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LUSTRATEVI GLI OCCHI: DIETRO ALLE BABBIONE SI CELANO LE OPERE D’ARTE DI CARRACCI E PIETRO DA CORTONA

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Video di Veronica Del Soldà per Dagospia

VIDEO-CAFONAL DELLA ROMA RICCONA

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia

DAGOREPORT

Quando Ida Benucci, antiquaria romana e arredatrice di fiducia per divi di Hollywood e sceicchi del petrolio, una col pallino dell'accumulo di opere d'arte da sballo che condivide col consorte Tommaso, comprò il villino Astaldi per farne la sua casa nella capitale e risanò con un assegno i debiti di Italia Nostra, i puristi gridarono all'oltraggio.

Umberto Croppi e Anna Coliva

Immagini della magione della sora Ida se ne sono viste ben poche fino a mercoledì 9 aprile, quando il villino, termine eufemistico per quasi tremila metri quadrati davanti a villa Borghese, pezzi d'arte sparsi ovunque e piscina con tepidarium, è stato aperto per una serata d'arte. Protagoniste le spille scultura e le installazioni di Carlo Spallino Centonze, eclettico artista siciliano, diletto compagno di Maria Giovanna Maglie, che il 20 maggio esporrà le sue opere proprio nella galleria della Benucci al Babuino.

Tavolo per la cena

Le signore della festilenza continua hanno scoperto un nuovo beniamino da coccolare, e si sono pazientemente messe in fila con spilla di Spallino appuntata per farsi fotografare. Instagram a cura di Nicola Santini, vecchio amico della Maglie, oggi addetto stampa della fidanzata del Berlusca, Francesca Pascale, giunto da Milano apposta, forse anche per sfuggire al clima luttuoso delle campagne di Arcore. Tavolo imperiale per più di 60 persone, la sora Ida mette a tavola che manco la regina Elisabetta. Sorpresa, si mangiava bene, sartù e brasato di manzo kobe cucinati dall'artista in persona. E' finita come sempre, con le babbione a cantare e ballare, capitanate da Marisela Federici.

Si Balla

Le signore con spilla, ovvero Marisela Federici, Camilla Morabito , Marisa Stirpe, Guya Sospisio , Livia Azzariti, Ida Benucci, Gabriella Alemanno, Bianca Bonomi , Monica Macchioni, Daniela Tovazzi, Marina Ripa di Meana Anna Coliva , Barbara Mezzaroma, Judith Rose Seymour, Daniela Vergara, Giulia Cerasuoli, Maria Giovanna Maglie.

Si Balla

Tra i signori Luca Maroni, Umberto Croppi, Tonino Pinto, Giuseppe Staiano, padre Simeone, Umberto Masci Benedetto Marcucci, Roberto Scrivo, Carlo Ripa di Meana, Ricki Sospisio

Tonino Pinto e Guja sospisio

 


LA FINE DI UN IMPERO CHE FU - CHIUDE LA LIBRERIA RIZZOLI DI NEW YORK: SARÀ DEMOLITA

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Andrea Salvadore per il suo blog, www.americanatvblog.com

Sono passato poco fa davanti alla Rizzoli sulla 57 West. Per l'annunciato ultimo giorno di apertura c'era una piccola manifestazione davanti all'ingresso. Se non arriva il salvataggio all'ultimo minuto chiude una libreria che ha fatto la storia di questa città' dal 1985. Potrebbe essere salvata solo dalla Landmarks Preservation Commission che assegna il titolo di bene storico per la comunita' ad edifici che altrimenti sarebbero rimpiazzati da nuovi grattacieli, più' alti, piu' lussuosi, più' brutti.

MANIFESTAZIONE CONTRO LA CHIUSURA DELLA LIBRERIA RIZZOLI DI NEW YORK FOTO DI ANDREA SALVADORE

Quello che ospita la Rizzoli e' del 1919. La proprietà' intende demolirlo e tirare su l'ennesimo grattacielo con piscina, palestra, sauna e tutte quegli specchietti per i nuovi ricchi del mondo a cui piace la stessa città', con le stesse vetrine, dovunque si trovino.

Ma non chiuderebbe solo la Rizzoli. Parlando di librerie se ne vanno le storiche Shakespeare & Co. da Soho e il St Mark's Book Shop, la mia preferita, nella Lower East Side. Quest'ultima sta cercando soldi sulla rete per traslocare.

Questa settimana ha poi chiuso downtown JR, l'ultimo paradiso in cui andare a vedere, toccare CD nella città' ed e' stata annunciata la fine di Pearl, su Canal Street, il più' bel negozio di colori, materiali per artisti, che ha fatto la storia ( dell'arte ) della città'. Non c'entra solo Amazon. E' che qua il mercato degli affitti e' arrivato a cifre inimmaginabili.

LIBRERIA RIZZOLI NEW YORK

Bisogna allontanarsi sempre più' dal centro per trovare pezzi di quella città' che e' stata. Manhattan e' ormai un parco giochi simile ad altri. Andiamo verso una New Dubai.

LIBRERIA RIZZOLI NEW YORK

 

BRUSH HOUR! - AVVISTAMENTI DI DELL’UTRI, SALVINI CANDIDA INDIPENDENTISTI, GRILLINI CONTRO ALFANO

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Francesco Bonazzi per Dagospia

nuzzi twitta la spiaggia di santo domingo dove dell utri ha la casa

Mentre continuano gli avvistamenti di Marcello Dell'Utri in varie parti del globo, il pg del Tribunale di Milano avvisa il Banana: se diffami i magistrati, finisci agli arresti. Ma la politica non intende farsi mettere i piedi sulla testa dalle toghe e Matteo Salvini annuncia la candidatura a Strasburgo di almeno uno degli indipendentisti veneti appena arrestati dalla Procura di Verona.

Gli alfanoidi potrebbero rispondere con la candidatura in Europa di Roberto Formigoni, che con quei miseri 18 euro sul conto troverà almeno il modo di mettere insieme ogni giorno una birra e un paio di gauffre. A riprova del fatto che ormai l'album di famiglia dei nostri rappresentanti è direttamente consultabile presso gli uffici dell'Interpol.

DELLUTRI E BERLU images

Dunque, mentre Berlusconi Silvio aspetta l'ufficialità di un blando affido ai servizi sociali, uno dei co-fondatori del Biscione e di Forza Italia prende il largo da questo barbaro e illiberale paese. L'ex senatore Marcello Dell'Utri, in attesa tra pochi giorni della sentenza definitiva al processo che lo vede accusato di associazione esterna alla mafia, semplicemente non si trova. Il suo cellulare squilla a vuoto da giorni e per la Procura di Palermo, che voleva ritirargli il passaporto ma è stata stoppata dal Tribunale, è ufficialmente latitante.

DELLUTRI E BERLUSCONI

Il padrino di Publitalia è sicuramente stato a Beirut e il suo avvocato oggi giura che non è scappato, ma ha dovuto sottoporsi a un'angioplastica all'estero. Dell'Utri ha anche una villa a Santo Domingo, dove però dice sempre che dopo pochi giorni si annoia tanto. Il caso comunque è politico, con grillini e vendoliani che chiedono le dimissioni del ministro Alfanayev "perché la fuga di Dell'Utri era ampiamente prevedibile".

E' sicuramente impopolare a dirsi - e Dell'Utri, che ha mezzo spolpato la biblioteca Girolamini, manco se lo meriterebbe - ma chiunque abbia studiato un po' di legge sa che il diritto alla fuga è sacro e che i reati associativi sono impalpabili e stanno bene giusto in un codice penale ancora fascistello come il nostro.

alfano formigoni maroni

E sono più che legittime, ma suonano davvero male in una democrazia occidentale, le parole del Pg del Tribunale di Milano che ha avvertito il capo dell'opposizione in vista della campagna elettorale: niente attacchi diffamatori ai giudici, altrimenti niente beneficio dell'affidamento in prova ai servizi sociali.

In realtà al Banana non mancano i deputati, coperti da immunità, che possono dire tutto quello che vogliono sulle odiate toghe. Però in questo momento ha altri problemi ben più urgenti, come la preparazione delle liste entro il 15 aprile. Tra epurati, arrestati e gente che lo ha scocciato a suon di minaccette, toccherebbe affidarsi all'usato sicuro modello Galan, ma anche qui arrivano i rifiuti.

PAOLO BONAIUTI

E poi c'è il noto fenomeno della fuga dei cervelli. Anche da Forza Italia. I boatos danno per fatto il passaggio di Paolino Bonaiuti, uno dei tanti che non ne può più del Cerchio magico, tra le truppe alfanoidi. Il problema è che si parla di 8-10 abbandoni e quindi la faccenda rischia di farsi seria.

CLAUDIO DESCALZI

In una giornata segnata dalla disperante immagine di una classe politica che ha sempre problemi con la giustizia, almeno Pittibimbo ha fatto una bella gitarella. Dopo la passerella al Vinitaly di Verona, oggi è toccato al Salone del Mobile di Milano. Dalla capitale immorale d'Italia ha lanciato messaggi di speranza e di guerra, alla sua maniera: "L'Italia è viva e ce la può fare" e "occorre una violenta lotta alla burocrazia, a cominciare da noi politici". Poi, tra un pensile d'autore e un divano dalle forme improbabili, procederà con comodo alle nomine pubbliche in quel poco che è rimasto delle grandi industrie italiane.

Va detto che per ora Palazzo Chigi sembra ancora in alto mare e si sa solo che cambierà il più possibile, ma forse senza vere rivoluzioni. In Eni ed Enel salirebbero di grado gli interni Claudio Descalzi e Francesco Starace, tanto per capirsi. Poi, una spruzzata di presidenze "en rose", come da Dolce Stil novo renziano.

 

NUOVO BRUSCO STOP PER PIAZZA AFFARI (-1,07%) CON SPREAD DI NUOVO SU A 170 PUNTI…

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Carlotta Scozzari per Dagospia

FINMECCANICA ECO G kbqD U mmF x Corriere Web Sezioni x

Seconda seduta di fila di forti cali per Piazza Affari e per le altre Borse europee, che risentono delle vendite che fioccano a Wall Street. "Il comparto azionario statunitense - notano gli esperti di Ig - è tornato sotto pressione a distanza di una settimana dai massimi storici. I volumi in vendita sono impressionanti, mentre sui rimbalzi rimangono sempre al di sotto della media di periodo. Le mani forti - è l'amara conclusione di Ig - non credono più nella prosecuzione del rally che dura ormai da cinque anni e i volumi ne sono una testimonianza".

Così a Milano, l'indice Ftse Mib ha ceduto un secco 1,07% a 21.198,79 punti. Nel frattempo, a segnalare che sui mercati finanziari stanno riaffiorando le tensioni è lo spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi, risalito a 170 punti (per tutta la settimana aveva viaggiato ampiamente al di sotto della soglia).

MEDIASET ESPANA

All'interno di un Ftse Mib quasi completamente in rosso, il Monte dei Paschi di Siena guidato da Fabrizio Viola e presieduto da Alessandro Profumo si è distinto per il forte rialzo del 6,08 per cento. In generale, però, le banche di Piazza Affari sono state colpite dagli ordini di vendita: il Banco Popolare ha ceduto l'1,02%, Bpm il 2,73% e Intesa Sanpaolo il 2,60%. Rosso intenso soprattutto per la Popolare dell'Emilia Romagna, che ha lasciato sul terreno il 2,97% mentre sono tornate le voci di un possibile imminente aumento di capitale.

Deciso segno meno anche per Mediaset (-2,65%), dopo che si è saputo che il Credit Suisse ha collocato il 3,69% della controllata Mediaset Espana in mano a Prisa. Eni poco mossa (-0,54%), mentre Enel (-1,73%) si è mostrata più nervosa, così come Finmeccanica (-1,79%), mentre manca ormai pochissimo all'annuncio dei nuovi vertici delle controllate pubbliche da parte del governo guidato dal premier Matteo Renzi.
Fuori dal Ftse Mib, denaro su Rcs (+5,19%) e sui titoli risparmio (+6,48%) compresi quelli di tipo B (+10,65%).

ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA

 

 

MARCELLO DELL’UTRI PIANIFICAVA LA SUA “LATITANZA PREVENTIVA” DA MOLTO TEMPO

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1 - DELL'UTRI, LA «LATITANZA PREVENTIVA» SVELATA DA UNA CIMICE
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

MARCELLO DELL UTRI INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO

Il piano di fuga lo stavano studiando da tempo, avendo cura di non seminare troppi indizi. «Se io fossi Marcello prenderei un volo diretto per Tel Aviv», consigliava l'imprenditore catanese Vincenzo Mancuso al fratello di Marcello Dell'Utri, Alberto. Poi bisognava proseguire per il Libano: «Se è possibile andarci in macchina è meglio, anche se si fa due ore e mezzo... Aereo no... non bisogna lasciare traccia... Io non conosco le distanze, però non ci deve arrivare con l'aereo».

Consigli dall'ex estremista nero
Altri consigli e indicazioni, per l'ex braccio destro di Berlusconi che pianificava la latitanza preventiva nella Terra dei Cedri, erano arrivate da Gennaro Mokbel, l'estremista nero degli anni Settanta divenuto uomo d'affari e condannato lo scorso anno a quindici anni di galera per la truffa Finmeccanica-Sparkle-Fastweb. «Devi avere gente sul posto che ti dà una mano, che t'aiuta... Questi sono bene sistemati...», dice Alberto Dell'Utri a Mancuso, spiegando che il fratello aveva scelto il Libano, probabilmente Beirut, «perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene, lui c'è già stato, la conosce, c'è un grande fermento culturale». Come dire che se la latitanza da preventiva doveva diventare stabile, una volta arrivata la sentenza definitiva, il bibliofilo condannato per mafia avrebbe potuto continuare a coltivare le sue passioni.

MARCELLO DELL'UTRI

Intercettazione
L'intercettazione avvenne a un tavolo del ristorante Assunta Madre in via Giulia a Roma, a pochi passi dalla sede della Procura nazionale antimafia, e risale alla sera dell'8 novembre 2013. Una microspia della Squadra mobile della capitale registrava i discorsi fatti all'interno del locale - molto ben frequentato tra professionisti, uomini di spettacolo e politici - nell'ambito di un'indagine su un presunto riciclaggio internazionale.

RISTORANTE 'ASSUNTA MADRE' IN VIA GIULIA

Il 20 febbraio, quando la Procura di Roma lo trasmette a Palermo, quel frammento di conversazione diventa lo spunto per bloccare il progetto di fuga dell'ex senatore in attesa di pena definitiva (la Cassazione è convocata martedì per pronunciare quello che potrebbe essere l'ultimo verdetto). La Procura generale deve decidere come muoversi: chiedere l'arresto o una misura più blanda, il ritiro del passaporto?

La «cimice»
La «cimice» della polizia aveva anche intercettato le confidenze di Alberto Dell'Utri sui documenti del fratello: «Lui è andato lì (intendendo Bruxelles, ndr) insieme a questi della Guinea Bissau che lo hanno preso in seria considerazione, e gli hanno dato il passaporto diplomatico... gli hanno aperto le porte».

MOKBEL

E la questura di Milano, in un'informativa del 29 gennaio, aveva segnalato che l'ex senatore poteva disporre del suo regolare passaporto italiano e di carta d'identità valida per l'espatrio, ha casa a Santo Domingo, oltre a molti soldi; e già nel marzo 2012, alla vigilia del precedente giudizio in Cassazione, era andato all'estero.

Che fare? Quando manca più di un mese al verdetto finale, all'ufficio guidato da Roberto Scarpinato il carcere - già negato all'indomani dell'appello-bis, a marzo 2013 - sembra una misura eccessiva, perché la Cassazione potrebbe anche non confermare la condanna e ordinare un terzo processo. Si decide per il divieto d'espatrio, richiesto il 4 marzo. Sei giorni più tardi, il 10, la Corte d'appello risponde «no»: secondo i giudici, per i reati di mafia la legge prevede o l'arresto o niente. È una questione di diritto, legata all'interpretazione delle norme e di una sentenza della Corte costituzionale in materia.
«Sussiste il concreto pericolo di fuga»

alberto dell utri e la moglie mariapia la malfa

Ritiro dei passaporti
La Procura generale insiste col tribunale del riesame per il ritiro dei passaporti a Dell'Utri. Ma venerdì scorso, 4 aprile, arriva un altro diniego. Stavolta per un motivo diverso: un'intercettazione acquisita da un altro procedimento può essere utilizzata solo se «indispensabile all'accertamento di delitti», o se riguarda «fatti relativi alla punibilità, alla determinazione della pena, alla qualificazione del reato, o riscontro di dichiarazioni accusatorie».

Nulla di tutto ciò, secondo il Riesame, ha a che fare coi progetti di fuga di Dell'Utri. Quindi l'ex senatore resta libero e in grado di muoversi come crede, in Italia o all'estero. Gli elementi raccolti dalla Direzione investigativa antimafia, delegata a monitorarne le mosse, certificherebbero la «irreperibilità» dell'ex senatore sul territorio nazionale «sin dalla seconda metà dello scorso mese di marzo».

Il 3 aprile, alla vigilia del nuovo «no» al ritiro del passaporto, la Dia localizza un telefono cellulare in uso a Dell'Utri in Libano, «nelle vicinanze di Beirut». A quel punto la Procura generale chiede l'arresto, e stavolta la Corte d'appello lo concede: «Con tutta evidenza l'imputato intende sottrarsi all'esecuzione della sentenza, ove la stessa diventi irrevocabile».

Marcello Dell Utri

Di conseguenza «sussiste il concreto pericolo di fuga, in relazione all'entità della pena inflitta e in considerazione dei rapporti intrattenuti, in un lungo arco temporale (1974-1992) dal Dell'Utri con Cosa nostra che, com'è noto, tra le infinite attività illecite, annovera pure quella di dare assistenza ai latitanti». Il provvedimento dei giudici è di martedì 8 aprile. Ma prima ancora che arrivasse l'ordinanza di custodia cautelare, nel pieno della diatriba giuridica tra i magistrati, l'ex senatore aveva avviato la sua «latitanza cautelare».

Marcello Dell'Utri

2. "MIO FRATELLO NON È UN LATITANTE. È UN EVASO, LA SUA VITA È UN CARCERE"
Grazia Longo per "la Stampa"


«Un gemello è più di un fratello». Alberto Dell'Utri, 73 anni, non solo è la fotocopia identica di Marcello, ma anche il suo principale difensore. Anche a scapito dell'evidenza.
«Latitante? No, mio fratello non è un latitante. È un evaso. Perché negli ultimi 20 anni è stato come in carcere, dietro le sbarre di accuse assurde come quelle di connivenza mafiosa. Accuse lontane anni luce dalla sua mentalità».

Eppure la condanna di concorso esterno in associazione mafiosa è assai circostanziata.
«Se fosse stato solo condannato sarebbe stato persino contento, invece è un perseguitato».

E tutte le prove contro di lui?
«Non ci sono prove. Ci sono solo racconti di pentiti che hanno sentito altri pentiti di contatti tra mio fratello e ambienti mafiosi. Non esiste alcuna prova provata di contatti reali tra mio fratello e la mafia».

Perché è scappato all'estero? Teme la condanna definitiva?
«Non è scappato, è andato in Libano per affari, per il commercio dei cedri. Poi ha avuto problemi di salute e quindi è stato costretto a rimanere fuori per curarsi».

Attualmente è ancora in Libano?
«Non lo so. Era a Beirut fino a martedì 8 aprile, ultimo giorno in cui l'ho sentito. Vede? (mostra il display del telefonino in cui risulta la chiamata dell'8 aprile, ndr). Non le racconto bugie, quel giorno mi ha detto che era a Beirut, poi non l'ho più sentito».

Neppure oggi? (ieri per chi legge, ndr)
«No, perché non risponde al telefonino. Ascolti adesso provo davanti a lei (digita il numero, ma il telefono squilla a vuoto)».

Forse non le vuole parlare per via di quella intercettazione in cui lei confidava al suo amico Vincenzo Mancuso che suo fratello sarebbe andato in Guinea Bissau o in Libano perché lì avrebbe potuto avere facilmente un passaporto diplomatico?
«Non credo, anche perché io parlavo di quei Paesi lì come luoghi in cui è meglio trasferirsi, a differenza del nostro Paese ormai invivibile».

Crede che suo fratello rientrerà prima di martedì prossimo?
«Non saprei. A me, martedì scorso, ha detto di sì, che sarebbe tornato. Ma tanto non cambia niente, perché qualsiasi sia l'esito della sentenza gli hanno comunque rovinato la vita».

Suo fratello rischia di trovarsi nella stessa condizione dell'ex premier Silvio Berlusconi, con una condanna esecutiva. Come sono i rapporti tra loro?
«Non è mai cambiato niente, c'è ancora tanto affetto. Condividono lo stesso destino giudiziario perché sono stati entrambi castigati perché venti anni fa si sono permessi di toccare i fili del potere. Si sono permessi di prendere il posto di chi governava allora, di fare quello che non era riuscito a nessuno prima di loro due. E non gli è stato perdonato. E poi mio fratello ha fatto tante cose interessanti con Berlusconi, lo ha aiutato a crescere anche dal punto di vista finanziario, ha creato delle aziende».

Secondo i giudici lo avrebbe aiutato molto anche per i voti, come mediatore del patto con la mafia.
«Non è vero, ma pensi un po': tutti i milioni di italiani che hanno portato su Forza Italia sono mica mafiosi? Non è nella mentalità di mio fratello fare affari illegali. Chi lo conosce lo sa, al massimo è stato imprudente».

Imprudente?
«Sì, a portare ad Arcore Vittorio Mangano che poi risultò legato alla mafia. Ecco, mio fratello potrebbe solo essere condannato per imprudenza».

Le indagini per la verità rivelano altro.
«Perché mio fratello e Berlusconi davano fastidio. Pensi che quando ancora lavorava in Publitalia mio fratello portava i migliori clienti a Siracusa per visitare il meraviglioso teatro greco e per questo doveva atterrare a Catania. Beh, secondo i giudici andava a Catania per incontrare Nitto Santapaola e altri mafiosi. Ma Marcello non sa neppure chi siano».

A suo fratello manca la politica?
«No, la politica non è la sua passione, mentre gli piace crescere i giovani, formare la coscienza delle persone. Gli piace organizzare. E avrebbe meritato un ruolo istituzionale».

Marcello Dell'UtriMarcello Dell'Utrifel08 marcello dell utriMarcello Dell'Utri

 

DIETRO L’ADDIO DI BONAIUTI A “FARSA ITALIA”,C’È ANCORA UNA VOLTA LO ZAMPONE DEL DUO ROSSI-PASCALE

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Ugo Magri per "la Stampa"

PAOLO BONAIUTI

La buona notizia per Berlusconi è dunque che non passerà il prossimo anno tra quattro mura. Quella cattiva, che non ha più alibi: se perderà le Europee, come gli ultimi sondaggi sul suo tavolo lasciano presagire, non ne potrà scaricare la colpa sulle toghe cattive. Ieri si è svegliato con il sollievo di poter fare campagna elettorale, come nei vent'anni trascorsi, ma pure con l'angoscia di non avere un solo asso da spendersi nei comizi tivù: per quale ragione il popolo di centrodestra dovrebbe sostenere lui e non buttarsi piuttosto su Renzi, ovvero su Grillo?

FRANCESCA PASCALE E MARIA ROSARIA ROSSI

Non è ben chiaro se Berlusconi stia col governo o contro il governo: un giorno il premier è l'antagonista, il giorno dopo è l'erede sempre desiderato. Per non finire ai domiciliari, dovrà astenersi dagli insulti ai giudici; ma se non attacca loro, resta a corto di bersagli. Perfino la Lega, sempre secondo i sondaggi che girano ad Arcore, in questo momento esercita più appeal del Cavaliere, il quale vorrebbe mostrarsi euroscettico, ma poi in Europa va a braccetto, nel Ppe, con la Merkel...

Né Berlusconi troverà facilmente la via, perché da un anno in qua ha sistematicamente emarginato quanti aggiungevano un po' di fosforo alle scelte strategiche. Sull'onda delle pulsioni emotive sono stati messi alla porta tutti quanti (a cominciare dagli alfaniani che oggi celebrano il loro congresso) osavano introdurre elementi di dubbio. L'ultimo caso, per certi versi il più clamoroso, riguarda Paolo Bonaiuti: emarginato ormai da mesi in quanto predicatore di moderazione, il portavoce del Cavaliere è sul punto di lasciare Forza Italia.

MARINELLA BRAMBILLA

Nei suoi confronti, il cosiddetto «cerchio magico» ha esercitato, politicamente parlando, un sistematico mobbing. Dapprima gli è stata tolta la responsabilità del «Mattinale» (il notiziario interno), poi la comunicazione è stata conferita a Deborah Bergamini, infine a Bonaiuti è stato riservato uno strapuntino senza diritto di voto nel nuovo ufficio di presidenza.

Giorni fa alcuni scatoloni con libri e altri effetti personali sono stati recapitati da Palazzo Grazioli a casa di Paolino (come lo chiamano gli amici), segno di una certa brutalità che ha preso piede da quelle parti. Per sbarazzarsi della storica segretaria Marinella, del resto, al Cavaliere era bastato dirle: «Cara mia, è la vita, c'est la vie...».
Solo che Bonaiuti non può essere equiparato a Marinella.

BERLUSCONI AI SERVIZI SOCIALI

Per il Cavaliere ha rappresentato ciò che Tatò era per Berlinguer, oppure Intini per Craxi, vale a dire un portapensieri, un ufficiale di collegamento e talvolta perfino di «intelligence» nel campo avverso. Lui e Gianni Letta sono state le «vecchie zie» capaci di evitargli un mucchio di guai, fintanto che Silvio è stato disposto a recepirne i consigli e i rimbrotti.

Ma Berlusconi non è più di quel «mood», intorno a sé vuole solo chi crede, obbedisce e combatte. Quando la notizia si è sparsa, complice una indiscrezione raccolta da l'«Espresso», il Cav ha chiamato Paolino per la solita mozione degli affetti. Ma, a quanto pare, fuori tempo massimo. Nel Nuovo centrodestra attendono Bonaiuti a braccia aperte.

 

 

LA “BICAMERALE GIALLOROTTA”, DA D’ALEMA A GASPARRI, SROTOLA UNA ROSICATA DELUXE CONTRO TOSEL

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G. Sal. Per "la Stampa"

GIAMPAOLO TOSEL jpeg

Per vent'anni abbiamo perso tempo: la vera emergenza giustizia risponde al nome di Gianpiero Tosel, pm per 35 anni e ora giudice sportivo. Finito nel mirino del partito unico dei romanisti, da Pier Carlo Padoan a Paolo Cento, da Massimo D'Alema a Maurizio Gasparri, per aver squalificato il centravanti Destro che aveva sferrato una manata al cagliaritano Astori. Il giudice ha acquisito la segnalazione della Procura, interpellato per due volte l'arbitro, accertato scrupolosamente i presupposti di utilizzabilità della prova tv, infine ha sentenziato. La Roma farà ricorso, deciderà un collegio d'appello.

DESTRO ASTORI

A parere dei giuristi un'applicazione rigorosa e un'interpretazione coerente della norma. Ma i politici, come qualsiasi arruffapopolo, si avventano sul malcapitato giudice. E si mette all'opera la Bicamerale dell'Olimpico, immortalata da Umberto Pizzi in indimenticabili gallery cafonal su Dagospia a imperitura memoria di riunioni consumate nella tribuna vip, «il salotto più importante d'Italia dopo la morte della mitica Maria Angiolillo». Si distingue il Pd, definendo Tosel «inadeguato» e la sua sentenza la prova di «una nuova calciopoli».

DESTRO ASTORI

D'Alema, ammiccando in tv come uno che la sa lunga, insinua che uno juventino se la sarebbe cavata con uno sconto (impossibile: Destro è stato condannato al minimo della pena!). Il no global Cento, di cui da tempo si erano perse le tracce ma fu sottosegretario di Padoa-Schioppa all'Economia, denuncia l'applicazione di «una moviola all'amatriciana».
Per una volta le parti s'invertono.

gasparri cicchitto foto mezzelani gmt

Mentre la sinistra sbraita contro il giudice (con inconcludenti argomenti alla Ghedini-Capezzone-Santanchè), la destra ragiona e ipotizza soluzioni raffinate. Prendi Maurizio Gasparri: niente invettive. Poco dopo aver speso due parole su Berlusconi ai servizi sociali, si profonde con l'Adnkronos in un'articolata e prudente disamina del caso Destro. Rileva «un'inaccettabile applicazione anomala della prova tv», confida in un ribaltone giurisprudenziale in appello e invoca una riforma della giustizia. Sportiva, s'intende. Perché Silvio è perso, il campionato ancora no.

 

massimo dalema foto mezzelani gmt

 

ETIHAD PRONTA A INVESTIRE 500 MILIONI SU ALITALIA - IL PIANO PREVEDE IL RILANCIO DI LINATE

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Giuliana Ferraino per il "Corriere della Sera"

alitalia

Manca ancora la lettera di intenti, che è attesa nei prossimi giorni, ma l'accordo di massima tra Etihad e Alitalia c'è. Gli arabi sono pronti a investire 500 milioni di euro, in parte attraverso un aumento di capitale, per acquisire almeno il 40% del vettore italiano (la quota in ogni caso non potrà superare il 49% per non perdere i diritti di compagnia europea), dopo le rassicurazioni che il governo condivide il piano della compagnia di Abu Dhabi.

AEROPORTO MILANO MALPENSA

Il piano prevede un forte rilancio internazionale dell'aeroporto di Linate; un potenziamento di Malpensa, soprattutto nel settore cargo, attività a cui Etihad, come le altre compagnie del Golfo, è molto interessata; e un ulteriore rafforzamento di Fiumicino, che diventerà l'hub passeggeri di riferimento. Con buona pace dei politici lombardi e della Sea, la società di gestione degli scali milanesi.

Il via libera del governo è arrivato durante il faccia a faccia di giovedì tra il premier Matteo Renzi e il ceo di Etihad, James Hogan, che ieri mattina ha incontrato anche il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, prima di ripartire per Londra, dove vive la famiglia. L'esecutivo avrebbe promesso un decreto ad hoc che amplia le destinazioni in partenza da Linate, superando quindi il limite di 18 movimenti all'ora riservati esclusivamente ai collegamenti comunitari, previsti dal decreto Bersani per «proteggere» Malpensa.

AEROPORTO DI LINATE

Tra le nuove mete si parla, ad esempio, di Berlino, dove c'è il quartier generale di Air Berlin, seconda compagnia tedesca, di cui Etihad possiede il 29% ma vorrebbe salire al 49%, e di Monaco di Baviera, ma anche di Istanbul, in Turchia.
Il potenziamento di Malpensa, nel piano di Etihad, invece, è in chiave soprattutto cargo.

A vantaggio dei passeggeri lombardi verrà però inaugurato il collegamento con Shanghai, vista la grande richiesta della clientela business, oggi costretta a volare via Parigi o Francoforte per raggiungere la città cinese, oltre a una navetta con Abu Dhabi, che in futuro potrebbe partire anche da Linate. La spartizione è chiara: su Roma si concentrerebbero i collegamenti verso il Nord e il Sud America, che verrebbe rafforzata anche dai passeggeri in transito da Abu Dhabi, mentre all'hub emiratino verrebbero riservate le rotte verso Oriente e il resto del mondo.

AEROPORTO ROMA FIUMICINO

Sul nodo esuberi, circa 3 mila, attualmente in cassa integrazione a rotazione o in contratto di solidarietà, l'ipotesi del piano sarebbe di estendere la Cig a rotazione soltanto al personale viaggiante (assistenti di volo e piloti), e adottare la Cig a zero ore per il personale di terra.

Quanto al tema dell'indebitamento, Etihad avrebbe chiesto una ristrutturazione del debito con le banche per almeno 400 milioni, su un totale di circa un miliardo. La strada è il consolidamento o la conversione in capitale, ma su questo punto la discussione è ancora aperta. Le banche (azioniste e creditrici) hanno lanciato segnali concilianti, ma il confronto partirà soltanto dopo che sarà ufficializzata la lettera di intenti con l'offerta e il piano di Etihad.

Oramai sarebbe questione di ore, tanto che il consiglio di amministrazione che Alitalia aveva convocato per lunedì pomeriggio a Milano, per informare i soci dei progressi nella trattativa con la compagnia araba, ieri sera è stato rinviato, per aspettare l'offerta.

 

 


LA LATITANZA APPENA COMINCIATA È GIÀ FINITA: DELL’UTRI ARRESTATO IN LIBANO

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1 - «DELL'UTRI ARRESTATO IN LIBANO»ALFANO: «CHIEDEREMO ESTRADIZIONE»
Da "Corriere.it"

MARCELLO DELL'UTRI

«Marcello dell'Utri si trova in questo momento negli uffici della polizia libanese». L'arresto dell'ex senatore di Forza Italia è stato annunciato dal ministro dell'Interno Angelino Alfano a margine dell'assemblea di Ncd. Alfano ha anche annunciato che verrà chiesta l'estradizione per l'ex senatore. «È naturale e conseguente» ha detto il ministro all'Ansa. «Dell'Utri è stato rintracciato a Beirut dalla polizia libanese che ora è in contatto con la polizia italiana in ottemperanza con il mandato di cattura internazionale - ha detto ancora Alfano È ora in corso una procedura che diventerà estradizionale».

«MI sto curando, non fuggo»
La notizia arriva il giorno il mandato d'arresto emanato dalla corte d'appello di Palermo. L'ex senatore, condannato in appello per concorso in associazione mafiosa, era da venerdì ufficialmente latitante a pochi giorni dal giudizio della sentenza definitiva in Cassazione. Aveva fatto sapere - attraverso un comunicato - di non essere «in fuga» ma di essere andato all'estero per curarsi.

Marcello Dell'Utri

2 - E MARCELLO DISSE: "SILVIO? ALTRA STORIA"
Beatrice Borromeo per il "Fatto quotidiano"

Sono depresso. È una cosa davvero terribile, non mi è mai capitato di sentirmi così. Alla mia età, sto pensando per la prima volta di andare in analisi": è con questo sms che Marcello Dell'Utri, lo scorso 4 marzo, ha declinato un'intervista in programma da qualche tempo. "Davvero non me la sento di parlare, non riuscirei a dire niente, per ora".

APPENA UNA SETTIMANA prima, all'hotel Eden di Roma, davanti a un bicchiere di vino rosso ("Uno solo, perché mi hanno appena operato al cuore"), l'ex senatore di Forza Italia pareva scoraggiato come mai prima. Seduto in una saletta vuota, aperta solo per lui che lì è di casa, pareva disinteressato sia agli sviluppi politici (al premier ho mandato un messaggino con su scritto: "Caro Renzi, non ti esaltare, è ancora tutto da dimostrare"), sia alle sorti processuali di Silvio Berlusconi ("Lo vedo benissimo, in fondo lui ha davanti solo un anno e nemmeno in carcere. Non mi preoccupa, è in forma").

Marcello Dell'Utri

E non trovava nessun conforto nemmeno dal suo destino che s'incrocia con quello dell'ex Cavaliere, 20 anni esatti dopo la nascita del loro partito: "Eh già, è curioso. Ma io e Berlusconi non siamo proprio nella stessa situazione". Non lo sono: martedì prossimo la Corte di Cassazione potrebbe confermare la condanna a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e Dell'Utri, da ieri - quando è scattato l'ordine di arresto - è irraggiungibile.

L'unico messaggio l'ha mandato all'Ansa dicendo che non ha intenzione di sottrarsi alla giustizia, ma senza specificare dove si trova: "Tengo a precisare che non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione, e che trovandomi in condizioni di salute precaria - ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica - sto effettuando ulteriori esami e controlli". "Non so dove sia, leggo dai giornali che potrebbe essere in Libano o in Guinea Bissau - spiega al telefono il suo avvocato, Pino di Peri - quel che è certo è che Dell'Utri si trova in una situazione difficilissima. Per uno come lui scappare, se è vero che l'ha fatto, dev'essere stata una scelta drammatica, frutto di un violento conflitto interiore. Anche perché mantenere lo stato di latitanza è davvero complesso".

Marcello Dell'Utri

Non è la prima volta, però, che si ipotizza la fuga del braccio destro di Berlusconi. La sua villa da favola a Santo Domingo, nonostante i tentativi di convincere la stampa del contrario ("Io qui ci sto bene due settimane, dopo mi rompo i coglioni, non c'è niente da fare"), pareva il rifugio perfetto. Ma poi l'allora pm Antonio Ingroia trovò un accordo con le autorità locali e Dell'Utri spiegò al Fatto che quell'opzione non era più praticabile: "Mi hanno già sequestrato la casa e bloccato i conti in banca. Verrei sicuramente estradato", disse.

E se il viaggio nella Repubblica Dominicana proprio alla vigilia dell'ultima sentenza di Cassazione - quella del marzo 2012 che poi rinviò il processo alla Corte d'appello - era soltanto, sostenne lui, "forse la mia ultima vacanza" - oggi tra i suoi amici c'è chi giura (ma senza prove) che Dell'Utri è tornato lì. Proprio nel 2012, poi, alcune fonti avevano informato il Fatto che l'ex senatore aveva confessato ai fedelissimi che, in caso di sentenza di condanna, aveva intenzione di fuggire.

Ma a noi raccontò un'altra storia, simile a quella affidata ieri all'Ansa: "È assolutamente falso. Sono a Roma e il 9 marzo volerò a Palermo per essere presente all'udienza. Non scapperei mai. Spero di non finire in carcere, ma se così fosse reggerei il colpo. Sono abituato a cose forti, non ho paura". D'altronde Dell'Utri è imprevedibile: il giorno prima di raccontare al nostro giornale che la sua carriera politica era finita perché lo scudo parlamentare non gli serviva più, dava ancora interviste ad altri quotidiani ribadendo: "Da senatore non mi dimetterò mai".

Marcello Dell'Utri

E ora che il suo telefono squilla a vuoto, proprio come quello del figlio Marco e della moglie Miranda (che da tempo vive a New York), ci si prepara all'ennesimo colpo di scena. Spiega l'avvocato Di Peri che il motivo per cui la Corte d'appello rifiutò la richiesta di custodia cautelare in carcere domandata dal procuratore generale, che temeva la sua fuga, era questa: "Il mio cliente si è presentato a ogni singola udienza, ha sempre dichiarato che sarebbe rimasto in Italia e che avrebbe rispettato la sentenza. Non ha mai fornito elementi per convincere i giudici del contrario. Fino a ora".

Potrebbe essere la verità oppure una strategia raffinata che l'ha reso libero di volare all'estero a pochissimi giorni dalla pronuncia di Cassazione, e che, se davvero Dell'Utri vivrà da latitante, deve aver richiesto tempo e pianificazione. A proposito, all'hotel Eden, mentre beveva il suo vino, lo sguardo di Dell'Utri cadeva in continuazione su un volume appoggiato sul tavolo: "Devo presentarlo tra qualche giorno in teatro. Quante volte l'ho letto... E ogni volta lo trovo sempre più interessante". Era Il Principe di Machiavelli.

fel08 marcello dell utri

 

LA MERKEL HA GIOCO FACILE NEL TORNARE AD ATENE PER SPINGERE LA SUPPOSTA DELL’AUSTERITÀ ANCORA PIÙ A FONDO

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Paolo Lepri per il "Corriere della Sera"

SAMARAS E MERKEL AD ATENE

La quarantena è finita, il paziente greco può ricominciare a camminare sulle proprie gambe. Nei panni del medico - che in passato, durante le manifestazioni di protesta, è stato dipinto in realtà come un aguzzino, prendendo in prestito addirittura l'iconografia del passato nazista della Germania - c'è ancora una volta Angela Merkel.

La cancelliera tedesca ha firmato ad Atene un certificato di buona convalescenza, anticipato nei giorni scorsi dal ritorno del malato d'Europa sui mercati finanziari. Una svolta, dopo quattro anni di sofferenze. E di aiuti a cui la Germania ha partecipato non senza qualche malumore di un'opinione pubblica che la donna più potente del mondo è però riuscita sempre a convincere. Ora i giorni più terribili sembrano lontani.

ATENE BOMBA

«E' tornata la fiducia, continueremo a sostenere la Grecia e il suo popolo sulla sua buona strada», sono state le parole più importanti dette dopo l'incontro con il primo ministro Antonis Samaras, capo di una precaria coalizione con i socialisti che sta riuscendo ad imporre le medicine prescritte dalla troika formata da commissione europea, Bce e Fondo monetario.

«Avete mantenuto le promesse e onorato i vostri impegni», ha poi significativamente osservato la cancelliera, riferendosi alle misure di austerità giudicate a suo tempo indispensabili per evitare una traumatica uscita dall'eurozona. Non è mancato comunque anche un garbato richiamo alla necessità che le riforme continuino senza incertezze. I costi obbligati di quelle politiche, intanto, sono sotto gli occhi di tutti. I dati parlano chiaro.

GRECIA

La disoccupazione ha toccato in gennaio il 26,7 per cento, solo un punto in meno dal record negativo, e circa un quarto della popolazione è minacciata dalla povertà.
In una Atene blindata - controllata da 7.000 agenti di polizia, dove tutte le manifestazioni sono state vietate durante le sei ore e mezza di visita - Angela Merkel ha fatto precedere i colloqui con Samaras da un incontro con un gruppo di giovani imprenditori. E' stata l'occasione per lanciare un ulteriore messaggio di ottimismo, nella convinzione che «dopo le riforme ci saranno più opportunità che difficoltà».

«Io credo fermamente - ha affermato - che dopo una fase molto, molto dura si aprano innumerevoli possibilità sulle quali si può costruire, dopo un cammino difficile». Il clima dell'appuntamento è stato molto cordiale, tanto è vero che la cancelliera si è permessa di alludere alla demonizzazione cui è stata sottoposta in questi anni nella Grecia costretta alle cure più radicali. «Quando tornate a casa, non dite agli amici che mi avete incontrato», ha sorriso.

SCONTRI AD ATENE

 

LA PASCALE “SUSSURRA” LA CANDIDATURA ALLE EUROPEE DELLA SUA AMICA GIUSY PASCARELLA

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Giacomo Galeazzi per "la Stampa"

FRANCESCA PASCALE E MARIA ROSARIA ROSSI

«A fare il mio nome per una candidatura alle Europee è stato il coordinamento provinciale di Caserta, ora decideranno a Roma se mettermi in lista». Lungo l'asse Caserta-Roma è sbocciata la «grande opportunità» di Giusy Pascarella, consigliere comunale a Maddaloni. Si schermisce la «poco più che quarantenne» appena si sente definire sui giornali una «miracolata» della sua amica Francesca Pascale a cui la lega «un lungo rapporto di militanza e stima». Però tiene a precisare: nessuna raccomandazione, corsia preferenziale o investitura dall'alto.

«Milito in Forza Italia dal '98, molto tempo prima della mia amicizia con la compagna di Silvio Berlusconi, ho fatto tanta gavetta, ho ricoperto molti incarichi sul territorio e anche stavolta,come sempre, obbedirò al partito cui ho dedicato 16 anni della mia vita».

BERLUSCONI PASCALE DUDU IN AEREO

Inoltre «conosco la sofferenza sulla mia pelle, in Forza Italia mi sono sempre occupata del coordinamento degli enti non profit e del terzo settore proprio perché ho fatto volontariato in prima persona dopo una gravissima malattia che mi aveva colpito: se mi sono salvata è solo grazie alla mia profonda fede e soprattutto alla mia assoluta devozione per un santo come Karol Wojtyla».

Le cronache nazionali si sono accorte di lei quando lo scorso novembre è stata fotografata in un ristorante del ghetto di Roma con la Pascale a cui seguì la cena nella quale «il presidente incontrò il capo della comunità ebraica Riccardo Pacifici», ricorda. Ma lei non ci si vede nei panni della «paracadutata in lista». Anche perché «alle ultime politiche, per spirito di servizio, ho accettato una candidatura di bandiera come 21° nome sulla scheda pur sapendo di non aver alcuna possibilità di arrivare in Parlamento».

DOMENICO DE SIANO

Per anni Giusy Pascarella ha trascorso metà settimana a Roma al dipartimento-no profit di Forza Italia, poi nelle segreterie politiche, nei coordinamenti e accanto ai commissari del partito in Campania. «Dopo che mi hanno fotografato con Francesca al ristorante c'era da aspettarselo che i giornali parlassero di una mia candidatura: le Europee sono le prime elezioni utili, altrimenti mi avrebbero messo in lista anche per le votazioni del mio condominio», scherza. In realtà la sua «amicizia illustre», giura, non c'entra nulla con questa euro-chance. Inoltre «mi sembra giusto che nella circoscrizione Sud abbia la prevalenza un personaggio del livello di Mara Carfagna, quindi accetto qualunque decisione sarà presa a Napoli dal coordinamento regionale e a Roma dal partito».

Io, assicura, «vengo dalla base, ho fatto per intero la trafila, sono stata segnalata dal partito a Caserta» e «il mandato in Europa non è un compito facile: il Sud ha ottime risorse me è oppresso da pesanti difficoltà».

E «per uscirne le nostre regioni devono sfruttare tutto il loro potenziale». Fede da devota di Wojtyla e disciplina da ex allievo ufficiale di coperta della Marina mercantile: ora sarà in corsa per un posto a Strasburgo. «Non c'è ancora nulla di ufficiale», alza le mani pur sapendo che alla fine sarà della partita.

ANGELINO ALFANO BERLUSCONI PASCALE DUDU

«Mi impegnerò in prima linea per denunciare il dramma trentennale della Terra dei fuochi». La passione per la politica non è stata senza contraccolpi negativi. «Per anni ho passato nottate a compilare liste locali fino a sacrificare la sfera privata». E, si rammarica, «purtroppo ne ha molto risentito la famiglia». A sua figlia, che studia alla scuola francese, ha regalato il barboncino Minnie, un cagnolino della stessa razza di Dudù. «Minnie è già grande, ha già cinque anni mentre Dudù è un cucciolo quindi non abbiamo potuto farli accoppiare».

 

CHI LO SEAT COME VA A FINIRE - LA PROCURA DI TORINO APRE UN’INCHIESTA SUL CAPITALE BRUCIATO DELLA SOCIETÀ

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1 - SEAT PAGINE GIALLE, IPOTESI INSIDER TRADING
Massimo Numa per "la Stampa"

Seat Pagine Gialle

La situazione è drammatica. O tragica. Oltre 300 mila azionisti di Seat Pagine Gialle hanno visto polverizzare i loro investimenti nell'arco di 10 anni. Seguono altri colpi mortali, vedi la trasformazione da obbligazionisti della società Lighthouse in azionisti Seat nel 2011-2012. Oggi, pur essendo azionisti, il capitale è stato distrutto. Adesso aspettano una risposta (anche) dalla procura di Torino. Il pm Valerio Longi ha aperto un fascicolo in seguito a un esposto presentato dall'avvocato di Roma Ugo Scuro.

borsa

A dare il colpo di grazia è la clamorosa scoperta fatta dal nuovo management Seat a dicembre 2012: il valore di una posta in bilancio, i così detti beni «intangibili» da 2 miliardi di euro valevano semplicemente zero euro. Eppure il bilancio era stato oggetto di infinite verifiche dei più importanti consulenti sulla piazza finanziaria nazionale e internazionale,amministratori e sindaci. Gente che ha incassato parcelle da decine milioni di euro e che, a quanto pare, ha sbagliato tutto. Scatta la richiesta di concordato. Il 4 marzo 2014 l'Assemblea Seat decide che gli obbligazionisti diventeranno azionisti di maggioranza.

Per chi ha perso tutto non basteranno secoli di rialzi a ripianare le perdite. Un concordato preventivo che taglia fuori da ogni ipotesi di risarcimento i risparmiatori. A meno che non risulti che, nelle more delle operazioni, «qualcuno» non fosse a conoscenza che quella posta in bilancio, pilastro della ristrutturazione avvenuta nel 2012 valesse zero e non abbia mandato al massacro - scientemente - la società e di conseguenza i 300 mila azionisti rimasti con le tasche vuote e la vita, in qualche caso, anche distrutta. Il pm Valerio Longi si chiude nel riserbo: «Stiamo lavorando - dice il magistrato - e di più non si può dire. È una materia complessa, ci vuole il suo tempo per individuare eventuali titoli di reato. Vedremo».

Bain Capital

Decine di vittime di questa follia finanziaria con i risparmi di una vita distrutti non si danno pace e hanno fatto denunce alla procura di Milano (anche Confconsumatori) in cui si ipotizza il reato di insider trading, altri si interrogano - con un'angoscia crescente - sui retroscena dell'operazione. Il destino delle obbligazioni, tanto per esempio della Lighthouse (che si fonde con Seat), valore nominale di milioni di euro, trasformate in azioni a seguito della operazione proposta dal comitato di obbligazionisti, con il supporto dei manager della Seat nel 2011-2012.

Ancora: «Ora il management afferma di ricoprire quelle cariche per spirito di servizio. A chi solleva l'ipotesi di un conflitto di interesse tra chi guidava i fondi bruciati nell'operazione convertendo, poi entrato nel vertice di Seat, la risposta sarebbe stata evasiva. Anche perchè tra i neo azionisti, con relative ingenti perdite del proprio capitale, ci sono anche i nuovi dirigenti...».

L'esposto entra nei dettagli: «Alla base della ristrutturazione avvenuta nel 2012 c'è un Comitato che chiede che le obbligazioni siano convertite in azioni, quasi un aumento di capitale»
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Disperazione, rabbia e anche fatalismo: «Così, dalla azione di responsabilità contro ex amministratori e sindaci ben poco si otterrà, ma a beneficiarne non saranno i piccoli soci diluiti al 0,25% ma i nuovi azionisti. Seat non agirà contro i fondi che hanno percepito il maxi dividendo nel 2004. Perché? Sono gli unici che potrebbero avere qualcosa di valore se avessero responsabilità e ai poveri azionisti non resta che rivolgersi ai pm». Sperando riescano a dimostrare l'avvenuto insider trading su tutta l'operazione Seat. Appello finale. Cercasi «gola profonda» decisa ad aiutare la giustizia.

abn amro

2 - IL "GIOIELLINO" SPOLPATO DALLA FINANZA CATTIVA
L. Fornovo E G. Paolucci per "la Stampa"

Questa è la storia di come la finanza cattiva abbia spolpato un'azienda sana e ricca. Tanto ricca che per spolparla e ridurla sull'orlo del baratro, quella finanza cattiva e predatrice ci ha messo un bel po'. Era un gioiellino, Seat Pagine Gialle. Con gli elenchi telefonici guadagnava un sacco di soldi: 50 centesimi ogni euro incassato, per anni. Anche quando i fondi d'investimento compravano e rivendevano il controllo, caricando ogni volta di debiti il gioiellino, Seat continuava a guadagnare.

DeAGOSTINI

Anche quando quei debiti sono diventati insostenibili, con le casse svuotate per pagare interessi e dividendi straordinari, nel suo «core business» continuava a guadagnare. Ma quei debiti erano diventati troppi. E per anni Seat ha lottato per sopravvivere. I guai - anche se non subito - iniziano con la storia «moderna» di Seat, quando nel 1997 il Tesoro, nell'ambito della privatizzazione della Stet, vende il 61,27% della società per 1580 miliardi delle vecchie lire alla finanziaria lussemburghese Otto che spende 450 miliardi di capitale proprio e il resto sono debiti.

COLANINNO a e f a d a faf ef

Dietro la Otto ci sono i fondi-locusta come Investitori Associati, Bc Partners e poi Comit, De Agostini e con quote minori Bain Capital, Abn Amro e Sofipa. Seat è un ottimo affare, perché nel 1999 i soci incassano un dividendo di oltre 2 mila miliardi di lire e lo stesso anno vendono sul mercato l'11% per altri 940 miliardi. Nel 2000, la gallina dalle uova d'oro verso un altro cedolone da 1,1 miliardi, 600 dei quali vanno alla Otto. Sono gli anni della new economy e Seat, con un solido business di carta e mirabolanti prospettive su internet, vola in Borsa.

La società fa gola a molti piccoli azionisti, ma anche a qualche pesce grosso. La Telecom di Colaninno lancia un'Opa da 13 mila miliardi di lire per fonderla con Tin.it. Gli azionisti che avevano comprato dallo Stato tre anni prima per un valore inferiore di circa cinque volte - più le cedole incassate - ringraziano e se ne vanno.

Passano tre anni e Telecom rivende per 3,7 miliardi di euro. Nel frattempo è scoppiata la bolla della new economy e le quotazioni di Seat non rivedranno più i valori «stellari» del 2000. Ma i fondi -locusta ci provano ancora: Investitori Associati e Bc, a cui si aggiungono Permira e Cvc diventano di nuovo azionisti.

La società si trova con circa 3,5 miliardi di debiti, dei quali oltre la metà frutto della acquisizione fatta a debito nel 1997 e «riversata» sulla società. Però i fondi decidono di distribuire una nuova maxicedola. Stavolta 3,6 miliardi di euro. Poi collocano sul mercato il 12% della società e incassano altri 800 milioni. A fine anno i debiti sono diventati 4 miliardi. A finanziare Seat è la Royal Bank of Scotland e gli incauti obbligazionisti che sottoscrivono il prestito obbligazionario Lighthouse di 1,3 miliardi remunerato all' 8%, ma senza la prelazione sui beni della società in caso di fallimento.
Seat continua a fare soldi con la carta e internet: le pagine gialle arrivano in tutte le case italiane. Il margine operativo è sempre alto: il 50%.

TELECOM c c fa a ca dd

Per ogni euro incassato, più di 50 centesimi sono di guadagni lordi. L'ad dell'epoca, Luca Majocchi, presenta tre piani industriali tra il 2004 e il 2007 ma non tutti funzionano. La società cresce all'estero ma gli obiettivi 2007 non sono stati centrati e Seat rivede al ribasso le stime per il 2008 e annuncia che non darà dividendi. S&P mette sotto esame il debito e a fine anno, quando viene lanciato un aumento di capitale da 200 milioni, Cvc se ne va.

Nel 2009 Majocchi viene accompagnato alla porta e arriva Alberto Cappellini, che in breve tempo taglia i costi di oltre 100 milioni, chiude le operazioni in Turchia, rimette in piedi la società. Il problema è il debito di 2,6 miliardi. Per raffreddare la pressione delle banche viene lanciato il costoso prestito Lighthouse senior da 700 milioni, a un tasso del 10% e scadenza 2017.

Verso la fine del 2011 Seat getta la spugna: non paga le cedole agli obbligazionisti per «default tecnico» e il rating precipita. Di lì in avanti è un'inesorabile agonia: nel 2013 c'è il ricorso al concordato preventivo, una sorta di amministrazione controllata. E il 4 marzo l'assemblea di Seat prende una decisione clamorosa: gli obbligazioni diventeranno azionisti di maggioranza. E il gioiellino della finanza sembra rovinato per sempre.

 

BERSANI RESTA ALL’OPPOSIZIONE NEL PD: “LE SCELTE DI RENZI NON SONO COMPARABILI CON LE DEMOCRAZIE”

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Jacopo Iacoboni per "la Stampa"

BERSANI LETTA RENZI

«Di Matteo Renzi mi piace molto l'energia, la voglia; un po' meno una certa sbrigatività. Uno nello stesso tempo, con la stessa rapidità, può fare una cosa giusta o una cosa sbagliata». Anche profondamente sbagliata.

E di cose sbagliate Renzi ne sta facendo, secondo Bersani. Pierluigi è tornato. Ieri ha registrato un lunga conversazione con Enrico Mentana per Bersaglio mobile. La tesi di fondo è forte, una bocciatura solenne, il «combinato» delle riforme di Renzi va cambiato tanto, «se vogliamo essere comparabili con le democrazie occidentali». Non è che i professori della «svolta autoritaria» dicano cose diversissime.

Da quando è tornato in pista dopo l'operazione, l'ex segretario del Pd è così, con Renzi. Non c'è nulla da fare. In questa fase ha pronunciato valutazioni del tipo «altro che complotto, Renzi ringrazi il gruppo parlamentare»; oppure, «visto che ho salvato il cervello per un pelo, non è che lo consegno ad altri»; o in tv da Fazio venti giorni fa: «Renzi è bravo, crea movida. Ma avrà bisogno di tutti». Movida, sì: più o meno come un tipo da discoteca.

IL RITORNO DI BERSANI ALLA CAMERA FOTO LAPRESSE

E ora rieccolo in tv, a dire sostanzialmente tre cose al premier. La prima, citando Veltroni (e Crozza, che lo ispira sin dai tempi dello smacchiamo): «Lo dico serenamente, pacatamente: la legge elettorale così com'è non va. Il combinato di riforma elettorale e del Senato rischia di consegnare a qualcuno col 24, 25 per cento governo, presidente della Repubblica, giudici costituzionali.

Va molto cambiata, se vogliamo essere comparabili con le democrazie occidentali». Non siamo molto lontani dall'appello dei «professoroni». Tra l'altro il M5S («una totale inutilità», a suo dire) «se è la seconda forza, o di qua o di là rischia di vincere al ballottaggio. Ragioniamoci». Poi però, non del tutto conseguente, Bersani auspica che il ddl Chiti sul Senato «venga ritirato, meglio fare emendamenti»; per Renzi, è buona notizia.

IL RITORNO DI BERSANI ALLA CAMERA FOTO LAPRESSE

Resta però tra i due una fortissima distanza antropologica (eufemismo). Ogni cosa di questa performance lo svela, anche le frasi colorite stile-tacchino sul tetto, «uno non può essere ubriaco del proprio io, se fai politica ti metti in un noi. Se c'è una cosa per cui questo governo non brilla è l'umiltà». La terza tesi è «se qualcuno beve l'acqua oggi, il merito è anche di chi ha scavato il pozzo».

Insomma, e questa è forse la più paradossale: se Renzi è lì è (anche) per merito mio. Bersani usa ripetere «ora torno a dire la mia, ma non chiedo posti»; una posa che D'Alema assume in un altro modo («passo ormai la maggior parte del mio tempo all'estero»), ma la sostanza quella è. Si sentono padri del partito. Solo che D'Alema al momento ha un (provvisorio) appeasement col segretario. Bersani no. Coscienza critica. Sana voce del dibattito interno. Non provate a chiamarlo «rosicone».

 

convalescenza di Bersani IL SALUTO TRA RENZI E BERSANI

DOPO L’ELIMINAZIONE DEL BARCELLONA DALLA CHAMPIONS, PARTE IL TIRO ALLA ‘PULCE MESSI

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Francesco Persili per Dagospia

MESSI INIESTA XAVI E PIQUE

«Abbiamo giocato in 10». Dopo 7 anni il Barcellona resta fuori dalle semifinali di Champions e l'imputato principale diventa lui: Leo Messi, il migliore al Bernabeu contro il Real, un disastro contro l'Atletico. Un solo tiro in porta, una decina di palloni persi e una mobilità appena superiore a quella di Pinto, il portiere per caso dei catalani.

I numeri dicono che la ‘Pulce' ha percorso sei chilometri, la metà di quelli del match-winner Koke. In generale, tra le stelle della Champions è quello che corre di meno: Ribery, Robben e Rooney superano gli undici chilometri a partita, Cristiano Ronaldo e Diego Costa ne fanno quasi dieci, Messi è fermo a otto. Nel calcio moderno non te lo puoi permettere, anche se hai vinto per 4 volte il Pallone d'Oro e hai il Psg e Il Manchester City pronti a fare follie per strapparti dalle ramblas.

TATA MARTINO E LEO MESSI

Ma il Tata Martino lo difende a spada tratta: «Non mi interessa se corra 5, 6, 7 chilometri, l'importante è che segni o faccia assist. Leo sta ricevendo delle critiche smisurate. Non è facile, in questa vita, essere Messi». Insomma, può andarti anche peggio. Non è così facile neanche per Martino, contestato per il cambio di Iniesta e costretto a centrare il doblete, Liga-Coppa del Re, per puntellare la panchina blaugrana.

A correre in soccorso del ‘Tata' è il grillo (s)parlante del barcelonismo, Johan Cruyff: «Il problema non è Martino. Sono 4 anni che l'allenatore non comanda nello spogliatoio del Barcellona. A Guardiola hanno venduto Chigrinskiy contro la sua volontà». L'atto di accusa nei confronti della gestione Rosell-Bartomeu è totale. «Ogni anno va sempre peggio: la colpa è della società e di chi ha voluto Neymar: un ragazzo di 21 anni, vittima dei soldi, del suo agente e del club, non può guadagnare più di chi ha vinto tutto».

JOHAN CRUYFF

L'inchiesta legata all'acquisto del brasiliano, le dimissioni di Rosell e, da ultimo, il blocco del mercato blaugrana per irregolarità nel trasferimento di calciatori stranieri minorenni: non è stata una stagione facile per il Barca. Tra scandali, polemiche, Messi che vomita in campo e infortuni che hanno falcidiato la squadra (Puyol, Valdes, Piqué) aumentano i rimpianti delle vedove di Guardiola. È morto il tiqui taca.

Il contrappasso più feroce è stata l'eliminazione per mano dell'Atletico Madrid di Simeone tutto pressing, contropiede e pensiero verticale. Peggio della kryptonite per l'ipnosi orizzontale blaugrana. L'eden calcistico non abita più al Camp Nou.

Atletico Madrid Barcellona x

Il canone di bellezza e stile barcelonista, già minato alle fondamenta l'altro anno in Champions dal Bayern Monaco, viene fatto a pezzi dallo Special Sime-One con la sua sintassi che frulla vis agonistica e organizzazione, cuore e astuzia, ricerca degli spazi e variazioni di ritmo in un'idea ultra-moderna di calcio in cui anche il campione si fa gregario.

Altro che le cervellotiche scelte di Martino e il ‘Tiki-Tata', scialbo succedaneo del gioco quasi esatto di Guardiola. Poche storie: da quando è andato via Pep, al Barca nulla è stato più come prima. «Ma hanno vinto anche dopo di me», l'attuale tecnico del Bayern si rifiuta di dare per finita una squadra che può vantare fuoriclasse come Messi, Iniesta, Xavi, Piqué: «Per me restano i più forti».

lionel messi barcellona

E il pensiero ritorna a Roma, a Wembley, alle finali vinte di Champions, a quel Barcellona venuto quasi a noia tanto era perfetto che ha fatto innamorare l'Europa pallonara. Certi amori non finiscono, anche in Catalogna. E, allora, ‘¡Força, Pep! Y ¡Força Bayern!', urla il quotidiano catalano ‘Sport' in vista della semifinale col Real. È morto il tiqui taca, evviva il tiki-taken!

 

 

SUI 300 NETTURBINI DI NAPOLI, 117 NON POSSONO SPAZZARE PERCHÉ INABILI TOTALI O PARZIALI

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Marco Demarco per il "Corriere della Sera"

SPAZZINO A NAPOLI

«Napoli è sporca e noi siamo insoddisfatti dello spazzamento».
A dirlo non è Maurizio Marinella, il signore delle cravatte, o Edvige Nasti, la pasionaria in tacchi a spillo della protesta borghese.

Questa volta a lamentarsi è il vicesindaco Tommaso Sodano, l'autore de «La peste», il libro che segnò la rottura con Antonio Bassolino al tempo dell'ultima emergenza rifiuti, nel 2010, quando i cumuli di immondizia arrivavano ai primi piani dei palazzi e i turisti passeggiavano con le mascherine anti-puzza incollate alla faccia. Quella vergogna è archiviata, dice Sodano al Corriere del Mezzogiorno, ma nel primo pomeriggio, quando i netturbini già riposano, strade e piazze sono quelle che sono: un ricettacolo di carte sporche e di poltiglia inguardabile, di imballaggi abbandonati e sacchetti di plastica in balia del maestrale. Non proprio una hall di albergo.

SPAZZINO A MILANO

Eppure, a ben vedere, la domanda da porsi non è come mai Napoli sia così sporca, ma semmai perché non è sporca come Baku, Dacca, Mumbai o Almaty, cioè come le città più sporche del mondo. A spazzarne le strade, infatti, ci sono, sulla carta, trecento addetti. Ma di questi, 117 sono gli inabili totali o parziali, quelli che non possono stare in piedi più di tre ore; o che non possono sollevare più di 15 chili, quando un cestino ricolmo di rifiuti ne pesa almeno venti; o che a furia di spazzare non hanno più l'uso della spalla.

Ne restano 183, uno per ogni 5.241 abitanti, turisti e pendolari esclusi, vale a dire una scopa ogni 650 mila metri quadrati, pari a più di 65 campi di calcio da passare e ripassare. Roba che neanche Insigne o Higuain, allenatissimi, riuscirebbero a fare.

Monnezza a Napoli da Repubblica it

Ma il fatto è che Lorenzo il Magnifico ha 22 anni e il Pipita 26, mentre i Gennaro Esposito e i Pasquale Musella che ogni giorno indossano la casacca della società comunale per l'igiene ambientale, ne hanno 58. Questa è l'età media di tutta l'azienda, il che vuol dire che ci sono anche 386 dipendenti tra i 61 e i 65 anni e altri sessantotto oltre i 65 anni. Gli under 30 in organico, invece, sono soltanto tre.

Villa Arzilla, insomma, altro che Asia, con tanto di accento sulla "i" per non confondere con altri mondi. Milano di spazzini ne ha anche meno: 96, per la precisione. Con una differenza, però. La rossonera Amsa, sul suo sito, vanta 1.289 automezzi, di cui 529 «per l'igiene del suolo e altri servizi stradali». L'azzurra Asia, invece, di spazzatrici ne ha sette, non una di più. Ed ecco perché in città è più facile avvistare un Ufo che uno di quei camion con le scope roteanti davanti e di lato. Tanto per farsi un'idea, Roma ne ha 250, Firenze 89.

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«A conti fatti, qui si fanno miracoli!» si compiace Raffaele Del Giudice, presidente dell'azienda napoletana, subentrato a quel Raphael Rossi che il sindaco de Magistris presentò come il maggiore esperto del settore. Rossi se ne andò sbattendo la porta quando il Comune gli impose di assorbire i lavoratori delle ditte esterne. Contando anche quelli, oggi l'Asia ha 2.381 dipendenti.

L'azienda di Milano 3.339 più 4 mila delle ditte esterne. Quella di Roma 7.843 più 3.600. Quelle di Palermo, Catania e Castellammare di Stabia sono passate per il fallimento. E i dati dell'assenteismo? Forse è qui che si nasconde il trucco? Possibile che nella città dove i falsi invalidi guidano lo scooter e giocano a calcetto tutti, o quasi, lavorino? Così pare. L'ad Daniele Fortini, che di recente ha lasciato l'Asia per andare a dirigere la giallorossa Amo Roma, dice che nella capitale l'assenteismo si aggira intorno all'8%, «come se ogni giorno in Italia si contassero 6 milioni di ammalati: una epidemia».

Monnezza a Napoli da Repubblica it

A Napoli sono invece al di sotto della media, questo almeno assicura Del Giudice. Possibile? «Sì, per almeno due ragioni» spiega. «La prima è aziendale. Da anni ormai usiamo il lettore biometrico al posto dei tornelli o degli orologi marcatempo: appoggi la mano e la macchina ti riconosce; è a prova di privacy, perché c'è una gestione dei dati concordata con il sindacato. La seconda è ambientale. Sul totale dei dipendenti ne ho 1.125, quasi la metà, che hanno impegnato una parte dello stipendio per pagare i mutui: tutta gente che non può non lavorare. E sa cosa?».

Monnezza a Napoli da Repubblica it

Prego. «Ci sono operai malati di artrosi che non possono salire e scendere dai camion, come dovrebbero, fino a 120 volte a turno. E allora seguono l'automezzo a piedi. Pur di non andare in malattia». Eppure, mesi fa, fece il giro dei social la foto di un netturbino Asia sdraiato a prendere il sole col ventaglio riflettente. L'impressione era proprio di uno che se la godeva. «Quello - spiega Del Giudice - lo abbiamo licenziato».

Monnezza a Napoli da Repubblica it

 

 


LA BCE AUMENTA IL MARGINE DI GARANZIA SUI BOT: TRATTA IL DEBITO ITALIANO COME SE FOSSE MENO SICURO DI PRIMA

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Federico Fubini per "la Repubblica"

Eurotower

In sordina, il mese aprile ha portato una novità che sta producendo una corrente sotterranea di tensione fra il Tesoro e la Banca centrale europea. Per l'Eurotower si è trattato di un aggiustamento tecnico. Per l'Italia invece è stato un inatteso declassamento del suo debito a breve termine, cioè dei Bot, che minaccia di ridurre la liquidità che le banche potranno attingere all'Eurotower. E che succeda ora, proprio quando la fiducia sembra tornare sui Paesi del sud Europa, non fa che irritare i tecnici del Tesoro a Roma ancora di più.

Quella della Bce a prima vista è solo una piccola correzione: ha rivisto il significato di alcuni dei rating con i quali lavora ogni giorno. Ogni settimana la banca centrale presta decine o centinaia di miliardi agli istituti dell'area euro, ricevendo da loro dei titoli in garanzia. Nell'ipotesi estrema che una banca fallisca, la Bce sa che potrà dunque recuperare il prestito vendendo quei titoli.

EUROTOWER BCE

Per esempio, le banche italiane presentano in garanzia per lo più Btp - ma anche Bot - e ricevono da Francoforte denaro liquido. La quantità di finanziamenti che il mondo del credito riceve dall'Eurotower dipende dunque dal valore che la Bce stessa assegna alle garanzie: più la qualità dei titoli offerti è considerata alta, più denaro la Bce presta a fronte di ciascun bond in garanzia.

E' qui che fra Roma e Francoforte si sono accese le tensioni. Fino al mese scorso infatti le banche che presentavano garanzie in Bot pari a 100 euro di valore nominale, ricevevano dalla Bce prestiti per 99,5 euro: la "sforbiciata" dello 0,5% serviva all'Eurotower come ulteriore margine di garanzia nello scenario, anch'esso estremo, di default del Tesoro italiano che ha emesso quei titoli.

debito pubblico NewsExtra

Dal primo aprile qualcosa però è cambiato: la "sforbiciata" che la Bce impone sui Bot non è più dello 0,5%, ma del 6%. Garanzie in Bot per 100 euro fruttano a una banca solo 94 euro di prestiti dall'Eurotower. Tecnicamente la decisione deriva da un aggiustamento su Dbrs, la più piccola delle agenzie di rating usate dalla Bce per stimare le garanzie. Ma il significato più generale è chiaro: l'Eurotower tratta il debito italiano come fosse molto meno sicuro di prima.

Lo accetta solo a patto di una maggiore cautela. Paradossalmente però lo stesso adeguamento non è ancora scattato sui Btp, che continuano ad avere una "sforbiciata" dello 0,5% anche se sono a più lunga scadenza. Giuseppe Maraffino, di Barclays, stima che per ora le banche italiane non dovrebbero subire un forte impatto negativo dalla svolta dell'Eurotower, perché non usano molti Bot alle aste della Bce. Se però la Bce dovesse declassare anche i Btp come ha già fatto sui Bot, l'accesso dell'Italia alla liquidità in euro diventerebbe più problematico.

DEBITO PUBBLICO

I tecnici del Tesoro considerano la decisione fuori tempo, proprio ora che i titoli dell'Italia e degli altri Paesi in crisi tornano a ispirare fiducia. Il Btp Italia a sei anni, all'asta lunedì prossimo, avrà una cedola dell'1,65%. E malgrado un debito pubblico che viaggia verso il 135% del Pil, il Btp decennale dell'Italia rende oggi il 3,21% (era al 4,8% nel giugno scorso). Ieri sono stati collocata all'asta 7,25 miliardi di Btp a 3,7 e 30 con tassi sempre più bassi (il triennale sotto l'1%). Anche con un'inflazione bassa che tiene alto il peso reale degli interessi, il debito costa oggi meno di un anno fa.

In questa trasformazione l'Italia non è sola. Il rendimento del titolo decennale del Portogallo è crollato nell'ultimo anno dal 6,3% a meno del 4%, benché Lisbona non sia ancora fuori dal piano di salvataggio e il suo debito stia avvicinando livelli italiani. Nei giorni scorsi il bond a cinque anni della Spagna, per breve tempo, è arrivato a rendere meno del pari grado americano: un record impensabile fino a pochi mesi fa per un Paese segnato dalla recessione più grave della fine della dittatura.

E persino la Grecia, che solo due anni fa ha fatto il default più grande della storia, questa settimana è riuscita ad emettere un bond a cinque anni con cedola di meno del 5%. Il debito pubblico di Atene è ancora al 175% del Pil e nessuno si illude che sia davvero in grado di ripagarlo, o anche solo sostenere gli interessi.

Ma agli investitori per ora non interessa: l'abbondanza di liquidità immessa sui mercati dalla Federal Reserve e dalla Bank of Japan, più i rendimenti quasi zero sui bond ovunque in Occidente, spingono il denaro sempre più lontano. Dopo il panico degli anni scorsi, nessuno oggi sembra più percepire il rischio del Sud Europa. Nessuno, a quanto parte, meno la Banca centrale europea

 

DI MAIO SCULACCIA LA RAI INZERBINITA AL GOVERNO: “RENZI È OVUNQUE IN RAI, È UNA TELEVENDITA CONTINUA”

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Luca De Carolis per il "Fatto quotidiano"

PIZZINI I PIZZINI TRA MATTEO RENZI E IL GRILLINO LUIGI DI MAIO

Renzi è in tv quasi venti minuti al giorno, sulla Rai appare ovunque. È una televendita continua, per le Europee". Luigi Di Maio, deputato di Cinque Stelle e vicepresidente della Camera, spiega così l'esposto presentato ieri dai parlamentari dell'M5S all'Autorità garante per le comunicazioni, in cui lamentano "una vergognosa violazione del pluralismo del servizio pubblico in favore del premier e dei suoi ministri", e accusano la Rai di "servilismo".

Di Maio, siete davvero preoccupati o è solo una mossa da campagna elettorale?
Il nostro è un atto dovuto. Secondo l'Osservatorio di Pavia, solo tra il 22 e il 28 marzo al governo è stato dato il 45,1 per cento dello spazio nei tg Rai, a fronte del 7,2 a M5S. È una sproporzione inaccettabile, un chiaro abuso.

Dare più spazio al governo in fondo è comprensibile.
La forbice con le presenze dell'opposizione è enorme. Renzi sta in tv dalla mattina alla sera a fare annunci. Non c'è un solo atto normativo di cui possa parlare, a parte il ddl con il falso taglio delle province. È solo una televendita senza soste.

LUIGI DI MAIO

L'Agcom metterà tutto a posto?
Speriamo in un riequilibrio. Purtroppo la Rai è del partito di governo. Serve una legge sul conflitto d'interessi, ora più che mai.

Dal Pd attaccano Roberto Fico, presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, perché ha scritto alla presidente Tarantola contro le presenze in tv di Renzi. "È uno strappo istituzionale" sostengono.
Fico ha il diritto di esercitare le sue prerogative di deputato. E comunque non ha sottoscritto il nostro esposto, proprio per delicatezza istituzionale.

MATTEO RENZI A PORTA A PORTA CON VESPA

Renzi accusa: Grillo ogni mattina pensa solo a come attaccarci. Non avete il dubbio di criticare troppo il premier, rischiando l'effetto overdose?
Dopo 20 anni in questo Paese c'è una vera forza di opposizione. Il nostro dovere è mettere in guardia la gente dalle bugie di Renzi, sempre, senza fare calcoli strategici.

A proposito di strategia, che campagna farete?
Innanzitutto vogliamo raccontare ai cittadini quello abbiamo fatto. Per esempio, abbiamo ottenuto la sospensione delle cartelle di Equitalia per le imprese in credito con lo Stato. E proprio su Equitalia terremo una grande iniziativa martedì prossimo, in varie città d'Italia. A Roma ci sarà anche Beppe Grillo.

Renzi e Vespa

Su che argomenti puntate?
Sui temi nazionali che vogliamo portare nel Parlamento europeo. Penso al sostegno alle piccole e medie imprese, e al reddito di cittadinanza: vogliamo una norma europea, per dare ossigeno ai tanti in difficoltà.

Ha assicurato: "Avremo più di 15 deputati nel Parlamento europeo". È l'obiettivo minimo?
No, ho solo detto che ne porteremo più di 15, perché questo risultato sarebbe un record per un movimento all'esordio nelle Europee, mai toccato prima nel continente. Sono convinto che porteremo più di 20 eletti a Bruxelles, e che possiamo superare il Pd.

In Italia continuate ad avere nodi interni. Lo scontro Pizzarotti-Grillo dove porterà?
Da qualche mese si parlano attraverso i blog, e sembra che su alcune cose la pensino diversamente. Per me possono continuare a parlarsi così: la diversità di opinione va bene, l'importante che non ci sia malafede. E io non la vedo.

roberto fico

Pende sempre l'assemblea congiunta su Nuti, il deputato che ha sostenuto una candidata alle Europee.
Non mi preoccupa, si chiarirà tutto.

Non teme che l'assemblea si trasformi in una resa dei conti?
No, assolutamente. Il clima nel gruppo è positivo, e poi abbiamo altro a cui pensare: le elezioni.

 

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LA BOCCIATURA DELLA MANZIONE, SEGNA L’INIZIO DELLA GUERRA TRA RENZI E I MANDARINI DI STATO CHE COMANDANO IL PAESE

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Roberto Mania per "la Repubblica"

MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE

Il primo avvertimento, chiaro e netto, è arrivato solo qualche giorno fa. Direttamente all'indirizzo di Palazzo Chigi e non casualmente. I potenti giudici della Corte dei Conti hanno bocciato la nomina di Antonella Manzione a capo del Dipartimento degli affari giuridici della presidenza del Consiglio dei ministri.

«Non ha i requisiti», hanno sentenziato. Il premier Matteo Renzi ha annunciato che non tornerà indietro e che ci riproverà, ma dalle forche caudine della Corte dei Conti dovrà comunque passare. E poiché è stata dichiarata una lotta, tanto più «violenta», non ci saranno esclusioni di colpi. La burocrazia si sta preparando a una lunga guerra di trincea.

Ai cittadini normali l'acronimo Dagl non dice nulla, ma i grandi burocrati ministeriali e i loro ministri sanno che da lì bisogna passare perché un provvedimento possa essere esaminato dal Consiglio dei ministri. Il Dagl, che sta per Dipartimento degli affari giuridici e legislativi, è il perno del processo decisionale del governo. Per questo Renzi vuole a capo una persona di sua fiducia.

MATTEO RENZI E ANTONELLA MANZIONE

E, al contrario, non vuole che sia un giurista, un consigliere di Stato o qualcosa di simile, nonostante quel che dice la legge secondo cui, per quell'incarico, serve proprio un giudice delle supreme magistrature, ordinaria o amministrativa, un dirigente generale dello Stato, un avvocato dello Stato, oppure un professore universitario in discipline giuridiche. Insomma un membro dell'élite della nostra nomenclatura.

Quella che dietro le quinte, con una politica sempre più debole, governa il Paese scrivendo di fatto le leggi, applicandole, interpretandole, e anche ricorrendo al Tar, al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti quando c'è qualcosa che non va. Un circuito infernale che molto spesso, o quasi sempre, riporta al punto di partenza.

corte dei conti

La Manzione, capo della polizia municipale di Firenze e direttore di Palazzo Vecchio, non appartiene alla categoria. Mentre lo era il suo predecessore Carlo Deodato, consigliere di Stato, licenziato da Renzi e dal sottosegretario Graziano Delrio. Lo stesso Delrio, inoltre, come segretario generale a Palazzo Chigi ha voluto il suo ex city manager di Reggio Emilia, Mauro Bonaretti, il quale ha preso il posto di Roberto Garofoli, che invece è consigliere di Stato, nominato capo di gabinetto al ministero dell'Economia, ruolo chiave per i provvedimenti di politica economica.

Perché mentre a Palazzo Chigi si stanno alzando le barricate per limitare al minimo i giureconsulti o i funzionari parlamentari, loro in buona parte dei ministeri ancora seduti sulle poltrone importanti.

Dunque la Corte dei Conti ha alzato, in tempi da record, il primo cartellino giallo. Ora bisognerà scriverlo diversamente il decreto di nomina, trovare la via giusta tra i meandri della debordante legislazione italiana. Perché se le norme si scrivono «in un certo modo», come ci spiega un membro autorevole della "categoria", allora sì che possono passare il vaglio. Ed è questo un aspetto del potere dei burocrati.

corte conti

Anche così resisteranno alla guerra del governo, custodendo gelosamente le armi del mestiere. Pensiamo alle centinaia di regolamenti attuativi delle leggi varate dai governi Monti e Letta che ancora aspettano di essere varati. Chi li scriverà?

È ovviamente una domanda retorica. Ma è chiaro che per inceppare la macchina amministrativa basterà molto poco. I potenti direttori ministeriali con i capi di gabinetto e i responsabili degli uffici legislativi, lo sanno bene.

Dietro la pronuncia della Corte dei conti c'è chi intravede anche un altro messaggio che ha a che fare con il prossimo decreto del governo che taglierà le retribuzioni degli alti burocrati, dei magistrati, dei presidenti delle Authority: dal tetto dello stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione (311mila euro) si passerà a quello dell'indennità del Capo dello Stato (238mila euro).

corte conti

Vuol dire una riduzione fino a oltre 70mila euro l'anno. La burocrazia non ha apprezzato e manda segnali, appunto. E c'è chi si prepara al ricorso al Tar, oppure al giudice del lavoro per tutelare - come dicono - «un incarico in essere ». In molti casi giudicherà chi si trova nelle medesime situazione del ricorrente. E dopo il ricorso al Tar, quello al Consiglio di Stato.

Resisterà la nomenclatura per difendere i suoi "diritti acquisiti". Anche con la fuga verso la pensione. Perché l'alta burocrazia è anziana e gode ancora del sistema retributivo per il calcolo dell'assegno pensionistico. Converrà lasciare prima per incassare di più. Il contrario di ciò che accade con chi ha il contributivo.

Resisteranno pure svolgendo rigorosamente le proprie funzioni. Spesso stando fermi in attesa di tutte le firme e i passaggi negli altri ministeri. Poi aspetteranno sempre «precisi indirizzi politici». Dilatando così i tempi per rendere operativi i provvedimenti. Sono i trucchi del mestiere di chi governa il vero processo decisionale. Perché l'obiettivo dei burocrati, asserragliati nelle loro stanze ministeriali, è di arrivare alla fine ad una tregua con Renzi. Questa guerra, però, è solo cominciata.

 

LA MONDARDINI, DATA IN POLE PER LE POSTE, POTREBBE SLITTARE ALLA PRESIDENZA ENEL

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Andrea Bassi per "il Messaggero"

Francesco Starace ad Enel Green Power

LE POLTRONE
Ancora un week end di riflessione. E soprattutto di incontri. Matteo Renzi ha annunciato che la scelta dei nuovi vertici per Eni, Enel e Finmeccanica sarà resa nota lunedì. La scelta per le Poste, invece, potrebbe slittare non essendo una società quotata e non avendo dunque gli stessi obblighi di comunicazione al mercato. Così come qualche giorno in più potrebbe volerci per Terna, dove il titolare della quota azionaria è la Cassa depositi e prestiti e non il Tesoro.

Il premier ufficialmente ha giustificato i «tempi supplementari» per la decisione per attendere il ritorno da Washington del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. In realtà Renzi non vuole occuparsi solo dei presidenti, ma ha intenzione di farsi un'idea precisa anche sui candidati alla poltrona di amministratore delegato, quella considerata più importante.

CLAUDIO DESCALZI

FACCIA A FACCIA
Nei giorni scorsi Renzi avrebbe avuto modo di incontrare in via informale il numero uno di Enel Green Power, Francesco Starace. Ieri a Milano, a margine della conferenza tenuta in Fiera, ha incontrato Claudio Descalzi, il capo dell'esplorazione di Eni e ormai quasi certo successore di Paolo Scaroni alla guida del Cane a sei zampe.

Quest'ultimo, che ieri ha pubblicato un editoriale sul Financial Times, ha scherzato su una sua possibile riconferma come presidente: «Non ho totalizzatore su una mia riconferma, non la gioco», ha risposto con un sorriso ai cronisti che gli chiedevano quanto dovrebbero puntare su una sua eventuale permanenza ai vertici del gruppo petrolifero. Segno che i giochi per le presidenze sono tutt'ora aperti e senza nessuna esclusione di eventuali sorprese. Renzi per quei ruoli vorrebbe un'ampia presenza femminile.

MONICA MONDARDINI

Ma ci sarebbero delle difficoltà a trovare candidate all'altezza. Per questo ha chiesto ai partiti che sostengono la sua coalizione di proporre dei nomi al femminile, ma non avrebbe ricevuto riscontri. Insomma, le donne sulle quali contare non sarebbero moltissime. Tanto che starebbe anche vagliando la possibilità di dirottare Monica Mondardini, in predicato di assumere la guida delle Poste, verso la presidenza di Enel.

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Per ora sarebbe però solo una tentazione per non rischiare di rimanere senza «quote rosa» ai vertici delle prime tre società pubbliche. L'altro nome è quello di Marta Dassù, ex vice ministro alla Difesa. Il suo profilo tornerebbe per Finmeccanica, ma lì la poltrona di Gianni De Gennaro sembra blindata e la Dassù per la legge sul conflitto di interessi non potrebbe occuparla prima che sia passato un anno dalle sue dimissioni da ministro. Altri nomi al femminile in lista sono quelli di Patrizia Grieco, ex amministratore di Italtel, quello dell'ex ministro Paola Severino e quello di Marina Brogi.

Nella scelta dei capi azienda, tuttavia, ancora non si escludono dei colpi a sorpresa in stile Renzi. Nei giorni scorsi, nonostante gli attriti avuti sullo stipendio proprio con il premier, è tornato a girare il nome di Mauro Moretti di Ferrovie per Finmeccanica, o magari il «gran colpo» del rientro in Italia di Vittorio Colao. Finmeccanica sembra uno dei nodi più difficili da sciogliere. Il candidato interno, sempre che non si voglia confermare Alessandro Pansa, è l'attuale ad di Alenia, Giuseppe Giordo.

FULVIO CONTI MARTA DASSU

Intanto ieri l'assemblea degli azionisti di Snam Rete Gas, controllata al 100% da Snam, ha nominato il nuovo consiglio di amministrazione che ha successivamente confermato alla presidenza Carlo Malacarne, amministratore delegato della società controllante.

MAURO MORETTI FS

 

 

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