoltà dell'agire collettivo in questo Paese.
«Eppure è un passaggio fondamentale per fare chiarezza anche sul presente. In una fase dove il recupero della tradizione e della manualità viene confuso con il vernacolare e il pittoresco - continua Frisa - con lo stereotipo del calzolaio dalle mani d'oro chiuso nella sua bottega. Mentre la qualità assoluta della moda italiana deriva proprio dall'artigianalità messa al servizio di quella produttività industriale che è unica al mondo».

mostra italian fashion al victoria and albert foto vogue

Esiste però, in questo disordinato giacimento di meraviglie che è l'Italia, un museo che potrebbe, riorganizzato e sostenuto, diventare una specie di Victoria&Albert nazionale: la Galleria del Costume di Firenze, che ha una magnifica raccolta di abiti, da Yohji Yamamoto alla ricca donazione di Gianfranco Ferré, oltre a importanti pezzi storici. Collegata alla Galleria degli argenti e opportunamente rivalutata, potrebbe rappresentare l'evoluzione dei tempi nella vita quotidiana. Quanto a Milano, potrebbe forse incrociarsi con la Triennale ispirandosi al Museo del design e alla sua agilità di contenuti. Ma dovrebbe anche essere convinta che quella della moda è una riflessione culturale e sociale, non il girotondo inutile dei vestiti.

mostra italian fashion al victoria and albert foto vogue mostra italian fashion al victoria and albert foto vogue

 

PER L’ULTIMA SELEZIONE DEI SERVIZI SEGRETI SONO ARRIVATE 7 MILA CANDIDATURE

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Lorenza Sebastiani per "il Venerdì - la Repubblica"

I giovani italiani sognano di fare gli 007. Sono arrivate ben 7.096 candidature al sito di Sicurezza nazionale del governo, solo tra il 1° luglio e il 31 ottobre scorso. Ne sono state selezionate 1.500, che diventeranno presto poche decine: i «sopravvissuti» entreranno in servizio alla fine dell'anno o all'inizio del 2015.

Giampiero Massolo

La richiesta era mirata, preferibilmente, a trovare profili di eccellenza in campo cyber (su settemila, ben 4.096 sono ingegneri informatici, matematici e fisici), economico (1.320 candidati tra economisti e ingegneri gestionali), energetico (1.680, tra ingegneri energetici, industriali ed esperti di energie alternative).

MINNITI E PAOLO SCOTTO

Circa il 65 per cento dei candidati ha un'età compresa tra i 26 e i 35 anni, l'80 per cento sono uomini, molti già laureati e attivi nel mondo del lavoro. Spesso, però, i futuri agenti segreti vengono segnalati direttamente dalle Università. Grazie ad accordi firmati con i più importanti atenei italiani (tra cui la Sapienza di Roma e il Politecnico di Torino), nell'ultimo anno sono stati esaminati circa 2.500 neolaureati.

massolo x

«Urgono nuove leve, con nuove competenze» spiega il direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, Giampiero Massolo. «Anche perché la legge 124 del 2007 ha rinnovato la macchina dell'intelligence aprendola a una maggiore comunicazione con il mondo esterno. L'obiettivo è integrare un patrimonio di risorse umane che possa affrontare nuove minacce».

PAOLO SCOTTO

Ma perché i nostri giovani sono corsi in massa all'appello lanciato dal sito di Sicurezza nazionale? «Sono affascinati da una professione che ha il sapore di una sfida culturale. Il compito primario di questo mestiere è proteggere lo Stato nei suoi interessi politici, economici, scientifici, energetici», spiega Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile comunicazione, con una lunga carriera nei servizi segreti, «Sono banditi i candidati vanitosi o esibizionisti. È un lavoro per persone dotate di immaginazione, creatività, motivazione, senso dello Stato. E riservatezza».

Il profilo del candidato ideale? Ottimo equilibrio psicofisico, padronanza assoluta di inglese scritto e parlato, capacità di adattamento: bisogna esser pronti a partire in missione in ogni momento, anche all'estero. Punti in più per chi conosce arabo, lingue afgane, russo e cinese. I curricula vanno inviati al sito www.sicurezzanazionale.gov.it.

 

KU KLUX SETTETE! VIAGGIO FOTOGRAFICO FRA I NUOVI MEMBRI STATUNITENSI DEL KU KLUX KLAN

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da www.businessinsider.com

Un Gran Capo del KKK


Il Ku Klux Klan è vivo e vegeto e lotta ancora per "il potere bianco". Secondo il Southern Poverty Law Center, i membri attivi negli Stati Uniti sono fra i cinquemila e gli ottomila, divisi in organizzazioni locali come i "Fraternal White Knights of the Ku Klux Klan" del Tennessee.

Il fotoreporter Anthony S. Karen ha trascorso gli ultimi otto anni a documentarli e ha pubblicato l' e-book intitolato "White Pride". Si è presentato come un osservatore che non giudica e accetta ogni individuo. L'atteggiamento gli ha fatto guadagnare accesso anche alle cerimonie più segrete. Ha iniziato stabilendo un contattando attraverso i siti ufficiali.

Membri del KKK preparano il barbecue

Questi "cavalieri" intimidiscono attraverso l'esposizione di croci in fiamme. Si costituiscono in unità e si oppongono anche all'omosessualità e all'immigrazione illegale. Si riuniscono in più innocui barbecue e celebrano matrimoni fra "simili" sul campo di battaglia della Guerra Civile.

La più grande organizzazione è il "Knight's Party", con base a Harrison. Ogni anno tiene il congresso chiamato "The Faith and Freedom Conference".
I "Mississippi White Knights of the Ku Klux Klan" fanno invece base a Tupelo, nel Mississippi. Di recente hanno inscenato una pubblica protesta, la prima del genere dagli anni Settanta.

 

 

 

Iniziazione del KKK jpeg

I DATI AMERICANI SPINGONO PIAZZA AFFARI (+0,55%) - SPREAD DI NUOVO GIU' A 165 PUNTI…

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Carlotta Scozzari per Dagospia

DIEGO DELLA VALLE CON SCARPE TODS

Proprio quando le Borse europee, e quella italiana e spagnola in particolar modo, avevano virato con decisione in territorio negativo, dagli Stati Uniti sono giunti alcuni dati che hanno tratteggiato un quadro economico piuttosto incoraggiante. E che, oltre a dare ulteriore smalto al listino a stelle e strisce, hanno permesso alle Borse europee di riconquistare il segno positivo. Così, a Milano, l'indice Ftse Mib ha guadagnato lo 0,55% a 21.314,56 punti. Nello stesso tempo, lo spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi è ridisceso di slancio a quota 165 punti dai 170 di venerdì.

All'interno del Ftse Mib, sono precipitate le azioni della Popolare di Milano guidata da Giuseppe Castagna, che hanno lasciato sul terreno l'8,52% nel primo giorno di Borsa utile dopo che l'assemblea degli azionisti di sabato ha una volta ancora sconfessato l'operato del management, questa volta bocciando le nuove proposte di cambiamento sulla governance. Deboli anche le altre banche Mps (-5,32%), Popolare dell'Emilia Romagna (-3,42%) e Ubi Banca (-1,16%), così come la società del risparmio gestito Azimut (-2,26 per cento).

SAIPEM

In ordine sparso le società controllate dal Tesoro e/o dalla Cassa depositi prestiti, in attesa che a mercato chiuso si alzi finalmente il velo sulle nomine del governo di Matteo Renzi: Eni è salita dell'1,76%, Enel dell'1,26% mentre Finmeccanica ha terminato in deciso calo (-2,12 per cento). Pioggia di acquisti, poi, per la controllata del Cane a sei zampe, Saipem, che ha preso il 2,93 per cento.

Tra gli industriali, giù Stmicroelectronics, che ha lasciato sul campo il 2,95% anche a causa della bocciatura arrivata dagli analisti di Ubs. Bene, in generale, il settore del lusso, e soprattutto la Tod's di Diego Della Valle, che ha guadagnato quasi il 5% riuscendo finalmente a riagganciare quota 100 euro. Bene anche Salvatore Ferragamo (+3,21%) e Moncler (+1,51 per cento).

logo BPM

 


PER GRILLO, DELL'UTRI E RENZI PARI SONO. MA MATTEUCCIO NON È UN RINOMATO BIBLIOFILO

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Riceviamo e pubblichiamo:

Giorgio Lainati

GIORGIO LAINATI SMENTISCE L'ABBANDONO A FORZA ITALIA
(AGI) - "Come tutti i miei colleghi giornalisti ben sanno, dal '94 sono il responsabile dell' ufficiostampa di Forza Italia, in aspettativa per carica elettiva dal 2001. Un lungo, e coerente, percorso politico che non e' cambiato". E' Giorgio Lainati, deputato FI e vicepresidente 'azzurro' della Vigilanza Rai, a intervenire cosi' per precisare che "sono, dunque, completamente prive di fondamento le indiscrezioni che mi vedrebbero intenzionato a lasciare il mio partito".

FI: SANTELLI (FI), NESSUNO OSI AFFERMARE CHE IO MI ALLONTANO DA FI
COMUNICATO - "Nessuno osi affermare che io mi allontani da Forza Italia. Sono in Calabria, come coordinatrice regionale del partito a lavorare per le amministrative e le Europee per Forza Italia. Sono stata, sono e sarò sempre con Silvio Berlusconi. Non appartengo alla schiera di chi ha utilizzato il Presidente per salire le scale del potere ed ora che pensa di essere arrivato gioca fare lo statista". E' quanto dichiara la deputata di Forza Italia, Jole Santelli.

Lettera 1
Caro Dago,
secondo la comunità ebraica paragonare la P2 al nazismo, come ha fatto Grillo in un recente post, è vergognoso e offensivo della memoria delle vittime. Paragonare invece il M5S al nazismo, come da mesi fa la stampa, è cosa buona e giusta? RP

LA CONDANNA DI BERLUSCONI PELLEGRINAGGIO A PALAZZO GRAZIOLI JOLE SANTELLI E ROBERTO FORMIGONI

Lettera 2
E loro ridono. Avete fatto caso che in tv si vedono solo politici che ridono beati? Ridono a destra e ridono a sinistra. All'assemblea NCD rideva come un pazzo Alfano, si sganasciava Schifani e quando Alfano dal palco ha sentenziato che loro sono il nuovo, la Lorenzin ha gridato bravo ridendo soddisfatta. Se la ridono alla faccia nostra.
Andrea Del Giudice

Lettera 3
Dago darling, tra il dire e il fare c'é di mezzo il mare. Almeno fino a ieri. Ora al posto del mare c'é lo tsunami ciarliero di Renzi. Chissà cosa c'é dietro l'angolo, per dirla mauriziocostanzianamente?
Natalie Paav

Lettera 4
Le sorelle "spesso gnocche" dei Vips hollywoodiani posano in calze a rete. Noi invece ciabbiamo i gemelli famosi: quello di Dell'Utri che afferma: "Mio fratello, si trova in Libano per il business dei cedri", quello di Giovanardi che gestisce i centri di permanenza temporanea.Ognuno ha i parenti che si merita.
Gloria

BEPPEGRILLO

Lettera 5
Carina l'idea di impacchettare le auto straniere dei dipendenti.
Ma per impacchettare la Sede Legale e la Residenza Fiscale ed appiccicargli sopra due bei cuoricioni spezzati,ci vorra' molto?
Al.

Lettera 6
Renzi: "...La Sinistra che non cambia diventa Destra...". Lui è veloce e...riduce i tempi !!! amandolfo (StC)

Lettera 7
Bello il pezzo sulla prostituzione femminile in Svizzera ma perchè si parla sempre di prostituzione femminile e mai di prostituzione maschile eterosessuale?
Alberto Monaco

Lettera 8
Caro Roberto questa mattina in vaporetto un signore in borghese mi dà le spalle all'improvviso si gira e mi dice biglietto ! io ho dato il biglietto chiedendomi perplessa se è legale che gli ispettori siano in borghese...
Margherita

marco e marcello dell'utri.

Lettera 9
Gentil Dago,,
Secondo Beppe Grillo, don Marcello Dell'Utri e Matteino Renzi pari sono.
Scusa, Beppe, ma non risulta a nessuno che il giovin Signore di Firenze sia un rinomato bibliofilo...
Ossequi
Pietro Mancini

Lettera 10
Caro Dago Se Berlusconi fa ministri e candida in Parlamento giovani e belle fanciulle,queste sono chiaramente delle ochette,nella migliore delle ipotesi,e puttane,tout court,nella peggiore. Se fa altrettanto Renzi "Pitti Bimbo" le sue signorine sono delle statiste in pectore.
PC

RENZI E MERKEL A BERLINO

Lettera 11
Sono settimane e settimane che la nostra Ferillona nazionale ci ricorda in radio e TV che sta per terminare -DEFINITIVAMENTE- domenica prossima, la promozione sui divani, sulle poltrone e sui sofà. E ci invita ad affrettarci, perchè è proprio l'ultima irripetibile occasione. Peccato che ogni lunedì ne inizia un'altra uguale. Non sarebbe più rilassante e corretto dire invece che è attiva una promozione senza fine? Mezzosecondo

Lettera 12
Caro Dago,
ma è possibile che nell'era delle new digitali terrestri e satellitari ci si ostini a dare solo i dati delle 7 reti "classiche" e segregare in fondo alla classifica alle voci: Altre Reti; Satellite; Terrestri, realtà che, a differenza delle 7 sorelle, a fine anno fanno utili oltre a share che spesso superano l'ultima delle 7 sorelle, La7 e talvolta battono canali Rai e Mediaset?
Con stima, Lorenzo
Lorenzo Malafarina

RENZI, MERKEL

Lettera 13
Dago caro, perchè quando tornano gli scheletri dei rapiti in Sardegna non viene mai fatto il nome dell'ing. Bussi? Noto allora per essere la mente della Ferrari (quella che vinceva) ucciso dal'Anonima Sarda nonostante il pagamento di metà del riscatto. E sai chi lo pagò? La valigia arrivò da Torino. Perchè non ricordarlo mai?
Gavina Bacagà

Lettera 14
Caro Dago,
il bis-nonno dichiara da Fazio che è deluso perchè l'Europa ha reagito tardi alla crisi...
Perchè, invece cos'hanno fatto i Governi italiani da lui "sponsorizzati" ? Un pò di autocritica mai, vero ? E allora starsene almeno zitti per decenza ? Nemmeno...
Recondite Armonie

Lettera 15
Caro Dago, forse Bernard Shaw o Totò..(poco importa..) dicevano che l'Editoria è roba da grandi..E' evidente che Dell'Utri era in Libano per ristampare l'Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam...Tutto il resto è Dudu'...
Gianni Morgan Usai

Lettera 16
Spettabile Redazione, come tifosa del Chievo sono veramente delusa. Siamo il pubblico più premiato per il fair-play, da sempre dimostrato sugli spalti, siamo in A da tanti anni e sicuramente diamo fastidio a molti.

In Italia è così: se ti comporti bene, se dai il meglio di te - e il Chievo Verona è un esempio di conduzione aziendale encomiabile, oltre che di squadra che ha fatto sempre il suo dovere in campo - sei sempre emarginato. Dai fastidio agli squadroni spendaccioni e ai tifosi dell'Hellas che invidiano il piccolo-grande Chievo Verona e probabilmente condizionano la stampa perchè loro sono in tanti di più allo stadio.

RENZI BERLUSCONI PREMIER

Questo semi-oscuramento capita molto spesso nelle trasmissioni tv , ed è puntualmente capitato ieri sera con la Domenica Sportiva. Una vergogna: il Chievo fa l'impresa della giornata e Paloschi segna tre gol, si noti tre gol, uno più bello dell'altro. Ma cosa ti combina il duo femminile Ferrari-Arcaro? ne parla a fatica all'una meno dieci, dopo due ore e mezzo di parole e cazzeggio talora patetico.

E a proposito di donne conduttrici di sport: con la scusa della parità di genere vogliono fare le sapientine e invece sono sempre lì a fare le veline, spesso anche un pò ridicole. Lasciate lo sport e il calcio maschile agli uomini. Ve lo dice un donna.
Dorothea B.

Lettera 17
Caro Dago,
insomma dai, la Merkel anche quest'anno c'è ricascata, è tornata a Ischia, e la Bild ne dà già notizia...
http://www.bild.de/news/tag-in-bildern/fotografie/fotos-des-tages-aktuelle-nachrichten-bilder-news-35254726.bild.html
fa più pubblicità presso i tedeschi lei all'italia, nonostante sia criticassima qua, di tanti farinettosi e renzisti profeti di un rinnovato splendore del turismo italico...(alla fine chi ama veramente questo paese va sempre negli stessi posti)
Alessandro

SABRINA FERILLI AD AMICI DI MARIA DE FILIPPI

Lettera 18
Egregio Direttore,
Credo di aver capito bene la questione Berlusconi: e' ai servizi sociali per quattro ore ogni settimana, ma, se dovesse parlare in modo critico dei giudici, della giustizia e di ogni altra questione ad essi inerente, scatterebbero gli arresti. Berlusconi ha 78 anni, non è un po' esagerato un trattamento del genere? E come dovrebbe far politica, a segnali di fumo come gli indiani? Presidente, resista dalla tentazione, resista, si mozzichi la lingua ma stia zitto. Tanto, chi vuol capire ha già capito, non serve che parli e chi non vuol capire...perché parlare?
Leopoldo Chiappini G.
Roseto D. A. - Teramo

Lettera 19
Caro Dago,
Ai seguenti personaggi tele-cinematografici, tutti dichiaratamente di sinistra,Amendola, Bisio,Cortellesi, Giacchetti, Ficarra e Picone, Mentana, Freccero, Bonolis, Ricci, Gino & Michele, Gialappa's e tutti gli altri che non nomino definiti genericamente come Coloradi, Strisciati, o Zeligati, o ancora scrittori-giornalisti,cantanti, conduttori, vorrei chiedere :"

napolitano a che tempo che fa intervistato da fabio fazio

Ma, vi rendete conto che se foste stati di destra, mai e poi mai, avreste potuto lavorare in televisioni, o circuiti cinematografici, o editoriali appartenenti a De Benedetti, o in una Rai con il Centrosinistra al Governo, cosa che invece avete potuto fare e fate , profumatamente pagati, chez aziende di Berlusconi ?

fabio fazio napolitano

P.S. Ricordo a tutti che anche Dell'Utri ( come il Cavaliere e altri Berluscones ) non era mai stato sfiorato da alcuna indagine giudiziaria prima del 1994,cioé fino al giorno in cui , con Forza Italia, non fece bunga-bunga alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto & Compagnia Bella Ciao.
Salve Natalino Russo Seminara

 

DAL GHETTO PAKISTANO A DOWNING STREET: SAJID JAVID DIVENTA MINISTRO DELLA CULTURA INGLESE

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Enrico Franceschini per "la Repubblica"

Suo padre arrivò in Inghilterra dal Pakistan con solo una sterlina in tasca, lui è cresciuto nella strada più pericolosa della nazione, e i suoi insegnanti, quando ha terminato la scuola dell'obbligo, gli hanno suggerito di fare un corso da elettrotecnico per riparare televisori. Come consiglio non era del tutto sbagliato, perché di televisori Sajid Javid ora effettivamente si occupa, sebbene in senso più ampio: in qualità di nuovo ministro della Cultura, l'intera industria televisiva britannica dipende da lui.

sajid javid con moglie e figli

Ma l'opinione dominante è che sia destinato a fare un altro mestiere: quello di primo musulmano eletto premier del Regno Unito. E se non proprio fervente discepolo dell'Islam, comunque allevato secondo i principi del Corano. Una cosa è certa: in Gran Bretagna è nata una stella. Ieri Financial Times e Guardian gli hanno dedicato una pagina. Ma l'astro nascente Javid va oltre la politica.

La sua sembra una storia da romanzo, magari scritto da Dickens: un David Copperfield asiatico. Il padre Abdul emigra in Inghilterra nel 1961 dal Pakistan, senza un soldo. A Bristol, dove nel 1970 gli nasce Sajid, è soprannominato "Night and Day", Giorno e Notte, perché fa lavoretti di ogni tipo a tutte le ore, finché non trova un impiego fisso: come autista di bus. La strada in cui abita la famigliola pakistana, Stapleton road, è stata descritta così qualche anno fa dal Daily Mirror: «Un buco dell'inferno senza legge, dove omicidi, stupri, sparatorie, traffico di droga, prostituzione, accoltellamenti e rapine a mano armata sono un fatto quotidiano».

sajid javid jpeg

Ma lui è determinato a uscire dal buco. A 14 anni, alla biblioteca del quartiere, studia le quotazioni dei titoli sul Financial Times e con un prestito comincia a giocare in Borsa. «Iniziai con 500 sterline e dopo un po' avevo un discreto portafoglio », ricorda. Lo sbuzzo per la finanza e buoni voti a scuola lo convincono a ignorare il consiglio degli insegnanti: invece del corso da elettrotecnico si iscrive al liceo, poi a economia alla Exeter University.

Dopo la laurea cerca impiego nella City: alla Rothschild sei manager bianchi in gessato grigio lo squadrano dall'alto in basso e gli indicano la porta. Ma a 25 anni viene assunto dalla Chase Manhattan, a New York, dove diventa il più giovane vicepresidente nella storia della banca, per poi passare a dirigere l'ufficio di Singapore della Deutsche Bank. Alla domanda sul perché lo assunse, il suo primo boss a New York risponde succintamente: «Aveva fame». Di affermazione, di successo, di soldi: in vent'anni di carriera come banchiere, guadagna 20 milioni di sterline (25 milioni di euro). Ma non si monta la testa. «Telefonava alla madre tutti i giorni», dice il suo ex-capo alla Deutsche.

sajid javid

Nel 2009, tra la sorpresa generale, Javid lascia il suo posto d'oro in banca per candidarsi alla camera dei Comuni con i conservatori. «Tornerà da noi nel giro di un anno », scommettono i banchieri. Sbagliano. Fa carriera anche in politica, prima tra i consiglieri di George Osborne, numero due dei Tories, poi come sottosegretario al Tesoro. E questa settimana, quando il ministro della Cultura Maria Miller si è dimessa per uno scandalo di rimborsi spese gonfiati, David Cameron lo promuove al suo posto: il primo asiatico britannico al governo. Sarebbe già così una fiaba a lieto fine, per il figlio di un autista pakistano, ma molti prevedono che il 44enne Javid non si fermerà.

SAJID JAVID b

Già due anni fa il Guardian profetizzava che sarebbe diventato il primo premier musulmano britannico: ora nessuno pensa più che sia una congettura azzardata. Proprio musulmano in realtà non è, o meglio non è più: si dichiara «orgoglioso di essere nato musulmano britannico », ma si definisce laico, sua moglie è cristiana, come i loro quattro figli. E, nel 2012 dice a una lobby pro-israeliana che, dovesse lasciare il Regno Unito, andrebbe a vivere in Israele.

Dall'inferno al governo: fatto. Dal ghetto pakistano di Stapleton road a Downing street: possibile? Quando gli chiedono se pensa davvero di poter essere eletto primo ministro risponde: «La Gran Bretagna è stata il primo paese d'Europa ad avere una donna premier. È una delle società più aperte e tolleranti del mondo. Qui non contano il colore della pelle, il sesso, la razza, la religione, conta il talento».

sajid javid jpegsajid javid

E lui, indubbiamente, ne ha da vendere. Qualcuno, considerata la sua storia, lo paragona a un Obama conservatore. Ma il suo modello è un altro: Margaret Thatcher, di cui diventò un fan da ragazzo, convinto che le sue liberalizzazioni fossero il metodo giusto per modernizzare il paese. Così, dopo un leader conservatore come Cameron, uscito da Eton, Oxford e dalle feste in frac del Bullingdon Club, un giorno alla guida dei Tories potrebbe arrivare il Copperfield pakistano, figlio di un autista di bus. Ricordando che la "lady di ferro", sua eroina, era figlia di un droghiere.

 

 

MILANO SCOMMETTE CHE OLDANI SI ATTOVAGLIERA' DA ARMANI - CONSOB GUARDA A PARMALAT...

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giuseppe castagna

MICHELI CONTA FALCHI E COLOMBE «INQUILINI» DELL'ABI
Da "il Giornale" - L'Abi di Antonio Patuelli prende formalmente tra le mani le richieste elaborate dai sindacati per il rinnovo del contratto dei bancari. Il vicepresiden­te Francesco Micheli porterà oggi la piattaforma delle parti sociali all'attenzione del«Casl»(il Comitato per le attività sociali e del lavoro) così da avere un sondaggio ufficiale tra le banche «inquiline» di Palazzo Altieri. I sindacati pretendono di recuperare l'inflazione e che il settore retribuisca i nuovi mestieri che saranno introdotti dentro e fuori dalle filiali per cercare di rilanciare i profitti e, se sarà loro sbattuta la porta in faccia, torneranno in piazza. L'Abi per contro oppone che l'occupazione si può salvare solo congelando i costi. Vedremo se a Palazzo Altieri avranno la meglio le colombe o i falchi, tra cui si annovera il fronte delle piccole banche.

BPM RICUCE CON GIARDA E CASTAGNA DOPO LA SCOPPOLA DELLA GOVERNANCE
Da "il Giornale" - Diplomazie in manovra alla Bpm dopo la scoppola dell'assemblea che ha bocciato la ri­forma della govenance. Tra le base si parla di un imminente incontro tra il presidente Piero Giarda, l'ad Giuseppe Castagna e i leader nazionali di Fabi, Fiba-Cisl, Uilca-Uil e Fisac-Cgil. I «gran­di elettori» di Giarda che, a 4 mesi dalla nomina al vertice, è stato lasciato «solo» in assemblea dai sindacati dopo che in altrettanta «autono­mia » avrebbe affrontato alcuni temi caldi di Bpm. Oggi squillerà anche il telefono di Bankita­lia, perché un sindacalista vuole dire la sua.

Piero Giarda

MILANO SCOMMETTE CHE OLDANI SI ATTOVAGLIERÀ DA RE GIORGIO
Da "il Giornale" - È di moda mangiar bene: e le alleanze di lusso si moltiplicano. In casa Armani, per esempio, dove le indiscrezioni puntano su Davide Oldani,l'inventore della cucina pop, pronto a lasciare il suo ristorante stellato di Cornaredo per prendere il comando delle cucine dell'hotel in via Manzoni a Milano.La prova generale c'è stata alla settimana della moda, quando il giovane chef si è esibito nell'hotel di Re Giorgio in due serate dal tutto esaurito. Per ora Oldani si lancia nel design: la sua linea per la tavola- piatti, posate e bicchieri - è realizzata per la Kartell di Claudio Luti, il presidente de Salone del mobile.

PARTERRE
DA ‘Il Sole 24 Ore'

La Consob guarda alle mosse Parmalat
L'assemblea di Parmalat potrebbe finire nel mirino della Consob. La commissione starebbe studiando la situazione del gruppo in vista dell'assise dei soci del 17 aprile che, oltre al bilancio, sarà chiamata anche a esprimersi su alcune modifiche alla governance volte a ridurre il numero dei consiglieri espressione delle minoranze da due a uno. Si tratta di un passaggio delicato perchè, a norma di statuto, due è anche il numero minimo di consiglieri necessari per chiedere la convocazione del cda. Insomma un elemento di garanzia da parte dei piccoli soci che, se la modifica passasse, verrebbe così a cadere.

Negli ultimi giorni contro questa prospettiva sono stati presentati a Consob due diversi esposti, uno dei piccoli azionisti riuniti in Azione Parmalat, e un altro da parte di un soggetto istituzionale. La commissione al momento sta ancora valutando la questione e potrebbe intervenire a inizio settimana, ma non è nemmeno escluso che decida di muoversi prima Lactalis per chiarire la propria posizione in merito alla prospettata modifica dello statuto. (R. Fi.)

giuseppe vegas

La nuova era del mattone di Finmeccanica
Inizia una nuova era per il mattone di Finmeccanica? Il gruppo ha riunito qualche mese fa tutto il patrimonio immobiliare, che dovrebbe valere tra 1 e 2 miliardi di euro, nella controllata Global Services, veicolo per attuare la valorizzazione del mattone. Del portafoglio fanno parte un numero vasto di asset che comprende gli immobili strumentali in uso al gruppo, quelli che non vengono più utilizzati, gli uffici e infine gli immobili a reddito, anche se in questo caso difficile è parlare di redditività. Quale l'obiettivo della scelta?

Forse il gruppo industriale italiano intende iniziare un iter che permetta di trovare gli strumenti giusti per migliorare la gestione della divisione real estate. È prematuro dire oggi se si arriverà alla costituzione di una Siiq, di un fondo immobiliare o ancora di un nuovo strumento proposto dagli sviluppi recenti della normativa di settore. O se invece si sceglierà di vendere parte degli asset direttamente sul mercato per fare cassa. Certo che una riorganizzazione interna è d'obbligo, e forse è giunto anche il momento di cogliere l'opportunità offerta dall'interesse degli investitori esteri tornati nel nostro Paese. (P. De.)

Davide Oldani

Volagratis atterra in anticipo a Zurigo
Continua a velocità sostenuta il volo delle agenzie di viaggio online sui mercati. Se eDreams Odigeo, dopo una falsa partenza a Madrid va avanti da giorni sulle montagne russe (ma nonostante il calo di ieri continua a guadagnare rispetto al prezzo di quotazione), la concorrente Bravofly viaggia addirittura in anticipo sui tempi di quotazione a Zurigo, grazie al successo di domanda sia da parte degli investitori svizzeri che di quelli internazionali. Così il periodo di bookbuilding per il gruppo conosciuto in Italia come Volagratis si chiuderà un giorno prima del previsto, il 14 aprile, con Ipo fissata per il 15.

Con una forchetta di prezzo è compresa tra i 40 e i 52 franchi per azione, l'operazione prevede un collocamento fino a 5,77 milioni di azioni, di cui 3,145 milioni provenienti dagli attuali azionisti e 2,625 milioni frutto di un aumento di capitale. E vista la capitalizzazione, compresa fra 600 e 750 milioni di franchi, dalla quotazione potrebbero arrivare circa 200 milioni di euro da mettere al servizio delle acquisizioni. Strategia obbligata in un settore che vola dritto verso il consolidamento. (G.Ve.)

Parmalat

I mancati richiami costano cari a Gm
Le cattive notizie non vengono mai sole. Nel pieno dello scandalo dei mancati richiami di vetture, che ha costretto General Motors sul banco degli accusati a Washington e ha visto l'apertura di un'indagine penale, l'azienda ha dovuto annunciare nuovi richiami (il totale dei veicoli richiamati è salito a 7 milioni), con un costo che peserà per 1,3 miliardi di dollari sui conti del primo trimestre 2014; la notizia ha spinto il titolo ai minimi dal giugno dell'anno scorso (-0,7% ieri a metà seduta a 32,6 dollari).

È vero che i richiami al centro delle polemiche si riferiscono per lo più a modelli prodotti dalla "vecchia" Gm, quella prima della bancarotta pilotata; ma il problema è rimasto senza soluzione fino al febbraio di quest'anno, e la messa a riposo di due ingegneri da parte dell'azienda potrebbe non bastare. Il rischio più grosso per Mary Barra, la top manager che da gennaio ha preso il volante del colosso americano, è che agli occhi dei clienti e delle autorità la "nuova" Gm e quella vecchia diventino difficili da distinguere. (A.Mal.)

 

 

DA DE ANDRÈ A PATTY PRAVO: GLAMOUR E SCANDALI AL COVO DI NORD EST– E QUELLA NOTTE DEI TRANS

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Tatti Sanguineti per ‘Il Giornale'

Sono Lello Liguori, so¬no nato tantissimi an¬ni fa, mi è sempre pia¬ciuto il divertimento. Ho scoperto il Covo di Nord-Est di Santa Margherita Ligure nel 1966: il proprietario era un certo Peppo Vannini, proprie¬tario di tutte le pasticcerie di Lugano. Era in auge perché aveva preso due grandi artisti inglesi - Brian Auger e Julie Dri¬scoll - e faceva dei pieni incre¬dibili. Il Covo mi piacque, co¬minciai a frequentarlo, alla fi¬ne lo comprai.

tatti sanguineti WALTER CHIARI COVO

100MILA LIRE A TESTA
Era un locale per ricchi.L'ul¬tima volta che ci si esibì Mina, nel '69,si pagavano 100mila li¬re a persona.

JANNACCI E LA SINISTRA
Avevo cominciato a giocare a pallone con Enzo Jannacci. Eravamo nati a 50 metri l'uno dall'altro. Lui stava in viale Corsica dove c'era il Motta, io abitavo all'inizio di viale Corsi¬ca. Andavamo a giocare a pal¬lone insieme, lui era un patito. Poi siamo cresciuti, ci siamo persi di vista e poi lui ha comin¬ciato a lavorare con Beppe Vio¬la e tutto quel gruppo lì, e l'ho visto poco. Poi l'ho fatto lavo¬rare a Milano in un locale stra¬no che avevo, l'ho trasformato insieme a Pozzetto e Boldi. E poi un giorno me lo sono ritro¬vato grande personaggio.

Gli ho chiesto di far una serata al Covo e lui la mise giù un po' du¬ra p¬erché era diventato di sini¬stra, e tutti quelli di sinistra non volevano venire al Covo col suo pubblico di ricchi. Mi chiese una cifra notevole, ven¬ne, cantò. La gente gli chiese 4-5 bis e lui dapprima rifiutò. Allora gli dissi «Enzo, scusa, siamo amici da tanti anni, per¬ché mi fai una cosa del gene¬re? » e allora lui li fece. Invece nelle serate che aveva fatto per me nei ristoranti, era stato sempre divertentissimo.

IO, MERCENARIO
Ero in Marocco all'epoca della guerra d'Algeria. E a un certo punto si scatenò una cac¬cia ai bianchi, dovetti rimane¬re chiuso in casa per cinque giorni. Poi scappai attraverso il deserto per arrivare in Alge¬ria. Portavo le merci per i lavo¬ratori italiani che lavoravano all'Eni nei pozzi di petrolio. Poi mi arruolai con i mercena¬ri e dopo due mesi scappai. Fi¬nii a Nizza dove ho conosciuto Delon che mi è stato molto d'aiuto. Lui, Belmondo, era tutta una cricca. Divenni an¬cor più famoso grazie a loro.

COVO DI NORD EST Frank Sinatra

CHE TEMPI CON BING CROSBY
Io volevo solo i grandi arti¬sti. Ma i grandi artisti avevano cachet altissimi. Non ci si sta¬va coi costi, perché il Covo è piccolo e lo dovevo allargare. Avevo sempre problemi di agi-bilità. Con più posti ho comin¬ciato a portare Iglesias, Azna¬vour, quella gente lì. E tutti gli americani: Minnelli, Sinatra, Bing Crosby, Stevie Wonder... Se un artista arriva in ritardo, poi, per recuperare, fa serate fantastiche, leggendarie.

PAZZI PER BARRY WHITE
Barry White non arrivava. Io mi preoccupo, chiamo un vigile per andare a vede¬re se lungo la strada aves¬se avuto un incidente. Il vigile torna dopo un quarto d'ora e mi dice: «Sono fermi al semafo¬ro con i finestrini oscurati. Sono chiusi lì dentro. Viene il verde e non si muo¬vono, viene il ros¬so e non si muovo¬no ». Avevano co¬minciato a fu¬mare. E allora sono andato là io e gli ho detto «Guar¬da che sei in ritardo... non so più come tenere la gente». Fece una serata incredibile, tutti in piedi sui tavoli.

PATTY PRAVO TUTTA NUDA
Ogni serata ha la sua storia. Se al pubblico piace ti fanno anche 50 canzoni, e sono tan-te. Se al pubblico non piace ti fan fare 20 canzoni e ti manda¬no via. Patty Pravo fece cinque canzoni. Nelle prime file c'era un generale dei carabinieri che non apprezzava, si girava, parlava male di lei. Lei ha pre¬so un posacenere, gliel'ha tira¬to e se n'è andata dicendo « merde » in francese non in ita¬liano. Poi andò in albergo, pre¬se una barca, e si ripresentò sotto il molo nuda sul mare. Si è messa lì davanti e ha detto «Così va me¬glio? ».

frank sinatra x02 foto covo

MONETINE CONTRO DE ANDRÉ
Al Covo, un locale per ricchi, i cantanti di sinistra hanno sempre fatto fatica. Io e Ber-nardini ci avevamo messo due mesi a convincere De André che allora era all'apice, a veni¬re. Lo aspettava tutta la più ric¬ca borghesia genovese. Gli chiesero subito Marinella e per dispetto lui non la fece. At¬taccò «Quando la morte mi chiamerà...». Cominciarono a tirargli monete da 100 lire, e l'hanno fatto scendere dal pal¬co. Idem con Benigni. Benigni qui al pomeriggio ha fatto le prove, un piccolo spettacolo. Perciò, fra i camerieri che era¬no quasi un centinaio e tutta la gente della spiaggia, li ha fatti impazzire tutti. La sera la gen-te, quelli con la puzza sotto il naso, quelli che avevano paga¬to il biglietto, non la presero bene. Gli lasciarono fare sì e no dieci pezzi.

CHARTER PER IL «54»
Quando ho aperto il 54 a Mi¬lano abbiamo fatto un gemel¬ laggio col 54 di New York. Ci scambiavamo gli aerei: 8 char¬ter il sabato sera li mandavo io da qua, e dall'America, dal 54, mi mandavano 8 charter. Ha funzionato tantissimo, anche perché gli artisti che ho fatto qua- Tina Turner, Donna Sum¬mer, tutta gente di quel livello lì - li ho portati a New York do¬ve c'era metà della capienza.

FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE COVO DI NORD EST

UN SET SULLA CURVA
Nel 1972, davanti al Covo, è stata girata la scena di insegui¬mento di macc¬hine più rocam-bolesca di tutto il cinema italia¬no: La polizia incrimina la leg¬ge assolve, con Franco Nero, di¬retto da Enzo G. Castellari. È un inseguimento di 8 minuti fra una Lancia della polizia e la macchina dei gangster, una Ci¬troën camuffata da ambulan¬za. Lo schianto avviene pro¬prio davanti al Covo. Avevano costruito un mezzo casolare al¬l'angolo della strada, proprio sulla curva, e Franco Nero con uno stuntman arrivava spara¬to con una macchina, natural¬mente mettevano le due assi per terra, la macchina si mette¬va su due ruote. È una scena fa¬mosissima.

CONCERTO PATTY PRAVO AL TEATRO DAL VERME jpeg

LA NOTTE DEI TRANS
Il Covo ha sempre avuto una tradizione un po' trasgressiva. Quando iniziò la moda dei trave¬stiti io feci venire dalla Fran¬cia, dall'Alcazar, dieci travesti¬ti belgi. E la gente è impazzita, col locale esaurito. Quando ho visto che le cose piacevano e si mettevano bene, per non fare proprio la serata trasgres¬siv¬a che poteva dar fastidio an¬che al cardinal Siri, sono anda¬to giù al porto e ho fatto salire dieci travestiti locali coi mu¬scoli così e le tette così. Quan¬do hanno iniziato a ballare, tut¬ti si sono alzati per andargli dietro. Qualcuno si era messo nudo e tirò fuori il batacchio. Io avevo fatto fare mille tartes à la crème da dare alla gente. Ma tutti era¬no su di giri e cominciarono a tirarsele...

UN MILIONE PER SINATRA
Quando portai Sinatra nel¬l' 87, arrivò in elicottero da Montecarlo dove aveva dormi¬to. Arrivò solo con due perso¬ne, senza la consueta schiera di guardaspalle. Anche per¬ché io il giorno dopo dovevo portarlo a Genova perché era la festa di San Giovanni e ave¬vo promesso al presidente del¬la Regione che l'avrei portato lì.Al Covo c'era un pieno incre-dibile: per i primissimi posti si pagava un milione. Ma erano venuti da tutto il mondo, ave-vo prenotazioni da tutte le par¬ti. Italiani forse il 50 per cento.

I TRUCCHI DEL MESTIERE
Gestendo il locale, ho sem¬pre imparato a mettermi alla porta. Io, in prima persona, ho sempre fatto la porta: facevo entrare chi volevo. Magari si presentava uno con le scarpe da tennis e tu non lo considera¬vi e invece era un personaggio importante. Ma avevo un cer¬to occhio... La porta è la cosa più importante che esista. Per¬ché tu devi avere il coraggio di tenere fuori i balordi, quelli che possono far casino, tirar fuori un coltello. Poi siccome sei tu che scegli i tavoli, facevo degli enormi cartelloni nume¬rati, in modo che io sapevo esattamente dov'era il perso¬naggio da dover eventualmen¬te proteggere.

carr corrado patty pravo

CHE BOTTO CHARLIZE THERON
La scena più mitica girata qui è lo spot della Martini con Charlize Theron. Feci questo contratto con una casa di pro¬duzione americana e la Marti¬ni. Vennero almeno in cento, rimasero qui una settimana. Elicotteri, motoscafi: avevano tutto, girarono e rigirarono tut¬to cento volte. C'era lei che camminava dal Covo al porto con questo vestito che man mano le si sgomitolava addos¬so, però senza far vedere completa¬mente il la¬to B.

L'INTER¬VENTO DI PERTINI
Il Covo è fallito una volta sola. Nell'85, quando io ho avuto il proble¬ma di Sanremo, sono manca¬to dal Covo per tre anni. Tanto è vero che il Covo è andato giù. Ed il giudice di allora aveva det¬to al prefetto di chiuderlo. E al¬lora io mandai la mia compa¬gna da Pertini, che aveva una casa nel Tigullio, e lo feci ria¬prire subito. Però avemmo un calo, un piccolo calo. Poi nel¬l' 87 ho ricominciato a picchia¬re forte con i personaggi e mi sono rifatto le ossa.

WALTER CHIARI BANDITORE
A Walter Chiari ho sempre voluto bene. E gli ho sempre fatto fare più ferragosti e capo-danni che ho potuto. Per me provò addirittura a fare aste di quadri, ma la gente voleva le barzellette.

QUANDO SCOPRII GRILLO
Grillo l'ho scoperto io.Veni¬va qui quando aveva 14 anni e mi rompeva le palle tutti i gior¬ni per andare sul palco. Gli die¬di la sua occasione la sera di De André facendolo presenta¬re a lui. Tutto andò bene fin¬ché il pubblico non chiese a De André di attaccare Marinel¬la.

PATTY PRAVO DURANTE UN CONCERTO AL COVO

 

 

ASSO DEL VOLANTE E RISCATTO DEL BRASILE: SENNA AVEVA UN ISTINTO DI COMPETIZIONE BRUTALE

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1. SENNA, GENIALE CON METODO EROE PER SORTE
Paolo Ziliani per "il Fatto Quotidiano"

GQ MAGAZINE COPERTINA CON AYRTON SENNA

Angelo. Ma anche diavolo. Sensibile. Ma all'occorrenza spietato. Un dio in terra smanioso però di vivere totalmente, profondamente, la sua condizione di uomo nelle sue grandezze e nelle sue miserie. Lui lo sapeva: sapeva di essere speciale e anche - semplicemente - normale. Il migliore quando guidava, uno dei tanti quando viveva. Il primo e l'ultimo: proprio come i due ragazzi, Senna e Ratzenberger, che si ritrovarono distesi l'uno accanto all'altro, in perfetta eguaglianza, nel silenzio, in quel tristissimo giorno d'inizio maggio 1994 all'obitorio dell'Ospedale Maggiore di Bologna.

Vent'anni fa. Erano i giorni del Gran Premio di Imola; sabato 30 aprile se n'era andato l'ultimo fra gli ultimi, domenica 1 maggio lo aveva raggiunto il primo fra i primi. In una sorta di parabola evangelica che Ayrton Senna - che non aveva paura di parlare di Dio - non avrebbe fatto fatica a comprendere.

Non c'era mai stato e forse non ci sarà più uno come Ayrton Senna: il brasiliano silenzioso dal sorriso triste, il campione di tutti i tempi e di tutti gli sport, il pilota per cui non sarebbe stato esagerato dire "e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare" visto che come guidava lui non ha più guidato nessuno. Davvero: ci sarebbe voluto Dante per dire, bene, chi era Senna.

Ayrton Senna

"L'uomo della pioggia", per chi ricorda i prodigi che solo lui sapeva sfoderare quando le piste diventavano acquitrini e i piloti comuni mortali. Come nel 1984, al debutto in F1, quando a 24 anni, nel G.P. di Monaco, al volante di una scatola di sardine chiamata Toleman Senna s'inventò la danza della pioggia; e mentre Tambay e Mansell, Piquet e Warwick andavano a sbattere, lui, guizzando tra la Williams di Laffite e quella di Rosberg, sorpassando la Ferrari di Arnoux e la Mc Laren di Lauda, s'arrampicò dal 13° al 2° posto, poi mise nel mirino Prost, che al 20° giro aveva un minuto e mezzo di vantaggio su di lui.

terry fullerton

Novello Houdini, Senna prese a mangiargli 6 secondi a giro. Al 31° passaggio il distacco era ridotto a 7 secondi e mezzo. Alla fine del 32° giro, mentre stava ormai per avventarsi sul francese, umiliandolo, il direttore di gara, l'ex ferrarista Jacky Ickx, si lanciò sul traguardo sventolando la bandiera rossa e quella a scacchi. Gara finita. E vittoria a Prost perché il regolamento recitava: vince chi è in testa un giro prima dello stop. Intanto il mondo stropicciava gli occhi incredulo: da quale lontana e sconosciuta galassia arriva mai questo Ayrton Senna?

Nei dieci anni trascorsi in F1, più l'11° (il 1994) chiusosi subito con la sua morte, Senna disputò 161 Gran Premi vincendone 41. Per 65 volte centrò la pole position, che Ayrton coglieva con irrisoria facilità qualunque fosse la macchina che guidava, Lotus, Mc Laren, Williams. La sua sensibilità di guida, genio allo stato puro, gli permetteva di sbucare dai box negli ultimi 5 minuti e di migliorare, regolarmente, il tempo più veloce fatto segnare fino a quel momento. Per 87 volte Ayrton partì in prima fila, 80 volte (una su due) salì sul podio, 96 volte si piazzò andando a punti.

terry fullerton e ayrton senna

Nessuno come lui è mai riuscito a portare al limite la propria monoposto. Una volta nell'abitacolo, come toccato dalla grazia riusciva a operare sorpassi impossibili, a inventare traiettorie irripetibili e a ritardare frenate all'inverosimile in un modo unico che ancor'oggi non ha imitatori. Alain Prost: il grande nemico, l'uomo che Senna fece di tutto per sbalzare dal trono dando vita a una rivalità senza esclusione di colpi. "Lucio Dalla - racconta Leo Turrini, amico di Senna e autore del bel libro "In viaggio con Ayrton" (Feltrinelli, 15 euro) - ha dedicato una canzone a Senna nella quale gli fa dire "ho capito che un vincitore vale quanto un vinto".

Ma non è vero. A Lucio lo dissi, Senna questa cosa non la pensava, aveva un istinto di competizione brutale che passava sopra a tutto. A Lisbona, due settimane prima del G.P. del Giappone del 90, mi disse: Prost è diventato campione del mondo buttandomi fuori pista; quindi, se mi servirà per diventare campione del mondo, lo butterò fuori anch'io. E così fece. Lui aveva una sensibilità e una spiritualità fuori dal comune, ma anche un senso della competizione spaventoso. Era umano anche nel praticare la slealtà".

terry fullerton

"Perdonare è una parola difficile da digerire - aveva detto Senna in un'intervista-tv ad Antonella Delprino -; oggi questa capacità in me è ridotta, sono molto lontano dalla maniera di vivere che vorrei praticare". E però, ci sarà anche Prost, alla fine, ad accompagnare Senna al cimitero di Morumbi reggendo la bara assieme agli amici di sempre, Berger, i Fittipaldi, Jackie Stewart. "La verità è che furono rivali, arrivarono ad odiarsi ma si stimarono sempre - spiega Turrini -. E all'ultimo, prima di morire, Ayrton aveva veramente ammesso Prost nella cerchia dei suoi amici. Fermati Ayrton, c'è un amico ai box che ti aspetta, gli dissero un giorno, a inizio 94, mentre stava girando in prova. Lui capì che si trattava di Prost, che si era appena ritirato dalle corse, e semplicemente disse: "Ciao Alain: mi manchi!".

IL DIO DEL VOLANTE

Ayrton Senna, "l'uomo della pioggia", "l'uomo dei sorpassi", "il ragazzo che parlava con gli occhi", volava all'inseguimento di un sogno: battere, lui brasiliano, il record dell'argentino Fangio, che di mondiali ne aveva vinti 5. Fangio aveva conquistato il quinto titolo a 46 anni, Senna a 31 anni era già a quota 3. Aveva tutto il tempo, se non ci si fosse messa la morte. E certo i duelli col giovane Schumacher, che prometteva di diventare per Senna ciò che Senna era stato per Prost, sarebbero divenuti indimenticabili. Invece Senna morì alla curva del Tamburello del circuito di Imola, il primo maggio del ‘94, perché il piantone dello sterzo cedette e la sua Williams finì a 300 all'ora contro un muretto.

Nell'urto il braccetto della sospensione si staccò, entrò nella visiera del casco e gli trafisse il cervello. La bara di Ayrton, avvolta nella bandiera verde-oro del Brasile, quel martedì 3 maggio viaggiò dapprima sull'aereo del presidente della Repubblica Scalfaro da Bologna a Parigi, poi sul volo "Varig RG723" Parigi-San Paolo. Il comandante Gomes Pinto fece togliere 4 sedili in business class comunicando ai passeggeri che si rifiutava, come da regolamento, di sistemare Senna nella stiva.

AYRTON SENNA

"Io ero lì - ricorda Turrini -, seduto accanto a lui e per tutto il viaggio i passeggeri non smisero di venire in processione a pregare, piangere e ancora piangere sulla bara di Senna". Cinque milioni di brasiliani fecero ala al loro eroe che dall'aeroporto Guarulhos, sul camion dei vigili del fuoco scortato dai soldati della "Polìcia da Aeronautica", raggiungeva prima il palazzo del Governo dello Stato di San Paolo, poi il cimitero di Morumbi. Cinque milioni di persone cui Senna aveva fatto un regalo lungo dieci anni: l'orgoglio di sentirsi brasiliani. E il regalo non è ancora finito.


2. IO CHE HO BATTUTO IL MIO AMICO SENNA
Testo di Terry Fullerton raccolto da Ferruccio Sansa per "il Fatto Quotidiano"

Se ci penso? Certo, e voi non lo fareste? Lui è diventato campione del mondo, un mito per miliardi di persone. E io, come trentacinque anni fa, sono sempre pilota di kart. Insegno ai ragazzini. Ci penso spesso, se lo negassi sarei falso, ma ho fatto le mie scelte, un uomo deve sempre farle. Ho fatto la vita che volevo. E poi c'era di mezzo una promessa e non si può mancare alla parola.

Non ho rimpianti, non ho rabbia. È andata bene così. Però ci penso, non potrebbe essere altrimenti: Ayrton e io correvamo insieme, eravamo compagni di squadra, tutti e due sui kart della Dap. Lui era un ragazzetto di 17 anni, io quasi un uomo... ne avevo 25. Ogni giorno ci confrontavamo. E credetemi, eravamo davvero veloci, tenevamo sempre giù il piede sull'acceleratore. Abbiamo vinto Campionati del mondo, una marea di coppe che ho ancora sul mobile. Ora lo so cosa vorreste chiedermi - mi capita spesso, ormai, mi parlano di me, ma vogliono sapere di lui - chi era più veloce? Andavamo forte tutti e due.

Molto forte. Ma eravamo diversi: Ayrton aveva dentro qualcosa, un vero dono. E una grande ossessione. Era rapidissimo, ma soprattutto "passionate", non saprei tradurvelo, è più che appassionato... vuol dire anche passionale, sì, mentre teneva in mano il volante. Io ero più logico, ci pensavo prima di lanciarmi in un sorpasso folle. Avevo più esperienza, più tecnica.

AYRTON SENNA

Ma eravamo veloci uguali, a volte più io, l'ho battuto tante volte. Nel mondo dei kart eravamo i numeri uno. Non so che cosa vi aspettiate che risponda, che mi arrenda davanti a lui? Ma non sarebbe giusto nei suoi confronti. E nemmeno nei miei. Bisogna essere obiettivi, sinceri, sempre.

Anche Ayrton lo era. Per questo mi ha colpito come una fitta nello stomaco il giorno che ascoltai quelle sue parole. C'era l'intervistatore che gli faceva la solita domanda, chi è stato il tuo più grande avversario? Prost, Schumacher ? Ma Ayrton stupì, come sempre: "Quando arrivai in Europa mi ritrovai un compagno di squadra che si chiamava Fullerton. Aveva una grande esperienza, ed è stato grande guidare con lui, perché era veloce, e tosto. Ecco per me era un pilota davvero completo. E un puro guidatore. Era pura competizione. Non c'era politica, non c'erano sponsor o denaro. Soltanto competizione".

Che cosa volete che vi dica, che non mi fece piacere? Certo che fui felice, orgoglioso. Era un riconoscimento che arrivava dal campione del mondo. Ma nel profondo me lo aspettavo. Ce la giocavamo davvero. Perché quelle gare, mio dio, furono stupende. Davvero competizione allo stato puro. Quello che io ho sempre sognato. E anche Ayrton. In questo sì eravamo uguali: quando indossavamo il casco volevamo soltanto una cosa: vincere. Questo vogliono i piloti, quelli veri.

Certo, la velocità, ma sopra ogni cosa vincere. Non state ad ascoltare chi dice che è meglio una bella sconfitta che una brutta vittoria. Balle. A chi arriva secondo non ci devi nemmeno pensare. Non c'è compassione. Crudele? Sì, lo so. Ma crudele per tutti. Oggi vinco, ma tante più volte sarà un altro a sollevare la coppa e io a soffrire. C'è qualcosa di molto onesto e puro nelle gare.

Competition, competizione, Ayrton ce l'aveva nel sangue. E anch'io. È un bug, un baco che ti si è annidato dentro. Io me ne sono accorto a undici anni. Bastò provare una macchina cinque minuti per capire che volevo soltanto quello. I fell in love, mi sono innamorato. Ed ero bravo, non lo dico per superbia. Non so che cosa ti renda veloce, non chiedetemelo, è qualcosa che hai nel cervello che a duecento all'ora ti fa calcolare ogni centimetro della curva. Qualcosa negli occhi, nei muscoli. Nel dna. Ragione e istinto.

Così è cominciato tutto, le gare, i campionati del mondo. Quando sollevi in alto le coppe ti senti in paradiso. Sì, quanta felicità. E quanto dolore: avevo undici anni quando morì mio fratello. Mallory Park, correva su una moto, una Northon. Alec era tutto per me, ma non mi fermai. Continuai a correre, correre, correre. E vincere. E viaggiare per il mondo.
Vale per me e valeva per Ayrton. Questo ci riconoscevamo quando ci guardavamo negli occhi: la voglia di vincere. E quel suo sguardo mi spingeva ad andare più veloce.

Amico? Allora avrei detto di no. Ma non eravamo nemmeno nemici. C'era rispetto. Tanto. Questo significa essere rivali. Condivido tante cose con te, ti sto vicino, arrivo a capirti, a conoscerti come poche altre persone al mondo. Ma voglio batterti. Sempre. No, non umiliarti, non voglio che picchi. Voglio solo che mi stai dietro. In quel mondo alle mie spalle che per me non esiste.

È andata avanti così per anni. Sempre vicini. Ci parlavamo anche, delle gare, della macchina. E poi i discorsi dei ventenni... le ragazze, il sesso. Ma non avrei detto che fosse mio amico. Neanche lui lo avrebbe fatto. È impossibile, ti renderebbe indifeso, vulnerabile. La competizione, quando è allo stato puro, ti rende egoista. Ti fa dimenticare tutto. Io gli amici non li porto in pista, perché appena scendo sull'asfalto sono un'altra persona. Non posso farci niente, devo batterli. A qualunque costo.

No, capitemi, non intendo essere sleale. Noi ci siamo anche aiutati, Ayrton ed io. Ricordo quella volta che ero in testa. E il nostro grande manager, Angelo Parilla, aveva chiesto ad Ayrton di non fare casini. Lui niente, mi stava a un millimetro, voleva superarmi. Non poteva farci niente, era la sua natura. Ma io non gliene volevo, avrei fatto lo stesso. Tiravamo come matti, pazzi totali, finché all'uscita di una curva, mi sembra di vedermela qui davanti, il mio motore ha grippato. Mi sono piantato. Fermo. E lui boom, mi è venuto dentro. Che botta. Ma appena mi sono alzato in piedi l'ho aiutato a rimettere a posto il suo kart, a farlo ripartire. A vincere. No, sia chiaro, non è una questione di bontà, era istinto: io non potevo più vincere... e allora che lo facesse lui. Il mio compagno. Amici? Non so. C'è un legame, però, a volte ancora più forte. Più inspiegabile.

Poi un giorno lui se n'è andato: la Formula 3, la Formula 1, le vittorie. Il mito. Io ho continuato con i kart. Lo so che cosa vorreste chiedermi: perché Senna sì e io no? È la vita, potrei dirvi. Ma c'è dell'altro: io avevo sette anni più di Ayrton e quando avevo vent'anni le formula 1 erano dannatamente pericolose. Correvi con il pensiero della morte, in cinque anni sono morti venti piloti su cento.

E poi c'era di mezzo quella promessa. Dopo la morte di Alec l'avevo giurato a mia madre: non correrò mai con le moto e le auto da corsa. Discorso chiuso. Anche se tentazioni ne ho avute: provai un'auto da competizione, una di quelle buone. E feci un tempone. Si potevano aprire anche per me quelle porte. Chissà, forse avrei potuto incontrare di nuovo Ayrton. Ma di parola ce n'è una sola. E i miei genitori avevano già sofferto.

Ecco, oggi, a 58 anni, guardo mia moglie, la mia bambina di nove anni che suona il piano in salotto. Penso che ho fatto bene. Che sono vivo.

Faccio l'istruttore di kart, non potrei fare altro. E guardando quei bambini che corrono mi basta un'occhiata per capire chi ce l'ha dentro quella passione, come Ayrton e me. Se c'è un bambino che perde e dopo cinque minuti è di nuovo felice, bè, lui non vincerà mai.

No, non mi allontanerò mai dalle piste. Da quel loro odore di asfalto e di benzina. Di gomme. Ma sono una persona normale. Abito a Norwich in Inghilterra. A metà strada tra la città e la campagna. Dalla finestra della mia camera vedo l'edificio di fronte. Niente di speciale. Mi faccio delle lunghe camminate sulla spiaggia con il cane.

Rimpianti? No, ve l'ho detto. Però ci penso ad Ayrton, come quel giorno che stavo tornando in Inghilterra con il traghetto e mi telefonarono: "Senna è morto". Sì, forse allora ho capito che eravamo amici. Mi capita a volte di immaginare di incontrarlo. Di bere qualcosa con lui, invecchiato. Forse anche lui, come me, avrebbe una visione diversa della vita: gli anni ti fanno vedere tante altre cose.

Chissà di che cosa parleremmo... dei vecchi tempi, certo, delle gare che abbiamo fatto insieme. Ma anche degli errori, dei fraintendimenti. Delle cose non dette. Non più rivali, ma liberi di essere amici. Ma comunque piloti: con quella voglia di vincere sempre. Come se non sapessi che alla fine della vita si perde.

 

 

 

IL CINEMA DEI GIUSTI - I MANETTI BROS. SI LANCIANO IN UN MEGAFILM DI GENERE: “SONG’E NAPULE”

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Marco Giusti per Dagospia

Song'e Napule dei Manetti bros

song e napule giampaolo morelli in una scena

Il caso ha voluto che l'ultimo film prodotto da Luciano Martino, re del cinema di genere italiano, dal poliziesco alla commedia sexy, scomparso la scorsa estate, fosse una sorta di megafilm di genere. Un po' musicarello, un po' Merola movie, un po' poliziesco anni '70, un po' videoclip, un po' Gomorra movie.

Anche se questo divertente, allegro e povero "Song 'e Napule" diretto dai Manetti bros è talmente studiato come operazione sui generi da finire per essere quasi un film teorico, oltre che fortemente autoriale, sia per Martino sia per i suoi registi, che in questi ultimi anni sono stati a lui molto legati, per progetti che sono andati dalla fantascienza, "L'arrivo di Wang", al thriller, "Paura 3D". E va detto che i Manetti hanno dato molte soddisfazioni a Martino, riuscendo a portare prima a Venezia "L'arrivo di Wang" e poi a Roma, quando il produttore era purtroppo scomparso, proprio questo "Song 'e Napule", che è forse il più riuscito dei tre film.

Anche perché permette ai Manetti di contaminare con allegria i generi, di giocare come hanno sempre saputo fare sulla musica e sul poliziottesco, come ai tempi dei loro primi videoclip rappettari, al punto che il vero omaggio a Martino lo fanno loro con i titoli di testa costruiti alla "Napoli violenta" e alla "Luciano Martino presenta...". Nel film un giovane poliziotto napoletano, Paco Stillo, interpretato da Alessandro Roja, che ha avuto il posto solo grazie alla raccomandazione di un assessore, viene infiltrato da un suo agguerrito superiore, Paolo Sassanelli, come pianista di un cantante neomelodico di successo, tale Lollo Love, cioè Giampaolo Morelli, già star della serie tv "L'isepttore Coliandro" diretta dai Manetti.

Song e Napule Giampaolo Morelli e Serena Rossi x

Lollo, sempliciotto ma di buon cuore, con sorella bonissima, Serena Rossi, deve cantare al privatissimo matrimonio della figlia di un boss della camorra. Sassanelli spera che il suo poliziotto musicista infiltrato, possa così scoprire l'identità e fotografare il volto di un misteriosissimo killer della camorra, Ciro Serracane, amico d'infanzia del padre della sposa. Ma Paco Stillo, che ha preso il nome d'arte di Pino Dinamite, non è proprio quel che si dice un poliziotto nato, non vorrebbe tradire la fiducia di Lollo e, per giunta, si è pure innamorato di sua sorella.

Song e Napule

C'è un po' di tutto, insomma. Inseguimenti e sparatorie per le stradine di Napoli come ai tempi di Umberto Lenzi, cantanti e malavita come ai tempi di Mario Merola e Alfonso Brescia, un bel numero di commissario comico alla Vittorio Caprioli di Carlo Buccirosso, la parodia del neomelodico moderno, qualche attore di Gomorra, l'immancabile Pennarella, caratterista del nuovo cinema napoletano, la bella e procace Serena Rossi.

I Manetti riescono a mischiare tutto con leggerezza e divertimento, senza perdere d'occhio né l'idea di fare un cinema popolare né qualche omaggio cinefilo. Qualche momento di stanca c'è, qualche buco narrativo pure, ma il cast, da Roja a Morelli, da Buccirosso a Peppe Servillo, è perfetto e nel complesso il film è molto gradevole e totalmente in sintonia col pubblico più giovane cresciuto coi film di Maurizio Merli. Le canzoni di Lollo Love sono di Fausto Mesolella. In sala dal 17 aprile.

 

Song e Napule Song e Napule

SI SONO SPOSATI CON 27 ANNI DI DIFFERENZA, LUI POMICINO 75 ANNI, LEI LUCIA MAROTTA, 48

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Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia

Villa Aurelia

Maria Luisa Agnese per il "Corriere della Sera"

Si sono sposati con 27 anni di differenza, lui l'onorevole Paolo Cirino Pomicino (quasi) 75, lei Lucia Marotta 48, e con festosa cerimonia romana che ha riunito intorno a loro un mix amicale da Prima Repubblica, finita con ballo sul prato e la neo coppia che allegramente si esibiva sulle note di Champagne di Peppino di Capri. «Anche se non sono un ballerino bravo come mi ha ritratto Buccirosso nel Divo di Sorrentino» minimizza sardonico lui.

E se stupisce la baldanza di lui, potentissimo politico napoletano negli anni andreottiani azzoppato da Mani Pulite, che dopo tre infarti e un trapianto di cuore riparte a 74 anni compiuti con una nuova vita, incuriosisce ancora di più la scelta di lei di cui poco si sapeva finora, se non la sua silenziosa presenza da 14 anni al fianco dell'ex ministro: ragazza di buona famiglia romana andata presto in sposa al centrocampista della Roma, Odoacre Chierico, detto Dodo, e presto separata.

Umberto Ranieri Paolo Cirino Pomicino e Rino Formica

Nessun problema questa differenza di età nel nuovo matrimonio? «In realtà fra i due la vecchia sono io, sono nata vecchia e mi trovo benissimo con lui così pieno di energia, e quando si mette al piano e intona vecchie canzoni, tipo Nel 1919 ..., non si sa come, io le so tutte».

Lucia, finora di lei si conosceva più che altro una fulminea battuta, sul passaggio da un innamorato all'altro: Dodo teneva il cervello, Paolo il fisico. Esagerata: conferma o smentisce? «Devo spiegare. Tutto era nato da un articolo di Gian Antonio Stella dove, bontà sua, mi definiva due secoli più giovane di lui e un paio di metri più alta, e mi interrogava su che cosa mi aveva portato a preferirlo. E io ho detto: di Dodo, che non era certo un intellettuale, mi ha colpito il cervello; di Paolo che dell'intellettuale ha tutto, compresa la distrazione perenne, mi ha colpito il fisico.

Una battuta, perché anche se è un bell'ometto (e qui la signora invita a guardare la foto dove il suo Paolo è ritratto con dovizia di quadricipiti a 18 anni quando giocava come terzino) a me ha rapito piuttosto il suo modo di pensare, di vedere, la sua leggerezza, così istruttiva per me che sono nata doverista ed emotiva».

Tagliolini con gallinella di mare per gli ospiti

Si erano conosciuti per un incrocio familiare quando Lucia era ancora sposata con Odoacre, perché la figlia di Paolo, Ilaria, era allora fidanzata con il miglior amico di Odoacre, poi si erano rincontrati una sera al cinema Barberini con Lucia in piena crisi post-separazione.

E quando qualche mese dopo avevano deciso di dichiararsi alle famiglie, in fin dei conti erano entrambi liberi e separati, lei, un po' imbarazzata ma decisa, chiese la mano di Paolo all'amica Ilaria, mentre lui si rivolse al papà di Lucia così: «Avvocato, io la capisco, se questa cosa fosse successa a me, non sarei certo contento...». E lì Lucia li tolse di imbarazzo dicendo: «Ora abbraccialo e chiamalo papà».

Scorcio di Roma da Villa Aurelia

Una coppia anomala ma ormai molto solidale, cresciuta sulla mutua ironica complicità, tanto che gli amici li chiamano Sandra e Raimondo per i siparietti casalinghi, e cementata da un percorso di vita parecchio accidentato, lei (che non aveva mai votato Dc, semmai più a destra) lo ha assistito prima nella lenta risalita nell'immagine collettiva, poi nel dramma del trapianto, affrontato con indomita leggerezza e con due anni di trasferta milanese in attesa del cuore «giusto»: «Gli altri fanno il lifting, io mi cambio gli organi».

Rosario Bifulco e signora

Come ha accolto ora Lucia quel popolo da Prima Repubblica che si è affollato al suo secondo matrimonio? Da Gianni De Michelis, testimone di lui, a Fausto Bertinotti, Publio Fiori, Maurizio Sacconi, Luisa Todini (testimone e miglior amica di lei) fino a Paolo Villaggio, Pippo Baudo e al fotografo Umberto Pizzi c'erano tutti, mancavano solo Massimo D'Alema e Arnaldo Forlani («ma avevano la giustificazione» riaffiora la voce di Pomicino).

Rino Formica

«Io non sono mai stata mondana, lui si è tranquillizzato, quelli sono amici che si sono mantenuti nel tempo. Gianni De Michelis, che è nostro vicino di casa a Roma, e che spesso invitiamo a cena la sera, mi dice sempre: "Tu Lucia sei masochista, perché ti sei accollata questi due anziani"». «Quel mix di invitati-amici è la fotografia di un mondo che cercava sempre un accordo, un minimo comune denominatore umano prima che politico» glossa Pomicino.

Uniti dagli amici ma separati dall'altezza: Lei quanto è alta? «Un metro e 76». E suo marito, l'onorevole Paolo Cirino Pomicino? Lui si fa vivo con voce in sottofondo: «Un metro e ottanta, mi pare». E lei pronta: «Sì, ho tanta voglia di crescere». Così, sul prato di Villa Aurelia dove si teneva il ricevimento nuziale, Lucia si è pure tolta le scarpe, per ballare più leggera e «per essere alla sua altezza».

Rino Formica e Paolo Cirino Pomicino Rosario Bifulco e signora Maria Sorrento con Angelo Sanza e moglie

 


LO SAPEVAMO TUTTI CHE NON SAREBBE DURATO L'ADDIO ALLE ARTI DI MAURIZIO CATTELAN

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Alessandra Mammì per Dagospia

ARTISSIMA 2014Maurizio Cattelan SERATA CRACCO E CATTELAN A PIAZZAFFARI

Lo sapevamo tutti che non sarebbe durato l'addio alle arti di Maurizio Cattelan. E il lungo sabbatico, infatti, sta per finire. Domani 15 aprile in un'intervista esclusiva alla "Stampa" Cattelan annuncia non solo il suo ritorno, ma anche la sua nuova professione artistica. Il prossimo novembre andrà in scena come curatore di una mostra tutta sua nell'ambito di "Artissima" la fiera di Torino.

E, per di più, sarà una mostra di pittura. O perlomeno di pittura secondo Cattelan. Dunque niente di quello che ci si aspetta dalla parola, piuttosto "un progetto, trasversale, sperimentale, innovativo" come sicuramente leggeremo nei comunicati stampa. Quel che intanto viene rivelato è che tanto evento sarà tutta allestito nello storico Palazzo Cavour, che è una specie di montaggio, una mostra collage con opere rapite da musei storici e pubbliche collezioni torinesi, un miscuglio di contemporaneo e classico. Insomma uno di quei cortocircuiti mentali, visivi tipici suoi.

Maurizio Cattelan al Guggenheim di New York

Curatela ai limiti dell'installazione, insomma. Ma soprattutto sarà un colpaccio per "Artissima". Fiera in affanno, minacciata nelle date da "Frieze" e dalla art-week londinese e nel merito dalla crescita di Miart a Milano. Certo la benedizione di Cattelan e l'occasione per la direttrice Sarah Cosulich Canarutto, di far da madrina a tanta impresa, è una potente occasione di rilancio per la Torino assediata. E già l'intervista di domani, che spazia dal privato al politico, promette molto bene.

MAURIZIO CATTELAN E MICHELA MORO

A domande tipo "Ma i giovani artisti possono prescindere dal mercato" risposte tipo "E'' il mercato che non può prescindere dai giovani artisti". Oppure: "questo exploit da curatore annuncia il suo ritorno come artista?". Lui: "La risposta c'è, ma non la dico per non sciupare la sorpresa". Di solito chi tace acconsente e in fondo l'abbandono delle scene non ha giovato né all'immagine internazionale dell'arte italiana ( magari lui se ne frega, ma noi no) né al mercato delle sue opere. Interrogato direttamente da un collezionista che non se ne faceva una ragione, una volta Cattelan rispose da par suo: "Comprereste una macchina da una fabbrica he ha smesso di produrre?".

CATTELAN BY RICHARD AVEDON

In realtà lui non ha mai smesso di produrre. Ha cercato di cambiar mestiere forse. Ha fatto l'editore, il producer di film (forse solo Yuri Ancarani,però) ha messo in piedi quella geniale rivista e oggettistica firmata "Toilet Paper". Ma il richiamo della foresta è stato più forte. E da parte sua la foresta aveva bisogno di lui. Anche in veste curatore, va bene. Un geniale meta-curatore molto alla Cattelan che (come racconta nell'intervista di domani ) riprende il titolo della mostra da un tatuaggio letto sulle foto dei detenuti nel Museo Lombroso. "Il passato mi ha fregato, il presente mi tormenta, il futuro mi sgomenta". Bentornato Cattelan.

PIAZZA AFFARI - MAURIZIO CATTELAN

 

CATTELAN AL GUGGENHEIMsan maurizio cattelanmaurizio cattelan alpino

DISCORSO DI SPRINGSTEEN PER L’AMMISSIONE DELLA “E-STREET BAND” NELLA R’N’R HALL OF FAME

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1 - LA LEZIONE DEL BOSS: «COSÌ È NATA LA E STREET LA MIA BAND DI SOLISTI»
Seba Pezzini per "il Giornale"

bruce springsteen b

La band, una somma di addendi che può dare esiti umanamente incendiari e musicalmente portentosi, ma il cui risultato si sottrae quasi sempre a un calcolo matematico. Prendete la band più longeva tra i mostri sacri del rock, i Rolling Stones, certo non un combo di virtuosi, ma sempre in grado di stregare il pubblico.

Basterebbe dare un'occhiata agli esordi della band per antonomasia, i Beatles, e capire come una passione comune e un talento non ancora sbocciato scatenarono un fenomeno che ancor oggi rende perplessi sociologi e musicologi. Ma il rock'n'roll è essenzialmente una creatura a stelle e strisce e Bruce Springsteen rimane un'autentica icona popolare americana.

SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA BRUCE SPRINGSTEEN

Più di The Band, Grateful Dead, Stooges, Allman Brothers, solo per citarne alcune. Ecco cosa ha detto il Boss l'altra sera nel suo discorso di introduzione della sua E Street Band nella Rock and Roll Hall of Fame, da consumato oratore, recitando quasi a memoria, dispensando tanto autentico amore e pure un po' di zucchero hollywoodiano. Ma, per superare la prova del tempo, una band ha bisogno del successo (che da solo non basta, come dimostrato da esempi illustri) e di rapporti umani a prova di bomba.

2 - DISCORSO DI BRUCE SPRINGSTEEN ALLA CERIMONIA PER L'AMMISSIONE DELLA "E-STREET BAND" NELLA R'N'R HALL OF FAME

In principio era Mad Dog Vini Lopez, fresco di galera, con la testarasata, adAsbury Park. Mi disse che aveva una band per fare soldi chiamata Speed Limit 25 e che stavano cercando un chitarrista. Della serie, ti interessa? Ero al verde, per cui, mi interessava. La genesi della E Street Band fu proprio un gruppo in cui Vini Lopez mi chiese di entrare a far parte per guadagnare qualche dollaro in più nel weekend. Subito dopo, incontrai Dan Federici.

SPRINGSTEEN IN CONCERTO A MILANO

Aveva un giaccone di pelle che gli lambiva i ginocchi, i capelli rossi tirati indietro.
Per cui, Vini, Danny, io e il bassista Vinnie Roslin ben presto ci rinchiudemmo a fare le prove in una villetta sulla main street di un paese di pescatori di aragoste: Highlands, New Jersey. La prima volta che vedemmo Garry Tallent fu quando trascinò due sedie insieme a Southside Johnny su una pista da ballo vuota mentre io collegavo la mia chitarra sul palco. Ero il ragazzino nuovo e loro erano i padroni di casa.

Si accomodarono, rivolgendomi un'occhiata della serie, «Forza, giovinastro. Sentiamo cosa sai fare ». E io accesi l'ampli e gli incenerii il locale. La bravura di Garry Tallent al basso e la sua aria da gentiluomo del Sud è il perno della mia band da 40 anni. Grazie, Gary! Grazie, signore.

bruce springsteen

Poi, una sera, misi piede nell'Upstage e fui sconvolto dal sedicenne David Sancious, con la sua faccia da bambino. Davey era molto, molto inusuale: era un giovane di colore che - ad Asbury Park che, nel 1968, non era un posto tranquillo - varcava i confini tra le diverse comunità in cerca di avventure musicali e che ci regalò il suo talento e il suo amore. Fu il mio compagno di stanza nei motel da sei dollari a camera doppia nei primi anni della E Street Band. Era bravo e si lavava i calzini...

Bruce Springsteen, 21 Ag.1978-f.A.Warhol

E, Davey è l'unico membro del gruppo che effettivamente abbia mai vissuto dei proventi della E Street! Allora entrai e lui era all'organo del locale. E oggi Davey è un tipo riservato, ma al tempo ballava come Sly Stone e suonava come Booker T e tirava fuori blues e soul e jazz e gospel e rock & roll e con la sua tastiera faceva cose che non avevamo mai sentito.C'era tanta passione ed era una cosa bellissima. Davey, ti vogliamo bene e ci manchi tuttora, sai?

Ma prima di tutto questo c'era stato Steve Van Zandt. Entrai nel Middletown Hullabaloo Club, nel New Jersey: lui era il frontman degli Shadows. Aveva una cravatta che dal collo toccava terra. Ricordo solo che stava cantando Happy Together dei Turtles. Suonava cinquantacinque minuti e faceva una pausa di cinque e, se scoppiava una rissa, doveva correre sul palco e riprendere a suonare. Incontrai Stevie e divenne quasi subito il mio bassista e poi il mio chitarrista solista.

CLARENCE CLEMONS E BRUCE SPRINGSTEEN

Il mio consigliere (in italiano nell'originale -ndt ), il mio affidabile avvocato del diavolo quando me ne serviva uno. L'orecchio impagabile per tutto ciò che creo - mi affido sempre a lui - e il mio fan numero uno. È il mio contraltare comico sul palco, il mio compagno produttore/arrangiatore e il mio fratello di sangue. Continuiamo a farlo per tutte le vite che ci verranno concesse. Ok?

BRUCE SPRINGSTEEN

Passarono anni e gruppi: Child, Steel Mills, Bruce Springsteen Band, tutte incarnazioni diverse di quella banda. Poi ottenni un contratto solista con la Columbia Recordse pretesi di scegliermi per la sala di incisione le mie «spalle», un termine quanto mai improprio. Dunque, scelsi la mia band e i miei grandi amici e finalmente approdammo sulla E Street: un raro esempio ibrido di solista e vera e propria rock'n'roll band.
Ma mancava una cosa grande.

BRUCE SPRINGSTEEN E PAUL MCCARTNEY jpeg

Era una sera buia e tempestosa... quando incontrai Clarence Clemons. Ero sempre stato affascinato dal suono del sax di King Curtis e da anni cercavo un grande sassofonista rock'n'roll. E quella sera si presentò Clarence, salì sul minuscolo palco del Prince, troneggiando su di me alla mia destra, e poi scatenò la forza della natura che rappresentava il sound e l'anima di Big Man. In quel momento, capii che la mia vita era cambiata. Mi manchi, ti voglio bene Big Man. Vorrei che lui fosse con noi stasera. Significherebbe tantissimo per Clarence.

Grazie, naturalmente, a Max Weinberg e Roy Bittan, che risposero a un'inserzione sul Village Voice. Raffinarono e definirono quel suono della E Street Band che resta tuttora il nostro richiamo in tutto il mondo. Grazie, Roy. Grazie, Max. Sono i miei sicari professionisti. Li amo entrambi.

BRUCE SPRINGSTEEN CON LA MOGLIE PATTI SCIALFA

Poi, 10 anni dopo, Nils Lofgren e Patti Scialfa si unirono a noi giusto in tempo per aiutarci nella rinascita di Born in the Usa . Nils, uno dei più grandi chitarristi rock del mondo dalla voce daragazzino, mi ha dato tutto ciò che aveva negli ultimi 30 anni.
Grazie Nils. Quanto amore.

BRUCE SPRINGSTEEN NEL DICEMBRE

A Patti Scialfa- una Jersey Girl- che veniva nel weekend da New York City e suonava con una band del posto allo Stone Pony, dove cantava una versione pazzesca diTell 'Emdegli Exciters. La sua voce aveva un che di Ronnie Spector, un che della piccola Dusty Springfield e tanto di personale. Andai da lei, mi presentai. Prendemmo un paio di sgabelli e restammo lì per un'ora o una trentina d'anni a parlare di musica e di tutto il resto. Così, inserimmo la mia splendida donna dai capelli rossi e lei spezzò quel circolo di soli ragazzi!...Patti, ti amo, grazie per la tua splendida voce, hai cambiato la mia band e la mia vita. Grazie per i nostri splendidi figli.

Le vere band nascono da un tempo reale e da un posto reale cercando qualcosa di più promettente di quello che si è conosciuto alla nascita. La E Street era un'idea; un desiderio; un rifugio; una casa; una destinazione; un sogno da marciapiede; e, per finire, era una band. Abbiamo lottato insieme e, talvolta, abbiamo litigato. Ci siamo crogiolati nella gloria e, spesso, nella confusione snervante di ciò che abbiamo ottenuto insieme.

CLINTON ASCELLA PEZZATA CON SPRINGSTEEN jpeg

Abbiamo goduto di buona salute e ci siamo ammalati e siamo invecchiati e morti insieme. Ci siamo aiutati a vicenda nei momenti difficili e ci siamo fatti del male a vicenda. Ma, alla fine, ci fidiamo gli uni degli altri. (...) È questo il marchio di una rock'n'roll band. È così per i Rolling Stones; i Sex Pistols; Bob Marley and the Wailers; James Brown and His Famous Flames; Neal Young and Crazy Horse.

springsteen ceccola airborne

L'unico rimpianto è che Danny e Clarence non possano essere qui stasera. Sono fiero di introdurre nella Rock and Roll Hall of Fame la E Street Band, band leggendaria che ti fa venire l'infarto, che seduce, che pesta duro, che fa dimenare il culo, che fa l'amore, che è un terremoto, che assume Viagra, che sfida la morte.
(Traduzione a cura di Seba Pezzani)

springsteen

 

SCALA, COMINCIANO BENE - IL MIBACT ''INDAGA'' SUL NEO SOVRINTENDENTE ALEXANDER PEREIRA

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1 - SCALA, DERBY MILANO-ROMA PER IL DIRETTORE
Alberto Mattioli per "la Stampa"

ANTONIO PAPPANO ANTONIO PAPPANO GIANNI BATTISTONI

«La Scala ha bisogno di teee!». «Ti vogliamo a Milanooo!». E giù applausi, avanti con i bravo, forza con le ovazioni. Sabato alla Scala, alla prima replica dei «Troyens» di Berlioz, si è verificato un insolito caso di gazzarra per una volta non «contro» ma «per». Nel caso, per sir Antonio Pappano, maestro angloitaliano pendolare fra Londra (alla Royal Opera) e Roma (a Santa Cecilia), che dirige la sua prima opera a Milano. Mai debutto fu più festeggiato.

E dire che ieri l'altro toccava al turno A, età media sui novanta, tutti abbonati e accasciati sulle stesse poltrone dai tempi di Toscanini, insomma un pubblico che di solito non brilla per vivacità: al confronto il Museo egizio sembra un rave party. E invece la Scala si è scaldata come non succedeva da tempo, e finalmente non per i consueti fischi delle balcony girls del loggione furibonde per qualche regia dezeffirellizzata.

ARMANDO TROVAJOLI ANTONIO PAPPANO

Stavolta i muggiti erano di felicità. Infatti sono state tante e tali le urla per sir Tony che all'ennesimo «Vieni alla Scalaaa!», si è sentita una voce inequivocabilmente capitolina sbottare da un palco a nord-ovest: «Ahò, no, resta a Roma».
PS: dopo aver ascoltato due volte questo Berlioz, bisogna dar ragione all'anonima urlatori. Qualcuno come Pappano è ciò di cui la Scala ha bisogno, e pure urgente...

LAURA TESO E MARCELLA BELLA ALLA PRIMA DELLA SCALA 2013

2 - SCALA: PISAPIA,MIBACT CHIEDE REPORT SU CASO PEREIRA
(ANSA) -
Il Ministero ai Beni Culturali ha chiesto al Cda della Fondazione Teatro alla Scala una relazione sul caso delle produzioni che il sovrintendente designato, Alexander Pereira, avrebbe acquisito dal Festival di Salisburgo. A riferirlo è il sindaco di Milano e presidente della Fondazione, Giuliano Pisapia, all'uscita dalla riunione del Cda in corso.

PEREIRA

''E' una discussione molto delicata - ha spiegato Pisapia -. C'è tanto da approfondire. Il Ministero ai Beni Culturali ci ha chiesto una relazione'' sulla vicenda. Il sindaco non si è sbilanciato sulla conferma o meno della designazione di Pereira (il cui contratto entrerà in vigore dal 1 ottobre) e alle domande dei giornalisti in proposito ha risposto: ''bisogna avere informazioni su quanto effettivamente è successo.

ALEXANDER PEREIRA

Sono state dette troppe cose vere e troppe cose false. Abbiamo chiesto al dottor Pereira una relazione con tutta la documentazione necessaria per fare una relazione corretta al Ministero''. Quindi, ha aggiunto, finché non si avrà un quadro completo e certo del caso e ''non sappiamo con esattezza'' quanto avvenuto ''non possiamo dare giudizi. Siamo - ha concluso - molto attenti alla delicatezza della situazione''.

 

BRUSH HOUR! AVVOCATI MALATI. COMICI AD AUSCHWITZ. POLIZIOTTI CHE FANNO “I CRETINI”, E NOMINE

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Francesco Bonazzi per Dagospia

Avvocati che si ammalano. Comici che riscrivono Primo Levi con risultati di dubbio gusto. Berlusconi che nel 2011 se l'è vista brutta (solo 4,5 milioni di imponibile per lui, quell'anno). Poliziotti che fanno "i cretini", come dice il loro capo Alessandro Pansa, e che andranno identificati.

DELLUTRI, BERLUSCONI

Per fortuna che ci sono le nomine pubbliche, con tanto di quote rosa in arrivo, a nobilitare un lunedì di rara inutilità e idiozia.

Partiamo dal fondo. Sono attese a cavallo dei telegiornali della sera le nomine del governo ai vertici di Eni, Enel, Finmeccanica e Poste. In mattinata Renzie è salito al Colle per illustrare a Re Giorgio gli ultimi "sviluppi" sulla politica economica del governo e, per pura coincidenza, nelle stesse ore si spargeva la voce di una conferma per Gianni De Gennaro alla presidenza della Finmeccanica.

La "rottamazione" tanto cara al primo Renzi può attendere. In Eni ed Enel dovrebbero salire di grado i bracci destro di Paolo Scaroni e Fulvio Conti, ovvero Claudio Descalzi e Francesco Starace, mentre un bel fiocco roso dovrebbe essere rappresentato dal ritorno sulla scena di Emma Marcegaglia. L'ex presidente della Confindustria, 48 anni, figlia dell'industriale Steno, sarebbe destinata alla presidenza del Cane a sei zampe.

SCONTRI A ROMA DAVANTI AL MINISTERO DEL WELFARE

Con i partiti tagliati fuori come mai prima dalla partita delle nomine, oggi l'attenzione del Palazzo è tutta concentrata sul passato, o quasi. Se fino all'altro giorno il malato era Marcello Dell'Utri, riparato all'estero per un'angioplastica, (ma oggi i familiari, in carcere a Beirut, l'hanno trovato "bene"), adesso sono i suoi avvocati a preoccupare. Alla vigilia dell'udienza in Cassazione, dove bisogna decidere se confermare o meno la condanna a sette anni per mafia, un legale è ricoverato in clinica e un altro ha mandato un certificato. A giugno va tutto in prescrizione, salvo i medicinali.

GIOVANNI TOTI A BALLARO

Scarse tracce di futuro anche nella storia di Paolino Bonaiuti che lascia Forza Italia per gli alfanoidi. Il Pupino Toti lo attacca ancora, con una perfidia che raramente riserva a qualcuno: "Paolo è sempre stato un amico e da giornalista ci ho lavorato insieme per anni. Non capisco la sua decisione. Quello che mi stupisce della politica in generale è che quando a qualcuno non va più bene, nonostante 30 anni di carriera, non dice: ‘Signori, non sono più d'accordo con il mio partito, me ne vado a casa in pensione'. No, cambia partito per star lì altri dieci anni. Questa cosa è insopportabile".

bonaiuti e berlusconi

Sensazione di grande inutilità anche per lo scalpore che destano, e desteranno, le dichiarazioni dei redditi dei politici. Sono quelle del 2011 e confermerebbero che quello fu proprio l'anno del Banana, che perse Palazzo Chigi e perse 29 milioni di reddito, scendendo a soli 4 milioni e mezzo, per colpa del cattivo andamento della Borsa.

Fa piacere ricordare che negli ultimi due anni, da quando sta "all'opposizione", le azioni Mediaset sono quasi raddoppiate di valore, quindi siamo di fronte a una non-notizia, antica e superata. Per lo stesso voyeurismo, però, è fondamentale sapere che Renato Brunetta ha cinque case e una Lada Niva da vecchio bolscevico, Angelino Alfano ha un discreto numero di vecchie utilitarie, la Boldrinmeier dichiarava 100 mila euro, ma 96mila li prendeva all'estero come funzionario della Croce Rossa internazionale.

BEPPE GRILLO AGLI SCAVI DI POMPEI

E se il capo della Polizia, Alessandro Pansa, si conquista una nota di merito per aver pubblicamente affermato che il poliziotto che ha calpestato la ragazza a terra, sabato a Roma, "è solo un cretino che andrà identificato" e punito, non così si può dire di Grillomao. Il capo dei Cinque Stelle, in questi giorni tornato comico, ha pubblicato un post in cui riscrive Primo Levi sulla Shoah e la celebra scritta di Auschwitz ("La P2 vi renderà liberi" è la sua versione). Polemiche e indignazione a non finire, e del resto altro forse non cercava, l'astuto santone di Sant'Ilario.

 

 

FLASH! - A FINMECCANICA RESTA DE GENNARO COME PRESIDENTE, ARRIVA MAURO MORETTI COME AMMINISTRATORE DELEGATO

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