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LA MONTAGNA RAI HA PARTORITO IL TOPOLINO RAINEWS: GRANDI INVESTIMENTI, AUDIENCE DA COMA (0,59%)

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Monica Maggioni

DAGOREPORT
In 11 mesi 32 promozioni, di cui 2 tripli salti (Alessio Rocchi ex tg1 da redattore ordinario a caporedattore web e Vania De Luca da art.11 con stipendio da caposervizio a caporedattore e vaticanista); 4 doppi salti di cui 3 da caposervizio a caporedattore (Silvio Giulietti ex tg3, caterina Doglio ex tg1, Karina Laterza ex tg3) e 1 da inviato a caporedattore al politico (Federia Mango). Mariella Zezza, già assessore al lavoro nella giunta Polverini è andata in aspettativa come caposervizio, in assenza è stata promossa vicecaporedattore e ora a una decina di mesi dal suo ritorno è caporedattore al desk, nella fascia giorno.

LUIGI GUBITOSI OSSERVATORIO GIOVANI EDITORI

Molti gli arrivi dall'esterno, da altre testate, almeno una ventina, diverse anche le assunzioni. La redazione Web (che da poco gestisce il portale Rai) conta su 28 giornalisti e diversi tecnici esterni.

Il budget secondo fonti interne sarebbe addirittura triplicato e con l'inclusione di televideo Rainews diventerà la testata più numerosa della Rai, circa 200 giornalisti (la Tgr è più numerosa, ma suddivisa in 20 testate regionali).

Audience aumentata di poco. Nel 2012 (gestione Mineo) l'audience media nella giornata è stata dello 0,57%; nel 2013 (Maggioni è direttore dal gennaio 2013) l'audience media è stata dello 0,67%. Nel frattempo grandi investimenti, inviati in tutto il mondo: dalla Siria, alla Libia, al Sudafrica, dalle Filippine per l'alluvione a Detroit per la conferenza stampa di Marchionne. Il dato medio dei primi 15 gg di gennaio è preoccupante: circa 0,59%

CORRADINO MINEO

 


DE MAGISTRIS HA NOMINATO COMANDANTE DELLA POLIZIA MUNICIPALE IL FINANZIERE CUI HA FATTO IL TESTIMONE DI NOZZE

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Dagoreport

LUIGI DE MAGISTRIS INDOSSA I VESTITI DI UN IMMIGRATO SENEGALESE NEL CALENDARIO DIVERSAMENTE UGUALI

Tutte le tarantelle portano a Roma. Sono ore complicate per i "Giggini" della politica campana, de Magistris e Cesaro.
Il primo è alle prese con la grana del Teatro San Carlo, dopo le dimissioni in massa del Cda (in cui siede, peraltro, pure l'amico governatore Stefano Caldoro). Servono 20 milioni di euro sciué sciué, e Giggino 'o sindaco sta facendo due conti sperando che al ministro Bray non venga voglia di firmare subito il commissariamento della Fondazione (a questo punto sempre più probabile).

E, come se non bastasse, da Roma è arrivata pure la doccia fredda sulla nomina del nuovo comandante della polizia municipale, il tenente colonnello della Finanza Luigi Acanfora. L'Ispettorato per la Funzione pubblica di Palazzo Chigi, infatti, ha fatto sapere al primo cittadino arancione che le "investiture" dei nuovi dirigenti devono passare per una selezione pubblica. Giggino, insomma, non può fare Re Artù che poggia la spada sulla spalla dei prescelti. Così il primo cittadino dovrà ora spiegare perché ha scelto per quell'incarico proprio il finanziere cui ha fatto da testimone di nozze.

LUIGI CESARO

L'altro Giggino in confusione è il mito(logico) Giggino 'a purpetta, ex presidente della Provincia di Napoli. Pur non essendo più coordinatore provinciale del Pdl, causa decadenza al passaggio a Farsa Italia, l'uomo dei tic-tac ha iniziato a firmare le nomine (pure lui, ma è un vizio allora!) dei commissari cittadini azzurri.

Il primo colpo l'ha piazzato a Gragnano, dove si vota ad aprile, con l'ex presidente diccì della Provincia Franco Zagaroli, suo fedelissimo.
Ma la questione è un'altra: chi ha autorizzato 'a purpetta a nominare i commissari se non ne ha più i poteri? Ah, saperlo...

TEATRO SAN CARLO

 

VEDI IL MAN UTD E POI MOYES - DAL ‘TEATRO DEI SOGNI’ ALLA FABBRICA DEGLI INCUBI: LA CRISI DEI RED DEVILS

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Francesco Persili per ‘Dagospia'

FERGUSON MOYES

Dal ‘teatro dei sogni' alla ‘fabbrica degli incubi': vedi il Manchester Utd e poi Moyes. Inchiodati al settimo posto in classifica (il peggior risultato dal '92) ed eliminati dalla FA Cup, i Red Devils si avvitano in una crisi senza fine. Infortuni, spogliatoio in frantumi, senatori in declino, voci di mercato (Rooney al Chelsea, anche se Moyes non ne vuole sapere), delusioni (Fellaini su tutti) e sempre quel fantasma che si aggira per l'Old Trafford quando le cose si mettono male, il suo nome è Sir Alex Ferguson.

ADDIO DI FERGUSON SUL MIRROR

Dopo un gol subito, un passaggio sbagliato, un'occasione mancata, le telecamere lo vanno a cercare in tribuna, e taac, arriva la zoomata sul suo faccione rubizzo. Fergie time, do you remember? 26 anni e mezzo di successi, 38 trofei, 13 Premier, 2 Champions e una statua alla leggenda con cui Moyes è costretto ogni giorno a fare i conti. Una eredità troppo ingombrante per The Chosen One (Il Prescelto) diventato nel frattempo The Castened One (Il Castigato) sotto i colpi dei tabloid che romanzano sul ritorno in pompa magna del Baronetto di Govan e ricamano sui presunti attriti tra l'Highlander scozzese e il suo successore.

TRIBUTO A ALEX FERGUSON

«Si vuole far passare per forza il messaggio che ci sono dei problemi tra noi ma non è così, con Sir Alex ci vediamo dopo le partite e durante la settimana: lui è qui solo per aiutarmi», le parole di rito di ‘The Scot' non bastano a spazzare via i dubbi di commentatori e tifosi. Come non bastano le parole di Mou (‘Non credo che Moyes sia in discussione') e tutti i discorsi già sentiti sulla cultura calcistica del Man Utd che privilegia la ‘stabilità tecnica', of course, e il blabla sul tempo di cui avrebbe bisogno il manager scozzese e che fu concesso anche a Sir Alex.

David Moyes

Corsi e ricorsi, se non fosse che il calcio conosce solo il tempo presente. Corse e rincorse, già perché quella contro il Chelsea è già una partita decisiva per Moyes. Meglio non pensare alle probabili assenze di Rooney e Van Persie, meglio non guardare le statistiche, le 70 gare di imbattibilità di Mou in casa e, di contro, i ‘zeru tituli' di Moyes, quello che non ha mai vinto a Stanford Bridge. Quello che non ha mai vinto fuori casa contro le grandi di Inghilterra. Quello che non ha mai vinto, punto.

alex ferguson

La mancanza di successi, infatti, è la principale accusa che rivolgono i suoi detrattori che ogni due per tre chiedono conto anche dei motivi che lo hanno spinto a rinunciare allo staff di Ferguson. Come se non sapessero che all'ex assistente di Sir Alex, René Meleunsteen, oggi sulla panchina del Fulham, Moyes ha offerto inutilmente il ruolo da numero 2. Una beffa del destino per The Scot che ai tempi del Preston quando Ferguson gli propose di entrare a far parte del suo team fece una scelta simile: «Voglio vedere cosa riesco a fare da solo». Testardo, lui.

mourinho chelsea

Una qualificazione in Champions, una finale di FA Cup con l'Everton oltre alla rissa stracult con Roberto Mancini (finita a tarallucci e vino): questo il bilancio degli anni a Goodison Park. Integrità morale ed etica del lavoro, le qualità del manager scozzese hanno convinto Sir Alex ma non uno, ad esempio, come Rio Ferdinand, che si è lamentato spesso per la sua abitudine di annunciare la formazione solo all'ultimo minuto. In realtà, all'ex capitano della nazionale inglese tormentato dal ginocchio e dall'ingiuria degli anni, è andata di traverso la scelta tecnica di Moyes di puntare sui più giovani Phil Jones e Chris Smalling.

Si parla di ‘Rifondazione United'. Ferdinand, Vidic, Evra, Nani, Buttner, Hernandez (oltre ad Anderson già finito alla Fiorentina) hanno già il foglio di via. Moyes blinda Rooney («Non si muove da qui») e passa al setaccio il mercato europeo. Non si fa mancare nulla, nemmeno un viaggio di lavoro in Sardegna. Lo trovi in tribuna a Cagliari a seguire Pogba (uno dei grandi ‘errori' di Sir Alex Ferguson), Marchisio e Vidal, e sempre sulle piste di Hamsik, Guarin e Pjanic, mentre i suoi emissari in Spagna hanno messo nel mirino mezzo Atletico Madrid (Miranda, Koke, Diego Costa).

ROONEY

Chissà se anche a ‘The Castened One' verrà dato il tempo per costruire la sua rivincita e liberarsi di quel fantasma che oggi si aggira per l'Old Trafford. Il fantasma del Fergie Time e di oltre 20 anni di successi. Certo, se le cose si dovessero mettere male, basta stringere l'inquadratura sul faccione di Ferguson, e l'incubo Moyes passa. Ma chi ce lo darà indietro il teatro dei sogni? Per quello, basta non escludere il ritorno di Sir Alex.

 

 

L’INDUSTRIA DEL PORNO MOLLA LOS ANGELES E TRASLOCA A LAS VEGAS, DOVE I CONTROLLI SONO MENO SEVERI

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Anna Guaita per "il Messaggero"

james deen e jessica drake spot contro le regole sul porno

Il cinema porno lascia Hollywood. Dopo l'approvazione della legge che richiede agli attori di indossare il profilattico nelle scene di sesso, la produzione di film a luci rosse è precipitata del 95 per cento. Ma questo non vuol dire che sia finita: registi, produttori, attrici e attori si stanno trasferendo in un'altra città, la vera mecca del peccato, Las Vegas. Proprio in questi giorni nella città del Nevada si tiene l'annuale "Adult Video Network Entertainment Expo", il convegno in cui si presentano sia film che prodotti legati all'industria del porno e del sesso. L'Expo si conclude sabato sera con l'"Award show", i cosiddetti "Oscar del cinema per adulti".

LA PORNOSTAR CAROLINE DE JAIE FOTO ANDREA ARRIGA

Nel corso del convegno, vari esponenti dell'industria hanno confermato l'esodo. Lee Roy Myers, proprietario degli studios "Mission Control" ha sostenuto ad esempio che "non è solo il rischio di trovarsi sul set i vigilantes del profilattico, ma anche i crescenti costi di produzione" a spingere il porno fuori dalla California, verso il sud e il deserto del Nevada. "E poi - ha aggiunto - Las Vegas al sesso ci è abituata".

Va comunque chiarito che la legge sui profilattici a Los Angeles è stata sfidata in tribunale varie volte dall'industria del porno, ed è temporaneamente sospesa in attesa di decisioni dei giudici. E comunque non è vero che ci siano ronde incaricate di controllare che il sesso avvenga con la dovuta protezione. Invece quel che avviene con regolarità, per precisa disposizione della città, sono i test dell'Hiv, il virus che causa l'Aids. E difatti l'anno scorso le luci rosse californiane sono state spente tre volte, per un periodo complessivo di due mesi, dopo che quattro attori sono risultati sieropositivi. Le riprese sono ricominciate solo dopo che erano stati condotti ulteriori test su tutti gli attori.

porno jpeg

Las Vegas, "sin city", invece non solo non richiede l'adozione di profilattici ma non impone neanche i periodici test dell'Hiv. Qui domina semmai il laissez faire totale: "Il cinema a luci rosse è un'attività legale. E il nostro Stato non può che avvantaggiarsi dall'espansione dell'industria cinematografica" afferma uno dei consiglieri della contea, Chris Giunchigliani.

porno jpeg

 

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IL PREGIUDICATO PIÙ FAMOSO D’ITALIA VARCA LA SOGLIA DELLA SEDE DEL PD

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Il Messaggero.it

Silvio Berlusconi è nella sede del Pd al Nazareno in via Sant'Andrea delle Fratte a Roma per l'incontro con Matteo Renzi. Il leader di Forza Italia, che è entrato in automobile da un ingresso laterale, è stato accolto da alcuni manifestanti del Popolo viola al grido di "vergogna, vergogna" e "non si tratta con i criminali" e con un lancio di uova che hanno colpito l'auto su cui viaggiava il Cavaliere.

LANCIO DI UOVA PER BERLUSCONI AL NAZARENO

Renzi aveva raggiunto un po' prima la sede del Pd. Il segretario ha raggiunto l'ingresso principale a piedi facendosi spazio tra cronisti e telecamere e non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Per venire a Roma il segretario del Pd è salito a Firenze su un Eurostar e ha viaggiato da solo. Poi arrivato a Roma è salito in auto ma è sceso poco distante dalla sede del Pd ed è arrivato a piedi al Nazareno.

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO

Tutto pronto nella sede del Pd. Con Renzi e Berlusconi, in cerca dell'accordo sulla riforma elettorale, ci saranno il capo della segreteria Dem Lorenzo Guerini e l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO

Il Cavaliere in mattinata ha visto a palazzo Grazioli proprio Letta e Denis Verdini, mentre il leader del Pd ha incontrato a Firenze i segretari di Scelta Civica Stefania Giannini e del Psi Riccardo Nencini. «Abbiamo discusso del ruolo del Senato, del titolo V e della legge elettorale - ha detto Giannini -. Si va con un accordo di maggioranza perché Renzi sta dialogando con il Ncd, quindi io credo che ci sia la base per potersi confrontare.

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO


2. BERLUSCONI RITORNABE TENTA IL COLPACCIO: SPIAZZARE RENZI
Ugo Magri per La Stampa

Per celebrare il suo ritorno al centro del ring, il Cavaliere ha festeggiato sotto casa di De Benedetti. Non che abbia scampanellato al citofono dell'arci-nemico, o sguaiatezze simili. Semplicemente, di 7674 ristoranti romani elencati su Trip-advisor, due sere fa la scelta di Silvio è caduta, strana combinazione, proprio sul locale che sta di fronte al palazzetto dell'Ingegnere.

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO

Pare che a tavola ci abbia perfino scherzato su: quando è arrivato il momento di pagare, e la sua assistente Mariarosaria Rossi era lì pronta, qualcuno ha udito tra le risate: «.... il conto consegnatelo qui di fronte». Foto ricordo con due vistose turiste americane e occhiolino alla fidanzata Francesca: «Amoreee, guarda cosa sto facendo...» (al che la Pascale si è messa a sua volta in posa con un bel cameriere).

Comunque vogliamo giudicarli, sono siparietti non certo da cane bastonato. «A volte ritornano», metteva in guardia Stephen King nel romanzo sugli «zombie». «Rièccolo», fu ribattezzato Fanfani da Montanelli per la sua incredibile capacità di riproporsi. Che la storia sia fatta di corsi e ricorsi?

PROTESTE PER BERLUSCONI AL NAZARENO

Mezza Italia non ha ancora smaltito la sbornia della decadenza, e già Renzi fa a botte col suo partito per incontrare il Pregiudicato... «Tanto di cappello al suo coraggio», lo copre privatamente di elogi il Cav. Riconosce che parte della propria resurrezione è merito del segretario Pd. Non mostra la minima ansia di duellare con lui. Anzi, le elezioni possono attendere, magari proprio con la scusa che Matteo in questo momento sarebbe troppo forte.

«Perché non aspettiamo un altro anno per tornare alle urne?»: è la domanda-shock che un fautore del voto immediato si è sentito rivolgere a bruciapelo. L'ex-premier dà per certo, vai a sapere in base a quali riscontri, che la Corte europea di giustizia cancellerà la condanna e le pene accessorie, incandidabilità compresa.

Per cui addirittura potrà tornare a proporsi quale premier o magari al posto di Napolitano: ecco perché accarezza la prospettiva di guadagnare tempo. Nelle more dell'attesa, non disdegnerebbe un governo Renzi-Berlusconi, sebbene definirlo Berlusconi-Renzi gli sembrerebbe più appropriato visto che il giovanotto gli sembra «ancora troppo acerbo per sobbarcarsi sulle spalle il peso del Paese», avrebbe bisogno di un tutor.

PROTESTE PER BERLUSCONI AL NAZARENO

«È tornato a surfare l'onda», dicono tutti eccitati i «berluscones». Fanno a gara nel condividere parte del merito. Falchi e «Pitonesse» rivendicano la scelta dell'opposizione (giusto ieri la Santanché ha ottenuto la nomina a responsabile del «fund-rising», cioè della caccia ai finanziatori, segno di apprezzamento del Capo). L'ex direttore del Tg1 Minzolini ha idee molto nette sulla genesi della rimonta: «La mossa vincente di Berlusconi è stata quella di andare all'opposizione, e di esserci andato dialogando sia con Renzi sia con Grillo. Ma ce n'è voluta...».

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO

Michaela Biancofiore (la cui cagnetta Puggie è stata ufficialmente maritata con Dudù), guarda invece al lato dei sentimenti e insiste sulla «grande gioia di vivere» trasmessa al suo uomo dalla Pascale. Berlusconi, aggiunge Biancofiore, è chiaramente soddisfatto della riconquistata centralità, «sebbene la sua più grande fatica resti quella di doversi sobbarcare le micro-rivalità interne al partito, mentre lui è in ansia per un Paese che di questo passo rischia il default».

Un altro al posto suo si sarebbe afflosciato, assicura il sodale di sempre Marcello Dell'Utri, «ma Berlusconi è un torello, nessuno lo abbatte, ha sempre spiazzato tutti e continuerà a spiazzarli». Renzi compreso? Risatina dall'altro capo del filo.

 

 

PROTESTE PER BERLUSCONI AL NAZARENO

PUTIN RIESUMA IL BINOMIO OMOSESSALITÀ-PEDOFILIA NEL SPIEGARE AL MONDO LE REGOLE PER LE OLIMPIADI INVERNALI DI SOCHI

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Anna Zafesova per La Stampa

PUTIN SOCHI

Gli omosessuali a Sochi possono sentirsi «tranquilli e disinvolti», ma a una condizione: «Per cortesia, lasciate in pace i bambini». Vladimir Putin riesuma il binomio omosessalità-pedofilia nel spiegare al mondo le regole per le Olimpiadi invernali che lui ha voluto, promosso e seguito nei minimi dettagli.

Incontrando i volontari di diversi Paesi che assisteranno la Russia nell'organizzazione dei Giochi, ha sottolineato che in Russia, a differenza di «altri Paesi e alcuni Stati americani», l'omosessualità non è un reato, e «nessuno viene acchiappato» per quello che Putin definisce «forme non tradizionali di interazione sessuale tra esseri umani». In Russia è vietato propagandare l'omosessualità e la pedofilia, abbinate nella famigerata legge «anti-gay» come nel discorso del presidente suonando quasi sinonimi.

Andrej Tanichev e Roman Kochagov gestiscono lultimo gayclub della citt

Una dichiarazione che, nel contesto dell'incontro con i giovani volontari molti dei quali entusiasti di vedere il presidente russo («Sono un clone», ha detto Putin a un ragazzo che continuava a esprimere la sua incredulità, mentre una cinese ha avuto l'onore di un pizzicotto del capo del Cremlino per convincerla che non stava sognando), doveva probabilmente suonare tollerante e distensiva, ma che invece ha rinfocolato le polemiche, all'interno del Paese e ancora di più all'estero.

Anche perché Putin ha colto l'occasione per tornare a criticare i costumi occidentali: «Alcuni parlamenti stanno per legalizzare la pedofilia», ha comunicato ai ragazzi invitando a «spulciare Internet» quando qualcuno ha osato chiedere di quali Paesi parlasse. E comunque «noi cosa dobbiamo fare, seguirli come cagnolini?», ha chiesto.

PUTIN IN VISITA A SOCHI

Un attacco che riprende le accuse di «tolleranza asessuata e sterile» lanciate all'Europa dal presidente nel suo discorso annuale alla nazione.

La incombente cerimonia inaugurale a Sochi si presenta complicata, con il boicottaggio dei leader tedeschi e francesi e Obama che ha messo nella delegazione americana esponenti del mondo Lgbt. Ci sarà invece il premier Enrico Letta, come ha annunciato ieri il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri.

Da Mosca il Guardasigilli ha ricordato che Letta aveva accolto l'invito russo: «Ritengo che abbia fatto questa promessa coscientemente», ha aggiunto, in quanto «l'Italia vuole essere un punto di riferimento per il dialogo piuttosto che per i contrasti».

A pochi giorni dall'inizio delle Olimpiadi, resta alto anche l'allarme terrorismo. Nel Daghestan, repubblica caucasica dilaniata da faide tribali e fondamentalismo, ieri un duplice attentato ha fatto 14 feriti, tra cui 5 poliziotti. Un regolamento di conti, secondo la polizia, che però arriva pochi giorni dopo una nuova offensiva contro gli islamisti culminata in un feroce scontro a fuoco.

Gli omosessuali a Sochi possono sentirsi «tranquilli e disinvolti», ma a una condizione: «Per cortesia, lasciate in pace i bambini». Vladimir Putin riesuma il binomio omosessalità-pedofilia nel spiegare al mondo le regole per le Olimpiadi invernali che lui ha voluto, promosso e seguito nei minimi dettagli.

MEDVEDEV E PUTIN A SOCHI

Incontrando i volontari di diversi Paesi che assisteranno la Russia nell'organizzazione dei Giochi, ha sottolineato che in Russia, a differenza di «altri Paesi e alcuni Stati americani», l'omosessualità non è un reato, e «nessuno viene acchiappato» per quello che Putin definisce «forme non tradizionali di interazione sessuale tra esseri umani». In Russia è vietato propagandare l'omosessualità e la pedofilia, abbinate nella famigerata legge «anti-gay» come nel discorso del presidente suonando quasi sinonimi.

PUSSY RIOT CONFERENZA STAMPA

Una dichiarazione che, nel contesto dell'incontro con i giovani volontari molti dei quali entusiasti di vedere il presidente russo («Sono un clone», ha detto Putin a un ragazzo che continuava a esprimere la sua incredulità, mentre una cinese ha avuto l'onore di un pizzicotto del capo del Cremlino per convincerla che non stava sognando), doveva probabilmente suonare tollerante e distensiva, ma che invece ha rinfocolato le polemiche, all'interno del Paese e ancora di più all'estero.

Anche perché Putin ha colto l'occasione per tornare a criticare i costumi occidentali: «Alcuni parlamenti stanno per legalizzare la pedofilia», ha comunicato ai ragazzi invitando a «spulciare Internet» quando qualcuno ha osato chiedere di quali Paesi parlasse. E comunque «noi cosa dobbiamo fare, seguirli come cagnolini?», ha chiesto.

Un tempo Sochi era una citt simbolo di tolleranza Per via del conservatorismo di Putin molti gay sono fuggiti

Un attacco che riprende le accuse di «tolleranza asessuata e sterile» lanciate all'Europa dal presidente nel suo discorso annuale alla nazione.
La incombente cerimonia inaugurale a Sochi si presenta complicata, con il boicottaggio dei leader tedeschi e francesi e Obama che ha messo nella delegazione americana esponenti del mondo Lgbt. Ci sarà invece il premier Enrico Letta, come ha annunciato ieri il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Da Mosca il Guardasigilli ha ricordato che Letta aveva accolto l'invito russo: «Ritengo che abbia fatto questa promessa coscientemente», ha aggiunto, in quanto «l'Italia vuole essere un punto di riferimento per il dialogo piuttosto che per i contrasti».

PUTIN A SOCHI DOVE MANCA LA NEVE

A pochi giorni dall'inizio delle Olimpiadi, resta alto anche l'allarme terrorismo. Nel Daghestan, repubblica caucasica dilaniata da faide tribali e fondamentalismo, ieri un duplice attentato ha fatto 14 feriti, tra cui 5 poliziotti. Un regolamento di conti, secondo la polizia, che però arriva pochi giorni dopo una nuova offensiva contro gli islamisti culminata in un feroce scontro a fuoco.

 

 

DUE ORE DI FACCIA A FACCIA PER TROVARSI D’ACCORDO SUL MODELLO ELETTORALE SPAGNOLO

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DAGOREPORT

bruno vespa tra renzi e berlusconi

L’accordo siglato tra Renzie e il Banana è micidiale per tutti gli altri, Grillo escluso. I due leader hanno deciso di puntare sul modello spagnolo, con un micidiale tetto di coalizione all’8%. Come funziona? Se ad esempio Angelino Alfano si coalizza con Forza Italia e Nichi Vendola con il Pd, Ncd e Sel devono comunque prendere l’8%.

 

Se prendono anche solo il 7,9%, subiscono la beffa di non esprimere neppure un parlamentare. Con un sistema del genere, gli alfanoidi sarebbero in ginocchio e Scelta Civica dovrebbe andare a Lourdes. E Vendola? Vendola no perché pare che abbia già stretto un accordo per entrare direttamente nel pd renziano. PROTESTE PER BERLUSCONI AL NAZARENO

Il modello spagnolo prevede circoscrizioni abbastamza ampie, più o meno su base proovinciale e con liste bloccate. La versione all'"italiana" lo correggerebbe con un robusto premio di maggioranza intorno al 15%, in modo da assicurare la piena governabilità. 

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO

Il modello spagnolo calato in un contesto tripolare (Pd-Forza Italia-M5S), ha bisogno di un premio di maggioranza, sul quale le trattative saranno durissime, anzi perché con i collegi plurinominali con tre seggi o più, ciascuno dei tre schieramenti principali prenderebbe un seggio a testa in ogni circoscrizione e perfino un premio del 15% potrebbe non essere quasi sufficiente a indicare un vincitore.

VIA COL VENTO RENZI E BERLUSCONI

Renzi sapeva che a Berlusconi piace il sistema spagnolo e da questo è partito, ma ha provato a mettere sul tavolo anche il ballottaggio al secondo turno. Il ballottaggio però al Cavaliere non piace perché ritiene che in Italia, storicamente, l'elettorato di sinistra sia più disciplinato e compatto nel tornare alle urne dopo due domeniche.

 

ALFANO LETTA CETRIOLO

Gli altri argomenti trattati nel vertice del Grande Disgelo sono la riforma del Titolo V della Costituzione e la trasformazione del Senato in “camera delle autonomie”. La prima riguarda la messa a punto della ripartizione dei poteri tra Stato e Regioni, visto che il federalismo fiscale introdotto negli anni scorsi è stato sostanzialmente svuotato dal continuo taglio dei trasferimenti dal centro alla periferia. Inoltre, alcune materie come l’energia dovrebbero tornare di esclusiva pertinenza statale.

 

La riforma di Palazzo Madama prevede invece l’addio al bicameralismo perfetto (in cui le due Camere fanno sostanzialmente le stesse cose) e della doppia approvazione di ogni legge. Al nuovo Senato si vorrebbero assegnare solo le materie che riguardano Regioni e Comuni, chiamandone a far parte rappresentanti delle amministrazioni locali.

SILVIO BERLUSCONI E ANGELINO ALFANO

 

Tutto ciò permetterebbe di trasformarlo in una Camera a “costo zero” – non ci sarebbe la doppia indennità – e darebbe un notevole segnale alla pubblica opinione di taglio ai costi della politica. Sono due riforme che Renzi vuole intestarsi a tutti i costi già prima delle elezioni Europee per dare un segnale all’elettorato che con la sua segreteria il vento è cambiato.

 

 

VALERIE ESCE DALL’OSPEDALE MA NIENTE ELISEO: HOLLANDE LA SPEDISCE IN ESILIO A VERSAILLES

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1. VALERIE ESCE DA OSPEDALE -
L'ELISEO: "ANDRÀ A VERSAILLES"
La Stampa.it

Valerie Trierweiler

Valerie Trierweiler ha lasciato poco dopo le 15 l'ospedale parigino della Pitie' Salpetrie're, per recarsi nella residenza della Lanterne a Versailles. Lo riferisce il sito del settimanale Paris Match.

Il settimanale, per il quale Trerweiler è stata reporter politica per anni e su cui ancora ha una rubrica, cita fonti confidenziali vicine alla donna.

Secondo quanto anticipato nella tarda serata di ieri dall'entourage dell'Eliseo, sempre a Paris Match, la Trierweiler resterà alla Lanterne, una delle residenze ufficiali presidenziali, per qualche giorno, per riposarsi e «restare tranquilla», lontana dall'attenzione dei media.

Nel frattempo, Francois Hollande ha concluso a Tulle il tradizionale discorso di auguri di inizio anno agli abitanti della regione Correze, suo feudo elettorale, a cui hanno assistito oltre 90 giornalisti accreditati, tra cui gli inviati della Bbc e del New York Times.

Valerie Trierweiler

2. HOLLANDE VA DA VALÉRIE IN OSPEDALE MA SABATO VOLEVA SEPARARSI "HA PRANZATO DAI GENITORI DI JULIE"
Anais Ginori per La Repubblica

Lui rimane di ghiaccio, quasi indifferente, forse perché non vuole essere accusato di trascurare il governo del Paese. Lei è ancora molto provata, secondo le ultime voci il suo stato psicofisico sarebbe peggiorato e neppure i figli le possono più parlare. François Hollande e Valérie Trierweiler vivono la loro drammatica crisi di coppia davanti agli occhi dei francesi che, come succede in questi casi, fanno il tifo per l'uno o per l'altra. Il capo di Stato è nella situazione più difficile, almeno sul piano pubblico. Le rivelazioni sulla liaison con l'attrice Julie Gayet continuano incessanti.

Valerie Trierweiler

Secondo Closer, tra rotture e riconciliazioni, i due amanti si sarebbero frequentati dal 2011, quando lui faceva campagna elettorale insieme a Trierweiler. Hollande è recidivo. Tra il 2005 e il 2007, viveva con la giornalista di Paris Match ma continuava a mantenere una coppia di facciata con Ségolène Royal. L'estate scorsa, Hollande avrebbe portato l'attrice nel suo feudo elettorale, la Corrèze, e avrebbe pranzato "in famiglia" nel castello dei genitori di Gayet.

PER VOICI HOLLANDE HA SCELTO JULIE

Criticato dall'entourage della première dame, il presidente è finalmente andato a trovarla in ospedale, giovedì sera, dopo una settimana di gelo. È l'unica notizia annunciata dall'Eliseo, in questa lungo e strano silenzio ufficiale, per smentire l'immagine di un uomo "anafettivo", come ha detto una volta Trierweiler.

APERTURA DEL DAILY MAIL SU HOLLANDE JULIE TWITTATA DA SIMONA SIRI

L'impatto negativo dell'affaire comincia a farsi sentire. Un nuovo sondaggio di Ifop registra l'ennesimo calo di consensi: solo il 29% dei francesi si fida della "sincerità" del presidente, con un crollo di 14% rispetto all'aprile scorso, e appena il 22% lo considera "competente" (-5 punti).

La visita all'ospedale Pitié-Salpetrière non nasconde le reali intenzioni del presidente. Sabato scorso, il leader socialista ha proposto invano a Trierweiler di firmare insieme un comunicato nel quale avrebbero ufficializzato la loro separazione.

Da allora va avanti un braccio di ferro teso e dall'esito incerto. Secondo Paris Match,
i medici che assistono la première dame sono preoccupati. Ieri, per la prima volta il figlio minore di 16 anni non è potuto andare a trovare la madre. Trierweiler avrebbe anche smesso di rispondere al telefono.

Valerie Trierweiler

La sua richiesta di lasciare l'ospedale è stata respinta dall'équipe medica. Nei dibattiti tv, cominciano a alzarsi voci in difesa della compagna tradita. «E' orribile quello che sta vivendo» commenta Bernard Pivot, presidente dell'Accademia Goncourt. L'ex ministra Christine Boutin accusa Hollande di voler "buttare" Trierweiler come si fa con un kleenex, mentre Frédéric Mitterrand, già ministro della Cultura con Sarkozy, scherza pesantemente sull'indomito "Casanova", parlando di "François il Magnifico Scopatore".

HOLLANDE article AA AD C x

Intanto Julie Gayet, che ha chiesto 50mila euro di danni a Closer, non si fa vedere in pubblico da una settimana. Ha dato forfait alla proiezione di un film di cui era produttrice e ha dovuto mandare un comunicato per negare di essere incinta. Ieri è rimbalzata di nuovo la notizia, smentita, di una visita di Ségolène Royal a Trierweiler.

Royal è stata effettivamente fotografata all'ingresso dell'ospedale. Trierweiler ha
sempre ostentato una forte gelosia per l'ex compagna di Hollande, fino a twittare contro di lei. Qualche mese fa, rivela ora una giornalista, Royal aveva confidato: «E' inutile cercare di cancellare il passato, Valérie farebbe meglio di preoccuparsi della prossima ».

 


IL BORDELLO O LA BANCA? Il PRESIDENTE DELL’EX COLOSSO BANCARIO OLANDESE ABN AMRO SI TRAVESTE DA DRAG QUEEN

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VIDEO - http://www.youtube.com/watch?v=nUo2xcxsOdY

Federico Rampini per La Repubblica

Imponente e spavalda drag queen, Priscilla arringa i dipendenti del colosso bancario olandese Abn Amro (o quel che ne resta) spiegando: "Siamo in un business florido con una tradizione secolare". Il mestiere piu` antico del mondo, insomma: il bordello o la banca?

Trionfo in scena, applausi a ripetizione, risate convulse, perché tutti sanno chi c'è sotto il costume di Priscilla. È Gerrit Zalm, il vero presidente della banca olandese, non nuovo a questi exploit teatrali con travestimenti da drag queen. Priscilla non è sua sorella come vuole la finzione dello spettacolo, è proprio lui.

Un pezzo di bravura, un piccolo capolavoro di satira autoironica. Abito lungo, di un blu scintillante come gli occhialoni appariscenti, parrucca rossa, finti seni protuberanti, tacchi a spillo, voce in falsetto. Un attore di prim'ordine, con una sceneggiatura spumeggiante. I doppisensi li spara a raffica come un vecchio teatrante d'avanspettacolo.

ZALM

Esalta la qualità del "front office" (l'equivalente degli sportelli bancari) occhieggiando il proprio petto generoso; poi il "back office" (gli uffici ammini-strativi della banca che stanno sul "retro") palpeggiandosi le natiche. Sul presunto fratello, la battuta più tenera è questa: «Il presidente ha smesso di lavorare, preferisce dirigere, così guadagna di più»). Il successo della prima performance sul palcoscenico è stato tale che Abn Amro annuncia "almeno sei repliche".

Non bisogna privare del godimento nessuno dei 23.000 dipendenti della banca. La prossima volta forse non basterà un semplice teatro, di questo passo bisognerà affittare uno stadio. Dopo aver depredato i risparmiatori di mezzo mondo, i banchieri vogliono sfidare anche gli incassi dei Rolling Stones?

E sì che questo Zalm noi ce lo ricordiamo come uno dei sacerdoti dell'austerity, austero ministro delle Finanze olandese dal 1994 al 2007, liberale e liberista, uno degli
artefici del Trattato di Maastricht, sempre pronto a schierarsi con la Germania nel bacchettare quegli spreconi dei Pigs, i "porcellini" dell'Europa meridionale.

Lo avevamo perso di vista, mentre lui si rifaceva una seconda vita nel settore privato. Nella migliore (o peggiore) tradizione delle "porte girevoli", il sistema inventato in America che ha tanti emuli anche sul Vecchio continente, dopo essere stato al governo e` entrato nel mondo della finanza. Fino a diventare presidente di una banca che lo stesso governo olandese ha dovuto nazionalizzare per salvarla dal crac.

Abn Amro, è la sezione rimasta in Olanda, dopo che altri pezzi di quel colosso furono venduti a Santander, Fortis, Royal Bank of Scotland, a loro volta trascinati nel disastro (anche l'Italia fu coinvolta, col Monte dei Paschi di Siena che strapagò l'Antonveneta ex filiale di Abn). Come presidente di Abn Amro, secondo il Financial Times, prima di inventarsi il sosia Priscilla, Zalm «era noto come un manager grigio e aspro».

sir richard branson

La metamorfosi trasgressiva, secondo un portavoce della banca, "si inserisce in un'antica tradizione di umorismo olandese". Umorismo beffardo, evidentemente. Chissà se insieme con i dipendenti della banca si sono divertiti a guardare Priscilla su YouTube anche i contribuenti olandesi, che ci hanno rimesso 30 miliardi di euro: tanto è costato il salvataggio pubblico di Abn Amro. Lui si difende spiegando di aver voluto «enfatizzare il bisogno di valori forti in una banca dal passato torbido».

RICHARD BRANSON VESTITO DA HOSTESS ROVESCIA I SUCCHI ADDOSSO AL RIVALE TONY FERNANDES VINCITORE DELLA SCOMMESSA

La performance della drag queen potrebbe giustificarsi come un'abile trovata di marketing. I precedenti illustri non mancano. Sir Richard Branson, il magnate inglese di Virgin, apparve vestito e truccato da hostess su un volo di Air Asia per pagare il pegno di una scommessa perduta.

Steve Ballmer di Microsoft riscattò la sua immagine "noiosa" con un'apparizione talmente esuberante a una convention aziendale, che qualcuno credette di sentire l'aroma della marijuana. E Steve Jobs in un ispirato discorso alla Stanford University invitò i giovani ad "essere folli", come un rito iniziatico verso la creatività. In quanto al travestimento e alle allusioni sessuali, anche Wall Street ha una tradizione liberal: il top management di Goldman Sachs versò generose contribuzioni per la campagna a favore dei matrimoni gay.

RICHARD BRANSON VESTITO DA HOSTESS RICHARD BRANSON TRAVESTITO DA HOSTESS CON I SUCCHI jpeg

Ma a quando lo stesso spirito progressista, applicato ai superstipendi del top management? È proprio il Financial Times a insinuare il tarlo del dubbio, dietro l'euforica performance teatrale di Priscilla. «La verità è che le azioni delle banche sono risalite, i bonus torneranno a crescere, e tutta la disciplina mostrata dalle banche negli ultimi anni potrebbe dissolversi». Di Zalm, gli olandesi forse ora ricorderanno solo la versione drag queen. Dimenticando che il suo liberismo a oltranza contribuì a seminare anche nel suo paese i germi della crisi, e un'ondata di riflusso anti-europeista.

 

RENZI SFERZA LETTA: “DOVREBBE RINGRAZIARMI, INVECE DICE CHE È MERITO SUO"

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RENZI E LETTA

Federico Geremicca per "la Stampa"

«E adesso voglio vedere se avranno ancora il coraggio di dire che voglio mettere in crisi il governo, che il mio obiettivo sono le elezioni anticipate e che sono solo immagine e niente sostanza». Sono le nove della sera, Matteo Renzi è in treno e sta facendo ritorno a Firenze. Il lungo e contestatissimo incontro con Silvio Berlusconi è andato bene, c'è un'intesa di massima sull'intero percorso riformatore (dalla legge elettorale all'abolizione del Senato, fino alla riforma del Titolo V) e ti aspetteresti, dunque, un Renzi contento e in gran forma. Ma no, niente da fare. Assolutamente no.

Il leader Pd, stanco e provato da una settimana dura e segnata da non più di quattro o cinque ore di sonno a notte, è un fiume in piena: «Ho dimostrato che quel che dicevo da mesi era vero: ho messo gli interessi del Paese davanti a tutto - spiega - Li ho messi anche davanti ai miei interessi personali, perchè non c'è dubbio che andare al voto subito sarebbe stata un'occasione, per me. Ora la smetteranno, spero. Anche se non so quanto siano contenti, visto che in tre settimane stiamo facendo un lavoro che non erano stati in grado di fare in dieci anni».

Soddisfatto, dunque: ma solo parzialmente e - come si usa dire in questi casi - con molti sassolini da togliersi dalle scarpe. Il primo riguarda Enrico Letta col quale - nonostante gli sforzi reciproci - proprio non riesce a trovare una sintonia : «Se va in porto l'intesa - dice Renzi - il suo governo è salvo. Dovrebbe ringraziarmi, e invece va mettendo in giro la voce che se si troverà un'intesa su una nuova legge elettorale è per merito suo, per la sua mediazione. Ma credo che tutti abbiano capito che lui non c'entra niente col lavoro che stiamo facendo. Per sapere com'era andato l'incontro con Berlusconi e cosa avevamo deciso, ieri ha dovuto chiamare lo zio...».

Il secondo sassolino, invece, riguarda il Pd. «Lunedì - continua Renzi - faremo la Direzione e vedremo che cosa accadrà. Il modello al quale stiamo lavorando mi pare possa funzionare, ma ciò nonostante sono sicuro che in molti voteranno contro. Diranno che il sistema che il Pd preferisce è il doppio turno... Anche a me sarebbe piaciuto il doppio turno, ma non ci sono i numeri per approvarlo, e bisogna farsene una ragione».

Il segretario, insomma, teme un'altra Direzione tesa e nervosa quanto quella di qualche giorno fa. Immagina già bersaniani e dalemiani in campo contro di lui. Del resto, lo scontro per le primarie è stato durissimo, e troppe ferite sanguinano ancora«Fa niente, faremo i conti anche con loro. Intanto, però, ho fatto sapere a Bersani che se ha voglia e se la sente, domani (oggi per chi legge, ndr) vado a Parma a trovarlo in ospedale per raccontargli a che punto della faccenda siamo arrivati e come pensiamo si potrebbe chiudere. Aspetto solo di sapere da Vasco Errari se Pier Luigi ne ha voglia e se la sente...».

Fa il viaggio di ritorno da solo, così come da solo era venuto da Firenze a Roma. E anche quest'immagine consegna, plasticamente, la fotografia di un leader solitario. Patti con nessuno, poche intese - se non quando assolutamente necessario - e uno stile politico che, per delicatezza, ricorda l'avanzare di un bulldozer in un campo di macerie. Faceva così a Firenze e non ha cambiato metodo una volta arrivato a Roma. Un ciclone. Sembra essere nella capitale e sul palcoscenico nazionale da anni, e invece è stato proclamato segretario un mese fa. Solo che ha preso il Pd al guinzaglio e lo sta portando a spasso come un cagnolino. Ora di qua, ora di là, ora su, ora giù... Anche i fedelissimi - amici e compagni della prima ora - fanno sempre più fatica a seguirne le mosse...

È anche per questo, per questo stile di direzione - a volerla dir così - che si va facendo sempre più assordante il silenzio dei Capi. Veltroni, D'Alema, Marini, Bindi, Finocchiaro... un silenzio assordante. Alcuni sono forse ancora realmente indecisi su cosa pensare; altri scommetterebbero volentieri su un suo fallimento, ma non ne vedono i segni. E poi ci sono quelli che non sanno in cosa sperare. Ma è questione di tempo. E uno degli interrogativi è proprio questo: quanto tempo ha ancora davanti Matteo Renzi prima che finisca lo stupore, il torpore che sembra aver avvolto il Pd? Quando saranno dissotterrate le solite e affilatissime asce di guerra?

«Faremo i conti anche con questo - dice Renzi mentre il treno entra in stazione -. Ma intanto dovrebbero essere contenti. Il Pd perchè siamo ripartiti e tornati al centro della scena. E quelli che stanno al governo, per il fatto che possono andare avanti: anche grazie al lavoro che sto facendo io...». Questo dice Renzi: dovrebbero essere tutti contenti. E invece, chissà perchè, di contenti in giro se ne continuano a vedere pochi che più pochi non si può...

BERLUSCONI ENTRA AL NAZARENOBERLUSCONI ENTRA AL NAZARENO

LA TERZA REPUBBLICA PUÒ NASCERE DALL’ACCORDO TRA RENZIE E IL BANANA RELOADED

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Francesco Bonazzi per Dagospia

VIGNETTA VINCINO DAL FOGLIO RENZI E BERLUSCONI

TERZA REPUBBLICA è quella che può nascere dall'accordo trovato ieri tra Renzie e il Banana Reloaded. Le alleanze, in politica, le fanno le leggi elettorali e non viceversa. L'accordo su un modello spagnolo con sbarramenti al 5-8% e premio di maggioranza al 15-20% (i numeri sono trattabili con gli altri partiti) rafforzerà Pd, Forza Italia e Cinque Stelle. Gli altri saranno costretti a coalizzarsi, ma dovranno portare voti veri, con il rischio di non eleggere nessun parlamentare se non superano lo sbarramento, pur magari risultando decisivi per la vittoria della coalizione.

RENZI E BERLUSCONI

La riforma del Senato "a costo zero" (Camera delle autonomie) e un nuovo intervento sulla ripartizione dei poteri tra Stato centrale e amministrazioni locali manderà in soffitta il nostro federalismo all'amatriciana. Ma soprattutto, sarà spendibile dal Rottam'attore e dal suo nuovo amico Cainano come un taglio ai costi della politica, in modo da sfidare Grillomao sul suo terreno.

VIA COL VENTO RENZI E BERLUSCONI

CESPUGLI IN FUGA
La trattativa sulle soglie di sbarramento parte con la pistola alla tempia di questo accordo tra i due maggiori partiti e del disinteresse di Grillomao, proporzionalista per evidenti motivi di convenienza politica (prendere molti voti, provare a crescere ancora, ma stare sempre da soli). La novità è che il Banana non vuole riprendersi gli alfanoidi: li vuole umiliare. I "traditori" devono tornare a casa con il cappello in mano, chiedere l'apparentamento e poi pedalare tanto per la sua vittoria. Sua di Lui. In alternativa potrebbero associarsi con Sciolta Civica e provare a rifare il Grande Centro che non è mai riuscito a Casini. La Lega teoricamente non parte malissimo, perché il modello spagnolo premia i partiti forti localmente. Il suo problema è che perde consensi di mese in mese.

LANCIO DI UOVA PER BERLUSCONI AL NAZARENO

MINORANZA A LA CARTE
La vera forza del progetto Renzie-Banana è che consente a entrambi di rafforzare la propria leadership assoluta nei rispettivi schieramenti, per poi giocarsela tra loro a viso aperto in un secondo momento. Il Rottam'attore ha ancora una minoranza interna battagliera e che tenta di pugnalarlo alle spalle, come si è visto nel maldestro tentativo di impedirgli di incontrare il condannato Silvio.

Ma sa già come sostituirla: aprendo le porte del Pd a Nichi Vendola, impossibilitato a candidarsi come front man dopo la telefonata famosa sull'Ilva. Sel in tal modo si salva dalle ghigliottine delle soglie di sbarramento e Matteuccio si fabbrica un "oppositore" leale e non vendicativo, mandando in pensione D'Alema, Bersani, Cuperlo e la Finocchiaro.

PROTESTE PER BERLUSCONI AL NAZARENO

IL RUOLO DI RE GIORGIO
La nascita della Terza Repubblica piace a Re Giorgio, con il quale Renzie ha molto parlato in questi giorni. Una legge elettorale maggioritaria e la riforma del Senato e del titolo V della Costituzione sono suoi antichi desideri. Se si realizzano, cambierà anche il suo bilancio da capo dello Stato. Re Giorgio chiede solo di procedere in modo non "violento" sulla legge elettorale, più che altro per non creare ingovernabilità e non far salire lo spread. Ecco perché il vero tutore di Alfano è il Colle.

Angelino Alfano Bruno Vespa Matteo Renzi

SOTTOSEGRETARIO ANCORA PER UN ANNO
L'accordo a tre punte di ieri allunga la vita al governino di Mezze Intese guidato dal capo dello Stato e dal suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Lettanipote. In questo senso, il fatto che ieri il Banana si sia portato al Nazareno Letta-zio è la miglior garanzia di tranquillità per Enricone. Non deve impicciarsi nelle grandi riforme, non deve fare l'avvocato di Alfanayev e ora può procedere liberamente al rimpasto di governo, facendo bene attenzione a non coinvolgere ufficialmente il segretario del suo partito. Se poi si gioca bene il semestre di presidenza europeo, sarà Renzi stesso ad aiutarlo ad avere ciò che realmente desidera per il proprio futuro: un incarico a Bruxelles.

senato ansa

FAR WEST PALAZZO MADAMA
Si chiama Senato la grande incognita che pesa sull'accordo Renzie-Banana. In direzione Pd, i numeri del segretario sono schiaccianti e domani non ci sarà partita. Ma al Senato servono 161 voti e i due novelli Riformatori ne hanno solo 85 perché dei 108 senatori piddini soltanto 25, come calcola Lorenzo Fuccaro sul Corriere di oggi, sono renziani sicuri. Se poi si tiene conto del fatto che è proprio la Camera destinata a essere stravolta dalla Grande Riforma è facile intuire che ogni voto segreto rischia di trasformarsi in una battaglia campale.

berlusconi, santoro

SOCIALMENTE UTILE?
Berlusca esce dall'angolo dopo cinque mesi orribili. Con tutta calma, il Tribunale di Milano sta decidendo sul suo affidamento in prova ai servizi sociali. Ma lui, da oggi, serve la collettività nei panni del Riformatore. Più che una sentenza, poterono i voti. La democrazia rappresentativa, del resto, pare funzioni così.

 

SANITOPOLI CAUDINA - NUMEROSI IMPRENDITORI E PROFESSIONISTI VENGONO SENTITI DAGLI INQUIRENTI SU TRANSAZIONI MILIONARIE

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Conchita Sannino per "la Repubblica"

nunzia de girolamo francesco boccia

Le riunioni del direttorio?
«Io venivo invitato a partecipare, organizzava Luigi Barone ». Leggi: il fedelissimo del ministro Nunzia De Girolamo. Ecco cosa racconta, al gip di Benevento, Felice Pisapia, l'ex direttore amministrativo dell'Asl che con le sue registrazioni segrete ha aperto la Sanitopoli che scuote il governo. Un altro, distinto interrogatorio svela poi le gravi anomalie legate a truffe e parcelle milionarie all'interno della Asl, per 10 milioni di euro, e conferma la consuetudine di riunioni e discussioni tra l'inquisito Pisapia e l'allora deputata Pdl. Almeno fino ai primi del 2013.

«Io sono un personaggio scomodo nella Asl. Non mi piegavo », racconta Pisapia al pm Giovanni Tartaglia Polcini. E aggiunge: «Affrontai questa discussione anche con Nunzia De Girolamo». A che titolo la deputata accoglieva un personaggio che nella Asl le stava tanto a cuore da fargli ricoprire tre incarichi e che oggi, in aula, definisce di «spessore delinquenziale»? Con quali esiti? E in quali sedi?

nunzia de girolamo

Intanto si allarga ad altre imprese la Sanitopoli beneventana. Numerosi imprenditori e professionisti vengono sentiti dagli inquirenti su transazioni milionarie. Tra le altre vicende che imbarazzano l'entourage del ministro, spunta uno scambio di favori tra Asl e un'azienda di derattizzazione e sanificazione di Franco Raia, guarda caso fratello di una consigliere regionale Pdl, Paola. Ma quest'ultima oggi replica: «Non parlo, non so, non amministro più da anni la società». Che però resta in famiglia.

PISAPIA: «IO VENIVO INVITATO IN QUELLA CASA»
Partiamo dal verbale più recente. Risale al 30 dicembre. Pisapia risponde al gip Flavio Cusani, alla presenza del legale e del pm, è accusato di truffa e peculato. E, alla domanda sul direttorio, risponde: «Io venivo invitato a partecipare a riunioni in case private. Le riunioni erano organizzate da Luigi Barone. Si trattava di rispondere ad alcune esigenze politico-territoriali».

Il pm allora incalza Pisapia sul tentativo di strumentalizzare la vicenda mediaticamente cita il primo servizio (la Repubblica, 18 dicembre 2013) in cui, quando non c'è neanche una misura cautelare, si parla del ministro registrato e del caso pronto ad esplodere, Pisapia ribatte: «Non ho inteso attaccare nessuno, non ho dato interviste a Repubblica, non partecipo a "operazioni"». Più avanti dice che lui ha solo consegnato i file audio, e aggiunge: «Forse la stampa ha inteso strumentalizzare».

DE GIROLAMO MAZZUCA

«VOLEVANO EPURARMI. NE DISCUSSI CON NUNZIA»
Un altro interrogatorio risale a un anno fa: 18 gennaio 2013. Pisapia risponde al pm. Si tocca il nodo dell'affaire: anomalie su 87 mandati di pagamento, tutti emessi nella stessa data, quasi tutti da Pisapia, per 8 milioni, come da esposto del direttore generale Michele Rossi. Lo stesso Rossi, settimane prima, era stato denunciato dal rivale Pisapia per clamorose irregolarità su altri mandati. Qui, in particolare, Pisapia ipotizza violazioni del proprio pc e accessi misteriosi in stanza.

Pm Tartaglia Polcini: «Ora noi abbiamo due versioni di un fatto gravissimo: o c'è l'emissione di mandati in violazione di legge che, avendo favorito la sua persona e una a lei vicina (l'avvocato Giovanna Perna), costituiscono abuso d'ufficio se non peculato. O, seconda tesi: qualcuno viene a seminare prove a suo carico perché lei era scomodo all'interno della Asl e bisognava farla fuori, ok? (...) Macchinazione in suo danno?».

NUNZIA DE GIROLAMO MARA CARFAGNA resize

Pisapia: «Sì, (della macchinazione) mi fu riferito anche da... « Pm: «Ma scusi: siamo laureati, specializzati e pure intelligenti. Se era deciso che lei doveva andar via da direttore del bilancio, io la posso sostituire, esautorare, perché sono il direttore, che bisogno ho di screditarla?».
Pisapia: «Mi si voleva rimuovere da quella Asl».
Pm: «E perché?».
Pisapia: «Perché sono un personaggio scomodo. Perché cerco di fare il mio lavoro al meglio, poi non mi volevo piegare... «.
Pm: «Ad alcune violazioni?».
Pisapia: «Assolutamente. Posso riferire di altre persone in grado di confermare la volontà del dg Rossi di esautorarmi non solo dalla direzione Bilancio ma da qualsiasi
altro incarico in Asl. Parlo di accanimenti ».

Pisapia poi racconta di voci raccolte da «personaggi vicini al Pdl»: vogliono farlo fuori. Pisapia afferma: « Anche questo è stato argomento di discussione, anche politica, tra me e Nunzia De Girolamo». Il pm verbalizza: «Ne parlai anche con l'onorevole... «. Come, quante volte? In quali sedi? Nessuno va oltre. Sarà Pisapia, mesi dopo, a consegnare al pm i file audio delle sue registrazioni. E sarà il gip Cusani a far deflagrare il caso, il 27 dicembre. Per lui, operava il «direttorio politico-partitico costituito al di fuori di ogni norma di legge da componenti esterni all'amministrazione che si occupava, con modalità a dir poco deprimenti e indecorose, di ogni aspetto della funzione della Asl, in funzione di interessi privati e ricerca del consenso ». Direttorio che, a detta del ministro nella sede del Parlamento, «non esiste».

berlusconi e nunzia de girolamo alla camera

 

“THE COUNSELOR”, OVVERO COME FLOPPARE UN FILM SCRITTO DA CORMAC MCCARTHY E DIRETTO DA RIDLEY SCOTT

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Marco Giusti per Dagospia

the counselor - il procuratore

Beh!? Una sceneggiatura scritta per il cinema da Cormac McCarthy, uno dei più grandi scrittori viventi. Una regia firmata da Ridley Scott. Un cast che spazia da Michael Fassbender a Penelope Cruz, da Javier Bardem a Brad Pitt e Cameron Diaz, con camei di Bruno Ganz, Rosie Perez, Ruben Blades, Edgar Ramirez. Riprese in ogni parte del mondo. E il risultato è un disastro?

Capita, si dirà. Ma certo questo "The Counselor", cioè Il Consigliori, ma da noi tradotto calcisticamente come Il procuratore, rischia di diventare un oggetto di straculto senza volerlo. Delle tante critiche che lo massacrano, la più giusta è quella di Guy Lodge su "Time Out": "La pomposa idea alla Pulp Fiction di un grande scrittore che viene tratta con stupida seriosità da tutti quelli coinvolti". Perché, se Cormac McCarthy esagera con dialoghi "importanti" di ogni personaggio, battute impossibili per qualsiasi attore, Ridley Scott e il suo cast esagerano ancora di più trattando con troppa seriosità il materiale.

the counselor - il procuratore

Quel che viene fuori o annoia o rischia il comico involontario. Toccando, comunque, la vetta massima del trash con il racconto di Javier Bardem a Michael Fassbender di quando la sua donna, la terribile Malinka di Cameron Diaz, si scopò la sua Ferrari gialla. Si tolse le mutande, fece una spaccata sul cruscotto in modo che lui le vedesse bene la topona depilata sotto al vetro e si scopò la macchina. "Sembrava un pescegatto", conclude Bardem. "Un pescegatto?" fa incredulo Fassbender e noi con lui. "Un pescegatto?".

Mai visto qualcosa di simile in un film. Certo, è grandioso anche lo scambio di battute tra Bardem e Diaz: Lui: "Sei così fredda" - Lei: "La verità non ha temperatura". Senza scordare perle raccolte qua e là. Bardem: "Mi sono sempre piaciuto le donne intelligenti. Ma è un hobby che costa molto caro".

the counselor - il procuratore

In realtà, la storia non sarebbe affatto male. In quel di Ciudad Juarez, la città più violenta del Messico (3000 morti ammazzati all'anno), un avvocato yankee, Michael Fassbender, definito The Counselor, innamorato della dolce e ingenua Laura, Penelope Cruz, decide, malgrado ogni avvertimento, di entrare in un affare di droga assieme al suo amico Reiner, Javier Bardem, e un ambiguo americano, Westfray, cioè Brad Pitt con cappello texano.

Il tutto avviene sotto gli occhi della gelida donna di Reiner, tal Malinka, Cameron Diaz, che gira con due giaguari affamati per casa e sfoggia un tatuaggio maculato sulle spalle. Ma il carico di droga che viaggia su un camion verso l'America viene intercettato da non si sa bene chi, un corriere, difeso dall'avvocato, come sua mamma Ruth, viene decapitato mentre correva in moto in piena operazione. Un carico da 20 milioni di dollari scompare. E tutti i personaggi coinvolti finiscono sotto gli occhi del Cartello. Sono solo coincidenze, sostiene l'avvocato.

the counselor - il procuratore

Ma, come dice un vecchio uomo d'affari messicano, Ruben Blades, "Loro non credono alle coincidenze, ne hanno sentito parlare, sì. Ma non le hanno mai viste". Così partono i morti ammazzati. Storia e struttura, estremamente frantumata, da decifrare attraverso i dialoghi fra i diversi personaggi, sono molto simili a "Non è un paese per vecchi", compresa l'idea della caducità degli esseri umani, ma lì i Coen avevano riletto il testo di Cormac McCarthy riportandolo al loro cinema e non c'erano sbavature letterarie.

Inoltre riuscivano a mischiarci una certa ironia e uno sguardo compassionevole sui personaggi. Ridley Scott, invece, che non è un regista di noir né un autore alla Coen né è dotato di grande ironia, si limita a una grande eleganza di messa in scena, ma non riesce a contaminare la pesantezza letteraria dei dialoghi con qualcosa di leggero o di buffo. Così tutto sembra pesantissimo e inutilmente serioso.

the counselor - il procuratore

Nessun attore è in parte. Fassbender sembra uno che non sa cosa fare per tutto il film, la Cruz fa la bambolina innocente, Javier Bardem è massacrato da un taglio di capelli assurdo che non diventa però una maschera come in "Non è un paese per vecchi", ma lo rende solo assurdo, Brad Pitt ripete un personaggio visto mille volte e Cameron Diaz, perfida e sexy, sembra più una Simona Ventura alla "X Factor" che la terribile Malinka sempre "affamata" come i suoi animaletti carinivori. Ma almeno trionfa come superdominatrix trash.

Il risultato è un disastro perché il film è pomposo, pretenzioso e senza nessuna ironia. Alla fine ci ricordiamo di qualche comparsata, come l'esperto di diamanti Bruno Ganz, il gran numero di Rosie Perez ("ti faccio un pompino?") in carcere, il dialogo al telefono di Ruben Blades, ma non del film e dei suoi protagonisti. Certo, a parte la storia di Cameron Diaz che si scopa la Ferrari gialla di Bardem e gliela fa vedere dal vetro. Un pescegatto? In sala.

 

MA NEL PORTO DI GIOIA TAURO OGNI GIORNO LE ‘NDRINE SMERCIANO DROGA, ARMI, SCORIE E RIFIUTI TOSSICI

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Enrico Fierro per "il Fatto quotidiano"

GIOIA TAURO

Arrivano i militari a Gioia Tauro. Saranno almeno seicento. A dare la notizia in anteprima è il sindaco di San Ferdinando Mimmo Madafferi. Quando tra una settimana la nave con le armi chimiche di Assad attraccherà alle banchine, il porto sarà zona di guerra, blindato, inaccessibile. E arriva anche la politica per recitare la sua parte. Ci sono i pasdaran berlusconiani Maurizio Gasparri e Jole Santelli, decine di auto blu e uomini di scorta. Le telecamere di Reggio Tv insieme a quelle di un network di televisioni cinesi.

Non c'è la gente. Nessuno protesta. Solo giornalisti annoiati. "Il governo - tuona Gasparri, fino a pochi mesi fa sponsor del governatore Peppe Scopelliti e della peggiore classe politica mai partorita dagli elettori calabresi - non può ricordarsi del porto di Gioia Tauro solo in queste occasioni. Serve una politica di rilancio". Nessuno applaude. Il sindaco Madafferi ride amaro. "Sono troppo vecchio e le promesse della politica le ricordo tutte".

GIOIA TAURO jpeg

Gioia è il porto degli eterni inganni. Prima pietra il 25 aprile del 1975, la pose Giulio Andreotti, allora ministro della Cassa per il Mezzogiorno. Erano gli effetti del "pacchetto Colombo" , il risarcimento che lo Stato italiano destinava alla Calabria dopo la rivolta di Reggio. C'erano sindaci e preti, arcivescovi e prefetti. E boss di mafia. Dicono che don Peppe Piromalli, il fondatore della ‘ndrangheta imprenditrice, fosse presente al rinfresco e che brindò. Era l'unico calabrese felice.

Il porto di Gioia Tauro

Mille miliardi spesi, vent'anni di lavori che hanno devastato la Piana per sempre. Settecento ettari di agrumeti abbattuti, 200 di uliveti distrutti. Un intero paese, Eranova, raso al suolo. Settanta milioni metri cubi di terra e materiali inerti estratti dalle cave. Il primo, vero bingo della ‘ndrangheta. Sono dovuti passare vent'anni perché il porto vedesse arrivare la prima nave. "Concorde", si chiamava, ed è passata alla storia. Quanti inganni. Lo Stato doveva costruire qui il Quinto centro siderurgico italiano.

Ottomila posti di lavoro, 1.300 miliardi di investimenti. Mai realizzato. Come la Liquichimica di Saline Jonica, altro risarcimento per i calabresi: 360 miliardi investiti per 7300 occupati. Un fallimento. Il porto ha ingrassato solo la mafia. "La Piana è nostra. Il Porto lo abbiamo fatto noi, fagli capire che in Calabria ha bisogno di noi". Parlava così pochi anni fa un rampollo delle famiglie Piromalli-Molé. Mentre Andreotti poneva quella prima pietra nel 1975, don Peppe Piromalli capì che la ‘ndrangheta non poteva accontentarsi di qualche mazzetta.

Il porto di Gioia Tauro

Quelli erano spiccioli, bisognava trasformarsi in imprenditori. E così fu. I Piromalli imposero l'ordine nella Piana. Nessun attentato estorsivo a Gioia Tauro in quell'anno. Nel 1974, invece, la dinamite era esplosa 150 volte per sistemare negozianti riottosi al pizzo e nemici scalpitanti. Per i magistrati la mafia diventa imprenditrice, "attraverso un complesso sistema di patti strategici con settori dell'imprenditoria italiana". Grazie al business del Porto, scrive la Commissione antimafia nel 2008, "i Piromalli, i Molé, i Pesce, i Bellocco, gli Alvaro hanno fatto il salto di qualità internazionale".

PIANA GIOIA TAURO

Insomma, sono diventati boss di primo livello mondiale, rispettati da tutti. Fantasie? No, perché ci sono inchieste giudiziarie e sentenze. No, perché la presenza ossessiva della ‘ndrangheta sul Porto ha allarmato finanche Obama e gli States. In un file pubblicato da Wikileaks si legge che "una delle più grandi preoccupazioni dell'America di Obama è il traffico di materiale nucleare clandestino utilizzabile dai terroristi, che potrebbe essere movimentato attraverso porti come Gioia Tauro, descritto come una falla nel sistema dei controlli doganali europei". Perché sulle banchine di Gioia è passato e passa di tutto. Droga, armi e rifiuti tossici.

DROGA

Secondo gli specialisti dell'antidroga, l'80% della cocaina prodotta in Colombia e destinata ai mercati europei passa da qui. Ne sequestrano percentuali minime. Come le armi. L'ultima, allarmante scoperta è del luglio 2010, quando in un container vennero trovati quantitativi di cobalto-60 proveniente dall'Iran. Sette tonnellate di esplosivo "T4" vennero sequestrate in un container che trasportava ufficialmente latte in polvere.

Nell'aprile del 2004 su una nave carica di tubolari, invece, fu rinvenuto un vero e proprio arsenale: 70 kalashnikov, plastico, rampe per missili, casematte in cemento armato. Anche sul traffico di rifiuti speciali, i boss della ‘ndrangheta che controllano il porto, non sono secondi a nessuno. Sei anni fa i carabinieri del Noe scoprirono tonnellate di scarti di plastica di aziende italiane destinate a Hong Kong.

Materiale tossico che sarebbe ritornato in Italia sotto forma di giocattoli. "Droga, armi, rifiuti, certo che ne sequestriamo, ma si tratta sempre di piccole quantità. Diciamo il 10-15% di quello che passa da qui. Del resto come si fa a controllare 2 milioni e 200 mila container?", ci confida un investigatore. È questo il porto dove tra sei giorni inizierà l'opera di smantellamento dell'arsenale chimico siriano. Sarà super controllato da 600 militari. Poi tutto tornerà come prima. Come sempre.

 

LA RIFORMA DELLA NSA ANNUNCIATA DA OBAMA È SOLO FUMO NEGLI OCCHI

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Paolo Mastrolilli per La Stampa

LO SPIONAGGIO DEGLI AMERICANI IN ITALIA

Il presidente Obama riforma e limita lo spionaggio digitale, ma non rinuncia a difendere l'America. Parlando ieri al dipartimento della Giustizia, per arginare lo scandalo provocato dalle rivelazioni dell'ex agente Snowden, il capo della Casa Bianca ha annunciato che da ora in poi la National Security Agency (Nsa) non potrà più raccogliere a tappeto le informazioni telefoniche, dovrà chiedere l'autorizzazione dei giudici per consultarle, e smetterà di spiare i leader stranieri. Però «abbiamo nemici da cui difenderci, e per riuscirci è necessaria la sorveglianza digitale». Tutti i Paesi la usano, del resto, e quindi «noi non ci scuseremo solo perché i nostri sistemi sono più efficaci».

LO SPIONAGGIO DEGLI AMERICANI IN ITALIA

Il presidente ha ricordato che l'intelligence è stata sempre alla base della sicurezza degli Usa, dai tempi dell'indipendenza. Quindi ha sottolineato gli indizi mancati negli attacchi dell'11 settembre, e le critiche che riceverebbero i servizi se errori simili si ripetessero. La sorveglianza della Nsa protegge il Paese e gli agenti «non stanno abusando della loro autorità, per leggere le vostre e-mail private o ascoltare le vostre chiamate».

Detto questo, Obama ha riconosciuto che la fiducia del pubblico è stata scossa e bisogna ricostruirla. Come prima cosa, intende «mettere fine al programma bulk metadata come esiste oggi, secondo la Section 215». Significa che la Nsa non potrà più raccogliere i dati telefonici a tappeto, conservarli e consultarli a piacere.

LO SPIONAGGIO DEGLI AMERICANI IN ITALIA

Questa attività, però, è indispensabile per garantire la sicurezza dell'America, e quindi va continuata con nuove modalità: un'ipotesi è chiedere alle compagnie telefoniche di conservare i dati, ma sono riluttanti; un'altra è creare un'autorità esterna che li custodisca, consentendo all'intelligence di consultarli quando serve.

La via da seguire è ancora incerta, ma Obama ha chiesto al dipartimento della Giustizia e alle altre parti di portargli proposte concrete entro il 28 marzo, quando il programma scadrà. In questa fase di transizione, le intercettazioni verranno fatte solo sulle chiamate che distano due contatti dalle persone sospette, e servirà l'autorizzazione dei giudici. Il presidente poi vuole creare una commissione di «public advocate», che dovrà difendere gli interessi dei cittadini.

MAPPA DELLO SPIONAGGIO

Sul piano internazionale, Obama ha promesso di garantire a tutti la stessa privacy degli americani, interrompendo lo spionaggio sui leader amici. Colloqui sono in corso con gli alleati, Italia inclusa, per gestire le indagini su persone sospettate di attività terroristiche o criminali. Gli Usa, però, non rinunciano a raccogliere informazioni sui governi stranieri, pur stabilendo paletti.

La sorveglianza verrà condotta per obiettivi di sicurezza come controspionaggio, anti terrorismo, proliferazione nucleare, difesa cibernetica, protezione delle truppe americane e alleate, lotta alla criminalità internazionale, inclusa l'evasione. Sarà vietata invece per sopprimere il dissenso, penalizzare persone sulla base di razza, sesso, etnia o religione, e acquisire vantaggi nel settore economico. Queste condizioni hanno il chiaro intento di distinguere le azioni americane da quelle di Paesi come Cina e Russia, a cui «nessuno chiede conto della loro trasparenza». Dagli Usa invece si pretendono standard superiori, e Obama è disposto ad accettarli, senza però «disarmarci».

LO SPIONAGGIO DEGLI AMERICANI IN ITALIA

 

SPIONAGGIO STATI UNITI

SCIENZIATI CONTRO “LE IENE” HANNO GRAVI COLPE NELL’AVER CONCORSO A COSTRUIRE, INSIEME A VANNONI, L’INGANNO STAMINA”

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Iena Giulio Golia sul presunto metodo Stamina

Elena Cattaneo, Gilberto Corbellini e Michele De Luca per "la Stampa"

La libertà di stampa è un valore non negoziabile. Proprio per questo, cioè per proteggerla, chi ne abusa causando danni a persone, in un Paese che costituzionalmente rifiuta ogni ipotesi di autorizzazione o censura, di regola andrebbe responsabilizzato dalla legge. Anche l'indicatore della libertà di stampa ci vede in fondo alla graduatoria internazionale dei paesi civili.

Un esempio eclatante di irresponsabilità nella pratica della libertà d'informazione, da cui sono venuti danni irreparabili a persone e alla sanità pubblica, è l'uso che della vicenda Stamina ha fatto nei mesi scorsi il programma televisivo «Le Iene». Interpretando al peggio la filosofia situazionista, che mescola finzione e realtà, sono state asserite circostanze insussistenti per manipolare e spettacolarizzare le sofferenze di malati e parenti.

stamina

Viceversa, i fatti provati che condannavano Stamina sono stati trasfigurati. Sono stati letteralmente ribaltati e proposti come una «dimostrazione» della «falsa propaganda del potere costituito» o di non meglio precisati «interessi di potenti multinazionali». In quanto tali, gli eroici giornalisti di «Le Iene» li contrastavano. E per farlo hanno condito il tutto con «impressioni» o «sensazioni» mosse dalle più viscerali e irrazionali emozioni.

Si dovevano usare per far questo bambini malati? Si usavano. Tra le testimonianze pubblicate in questi giorni, che danno conto dell'incredibile calvario offerto da Stamina a famiglie disperate in cambio di numerose decine di migliaia di euro, non è insolito leggere espressioni come «Avevamo visto questo programma "Le Iene"...».

r STAMINA large

Sulla vicenda Stamina il Senato ha ora dato avvio ad un'indagine conoscitiva, per comprendere anche il ruolo di alcuni mezzi di informazione nella sua origine ed evoluzione. Nel frattempo, ora che sta franando il palcoscenico su cui si è recitata la tragicommedia dell'«inganno Stamina», giocata intorno all'illusione di uno pseudo-trattamento dai poteri taumaturgici, il direttore del programma «Le Iene» (Davide Parenti), cerca di smarcarsi e ripete un ritornello già ascoltato: «Abbiamo solo raccontato».

metodo stamina vannoni

Aggiungendo che la trasmissione ha «reso testimonianza», che «basta guardare le cartelle cliniche» (quali?), «abbiamo avuto curiosità per un tipo di cure, ripeto compassionevoli, che mandavano segnali», etc. E, per eludere ogni responsabilità professionale, butta lì che loro sono «un varietà, ma un varietà anomalo».

A nostro avviso, «Le Iene» hanno gravi colpe nell'avere concorso a costruire, insieme a Vannoni, l'«inganno Stamina». Con una responsabilità morale forse equivalente a quella dello «stregone di Moncalieri» e con un impatto comunicativo sicuramente superiore a quello che «uno o più stregoni» avrebbero mai potuto avere.

Ma facciamo un passo indietro, un po' di storia per capire meglio e non lasciare dubbi, a nessuno. Già in passato, Parenti e la sua trasmissione avevano «giocato» ad alimentare false speranze presentando fenomenali «cure» a base di staminali proposte in paesi non proprio al centro della scienza e della medicina come: Thailandia o Cina. Coerentemente, nella vicenda Stamina, «Le Iene» non hanno esitato a schierarsi con Vannoni, facendo da cassa armonica alle menzogne e alle falsità. È stato dopo un loro servizio che Adriano Celentano ha scritto la lettera pubblicata dal Corriere della Sera in cui si chiedeva al ministro Balduzzi di consentire ad una bambina di continuare a ricevere il «trattamento Stamina». Da quel momento è stata un'escalation.

«Le Iene» hanno cominciato a montare e trasmettere riprese di bambini gravemente malati, facendo percepire al pubblico che il trattamento Stamina producesse effettivi e «visibili» miglioramenti. A questa tesi, perseguita con instancabile accanimento, hanno a più riprese mortificato e umiliato, oltre che la verità e il legittimo bisogno di chiarezza delle famiglie, anche la reputazione di non poche brave persone, esperti e scienziati «macchiatisi del peccato» di denunciare subito, senza mezzi termini, l'odore di bruciato.

le iene cellule staminali metodo stamina servizio video

«Le Iene» hanno teso una trappola al professor Paolo Bianco, esperto italiano tra i più qualificati al mondo su staminali mesenchimali, provocandolo e montando un servizio per metterlo in cattiva luce. Con sapienti «taglia e cuci» hanno prodotto immagini distorte del serio lavoro svolto dai professionisti della Commissione incaricata dal ministro facendo ricorso a piene mani alla loro (solita) scenografica e stucchevole pseudo-ironia riservata (solitamente) ai peggiori e loschi figuri intervistati in loro passate trasmissioni.

E ancora, hanno ingannato lo staff di Telethon, mostrando Vannoni, «che per caso passava di lì», dialogare con un addetto Telethon (non un incaricato competente di aspetti medici e scientifici), allo scopo di suffragare l'idea che Vannoni fosse «interlocutore abituale e accreditato» degli scienziati del campo e «frequentatore attendibile» dello storico e internazionalmente riconosciuto ente no-profit di ricerca. Eccetera.

vannoni alle iene per stamina

L'elenco delle «furbate» sarebbe lungo come tutti i servizi mandati in onda. Tutto sempre allo scopo di «raccontare» quel che loro stessi andavano sceneggiando, con l'intento da un lato di spettacolarizzare le sofferenze dei malati, e dall'altro di alimentare un'idea falsata della controversia, dove Vannoni doveva apparire il benefattore contro cui si erano scatenati i poteri forti e cattivi, incarnati dagli scienziati, ovviamente sempre al soldo delle case farmaceutiche (sia chiaro, le stesse che producono i farmaci che spesso salvano la vita a noi e ai nostri figli).

Di una serie di altri aspetti invece «Le Iene» si sono completamente disinteressate:
1) dell'indagare e raccontare che fosse Vannoni a intrattenere accordi commerciali con un'impresa farmaceutica multinazionale (Medestea - che le cronache dicono sia stata censurata dall'antitrust decine di volte per pubblicità ingannevole - tanto per restare in tema di corretta informazione);

2) del perché il proprietario di quella stessa multinazionale comparisse «improvvisamente» dietro le telecamere di «Le Iene» durante l'aggressione a Bianco (giusto quei secondi per permettergli di esprimere squallidi epiteti sottotitolati dal programma senza dire chi realmente fosse e quali fossero i suoi interessi ad esprimersi così);

3) del dettagliare l'insussistenza del «metodo» come riportato nelle valutazioni dell'ufficio brevetti americano (diventate pubbliche solo perché Vannoni & Co. non riuscirono nell'intento di «nasconderle»);

4) dello spiegare cosa significhi uno pseudo-metodo plagiato e falsato da artefatti sperimentali russi (come riportato da Nature);

5) che il trattamento Stamina non avesse nemmeno i requisiti di legge per essere «compassionevole» (termine usato spesso e a sproposito nei loro servizi);

6) che non vi fosse mai stata un'autorizzazione formale dell'Agenzia Italiana del Farmaco ad effettuare il trattamento presso gli Spedali Civili di Brescia (fatto mai smentito da Brescia), e che anzi, nel 2012, l'Agenzia avesse riscontrato illegalità su ogni fronte;

7) del raccogliere e raccontare i motivi che hanno spinto gli specialisti scienziati e clinici del mondo, oltre a premi Nobel, ad evidenziare che «non c'è nessun metodo» e nessuna «cartella clinica» in cui fosse scritto che i pazienti erano migliorati;

8) che in agosto Vannoni stesso avesse detto che la sperimentazione clinica del suo «metodo» era inutile e che per la variabilità della Sma - fino a quel momento malattia bandiera di Stamina e di «Le Iene» - tale malattia era da escludere dalla sperimentazione governativa in quanto sarebbe stato impossibile osservare benefici.
Di tutto ciò, appunto, Parenti e il suo programma si sono disinteressati anche se si trattava di elementi che qualsiasi giornalista aveva a facile disposizione, di fatto coprendo queste evidenze fondamentali.

Senza trascurare che dal sito del programma, che riporta il logo di Stamina, si dava accesso facilmente a informazioni utili a chi intendesse «rivolgersi a qualche giudice» (non a qualche medico!) per ottenere la prescrizione del trattamento Stamina.
Ora, il contratto di convivenza sociale prevede che i danni fatti si paghino.

In un paese civile, Parenti e chi per lui, sarebbero anch'essi chiamati a rispondere davanti a un giudice e, probabilmente, nessuna testata che si riconosca nei più elementari principi della deontologia giornalistica darebbe più una riga da scrivere, un secondo di trasmissione, a chi si è comportato come abbiamo visto fare.

Perché alla base della deontologia vi è il dovere di ricercare l'oggettività nella ricostruzione dei fatti. Se poi si sale a livello europeo, le raccomandazioni etiche dicono che i giornalisti devono chiaramente e manifestamente «tenere distinti i fatti dalle opinioni». Nel caso Stamina i fatti venivano costruiti, nutriti dalla materia di opinioni insensate o manipolatorie. Questo evidenzia, a nostro parere, una chiara responsabilità diretta di chi ha agito così.

Fino a quando in Italia si potrà continuare a giocare sul fatto che in un «varietà anomalo» si possa fare anche pseudo-informazione senza avvisare lo spettatore che si tratta di puro spettacolo? Questa è diventata l'immagine dell'Italia all'estero: quella di un Paese dove negli ultimi decenni - a livello della comunicazione non solo mediatica, ma anche politica - è sempre più difficile distinguere tra le spettacolarizzazioni mistificatorie e la realtà.
Noi pensiamo che l'Italia vera non sia questa. Vorremmo che anche le competenze e il senso di responsabilità che nel nostro Paese non mancano, venissero sempre mostrate e valorizzate. Ovviamente affidandole a quei mezzi di comunicazione capaci di cogliere, consapevolmente e ogni giorno, il significato civile e la responsabilità sociale del loro ruolo.

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SULL’EREDITÀ DI ALBERTO SORDI S’ABBATTONO ANCHE GLI APPETITI DEI PARENTI DI CAMPAGNA

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Rita Di Giovacchino per "il Fatto quotidiano"

ALBERTO SORDI NE I VITELLONI

Villa Sordi, un anno dopo. Tutto è come prima dentro la grande casa di via Druso, che affaccia sullo slargo che separa l'Appia antica da Caracalla, e che Albertone nel 1958 riuscì a strappare per un soffio a Vittorio De Sica gettando sul piatto 80 milioni. Ad aggirarsi nelle stanze tappezzate da gigantografie delle foto più famose del grande attore romano, ma anche da quadri di De Chirico e Guttuso, c'è ancora la sorella Aurelia, 96 anni, sorridente e perduta nel suo mondo ovattato di ricordi.

La bufera di qualche mese fa, il via vai di magistrati, poliziotti, medici che indagavano sul suo stato di salute, sui soldi che aveva allegramente sperperato, sul patrimonio immobiliare assottigliato, sembra ormai alle spalle. Perfino Arturo Artadi, il maggiordomo tutto fare, benché indagato per circonvenzione di incapace, è tornato a casa per prendersi cura della "signorina". Ad acconsentire al suo rientro è stato il presidente della prima sezione Mario Ciancio, giudice tutelare.

ARTURO ARTADI L AUTISTA DI ALBERTO SORDI

L'ex ragazzo brasiliano, che Sordi considerava quasi un figlio, non può più nuocere, gli è stata sottratta la procura generale affidatagli da Aurelia, continui pure a fare l'autista e a coltivare le rose.

Acqua passata, ma il fuoco cova sotto la cenere, l'inchiesta del pm Eugenio Albamonte prosegue alla ricerca della "mente" del raggiro che non può essere Artadi perché nelle operazioni finanziarie compiute, nelle decisioni prese, s'intravede una mano competente, appetiti più importanti verso l'ingente patrimonio che il grande attore ha costruito in 50 anni di gloriosa carriera.

LA MADONNA COL BAMBINO DI ALBERTO SORDI

Impossibilitati a contattarla, increduli per le notizie pubblicate sui giornali, alcuni preoccupati, altri speranzosi di potersi inserire nel war game dell'eredità, in questi mesi si è formato un nuovo schieramento , finora rimasto discretamente dietro le quinte, ma pronto a scendere nell'arena. Quale? Chi? I parenti.

Nessuno sapeva che Albertone avesse parenti, oltre agli amati genitori, una sorella e un fratello morti da tempo, e Aurelia rimasta al suo fianco fino alla fine. Invece ci sono e quanti sono! Non è una famiglia ma una tribù, divisa in ceppi diversi che si estendono dai vicoli del centro storico a Valmontone, orde di cugini, cognati, affini di primo e secondo grado scendono per li rami del padre Pietro e della madre Maria Righetti.

Alberto il grande Aurelia Sordi Carlo e Luca Verdone Photomovie Claudio Porcarelli embedded

Una colonia è stata individuata anche dalle parti di Macerata, ma il loro legame si è estinto nel corso di generazioni. Qualche mese fa c'è stato un consiglio di "famiglia" che si è via via allargato e sono ormai 40 quelli che aspirano a impugnare il testamento. I "cugini di Sordi" in un primo momento si sono rivolti all'avvocato Giulia Bongiorno, è stata lei stessa a dirottarli verso lo studio di Andrea Azzaro, civilista e perciò competente in questioni di eredità ma il caso non è di facile soluzione.

1953 Alberto Sordi e Vittorio Gassman

Per lo più sono persone semplici, per qualcuno ereditare anche una minima parte della grande ricchezza sarebbe una salvezza e ne hanno perfino diritto. A parte un giornalista della Rai, Igor Righetti, titolare della rubrica il Comunicattivo, e Renato Ferrante, 75 anni, anche lui attore, cugino carnale in quanto figlio di una sorella della madre di Sordi, gli altri non se la passano bene. L'avvocato per avviare le pratiche aveva chiesto una quota minima di 200 euro a testa. "Dottò, se po' fa cento?", ha chiesto qualcuno. Altri, quando hanno saputo che Aurelia ha regalato ad Arturo un milione ha avuto un malore! Chi l'ha mai vista una cifra del genere.

Alberto Sordi

Il cugino attore, che somiglia in modo impressionante ad Alberto, lo stesso sguardo e perfino il timbro di voce, fa da portavoce della famiglia allargata: "Non è per una questione di soldi che ci siamo rivolti all'avvocato, se c'è qualcuno che si sta approfittando di Aurelia è nostro compito tutelarla". Ma Sordi sapeva di avere tutti questi parenti? Di sicuro li ha tenuti distanti, era un solitario ma soprattutto diffidente e un po' egoista. Un italiano vero, non un romano de core.

Ogni tanto invitava il professor Porzio a pranzo, il medico che Aurelia ha rinnegato. "Albè, ma siamo sempre soli, invita qualcun altro", si lamentava lui. "Lascia perde', so' tutti invidiosi". Per Sordi la famiglia era solo quella stretta, talmente stretta che non si è mai voluto sposare: "E che me metto un'estranea a casa?", battuta famosa.

Renato, il cugino sosia, lo adorava e non era il solo. Da ragazzino gli faceva le poste a via di Panico, dove abitava, oppure lo raggiungeva sul set de I vitelloni. Alberto gli offriva il cestino, ma poi si rabbuiava: "Ma me sei venuto a trovà o a fa colazione?". Anche lui non è più riuscito a incontrare Aurelia: "Neppure per il decennale della morte di Alberto l'abbiamo vista, c'era Arturo, mi ha detto che sta bene, chissà". Per impugnare il testamento bisogna attendere la perizia medica definitiva per stabilire quali erano le sue condizioni di salute nel 2011.

ALBERTO SORDI

Non siamo di fronte a una patologia specifica, ma a una degenerazione da senescenza in evoluzione. Oltre ad Artadi sono indagati l'avvocato Francesca Piccolella e il notaio Gabriele Sciumbata, che hanno curato la stesura del testamento a favore di una fantomatica Fondazione, dietro non si sa chi ci sia, e che va a sostituire la Fondazione cinema fortemente voluta dall'attore. In quel periodo nel telefono di via Druso è stata inserita una segreteria telefonica, Aurelia ha cambiato medico, avvocati e notai. Nessuno è più riuscito a incontrarla, neppure loro.

 

LA GAG DI BERLUSCONI NELL' UFFICIO DI RENZI - L'INCONTRO TRA GLI EX DC GIANNI LETTA E LORENZO GUERINI

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Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera"

LANCIO DI UOVA PER BERLUSCONI AL NAZARENO

La luce dei neon è giallognola, opaca. C'è odore di chiuso. Il Cavaliere adora un genere d'arredamento sfarzoso, di gusto barocco; le stanze di Palazzo Grazioli hanno velluti ricamati e candelabri d'argento, i lampadari luccicanti, certi putti di porcellana e le anfore etrusche. La sede del Pd gli appare subito esattamente come l'aveva immaginata. Dalla porta dell'ascensore alla porta della stanza di Matteo Renzi ci saranno venti passi. Un corridoio disadorno, che fornisce un colpo d'occhio - oggettivamente - malinconico. I tre camminano in silenzio, nel silenzio.

PROTESTE PER BERLUSCONI AL NAZARENO

Gli uffici, come ogni sabato, sono deserti. Avanti Lorenzo Guerini, il portavoce della segreteria; dietro, Gianni Letta e Silvio Berlusconi, che ha lo sguardo basso e corrucciato, forse solo concentrato, comunque livido nonostante il cerone; indossa un completo blu, la giacca è il solito doppiopetto. Renzi sbuca fuori all'improvviso, quasi con un piccolo balzo - racconterà dopo uno degli uomini della sicurezza, che era lì, dietro l'angolo. Renzi apre un sorriso dei suoi, largo e accogliente, va incontro al terzetto e subito tende la mano a Berlusconi. «Benvenuto, presidente...». «Ciao, Matteo». Formali. Entrano nella stanza.

La stanza è rimasta così come l'aveva lasciata Pier Luigi Bersani. Sul bordo della scrivania ci sono ancora le bruciature dei suoi sigari. Oltre alla scrivania, una libreria, e poi un televisore e due divani di pelle.

Mario D Urso e Gianni Letta Legion d Onore Boniver

Il nuovo segretario ha avuto solo il tempo di attaccare quattro quadri: in uno c'è Dedé Auzzi, un dirigente dei Ds scomparso prematuramente a cui Renzi era particolarmente legato; poi ci sono una foto di Bob Kennedy, una fotina di Giorgio La Pira e una foto grande, in bianco e nero, di cui si è molto parlato: uno scatto di Alberto Korda con dentro Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, che - in divisa militare - gioca a golf. Renzi va a sedersi proprio sotto questa foto, sotto Il Che. Berlusconi, sorridendo, si accomoda sotto Bob Kennedy. «Beh, meglio Kennedy di un comunista...».

Ciascun leader ha, accanto, il proprio uomo. Lorenzo Guerini e Gianni Letta. Gli unici testimoni ammessi a questo storico incontro. Entrambi paiono perfettamente a loro agio, nel ruolo che gli è stato assegnato. E, se è possibile azzardare un paragone del loro tratto psicologico e politico, i due si somigliano pure.

Si sa che Letta parla poco, pochissimo, e sempre in maniera inversamente proporzionale all'importanza del suo lavoro di consigliere speciale, e probabilmente unico, del Cavaliere. Una volta Giuliano Ferrara scrisse che intorno a Letta, «perno d'acciaio del sistema di potere di Berlusconi» nel tempo è stata «costruita una leggenda meramente aneddotica, sottilmente apologetica o maliziosamente detrattrice, ma sempre con attenzione a dire quel che non si deve dire».

LORENZO GUERINI

Un uomo potente di solito abituato a stare dietro le quinte, a lasciare il palcoscenico quando e come e a chi ritiene sia opportuno per la gloria del «dottore». Adesso siede di fronte a Lorenzo Guerini, un altro uomo concreto, riservato, saggio, che con i suoi 47 anni è il più anziano membro della nuova e giovane segreteria voluta da Renzi. È anche l'unico, nella cerchia dei fedelissimi (Bonifazi, Lotti, Boschi) a non essere toscano: è nato a Lodi (dove è stato amato sindaco e presidente della Provincia e dove risiedono la moglie e i suoi tre figli) ed è lì, a Lodi, che Guerini ha cominciato la sua attività politica e proprio nella Democrazia cristiana, come accadde, molti anni prima, a Gianni Letta, che da direttore del quotidiano Il Tempo fu assai vicino alla mite e moderata Dc plasmata a Roma, con tratti curiali, da Giulio Andreotti.

LORENZO GUERINI

Quando è di buon umore, il che accade meno di quanto si possa sospettare, Renzi ha l'abitudine di chiamare Guerini con il soprannome di «Arnaldo», in omaggio alle capacità diplomatiche di Arnaldo Forlani. Che, effettivamente, si sono in quest'incontro rivelate già piuttosto utili almeno in una circostanza. È accaduto poco fa, giù, quando la porta carraia si è chiusa e Guerini si è accorto che sul lunotto posteriore dell'Audi blu a bordo della quale erano giunti i due ospiti, colava un uovo marcio disintegrato.

Un gruppetto di contestatori, appostato all'imbocco di via del Nazareno, aveva teso l'agguato. Guerini però non si è perso d'animo e, ignorando anche i cori che ancora giungevano da fuori - «Vergogna! Vergogna! Vergogna!», «Pre-giu-di-ca-to! Pre-giu-di-ca-to!» -, ha accolto Berlusconi e Letta come fossero stati salutati da applausi e grida di evviva. La contestazione si placa con il trascorrere dei minuti.

C'è ancora qualche cartello tenuto alto, ogni tanto un fischio, niente di più. Renzi e Berlusconi stanno parlando ormai da oltre un'ora. I giovanotti della vigilanza, eredi del leggendario servizio d'ordine del Pci, fumano in silenzio nell'androne. Uno guarda l'orologio, un altro scuote la testa con una smorfia che è un miscuglio di fastidio e stupore. «Io nun ce posso ancora crede che quello cià avuto er core de venì qui, a casa nostra».

 

CHE GUERRA PER IL "CERBA", IL CENTRO RICERCHE DI VERONESI: IL COMUNE HA BLOCCATO L’OPERA

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Gianni Barbacetto per il "Fatto quotidiano"

Umberto Veronesi

A Milano c'è un rebus che si chiama Cerba. L'acronimo significa Centro Europeo di Ricerca Biomedica Avanzata. È un'idea che il professor Umberto Veronesi cerca di realizzare da almeno 15 anni: far sorgere un istituto scientifico di livello mondiale accanto allo Ieo, il suo Istituto Europeo d'Oncologia. "Il Cerba è uno dei più grandi progetti di questo inizio secolo", scandisce Veronesi, "è un'opera di scienza, di civiltà, di avanzamento culturale".

ligresti salvatore

Ma attenzione: il Cerba è anche (o soprattutto?) un grande affare da 1,2 miliardi di euro, 620 mila metri quadrati di edifici, residenze, spazi commerciali da far sorgere nel bel mezzo del Parco Sud, un'area vincolata a verde dove non si dovrebbe costruire neanche una cuccia di cane.

IL GIANO BIFRONTE
Chi costruisce a sue spese il centro scientifico, vuole in cambio guadagnarci edificando tutto il resto. Il Cerba,dunque,è un Giano Bifronte: da una parte è una grande idea scientifica che onora Milano; dall'altra è il nome di una grande operazione immobiliare che usa il centro di ricerca come cavallo di Troia per piazzare l'ennesima dose di cemento ai bordi della città.

A questo peccato originale, si è ora aggiunto il fallimento di Salvatore Ligresti, che era il proprietario delle aree su cui il Cerba era stato progettato. Risultato: una guerra senza quartiere, con scontri ferocissimi e una quantità di protagonisti eccellenti coinvolti nella partita. Il professor Veronesi, naturalmente, padre del progetto, ma anche il sindaco di Milano GiulianoPisapia e l'assessore all'urbanistica del Comune Ada Lucia De Cesaris, che l'hanno (per ora)bloccato. E poi i politici che tifano (quasi tutti) per l'operazione, come pure i curatori fallimentari e i dirigenti delle banche creditrici di Ligresti. Convitato di pietra, il magistrato della procura di Milano Luigi Orsi, che sta indagando su Ligresti e i suoi alleati, visibili e invisibili.

GIULIANO PISAPIA LELLA COSTA INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO

IL PARTITO TRASVERSALE
Per capire la guerra di oggi bisogna tornare al 2009, quando il Cerba di papà Veronesi viene tenuto a battesimo da un accordo di programma Comune-Provincia-Regione firmato da Letizia Moratti, Filippo Penati e Roberto Formigoni. Larghe intese ante litteram. Ponti d'oro,allo splendido progetto: ha dentro anche abitazioni e spazi commerciali, ma viene considerato "nel suo complesso" opera di urbanizzazione, quindi esente dal "contributo di costruzione" da versare al Comune. Solo un forfait di 90 milioni di euro, di cui 18 per compensare il Parco Sud del verde rubato.

Roberto Formigoni

Nel 2013 scadono i termini per firmare la convenzione. Ma intanto,nel2012,è fallita la Imco, la società di Ligresti che possedeva i terreni. Entra in scena la Visconti srl, una società espressione delle banche creditrici di Ligresti (innanzitutto Unicredit) che,accollandosi i debiti,cerca di recuperare gli asset del gruppo fallito. Il Cerba è un ottimo asset, ma la Visconti chiede tempo per firmare e pretende condizioni più favorevoli (per esempio una riduzione da 90 a 35 milioni degli oneri da pagare al Comune).

Le pressioni su Pisapia e De Cesaris sono poderose. Scende in campo il partito trasversale del Cerba: a destra si muovono il vicepresidente della Regione Lombardia e assessore alla sanità Mario Mantovani, l'ex assessore provinciale Fabio Altitonante, la Sec di Fiorenzo Tagliabue, area Cl; a sinistra, si schierano i sindacati, i socialisti di Roberto Biscardini, i "penatiani" della "banda del Parco Sud" capitanata da Bruna Brembilla.

UMBERTO VERONESI

In campo ci sono anche, naturalmente, la Fondazione Cerba di Veronesi e dell'agguerritissimo avvocato Beppe Torrani, la Visconti che vorrebbe portare a casa qualcosa dei soldi buttati nel gruppo Ligresti e la Hines di Manfredi Catella (considerato il pupillo e il continuatore di don Salvatore) a cui la Visconti ha girato la gestione operativa dell'affare. Hines si muove pesantemente. Addirittura avvicina alcuni collaboratori dell'assessore De Cesaris e fa pressioni al limite del tentativo di corruzione. Tutti vogliono chiudere la partita al più presto: in fondo, anche i curatori fallimentari non vedono l'ora di incassare le loro parcelle milionarie.

UMBERTO VERONESI

L'unico che resta fermo è il pm Orsi, che conosce bene la storia di Imco e del Cerba. Sa che proprio quell'area è esattamente l'oggetto del reato per il quale procede. Tutto comincia nei primi anni 2000, quando Imco comincia a indebitarsi comprando pacchi di azioni Bipop Carire, la sua banca d'allora, che poi si "salverà" fondendosi in Unicredit. Nel 2010, i debiti di Imco e di Sinergia (la società che controlla Imco) nei confronti di Unicredit sono pesantissimi. Imco però ha un buon asset: il Cerba, appunto.

Lo offre in ipoteca a Unicredit per garantire i debiti di Sinergia, che invece non ha nulla da offrire. Così si svena per salvare la società madre. Erano i tempi in cui al vertice di Unicredit Corporate Banking c'era Piergiorgio Peluso (figlio del ministro Annamaria Cancellieri, amica di famiglia dei Ligresti). Nel 2012 Imco e Sinergia vengono comunque travolte dai debiti e finiscono nelle mani dei curatori fallimentari. L'area Cerba torna a essere giocata come la carta che può far portare a casa qualcosa alle banche creditrici.

IL VICESINDACO DICE NO
Il pm Orsi però non omologa i documenti del fallimento Imco e Sinergia perché ha ancora in corso le indagini e vuole vedere chiaro nelle scelte passate delle società e delle banche che le hanno affiancate. Intanto, la Visconti (cioè le banche) cerca di aprire una trattativa con il Comune e chiede tempo. L'assessore (e vicesindaco) De Cesaris concede sei mesi di recupero (la scadenza era il 30 giugno 2013).

Ma poi, il 18 dicembre 2013, prende atto che il tempo è largamente scaduto e fischia il fine partita. Apriti cielo: Veronesi la insulta pubblicamente, la politica (quasi al completo) piange la perdita di un così meraviglioso progetto, la potente lobby del Cerba inizia le grandi manovre per recuperare in corner.

Proposte sul tappeto: alleggerire il cemento dell'operazione, riducendo le volumetrie, da costruire comunque fuori dal Parco Sud (tranne il centro di ricerca vero e proprio, da edificare a fianco dello Ieo); ed escludere dalla partita Catella, considerato troppo "in continuità" con la gestione Ligresti. La guerra continua.

 

NON È UN’EUROPA PER ABLYAZOV - IN FRANCIA L’HANNO TENUTO SEI MESI IN ISOLAMENTO

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mukthar ablyazov figlia alua e alma shalabayeva

Francesco Grignetti per "la Stampa"

Mukhtar Ablyazov è un uomo allo stremo fisico e nervoso. Comunque lo si voglia considerare, se un dissidente coraggioso che ha sfidato l'autocrate Nazarbaev, il padre-padrone del Kazakhstan, oppure un furbo oligarca che ha saputo approfittare della caduta del comunismo e poi è scappato con la cassa, Mukhtar è pur sempre un uomo rincorso dal regime kazako da troppi anni e che dal 31 luglio scorso è rinchiuso in una cella francese.

Quasi sei mesi d'isolamento stroncherebbero i nervi a chiunque. Figurarsi uno che si vede minacciato di estradizione verso la Russia, a un passo dalle grinfie dell'arcinemico. E da quelle parti non si scherza.

Ablyazov

La cella del carcere di Aix-en-Provence va raccontata. Troppo pericoloso lasciarlo nell'area dei detenuti comuni dove si circola molto liberamente, per raggiungere Mukhtar Ablyazov si attraversano dieci cancelli diversi fino all'area più estrema del carcere. Là dove sono rinchiusi i condannati più pericolosi. E siccome Aix-en-Provence dista pochi chilometri da Marsiglia, qui s'incontrano i campioni della mala marsigliese.

«Sono scene degne di un film tutte le volte che vado a trovarlo», racconta Peter Sahlas, l'avvocato che tutela la famiglia. Per motivi di sicurezza, quando va a visitare il suo assistito, Sahlas deve arrivare fino alla cella, incrociando carcerati dall'aria cupa, carichi di tatuaggi, in pantaloncini e canottiera, che urlano e danno manate alle grate.

Per i detenuti di questa sezione di massima sicurezza, non ci sono telefoni o computer. Nessun contatto con l'esterno. Solo la televisione, ma in francese, e lui non conosce la lingua. Per l'ora d'aria, poi, c'è un cortile in terra battuta, circondato da alte mura e ricoperto da una rete metallica. L'orizzonte non si vede mai.

ALFANO ABLYAZOV TOP SECRET

Mukhtar s'impegna molto nella ginnastica. Ma si lamenta del vitto. «Mi danno due volte al giorno un pranzo che nell'insieme non vale un vassoio d'aereo». E per chi è passato dalle ville di Londra a quelle di Roma, e in ultimo della Provenza, lo choc dev'essere forte.

Per diversi mesi gli avevano negato perfino di vedere i figli. «Troppo impressionante il carcere per un bambino», la giustificazione del pubblico ministero. Eppure era pieno di figli di detenuti nel parlatorio. E quando i suoi hanno minacciato di rivolgersi per l'ennesima volta alla stampa, il permesso di visita è stato concesso.

villa di ablyazov piscina

Chiuso in cella, intanto, Ablyazov passa le ore leggendo, aspettando notizie (gli avvocati hanno appena fatto ricorso in Cassazione contro l'estradizione decisa dal giudice di primo grado) e masticando amaro. L'avvocato osserva: «Se non mi fossi ribellato alla corruzione di Nazarbaev, sarebbe un uomo libero e miliardario. Sul serio». Inutile dire che Mukhtar nega assolutamente di avere rubato i famosi 6 miliardi di dollari come l'accusano in Kazakhstan. Di sicuro, però, povero non era.

È una partita a scacchi, quella di Mukhtar, che lo vede scivolare sempre più verso lo sconfitta. Tutte le volte che ha avuto a che fare con la giustizia in Occidente, gli è andata malissimo. E anche se i suoi avvocati non si permettono di dirlo, pensano fortemente che i tentacoli del Kazakhstan siano lunghi e robusti.

ABLYAZOV famiglia

In Gran Bretagna, dove aveva ottenuto l'asilo politico, nel 2011 l'hanno condannato a 22 mesi di carcere per oltraggio alla corte. «È stata una condanna pesantissima per un reato come l'oltraggio alla corte», dice Sahlas. «Mukthar si chiede se c'entra il fatto che il giudice che ha congelato i suoi beni fosse il fratello dell'ex premier Tony Blair, il quale oggi lavora da lobbista per il governo del Kazakhstan».

Come sono andate le cose in Italia, è arcinoto: moglie e figlia sono state espulse in base a un procedimento amministrativo nel giro di 72 ore, poi annullato dal nostro governo. Nel frattempo, grazie anche all'impegno di Emma Bonino, la signora Shalabayeva è tornata in Occidente e Mukhtar l'ha potuta incontrare già una volta. «Adesso sono molto più tranquillo», disse quando seppe del rientro in Italia. «Stavo male al pensiero che per la mia battaglia dovessero pagare Alma e mia figlia Alua».

Si dice «costernato», oggi, per come è andato il suo processo anche in Francia. Intanto per le forme: nel giorno dell'udienza, il giudice della corte di appello di Aix-en-Provence ha fatto leggere con calcolata lentezza, cinque volte durante la giornata, il capo di imputazione, poi ha messo una fretta indiavolata all'accusato che cercava di spiegare le sue ragioni tramite l'interprete. E poi c'è la sostanza: negando che ci siano problemi di diritti umani nelle carceri e nella giustizia russa, la sentenza di estradizione ricalca la posizione della procura generale che l'accusava di essersi «costruito uno status di vittima». E ciò l'offende: «Io so-no-una-vit-ti-ma».

NAZARBAYEV E NAPOLITANO Nazarbayev

 

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