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SENNI DALLO SVILUPPO ECONOMICO ALLA ARISTON, CHE AVRÀ GLI SGRAVI FISCALI DECISI DA LUI

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Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)

Il caso sta facendo discutere un bel po'. Perché il passaggio di quell'alto dirigente del ministero dello Sviluppo economico al gruppo Ariston, leader nella produzione di caldaie e pompe di calore, suscita più di qualche perplessità. Al centro della scena c'è Leonardo Senni, fino a qualche mese fa capo del Dipartimento energia dello stesso dicastero guidato da Flavio Zanonato.

Flavio Zanonato

Ebbene, la novità è che dal 1° gennaio 2014, in base a un accordo annunciato a metà dicembre dell'anno scorso, Senni è diventato amministratore delegato di Ariston Thermo, il gruppo presieduto da Paolo Merloni specializzato nella produzione di caldaie e pompe di calore ad alta efficienza energetica.

Il dettaglio
Si dà però il caso che proprio l'acquisto di questi prodotti, in Italia, sia incentivato da tutta una serie di detrazioni fiscali, dal 50 al 65% a seconda dei casi, proprio per perseguire il risultato di una maggiore efficienza energetica. Ed è quasi superfluo constatare come questi incentivi, a livello organizzativo e normativo, vengano lavorati direttamente dal Dipartimento energia nel quale lavorava Senni.

Il quale, in pratica, è recentemente passato a guidare una società che di fatto beneficia proprio di quegli sgravi fiscali decisi dal Dipartimento che dirigeva poco prima. Insomma, non sembrerebbe essere una situazione da manuale anti-conflitto d'interesse. Anzi, lascia spazio a dubbi piuttosto consistenti. Anche perché qui parliamo di una società, Ariston Thermo, che vanta un fatturato globale di 1,32 miliardi di euro, con 6,9 milioni di prodotti venduti all'anno. Naturalmente La Notizia ha sottoposto la questione a Senni, ex manager McKinsey come l'ex ministro Corrado Passera, per sapere come sia maturata l'operazione.

Flavio Zanonato Alan Le Roy Emma Bonino e David Thorne

La risposta
L'ex capo del Dipartimento energia ha ammesso che "quello del conflitto d'interessi è un tema che effettivamente mi sono posto con il ministro e il capo di gabinetto". Alla fine, ha continuato, "abbiamo considerato che Ariston produce in Italia solo il 10% del fatturato e che le pompe di calore e le caldaie, ovvero i prodotti destinatari degli incentivi, rappresentano a loro volta solo il 2% del volume d'affari".

Per questo, ha detto l'ex dirigente del ministero, "ci è sembrato che l'ipotesi di conflitto d'interesse fosse minimale". Peccato, però, che sul sito internet di Ariston, e in perfetto italiano, siano spiegate per filo e per segno tutte le possibilità di acquisto innescate dai vari ecobonus esistenti. A dimostrazione del fatto che si punta anche sugli acquisti nel mercato domestico. "Ma il fatturato dei prodotti in Italia è dato per l'anno prossimo ulteriormente in calo", incalza Senni, il quale tiene a chiarire che la questione dell'eventuale conflitto d'interessi è stata valutata molto attentamente, "perché per me è questione di assoluto rilievo sia in termini sostanziali che reputazionali".

ariston_thermo_leonardo_senni

Di più, perché l'attuale numero uno di Ariston confessa anche di aver ricevuto nell'ultimo anno offerte da parte di società private che "mai avrei accettato proprio per non correre rischi". Insomma, per Senni l'operazione non è proprio al riparo del rischio di conflitto di interessi, ma ne fornisce una versione "minimale" da giustificare il passaggio. Basta davvero questo ragionamento per escludere ogni pericolo?

 

 


SCOPPOLA PER BEPPEMAO: VINCE IL SÌ ALL'ABROGAZIONE DEL REATO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINO

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1 - ISCRITTI M5S, ABROGARE REATO CLANDESTINITÀ
Da "Ansa" (www.ansa.it)

(ANSA) - Vince il sì all'abrogazione del reato di immigrazione clandestina nel sondaggio promosso dal blog di Beppe Grillo tra gli iscritti al M5S. In quasi 16 mila (15.839) hanno votato per la sua abrogazione, 9.093 per il mantenimento. I votanti sono stati quasi 25 mila (24.932)

BEPPE GRILLO E CASALEGGIO AL QUIRINALE

Ad avere diritto al voto sono gli iscritti al Movimento, certificati al 30 giugno 2013, poco più di 80 mila persone. Il voto è stato espresso oggi dalle 10 alle 17: si tratta di un parere vincolante sul voto che il Gruppo Parlamentare del Senato dovrà esprimere domani sul reato di immigrazione clandestina. Sul blog di Grillo si ricorda che "con l'abrogazione si mantiene comunque il procedimento amministrativo di espulsione che sanziona coloro che violano le norme sull'ingresso e il soggiorno nello Stato".


2 - REATO DI CLANDESTINITÀ
Da Beppegrillo.it del 10 ottobre 2013

clandestini

"Ieri è passato l'emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull'abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale. Non è stata discussa in assemblea con gli altri senatori del M5S, non faceva parte del Programma votato da otto milioni e mezzo di elettori, non è mai stata sottoposta ad alcuna verifica formale all'interno.

CLANDESTINI

Non siamo d'accordo sia nel metodo che nel merito. Nel metodo perché un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo.

Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l'abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico. Sostituirsi all'opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che vogliono "educare" i cittadini, ma non è la nostra.

BEPPE GRILLO E GIANROBERTO CASALEGGIO

Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno votato sono un'unica entità. Nel merito questo emendamento è un invito agli emigranti dell'Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l'Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice "La clandestinità non è più un reato". Lampedusa è al collasso e l'Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?".

Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio

 

FIAT, DOPO CHRYSLER SI APRE UN NUOVO DOSSIER: LA CINA, FORSE CON PEUGEOT

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Paolo Griseri per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Ora nulla sarà più come prima. Tra quattro mesi della vecchia Fiat, delle sue liturgie, dei suoi pregi e dei suoi tic, non rimarranno che reperti. L'annuncio dell'accordo per acquisire il 100% di Chrysler ha dato il via a una serie di atti preparati da tempo e tenuti nel cassetto in attesa del sì di Bob King alle offerte di Sergio Marchionne. Più di una fusione: l'inizio di una nuova storia con nuovi partner. L'ad del Lingotto lo ha detto venerdì nell'intervista al direttore di Repubblica, Ezio Mauro: «Abbiamo realizzato un sogno: mettere insieme non solo due aziende ma due culture».

FIAT CHRYSLER

La nuova Fiat cambierà nome, sede legale, baricentro e gamma dei modelli. E in un futuro non lontano potrà scegliersi nuovi partner. Chiusa la partita Chrysler, il nuovo gruppo sarà comunque lontano dai 6 milioni di auto vendute che lo stesso Marchionne considera oggi il livello di sopravvivenza nel club dei produttori generalisti. I 4,4 milioni di auto vendute sono un milione e mezzo sotto la soglia.

Marchionne e Obama nella fabbrica Chrysler

E' presumibile che la ripresa del mercato europeo e il lancio di nuovi modelli sia in grado di far salire le vendite a ridosso dei 5 milioni. Ma è evidente che non sarà una crescita sufficiente. Molti pronosticano un nuovo partner asiatico: si ipotizza il matrimonio con Suzuki, in aria di divorzio con Volkswagen. O, in alternativa, la trasformazione dell'intesa industriale con Mazda (per la produzione a Hiroshima di uno spider Alfa) in un patto societario che apra al Lingotto la presenza nei mercati emergenti. Ma il nuovo partner potrebbe arrivare anche dall'Europa.

La strada Opel, l'acquisizione mancata del 2009, l'occasione perduta da Marchionne nel confronto scontro con politici e sindacati tedeschi, sembra una porta ancora chiusa. Il fallimento dell'alleanza con Peugeot ha lasciato la casa di Russelsheim nelle mani di Gm e dei politici che governano i lander. Peugeot, in crisi, potrebbe avere nei prossimi giorni un nuovo partner, i cinesi di Dong Feng, che potrebbero partecipare all'aumento di capitale e salire oltre il 15 per cento.

Operazione Fiat-Opel

Ma un'alleanza tra gli Agnelli e Psa avrebbe certamente effetti positivi per il nuovo gruppo italo americano. Psa ha registrato negli ultimi mesi incrementi a due cifre delle vendite in Cina e potrebbe rappresentare indirettamente quell'apertura al mercato asiatico che il nuovo colosso nato dalla fusione tra Torino e Detroit ha assolutamente bisogno di trovare. Inoltre consentirebbe di rafforzare la leadership di Fiat in America Latina tenendo a distanza i concorrenti tedeschi e giapponesi.

Dell'intesa possibile con Peugeot si era già parlato nel gennaio scorso proprio in occasione del Salone di Detroit che riapre i battenti in questi giorni. Anche l'alleanza con i francesi come quella con una casa di Detroit, è stata a lungo cercata nella centenaria storia della Fiat: l'Avvocato riteneva che l'azienda d'oltralpe fossa la più simile a quella torinese. Questo profondo cambiamento di pelle, con o senza nuove alleanze dopo l'operazione Chrysler, sarà un bene per l'Italia?

PSA PEUGEOT CITROEN jpeg

Quel che è certo è che sarà comunque una Fiat molto diversa dall'attuale. E i passi che verranno annunciati di qui a qualche settimana non potranno che confermare la rivoluzione. Difficilmente, ad esempio resterà a Milano la quotazione principale. E' evidente che creare una società basata in Usa significa avere tassi di interesse e trattamenti da parte delle banche meno onerosi di quanto non accada in Europa.

suzuki logo

Per questo nell'intervista di venerdì scorso Marchionne risponde: «Non c'è dubbio che il mercato che ha più flottante è quello americano. Deciderà il Consiglio di amministrazione. Sono pronto ad andare anche a Hong Kong per finanziare lo sforzo di Fiat-Chrysler». Per quanto riguarda la sede legale, è possibile che vengano seguite le orme della recente fusione Cnh: «Siamo andati in Olanda ma è una questione che ha un valore puramente simbolico».

La legge fiscale olandese prevede sconti significativi e consente alle società di dare una particolare disciplina al peso delle azioni nei voti di assemblea, ciò che potrebbe consentire agli Agnelli di mantenere il controllo anche il giorno che decidessero di diluire molto la loro quota (oggi l'intenzione del principale azionista sembra invece quella di mantenere l'attuale livello di partecipazione).

Nelle prossime settimane i consigli di amministrazione di Fiat e Chrysler dovranno dunque compiere i passi necessari per l'acquisto da parte del Lingotto del pacchetto del 41,5 per cento di azioni Chrysler detenuto da Veba. Un'operazione da 4,3 miliardi che consentirà però agli Agnelli di fondere le due società e di avere accesso agli utili di Detroit per finanziare il rilancio della sponda europea. Entro il 30 gennaio il cda Fiat definirà il calendario della marcia di avvicinamento tra le due sponde del nuovo impero.

MAZDA

«Quando Chrysler avrà approvato il dividendo straordinario da 1,9 miliardi di dollari, si farà la fusione», ha detto Marchionne nell'intervista. Con quel dividendo infatti Fiat pagherà a Veba una parte del pacchetto azionario. Tutto da decidere è quel che accadrà dopo. Quando Fiat avrà il 100 per cento di Chrysler avrà il problema di trasformarsi da società quotata a Milano a società americana, soprattutto agli occhi delle banche.

A Torino si lascia intendere in queste ore che probabilmente verrà seguita la strada già tracciata dalla fusione Cnh: sarà creato un veicolo finanziario, una nuova società, plausibilmente quotata a Wall Street, che accoglierà al suo interno Fiat e Chrysler. Il veicolo potrà probabilmente avere anche una quotazione secondaria a Milano per ragioni politico-simboliche. La nuova Fiat «avrà un nome nuovo».

Rimarrà il marchio ma difficilmente l'acronimo della società torinese resterà nel nome della holding che controllerà un impero da 4,4 milioni di auto. Le radici di Torino e Detroit continueranno dunque a vedersi dai concessionari ma probabilmente spariranno dai listini di Borsa. Nell'intervista Marchionne ha lasciato intendere che i tempi della fusione potrebbero essere più brevi del previsto. Il cda di Chrysler deciderà il pagamento del dividendo straordinario che consentirà il passaggio delle azioni.

JOHN ELKANN E SERGIO MARCHIONNE jpeg

Poi, il 20 gennaio, con la consegna materiale del pacchetto a Fiat, si aprirà il processo di fusione che porterà alla quotazione. Tra le conseguenze di questo processo c'è la possibilità di finanziare gli investimenti negli stabilimenti italiani. Un momento atteso da tempo per varare quel piano Alfa Romeo che nelle intenzioni del Lingotto potrebbe consentire di risolvere il problema del sotto utilizzo degli impianti.

Con i modelli Alfa (almeno tre) previsti a Cassino e Mirafiori e con il lancio di una grande Panda da affiancare all'attuale utilitaria a Pomigliano, il quadro delle produzioni italiane potrebbe andare a regime riassorbendo le migliaia di cassintegrati oggi in organico. Il nuovo piano modelli verrà annunciato ad aprile. Per quella data la Fiat potrebbe essere già cambiata profondamente.

 

RIPARTE LA TELECOM-MEDIA – LA MODIFICA DELLA GOVERNANCE, COME CHIEDE ASATI, AL CDA DEL 16/1

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Carlotta Scozzari per Dagospia

Questa è una delle rare volte in cui l'Asati chiama e Telecom Italia risponde. In una nota diffusa oggi, l'associazione dei piccoli azionisti ha fatto sapere di avere inviato al consiglio di amministrazione della società guidata da Marco Patuano, al collegio sindacale e alla Consob una proposta di modifica dello statuto che passa per l'abolizione della norma che prevede l'attribuzione dei quattro quinti dei posti in cda al socio di controllo, in questo caso la cassaforte Telco, a favore di un meccanismo che sia invece basato sulla ripartizione proporzionale (metodo d'Hondt).

MARCO FOSSATI jpeg

L'Asati, presieduta da Franco Lombardi, in particolare, chiede che la modifica della governance sia sottoposta già all'esame della prossima assemblea dei soci, in calendario per il 16 aprile, a patto però che l'assise possa essere convocata con un preavviso di 60 giorni anziché 40, così da potere chiamare a raccolta i fondi internazionali. Questi ultimi, già all'assemblea di fine dicembre, avevano manifestato una certa insofferenza rispetto allo strapotere di Telco.

Proprio l'atteggiamento degli investitori istituzionali all'ultima assise aveva spinto l'ad Patuano ad aprire a cambiamenti di governance. Che poi è il motivo per cui tale questione verrà già affrontata nel consiglio di amministrazione previsto per il 16 gennaio, proprio come richiesto dall'Asati. Tuttavia, l'appuntamento non dovrebbe rappresentare l'occasione per una decisione definitiva sul tema della governance e della rappresentanza dei soci in cda.

cesar_alierta

Al contrario, una qualche decisione in questo senso potrebbe essere presa da un consiglio che, secondo quanto risulta a Dagospia, sarebbe già in calendario per il 6 febbraio e che potrebbe perciò convocare l'assemblea per il cambio di passo. Il cda del 16, invece, oltre alla governance, affronterà il tema della controllata di Telecom Tim Brasil, stabilendo che in caso di cessione (Patuano l'ha definita strategica ma non ha mai escluso una trattativa se dovesse arrivare una offerta allettante) l'operazione sarà inquadrata nella fattispecie di quelle "con parti rilevanti a maggiore rilevanza".

tim brasil

Il fatto è che a lanciare un'offerta dovrebbe essere un veicolo che rappresenta i principali operatori di telefonia brasiliani, tra cui la Vivo degli spagnoli di Telefonica, che nel contempo sono primi soci di Telco, la cassaforte che controlla Telecom al 22,4 per cento. Se una eventuale operazione su Tim Brasil dovesse essere inquadrata in questo modo, qualsiasi offerta, prima che dal cda, dovrà passare al vaglio dei consiglieri indipendenti di Telecom Italia.

franco lombardi presidente asati

Intanto, si attendono le stime su Tim Brasil del socio di Telecom al 5%, Marco Fossati, da tempo in polemica con la gestione di Telco. Secondo indiscrezioni, per l'ex mister Dado Star la controllata sudamericana di Telecom dovrebbe valere non meno di 20 miliardi, la cifra minima a partire da cui - a parere di Fossati -il cda dovrebbe decidere di avviare una trattativa. Ma, allo stesso tempo, una cifra molto diversa dai circa 12 miliardi che secondo un recente studio di Bernstein il veicolo "per le situazioni speciali" (in gergo finanziario special situation vehicle) allestito da Vivo, Oi e America Movil con l'aiuto di una o più banche starebbe per mettere sul piatto.

 

LA CRITICA DI JAMES FRANCO SU “HER” DI SPIKE JONZE: “IL FUTURO DOMINATO DALLE MACCHINE”

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James Franco per www.vice.com

joaquin-phoenix

Her di Spike Jonze è una storia che parla della morte dell'amore umano, mascherata da storia d'amore tra un uomo, Theo (Joaquin Phoenix), e il suo sexy sistema operativo, Samantha (interpretata dalla voce di Scarlett Johansson). Theo lavora come scrittore di lettere personalizzate, una professione che è a metà tra un detective, un voyeur stanco ma speranzoso e un poeta estremamente empatico. La sua specialità è la lettera d'amore dai toni intimi, e spesso i suoi lavori danno voce ai sentimenti delle coppie che lo assumono.

spike jonze her

Questo servizio, che si svolge in una non meglio identificata metropoli del prossimo futuro (girata a metà tra Los Angeles e Shanghai per dare all'ambiente quell'atmosfera grigia e dai toni pastello tipica della scintillante era Google) è l'altra faccia della relazione di Theo con il suo sistema operativo, un'amante eterea e super intelligente che dice tutto ciò che lui vuole sentirsi dire, proprio come le lettere di Theo fanno con i clienti. Il film pone delle questioni esistenziali: Cosa vuol dire essere un umano? Come definiamo le emozioni? È possibile che qualcosa di digitale e programmato abbia una personalità? Che valore hanno i nostri corpi in quest'epoca che è all'alba di una totale immersione nel digitale?

Durante una lezione su Michael Cunningham e il suo Specimen Days, la mia ex professoressa N. Kathryn Hayles, autrice di How We Became Post-Human, ha definito così la nostra situazione attuale: prima dell'era computerizzata, gli umani definivano la loro esistenza in relazione a quella degli animali. Cosa ci differenzia dalle bestie che vivono all'aria aperta e non cucinano il proprio cibo? La nostra intelligenza superiore, i nostri strumenti e le nostre anime, ovviamente.

her spike jonze trailer rooney mara JOAQUIN PHOENIX

Nell'era della tecnologia digitale, però, definiamo la nostra natura collettiva in relazione al computer, o più in generale in relazione alle ultime tecnologie esistenti. Questa metamorfosi esistenziale è ancora in corso. Continuerà finché non accetteremo il fatto che i nostri strumenti sono più intelligenti di noi e continueranno a svilupparsi esponenzialmente finché si raggiungerà la pace nel mondo o finché, cosa più probabile, il mondo sarà ingoiato da una materia grigia e appiccicaticcia propagata da nano-robot in grado di riprodursi.

Se non l'abbiamo già fatto, questo è il momento in cui inizieremo davvero a definire cosa vuol dire essere umani su tutti i livelli. Abbiamo già iniziato a fare ricorso alle categorie di analogico e digitale come misura della condizione umana: memoria, larghezza di banda, selfie, sms, email, navigazione online, etc.

her spike jonze trailer rooney mara

[Da qui in poi verrà parzialmente esposta la trama del film. Un avvertimento dello staff, giusto per essere sicuri.]

In Her, la relazione tra Samantha e Theo inizia nel bel mezzo di un periodo di intensa solitudine e depressione scaturito dal divorzio di Theo con l'ex moglie, interpretata da Rooney Mara (che, lo avrete notato, assomiglia a Sophia Coppola). A livello superficiale, la trama del film può essere letta come la messa in scena del vero divorzio di Spike dalla moglie, in cui la passione per l'arte sua e di Theo funge da palliativo per il dolore, qualcosa che al giorno d'oggi è comune quanto lo era una volta drogarsi, passare del tempo con gli amici, essere ossessionati dal lavoro e sfondarsi di gelato.

joaquin-phoenix-spike-jonze-set

Quando Theo incontra per la prima volta Samantha, sembra che il sistema operativo super intelligente possa dare a Theo tutto quello di cui ha bisogno per uscire dalla sua solitudine-eccetto un corpo da stringere e con il quale avere rapporti sessuali. Questo funge come spiraglio per un'interpretazione queer del film, in cui la loro relazione diventa un nuovo tipo di interazione sociale non definibile in base ai buchi nel corpo di una persona, poiché Samantha non ne ha nemmeno uno; l'unica cosa che orienta il suo genere è il suono della voce (piuttosto roca) e il suo nome, che sceglie perché le piace il suono che fa.

Quindi Samantha è, per definizione, una cosa molto queer. È puramente digitale, eterea e potente allo stesso momento. Bisogna ringraziare Scarlett Johansson per aver saputo interpretare un personaggio a tutto tondo senza farsi mai vedere dal pubblico. In questo caso insomma non c'è nemmeno una palla di nome Wilson alla quale dare attributi umani e sulla quale concentrare l'attenzione.

James Franco e Andrea Annaratone PARTY VANITY FAIR

Come risultato, il tempo che in un film normale si sarebbe impiegato con inquadrature dei volti dei due protagonisti, qui si concentra unicamente sulla faccia di Joaquin Phoenix. Nonostante questo, abbiamo comunque una forte sensazione della presenza di Samantha: la sentiamo, è un personaggio. È uno di quei rari film che, se ci rifletti troppo prima di vederlo, non solo sarà all'altezza delle tue aspettative ma manderà in frantumi qualunque dubbio tu possa avere su pellicole del genere, perché è stato girato nel migliore dei modi possibili.

Questa sensazione data da un'altra persona che il pubblico può sentire ma non vedere è esattamente la stessa che Theo deve affrontare nel film: se la voce incorporea di Samantha gli strappa delle emozioni, perché allora non dovrebbe buttarsi a capofitto in una relazione romantica con lei? Per molti versi è l'esatto opposto (eppure il corollario) degli amanti devastati di Lester Ballard, il protagonista necrofilo di Figlio di Dio di Cormac McCarthy: nel libro, Lester ottiene i corpi degli altri senza tutti i tormenti di coscienza connessi alle relazioni umane (la sua immaginazione mescola coscienza e cadaveri), mentre in Her, Theo ottiene una coscienza estremamente intelligente e attraente di qualcun altro, ma senza il suo corpo.

Children of God" di James Franco

Questo è il punto cruciale di Her, e rivela da un lato una relazione "perfetta" che diventa presto agghiacciante per l'intimità sviluppata con una forma non umana, e dall'altro serve da ispirazione per comprendere l'essenza stessa dell'intimità umana. Con cosa interagiamo esattamente quando ci leghiamo a un'altra persona? Che cos'è davvero essenziale? Che cosa ci eccita?

E se un computer potesse avere le stesse connessioni emotive di un umano, o almeno potesse reagire come un umano, allora cosa lo differenzierebbe da un umano vero? La mancanza di un corpo? Non proprio, perché dal film si può capire chiaramente che quella dei computer con forma umana è una possibilità non remota-basti pensare a Terminator.

C'è un momento in Her in cui Samantha e Theo si stanno quasi per lasciare, come succede in tutte le commedie romantiche; una scena che ha distrutto molte coppie vere, ovvero quella in cui uno dei due rivela quanti partner ha avuto (o in questo caso, quanti ne ha attualmente). Questo stereotipo trito e banale acquista una nuova vitalità perché immette nel gioco un non-umano-che è un po' lo stesso meccanismo che ha fatto la fortuna di Brokeback Mountain: una classica e tragica storia d'amore resa interessante dal mero orientamento sessuale degli amanti.

JAMES FRANCO

Theo si aspetta che Samantha segua gli standard di fedeltà umana, mentre lei ha molti amanti perché ne è capace e può permetterselo. È capace di dare a centinaia di persone la stessa attenzione nello stesso momento, e può addirittura accrescere il suo amore e connetterlo attraverso tutte le relazioni (che forse è la forma avanzata dei casini relazionali causati dai social network). Quindi, non sarebbe profondamente ingiusto limitare la portata del suo amore a un solo umano dal cervello piccolo?

Infine c'è la scena in cui un sacco di gente cammina trafficando con il proprio smartphone (o qualsiasi cosa diventerà nel futuro). Una scena potente e triste, perché mostra quanto l'essere umano portebbe diventare inutile in breve tempo: nel film sono i componenti umani i più lenti e i meno intelligenti, tutti tenuti a bada dalle loro grandi madri digitali come Samantha. Ed è questo che succederà, finché gli umani capiranno di non essere gli unici.

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JAMES FRANCO

MEGLIO DEI GLOBES, GLI AFTER-PARTY: NELL’ERA DEI SELFIE E DI INSTAGRAM, È UNA GARA ALLA FOTO PIÙ CAZZONA

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DAGOREPORT

After the Globes: dopo tre ore di diretta televisiva a base di poco cibo (non è televisivo farsi beccare col cannellone in bocca) e molto alcol, il mejo di Hollywood cinematografara e televisiva si è infilato negli after-party. I due più gettonati: quello di NBC-Universal e quello di Harvey Weinstein. E a chi gli ha retto il cuore (e il naso), dopo l'after-party c'erano anche gli after-after party nei ristoranti e nei locali di Los Angeles.

Golden Globes After Show BRADLEY COOPER E LEONARDO DICAPRIO CON LE MADRI KALEY CUOCO

Tra i più scatenati c'era Taylor Swift, la reginetta del country pulito (agli antipodi della dirty Miley) che tenta continuamente di mandare il messaggio "Hey, anche io sono simpatica e caciarona", a suon di selfie e smorfie. Molto meglio Kaley Cuoco, l'italoamericana protagonista di "Big Bang Theory", quella che ha più successo tra le sit-com americane, che ha strizzato i suoi due ‘golden globe' a favore di fotocamera (con Heidi Klum che fa capolino da dietro, anche detto "photobombing").

taylor swift balla con jaime king e hailee steinfeld

Nonostante una sola statuetta (miglior film drammatico) su sette nomination, gran giubilo per Steve McQueen e il cast di "12 anni schiavo", composto da molti attori poco conosciuti e finora visti solo nel loro ruolo di schiavi frustati e sofferenti. Meglio in abito da sera e con qualche cocktail in corpo. I due schiavisti Benedict Cumberbatch e Michael Fassbender si sono scatenati in pista. Assente invece Brad Pitt, che oltre ad aver prodotto il film, fa anche un piccolo cameo, che in Italia gli ha garantito il primo piano sulla locandina, visto che il protagonista nero qui non lo conosce nessuno.

steve mcqueen

Steve Coogan gira per la sala a braccetto della vera Philomena, da cui ha tratto l'omonimo cinepanettone per signore (copy Marco Giusti). Puff Daddy, ora noto come P Diddy, prima pubblica su Instagram foto con l'antirughe sotto gli occhi, poi si abbraccia a una bottiglia di cognac (di cui probabilmente fa il testimonial).

robin wright balla col marito alla festa weinstein

La splendida Miranda Kerr appare senza mutande e senza marito: si è separata da Orlando Bloom ma ieri sera si sono ritrovati alla stessa festa. Lena Dunham di "Girls" non ha ricevuto premi, se non quello di "peggio vestita" che la stampa frociarola le affibbia ogni anno, ma si consola scattando selfie con il suo fidanzato scelto dal catalogo "hipster in tre semplici mosse".

Dopo la cena al Beverly Hills Hilton c'è anche chi, come Drew Barrymore, preferisce mangiarsi una sleppa di pizza che andare a ubriacarsi alle feste. Ma era giustificata perché incinta.

usher e bono

Grande scalpore hanno suscitato due donne: le madri di Bradley Cooper e Leonardo DiCaprio, che hanno lasciato a casa modelle e bonazze di complemento, e hanno portato mammà, perché loro sono fichi e possono permetterselo.

PUFF DADDY P DIDDY SEAN COMBS CON I PATCH ANTIRUGHE

La mastodontica Gwendoline Christie, una ragazzotta inglese di 1 metro e 91 centimetri, si è divertita a tirare pugni a Mike Tyson, in grande forma mediatica dopo la promozione della sua biografia.

Molta allegria anche al tavolo degli U2, premiati per una canzone che non ha sentito nessuno, scritta per un film su Mandela (prodotto da Weinstein) che non ha visto nessuno. Ma da qualche anno la categoria "canzone originale" per i film è la più desolata e desolante, ci si accontenta di poco.

sofia vergara

Lady Gaga arriva tardi, al braccio del fidanzato Taylor, ormai trasformata in una mini-Donatella Versace. Niente bistecche sul vestito, niente uova-container. Tolta la trasgressione artistica, resta l'animo un po' burino dell'italiana di New York.

 

TAYLOR KINNEY E LADY GAGA robin wright con il golden globe in testa JESSICA CHASTAIN HORROR JENNIFER LAWRENCE PHOTOBOMB A TAYLOR SWIFT HEIDI KLUM MAGNA emma thompson e meryl streep Benedict Cumberbatch Michael Fassbender ballano DREW BARRYMORE SE MAGNA NA PIZZA DOPO I PREMI LENA DUNHAM COL FIDANZATO JULIA LOUIS DREYFUS FA UN SELFIE CON LUPITA NYONGO MIRANDA KERR SENZA MUTANDE ORLANDO BLOOM ZOE SALDANA MIKE TYSON E GWENDOLINE CHRISTIE P DIDDY CON MODELLA FIDANZATA CASSIE

LETTA IN MESSICO, NAPOLITANO E RENZI ESAMINANO TEMPI E MODI DEL RIMPASTO

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Francesco Bonazzi per Dagospia

L'unico modo per fare il premier con uno come Matteo Renzi che ti tallona è seguire il primo comandamento di Carlo Petrini e Oscar Farinetti: chilometri zero. Invece Enrico Letta prima va in Slovenia a sciare con la famiglia (e il Rottamatore gli sforna programma di governo e riforma elettorale) e poi va in Messico con i colossi di Stato a caccia di affari mentre il sindaco sale al Quirinale per due ore di summit con il capo dello Stato.

LETTA-RENZI

Nella giornata in cui il presidente del Consiglio ci tiene a far sapere che lui si fida del segretario del Pd, è altamente probabile che Giorgio Napolitano e Renzi abbiano già esaminato tempi e modi del rimpasto. Anche se ovviamente avranno volato altissimo, concedendosi al massimo qualche "scambio di opinioni" sulla legge elettorale. Fatto è che quando Letta junior tornerà da Città del Messico troverà molto lavoro fatto.

L'accelerazione sul rimpasto di governo è evidente. La sta causando il clamore per le intercettazioni di Nunzia De Girolamo nell'inchiesta sulla sanità del Sannio, con il ministro dell'Agricoltura che rischia di dover andare in Parlamento a spiegarsi. Renzi per ora tace, ma i suoi fedelissimi parlano apertamente di dimissioni.

Nunzia De Girolamo

Mentre i forzisti si proclamano sempre e comunque garantisti, ma è chiaro che in caso di sfiducia individuale la transfuga Nunzia rischierebbe parecchio. Lo stesso Francesco Boccia, marito della De Girolamo e lettiano doc, resta prudente e ci tiene a far sapere di essere "rigoroso anche con mia moglie".

alfano kazaco

Il rimescolamento nella compagine di governo potrebbe toccare anche Angelino Alfano, Fabrizio Saccomanni, Annamaria Cancellieri, Enrico Giovannini e Flavio Zanonato. Alfano rimarrebbe vicepremier e lascerebbe il Viminale proprio mentre il caso Ablyazov rischia di investirlo nuovamente, visto che il suo ex capo di gabinetto Procaccini ha detto ai magistrati che il ministro sapeva che i kazaki inseguivano a tutti i costi il dissidente.

Su Saccomanni c'è l'alta copertura di Napolitano e di Mario Draghi, per cui dovrebbe conservare la poltrona all'Economia, anche se circola la voce di un ritorno di Domenico Siniscalco. Cancellieri è stata azzoppata dal caso Ligresti, Giovannini si è azzoppato da solo criticando il "jobs act" di Renzi e il bersaniano Zanonato era candidato alla sostituzione prima del malore di Bersani, ma ora sul suo destino c'è un comprensibile imbarazzo.

In casa grillina, la sorpresa della giornata. Al referendum online sulla legge Bossi-Fini vince di gran lunga (60%) la linea di chi la vuole abolire e basta, contrariamente alle cautele di Beppe Grillo. Il vero rebus è se il guru Casaleggio abbia perso il pieno controllo del blog di Grillo, oppure no.

BEPPE GRILLO E CASALEGGIO AL QUIRINALE SACCOMANNI E DRAGHI

 

 

PIÙ CHE RADDOPPIATO IL TEMPO DI PAROLA PER I CINQUESTELLE (TRANNE AL TG5)

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Marco Castoro per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)

BEPPEGRILLO

Lamentarsi fa bene. Soprattutto se i danni subiti sono notevoli. I telegiornali di Rai e Mediaset hanno più che raddoppiato il tempo di parola concesso agli esponenti del Movimento 5 Stelle il mese successivo alla levata di scudi di Beppe Grillo e di Roberto Fico contro i tiggì. Protesta scaturita proprio in seguito alla pubblicazione di un articolo su La Notizia. Per carità, siamo ancora su livelli non consoni ai risultati elettorali, eppure qualcosa si muove.

La percentuale del mese di dicembre (dati Agcom) è nettamente cresciuta in tutti i tiggì, a eccezione del Tg5. Ovviamente, stiamo prendendo in esame soltanto i dati riguardanti il tempo di parola in tutte le edizioni dei tiggì. Quindi il microfono aperto sui soggetti politici in voce, tenendo in considerazione non solo i partiti ma anche le istituzioni (premier, ministri, Quirinale e Camere).

GRILLO

Il Tg1 è passato dal 5,42 al 6,08%; il Tg2 da 6,03 a 7,93%; il Tg3 addirittura ha quasi quadruplicato lo spazio, passando da un misero 2,46% di novembre al 9,66% di dicembre. Anche Rainews ha dato molto più spazio ai 5 Stelle (da 1,50 a 5,31%).

Perfino i tiggì di Mediaset hanno allentato un po' il bavaglio, a eccezione del Tg5 che invece è andato controtendenza (da 3,20 a 2,82%). Tg4 e Studio aperto sono passati dallo 0,40% di novembre rispettivamente al 2,14% e 3,65% di dicembre. Sia a Viale Mazzini sia a Cologno la percentuale media di tutte le reti in tutte le edizioni dei tiggì è raddoppiata.

Roberto Fico alla Camera jpeg

La Ds merita Raiuno
Abituati alla bicicletta con le rotelle a Raidue non riescono ancora a riprendersi dall'euforia che solo la Domenica sportiva sa dare. Ancora una volta la trasmissione condotta da Paola Ferrari ha vinto la seconda serata con uno share in doppia cifra (13% e una media di oltre 2 milioni di spettatori).

roberto fico

Doppiato negli ascolti lo Speciale Tg1 che si è fermato al 6,36%. Visti questi risultati viene da chiedersi perché una trasmissione come la Domenica sportiva, la più longeva della Rai, debba continuare il suo purgatorio sulla seconda rete, quando l'ammiraglia non fa lo stesso risultato. La Ferrari e il suo team su Raiuno garantirebbero almeno un 15%. Tra l'altro viene da pensare se l'azienda farà o no un tentativo per convincere la Ferrari a prolungare la sua conduzione di un anno, visto che lei ha già annunciato che questo sarà l'ultimo.

paola ferrari foto mezzelani gmt

Il Tg5 ha compiuto 22 anni
Il vicepresidente di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, ha voluto fare gli auguri al tiggì più visto del Biscione: «Il Tg5 dal 1992 informa gli italiani con modernità e autorevolezza». In questi 22 anni, il telegiornale diretto da Clemente Mimun si è conquistato la leadership assoluta sul pubblico 15-64 anni.

Fox Life piace alle donne
Ottimi ascolti per Quattro matrimoni in Italia, la produzione di Magnolia per Fox International Channels Italy. I 221 mila spettatori hanno permesso di essere il canale più visto dal pubblico femminile sulla piattaforma di Sky.

 

piersilvio berlusconi maria de filippi

 

SILVIO E PIERSILVIO BERLUSCONI

MA QUALE RIMPASTO, SONO LE NOMINE NELLE GRANDI SOCIETÀ PUBBLICHE CHE FANNO GOLA A RENZI

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DAGOREPORT

Enel

Rimpasto o non rimpasto, sono le nomine nelle grandi società partecipate dallo Stato ad essere l'oggetto del desiderio di Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha ben chiaro che presidenti e amministratori delegati di società come Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Poste valgono ben più di un ministro, per la loro capacità di orientare le scelte di politica industriale, per il serbatoio di assunzioni che ancora garantiscono pur in un momento di crisi e per la massa di investimenti (quasi 50 miliardi l'anno) che hanno capacità di trasferire al sistema delle imprese dei fornitori.

letta

E' per questo che pur fuori dalle dichiarazioni pubbliche, il segretario del Pd non nasconde ai suoi più stretti collaboratori che sulla prossima tornata di nomine vuole avere pieno potere e l'ultima parola. E la mappa potrebbe anche entrare nel "Patto di governo" che Lettanipote si avvia a negoziare con il sindaco di Firenze nelle prossime ore.

La lista dei candidati, insomma, potrebbe prendere forma ben prima delle scadenze societarie che prevedono le assemblee nel mese di maggio e quindi la formalizzazione dei nomi da parte del Tesoro o di Cassa Depositi e Prestiti entro la prima decade di aprile.

L'accelerazione ha colto di sprovvista sia gli attuali titolari delle posizioni che contano nelle società sia i pretendenti che di giorno in giorno si fanno più numerosi e pressanti. Renzi, da parte sua, non potrà confermare tutti perché sarebbe una eccessiva continuità con la linea Letta che nella tornata di nomine estive non ha cambiato nessuno, ma neppure può dare l'immagine di chi vuole sostituire a prescindere da risultati e competenze un sistema con uno più vicino a lui.

ENRICO LETTA E LA BANCONOTA DA EURO

Si opererà, dunque, si racconta nelle segrete stanze, con il bisturi, magari confidando nell'aiuto di qualche magistratura che possa mettere fuori gioco questo o quel candidato facendo appello alla direttiva Saccomanni che tra i criteri di scelta ha indicato anche la reputazione dei manager.

La mappa è in costruzione in questi giorni e, per ora, vede una folta schiera di candidati alla linea di partenza. Alcuni scontati come Francesco Caio, che gratis sta prestando aiuto a Letta nella definizione dell'Agenda digitale e che punta a sostituire Massimo Sarmi alle Poste.

Oppure Luigi Gubitosi, dg della Rai nominato da Monti, che potrebbe lasciare libera prima della scadenza una casella importante per le campagne elettorali in cambio di una posizioni di amministratore delegato. Punta all'Eni ma più probabilmente potrebbe venire dirottato su Terna, palestra non impegnativa per saltare nell'albo degli Ad di società quotate.

In gran movimento anche Andrea Guerra, oggi alla guida di Luxottica e con un passato in Merloni, che potrebbe puntare a Poste o Terna. Mentre Alessandro Castellano (ad di Sace) o Giovanni Castellucci (ad di Autostrade) puntano ai bersagli grossi come Eni, Enel o Finmeccanica.

RENZI E LETTA

Ousider chiacchierati nei palazzi romani per il loro attivismo nei corridoi della politica Valerio Camerano, oggi ad di Gas de France in Italia, e Luca Luciani, l'ex ad di Telecom Brasile noto per lo scivolone su Napoleone.

Il problema, noto a Renzi a Letta e ad Alfano, è però che nessuno di questi ha un profilo e una esperienza per salire sulla plancia di società come Eni, Enel o Finmeccanica, partecipate dai fondi più importanti al mondo e gestite oggi da manager che guardano negli occhi Putin, Obama o la Merkel.

Certo il sogno di tutti è la disponibilità di Vittorio Colao, ad di un colosso mondiale come Vodafone, al quale però nessuno potrebbe garantire la libertà ed il trattamento economico che ha oggi a Londra.

SACCOMANNI E LETTA

E gli attuali vertici? I consiglieri di amministrazione hanno chiaro che saranno spazzati via tutti. Rappresentano un vecchio quadro politico e fanno capo tutti a Lega o Pdl. Ma anche i presidenti traballano. Luigi Roth, gentiluomo del Papa, di Terna ha perso i suoi forti rapporti oltretevere, (Papa Francesco non l'ha mai ricevuto come nessun altro gentiluomo) e sta cercando altre sponde.

De Gennaro, presidente di Finmeccanica, non è in discussione. Paolo Colombo presidente di Enel, uomo di fiducia di Tremonti, è dato per spacciato. Recchi, presidente di Eni, forte dei suoi rapporti punta ad un ruolo operativo. Ialongo, potente presidente di Poste, conta sul rapporto tra Bonanni e Renzi.

LUIGI GUBITOSI ANDREA CECCHERINI FERRUCCIO DE BORTOLI MARCUS BRAUCHLI VICE PRESIDENTE WASHINGTON POST

Gli Amministratori delegati con un curriculum sopra la media si sentono sicuri. In primis Paolo Scaroni ma anche Fulvio Conti, apprezzati dai mercati finanziari e forti di rapporti con i capi di Stato in mezzo mondo. E gli altri? Massimo Sarmi, che continua a guardare con interesse dalle parti di Telefonica, si illude che sia bastato un regalo di poche decine di milioni ad Alitalia per salvare l'ennesima conferma. Sarebbe il quinto mandato.

Pansa, ad di Fimmeccanica, traballa e potrebbe lasciare libera presto la sua casella. 

FRANCESCO CAIO

Vedremo nelle prossime ore al rientro di Letta dal Messico come evolve la situazione.

 

Antonia De Mita Laudomia Pucci e il marito Alessandro Castellano finmeccanicaFinmeccanicaTERNA

IL CINEMA DEI GIUSTI - ERROL MORRIS PORTA AL CINEMA IL “FALCO” DONALD RUMSFELD

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Marco Giusti per Dagospia

The Unknown Known di Errol Morris.

STRAGE DI FALLUJAH

Non è facile intervistare i politici. Anche dopo anni di distanza dai loro massimi momenti di potere e dai fatti storici che li riguardano da vicino. Non è facile perché i politici scaltri o scaltrissimi come Donald Rumsfeld, sanno esattamente come nascondere dietro a battute, giochi di parole e sguardi ambigui la verità. Al punto che anche i migliori giornalisti spesso non sano come prenderli e metterli con le spalle al muro.

Quando è stato presentato lo scorso settembre a Venzia, ci aspettavamo davvero molto da questo "The Unknown Known", l'attesissimo e complesso documentario che Errol Morris aveva dedicato a Donald Rumsfeld, controverso segretario della difesa americano di ben quattro governi repubblicani e in gran parte responsabile della strategia bellica americana in Irak nel governo Bush e degli scandali di Guantanamo e Abu Ghraib.

ERROL MORRIS

Per undici giorni Rumsfeld, dal sorriso sempre aperto e dalla bellissima e accattivante voce da politico di vecchio corso, risponde in un gioco da gatto e topo alle domande del preparatissimo Errol Morris, che non è né il Giovanni Minoli di "Mixer" che intervista Craxi né il Michele Santoro che intervista Silvio Berlusconi su La7. Anche perché non è un giornalista, ma un regista.

Morris cerca infatti di fare del cinema, e non a caso il film è dedicato a un celebre critico da poco scomparso, Roger Ebert, raccontando una pagina di storia importante non solo del suo paese attraverso la voce e gli scritti, degli incredibili promemoria, che Rumsfeld stesso ha messo da parte nella sua lunga e controversa carriera politica. Ma cerca anche di scalfire dietro la maschera del politico le sue colpe, il noto ignoto o l'ignoto noto che non è proprio così come si conosce.

donald rumsfeld

Quello che viene fuori, alla fine di questo ritratto di politico troppo astuto per cadere nei tranelli di Morris ma non così innocente per salvarsi dalle proprie responsabilità se non incolpando alla guerra, dalla sua amministrazione provocata, le cause delle torture e degli orrori di Abu Ghraib (e Falluja?), è una grande lezione di comunicazione politica che fa impallidire pure le stelle di casa nostra.

I Giorgio Gori che suggeriscono idee e frasi ai Renzi, per non pensare ai consigliori, tipo Giuliano Ferrara o Renato Brunetta e Renato Farina, che nel tempo ha avuto Berlusconi. Ma rimaniamo frustrati, come cittadini, che Morris non sia riuscito a inchiodare Rumsfeld più di tanto, che alla fine sia un po' caduto nella sua rete di battute, che non abbia saputo rivelarci davvero cose che già non sapevamo. Una specie di match pari, insomma, anche se di altissimo livello politico.

abu ghraib

Rispetto a qualsiasi attore, poi, Donald Rumsfeld sembra godere non di un copione ma di un vero team di esperti sceneggiatori e uomini di spettacolo. Come se le sue frasi, i suoi scioglilingua fossero tutti attentamente studiati e provati. A cominciare da quello del titolo che è un po' il suo cavallo di battaglia e che sentiamo a più riprese nel film, anche come repertorio. Impaginato come un film di fantascienza, con una precisa e spettacolare musica di Danny Elfman, il film è meno riuscito di quello che Morris dedicò a Richard McNamara, "The Fog of War", ma in quel caso il distacco dal momento storico non poteva che aiutare l'operazione.

DONALD RUMSFELD THE UNKNOWN KNOWN

Qui, come già molti critici americani hanno notato, i fatti sono troppo recenti per poter godere della stessa visuale. Ma alla fine restiamo con la voglia di saperne di più, e anche annoiato da tanta esibizione di faccia tosta e di politichese americano. I fatti storici parlano chiaro. E alla fine non sappiamo davvero chi dei due, tra intervistatore e intervistato, sia il gatto e chi il topo. In sala dal 16 gennaio.

DONALD RUMSFELD IN THE UNKNOWN KNOWN ABU GHRAIB

 

DOPO IL CASO CANCELLIERI-LIGRESTI POTREBBE SCOPPIARE UN CASO ALFANO-LIGRESTI

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/14/fonsai-nellinchiesta-spunta-una-telefonata-tra-alfano-e-salvatore-ligresti/843131/

Dopo il caso Cancellieri-Ligresti potrebbe scoppiare un caso Alfano-Ligresti. C'è anche una telefonata tra l'attuale ministro dell'Interno Angelino Alfano e Salvatore Ligresti, l'ex patron di Fonsai sotto processo a Torino e indagato a Milano. Ed è proprio dal capoluogo lombardo che indaga sui trust lussemburghesi che sarebbero riconducibili all'imprenditore che spunta una conversazione che è stata captata dalla polizia giudiziaria.

Angelino Alfano

L'intercettazione, che emerge dopo la nuova chiusura del filone d'indagine del pm di Milano Luigi Orsi, è relativa al 28 maggio 2011 e nel colloquio tra i due si fa riferimento a una cena a Roma. All'epoca dei fatti, Alfano era ministro della Giustizia nel governo Berlusconi.

ligresti salvatore

2. FONSAI: TELEFONATA ALFANO - S. LIGRESTI AGLI ATTI =
(AGI) - C'è anche una telefonata tra il Ministro Angelino Alfano e Salvatore Ligresti agli atti
dell'inchiesta di Milano che coinvolge anche l'ex immobiliarista. Risale al 28 maggio 2011 e dura circa due minuti e mezzo. La conversazione è stata depositata con l'atto
di chiusura dell'indagine con al centro Premafim. Nel colloquio, i due si accordano per vedersi a cena e parlare di una casa che il costruttore dovrebbe dare in affitto a Roma a
un collaboratore dell'allora Guardasigilli.

 

IL FONDO PREVIDENZIALE DEI FERROVIERI GENERA UN BUCO DA 4 MILIARDI L'ANNO

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Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)

Una bomba previdenziale che di fatto è già esplosa nel più assoluto silenzio. E che per il momento costa alle casse dello Stato una vera fortuna. Parliamo di 4 miliardi di euro che ogni anno il ministero del Tesoro è costretto a trasferire per coprire i buchi del fondo pensioni per il personale delle Ferrovie dello Stato.

FRECCIAROSSA SABOTAGGIO

Inutile girarci intorno, si tratta di un salasso che soltanto negli ultimi cinque anni è costato 19,7 miliardi. Ma il conto, secondo le previsioni, sarebbe anche destinato a salire. Un problema di non poco conto per il ministero dell'economia guidato da Fabrizio Saccomanni, che con l'ausilio del commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, sta cercando disperatamente di razionalizzare la spesa pubblica.

La situazione
Sta di fatto che le cifre in gioco emergono in tutto il loro peso dal bilancio dello Stato. Non si tratta di trasferimenti diretti dal Tesoro alle Ferrovie, ma di risorse che ogni anno vengono destinate alla voce "contributo per la copertura del disavanzo del fondo pensioni per il personale delle Fs". Nello stesso bilancio pubblico, quindi, si riconosce la necessità di andare a coprire quello che senza dubbio è uno squilibrio finanziario.

In ultima analisi, quindi, parliamo di un trasferimento che, seppure in forma indiretta, beneficia il gruppo guidato da Mauro Moretti. Naturalmente il problema ha origini risalenti nel tempo, quando i vertici di Fs non erano gli attuali. Ma gli effetti si stanno scaricando tutti ancora oggi sulle casse pubbliche. Come si è arrivati a questa situazione che ora non fa dormire sonni tranquilli a Saccomanni e Cottarelli?

termini scontro tra frecciarossa

La storia
Diciamo subito che un tempo i trasferimenti erano girati direttamente al fondo pensioni del personale di Fs, istituito nel lontano 1908. E' stata poi una legge del 1999 a sopprimere la struttura, di fatto trasformandola in un fondo speciale gestito dall'Inps, con efficacia da 2000. La cosa più impressionante, in ogni caso, è vedere l'escalation di trasferimenti. Nel 2006, per esempio, il Tesoro ha girato 3,857 miliardi, leggermente calati a 3,7 l'anno successivo. Dal 2008 al 2011, però, l'assegno è salito a 3,9 miliardi per ciascun esercizio. Nel 2012 siamo cresciuti a 4 miliardi, la stessa cifra presa in considerazione per il 2013.

MAURO MORETTI ALLA PRESENTAZIONE DEL FRECCIAROSSA AL MEETING DI RIMINI

Ma non è finita qui, perché nelle previsioni per il prossimo triennio si prevedono somma anche più alte: 4,3 miliardi per il 2014, che salgono a 4,35 miliardi per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Un conto salatissimo: considerando il decennio che va dal 2006 al 2016 sarà costato in tutto 44 miliardi di euro. Naturalmente risorse rigorosamente pubbliche. Ora, questo andazzo è oggetto di attenta riflessione a via XX Settembre per vari motivi.

MAURO MORETTI CON UN CANE

I nodi
In primis c'è un'ovvia (ma molto grave) questione di sostenibilità finanziaria. La domanda è molto semplice: fino a che punto lo Stato può permettersi di staccare un assegno annuale di circa 4 miliardi di euro? Il problema, peraltro, è già stato stigmatizzato dalla Corte dei Conti, che in un duro passaggio nella sua relazione al bilancio 2011 dell'Inps ha fortemente auspicato "misure di risanamento delle gestioni in dissesto, oltre che di quelle in forte squilibrio, tra le quali meritano segnalazione i trattamenti pensionistici degli enti disciolti e le pensioni dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato».

COTTARELLI

Insomma, non si può più rimanere con le mani in mano. Anche perché situazioni simili si vivono per altre società pubbliche come Poste. Qui, come raccontato da La Notizia del 19 novembre 2013, lo squilibrio previdenziale dell'ex Ipost, anche questo trasfuso nell'Inps, è ormai arrivato a costare un miliardo di euro l'anno.

Il capitolo trasferimenti
Tra l'altro i documenti finora predisposti da Cottarelli sulla spending review sembrano voler metter nel mirino anche i pesanti trasferimenti pubblici girati a Fs per il contratto di Servizio. Dall'ultimo bilancio del gruppo viene fuori che nel 2012 si è trattato di 2,2 miliardi di euro, di cui 514 milioni derivanti direttamente dallo Stato e 1,7 miliardi dalle regioni. Naturalmente La Notizia ha chiesto al gruppo Fs di commentare le questioni relative alle sofferenze previdenziali e ai trasferimenti. Senza però avere risposta.

SACCOMANNI E LETTA

 

 

MOTORE GIA' IN PANNE PER ALITALIA - LA LIQUIDITA' SCARSEGGIA ED ETIHAD NON HA FRETTA…

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1-ALITALIA VARA IL CDA E TRATTA CON LE BANCHE
Gianni Dragoni per "Il Sole 24 ore"

ETHIAD ALITALIA x

Con tre nuovi soci e qualche incrinatura nell'azionariato, evidenziata anche dalla scelta di Atlantia (Benetton) di presentare da sola la lista dei suoi candidati al nuovo consiglio di amministrazione e di non convertire le obbligazioni in azioni, Alitalia-Cai cerca di ripartire con i "nuovi" vecchi vertici.
La compagnia sta discutendo con le banche perché la liquidità scarseggia, ha detto Gabriele Del Torchio, il "ducatista" confermato amministratore delegato con in più il grado di vicepresidente, nel nuovo cda che durerà, parole di Del Torchio, «fino all'approvazione del bilancio 2014», quindi circa 16 mesi. Confermato anche Roberto Colaninno presidente, è in carica dalla fine del 2008, quando prese forma l'Alitalia dei Capitani coraggiosi, i «patrioti» di Silvio Berlusconi.

alitalia vignetta

Alitalia ha troppi debiti rispetto al flusso di cassa della gestione, come hanno sottolineato sia Air France-Klm sia il potenziale nuovo alleato Etihad. La discussione con le banche, che già hanno prestato 200 milioni di euro al termine della ricapitalizzazione di 300 milioni, potrebbe estendersi alla rinegoziazione del debito. Questa condizione è stata posta dal potenziale partner di Abu Dhabi per investire fino a 350 milioni in un nuovo aumento di capitale. Anche Air France-Klm aveva chiesto di rinegoziare il debito, ma avendo ottenuto un diniego i franco-olandesi non hanno partecipato all'aumento di capitale, diluendosi dal 25 al 7% circa.

«Con Etihad siamo ancora in fase esplorativa, ci scambiamo idee e progetti, ma se il buongiorno si vede dal mattino io sono ottimista», ha spiegato Del Torchio. I contatti procedono, con le incertezze per le fragilità finanziarie e di mercato di Alitalia. L'a.d. di Etihad, James Hogan, ha parlato ieri di «fase preliminare dell'analisi su Alitalia», spiegando che «Etihad non è interessata all'aeroporto» di Fiumicino, togliendo così dalla trattativa un elemento che sta a cuore ad Atlantia, che controlla Fiumicino.

Giancarlo Schisano, Il direttore operativo di Alitalia

Fonti finanziarie riferiscono che, se ci sarà una convergenza con Etihad, l'intesa potrebbe concretizzarsi per marzo-aprile con un aumento di capitale riservato, con il quale la compagnia di Abu Dhabi potrebbe diventare azionista fino al 49% di Alitalia. La liquidità affluita con la ricapitalizzazione ha permesso a Del Torchio di pagare i debiti più urgenti, evitando la paralisi, ma non consentirà di arrivare senza allarmi all'estate. I conti di Alitalia restano in rosso, è aperto il confronto sindacale su 1.900 esuberi, la compagnia ha deciso di mettere a terra 11 Airbus a medio raggio su una flotta già ridotta a 137 aerei (di cui solo 22 a lungo raggio).

«Ci siamo rafforzati sul piano patrimoniale, ora dobbiamo farlo sotto il profilo finanziario e per questo - ha spiegato Del Torchio - stiamo discutendo con le banche per farci accompagnare nel piano di crescita con ulteriore apporto di liquidità». Il nuovo cda ridotto da 19 a 11 componenti, eletto dall'assemblea, tiene conto del peso dei soci dopo la ricapitalizzazione di 300 milioni. Sono state inoltre convertite in azioni 91,543 milioni di obbligazioni, compresi gli interessi. Nel cda anche le Poste, che hanno versato 75 milioni nel piano di salvataggio per volontà del premier Enrico Letta, il quale il 10 ottobre aveva posto come condizione dell'intervento pubblico nella compagnia privata «discontinuità e rinnovamento» e «nuovi organi societari».

ALITALIA

Parole rimaste inascoltate, perché i vertici di Alitalia sono stati confermati. Intesa Sanpaolo è il socio più forte, sia per le quote dirette (20,59%) sia per i finanziamenti ad altri soci, tra cui la "new entry" Odissea di Antonio Percassi: la banca ha nominato in cda Fabio Canè e Amedeo Nodari, tratti dalla sua lista anche Colaninno, Davide Maccagnani (azionista al 3,69%) e Mario Volpi, commercialista di Percassi. La lista Poste-Unicredit ha eletto tre consiglieri, due di Poste, Alessandro Zurzolo e Paolo Luca Stanzani Ghedini e uno della banca, Ranieri de Marchis. Air France-Klm ha scelto il suo nuovo direttore finanziario, Pierre Francois Riolacci, Atlantia ha votato Antonino Turicchi in solitudine.

Alitalia ha scelto la continuità «temporanea», come dimostra la dichiarazione di Colaninno, che si è rimangiato le dimissioni da presidente: «Accolgo tale designazione allo scopo di garantire il completamento di questa fase operativa e di transizione della società».

2-"Alitalia ci interessa ma non c'è fretta"
Mara Monti per "Il Sole 24 ore"

CARLO DE BENEDETTI ROBERTO COLANINNO FOTO LAPRESSE

«Siamo ancora in una fase preliminare dell'analisi del dossier su Alitalia. Stiamo lavorando alla due diligence, ma alla fine sarà il board della compagnia a decidere». Sono le prime parole del presidente e Ceo di Etihad, James Hogan sull'ipotesi di alleanza con il vettore italiano, rilasciate a Berlino nel corso di una conferenza stampa al fianco dell'amministratore delegato di airberlin, Wolfgang Prock-Schauer per annunciare gli sviluppi dell'alleanza con la compagnia tedesca.

L'interesse sul dossier italiano è forte, ma per ora il Ceo non si sbilancia, a cominciare dai tempi: «Non ho alcuna intenzione di fare alleanze per la fine del mese». Il numero uno della compagnia di Abu Dhabi ha assicurato che nonostante la stretta alleanza commerciale che lega Etihad ad Air France-Klm, nessuna di loro potrà influenzare la decisione finale perché «stiamo parlando solo con Alitalia». Smentito anche l'interesse per l'aeroporto di Fiumicino.

ANDREA RAGNETTI E ROBERTO COLANINNO GABRIELE DEL TORCHIO

La conferenza di Berlino è stata l'occasione per chiarire i principi della strategia di Etihad che in pochi anni ha acquisito numerose quote in vettori europei e asiatici per penetrarne i mercati domestici: «Siamo stati sempre chiari nel nostro obiettivo di volere creare un network» con vettori che devono rispettare princìpi quali la riduzione dei costi e la possibilità di «portare una compagnia aerea a fare profitti sostenibili. Questi sono i criteri chiave. Quello che non facciamo è dirigere le compagnie partner negli affari correnti. Noi dirigiamo Etihad».

hostess etihad a sidney

Da questi principi non è esclusa Alitalia, puntualizzando che «se arriveremo a chiarire tutti i punti chiave, renderò nota la situazione al mio board a cui è demandato il compito di prendere la decisione finale. Quello che non vogliamo fare è prendere decisioni affrettate».

Su un punto Hogan è stato chiaro: «Nei prossimi anni vogliamo costruire una rete» con altri operatori, ma di certo non «vogliamo costruire un vettore europeo». Nel carnet dell'equity alliance di Etihad al momento oltre airberlin con il 29% (ad essa fanno capo anche l'austriaca Niki e Belair), ci sono Air Lingus (3%), Air Serbia (49%), la svizzera Darwin (33,3%) che da questa settimana diventerà Etihad regional (Hogan sarà a Zurigo giovedì per la presentazione della nuova alleanza). A queste partnership si aggiungono Virgin Australian (19,9%) e l'indiana Jet Airways (24%). Una rete di alleanze con cui Etihad a partire da Abu Dhabi conta di raggiungere 400 destinazioni nel mondo e servire 91 milioni di passeggeri con una flotta di 500 aerei. Tutto questo perché nel difficile mercato delle compagnie aeree i «progressi si fanno con le partnership». Alitalia è avvertita.

 

VIDEO-FUNERAL - COMMOZIONE E ALLEGRIA ALLA CERIMONIA LAICA PER ARNOLDO FOÀ

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Video di Veronica Del Soldà per Dagospia

Il saluto ad Arnoldo Foà, tra commozione e risate

Foto LaPresse

VIDEO - THIS LITTLE LIGHT OF MINE, IL GOSPEL CANTATO ALLA FINE DEI FUNERALI DI ARNOLDO FOÀ

http://www.youtube.com/watch?v=1yUK0S_cEXY


1. ARNOLDO FOA': L'ULTIMO SALUTO
Daniela Giammusso per l'ANSA

''Le belle donne sono belle anche da nonne. Ma a quest'età mi resta solo di guardare. E allora, che il destino mi tocchi dove vuole, ma gli occhi no!''. Così, con quell'inconfondibile autoironia, recitando un inno alla vita e alle sue molte bellezze in una registrazione di qualche tempo fa, Arnoldo Foà si congeda dai tanti amici e colleghi che sono venuti nella Protomoteca del Campidoglio a portare l'ultimo saluto alla ''voce'' del teatro e della televisione italiana, scomparso sabato a 97 anni.

WALTER VELTRONI AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Una cerimonia laica per ''un grande artista, ma soprattutto un grande uomo'', hanno ripetuto in molti, con le donne più importanti della sua vita, dall'ultima moglie Anna Procaccini, alle cinque figlie, Orsetta, Ludovica, Valentina, Rossellina e Giulia, e alla loro mamma, Ludovica Volpe.

Ma anche, eccezionalmente, con uno accanto all'altro tre degli ultimi sindaci di Roma, Ignazio Marino, Valter Veltroni e Francesco Rutelli. E durante la quale, ancora più singolarmente, si è riso tanto, come capitava sempre quando si passava del tempo con Foà. ''E' stato un uomo che ha lasciato il segno, anche nella mia vita'', esordisce il sindaco Marino, mentre un maxi schermo restituisce immagini di scena e di vita, tra un basco, una pipa e una linguaccia divertita.

ORSETTA E ANNA FOA CON FRANCESCO RUTELLI AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

''Aveva un grande humor, anche se amava definirsi un attore drammatico - prosegue Marino - e ha attraversato il secolo da protagonista, anche con momenti di grande sofferenza, come quando dovette abbandonare il centro Sperimentale di cinematografia per le sue origini ebraiche. In tanti anni ha potuto diffondere la sua capacità artistica e ora è nella memoria non solo della nostra città ma del nostro Paese''.

''Proprio in queste sale fu consigliere comunale nel '60 - prosegue Francesco Rutelli, ricordando la sua ''presenza civica vibrante''. ''Se mi sentisse definirlo un 'grande vecchio' mi tirerebbe dietro un bicchiere'', aggiunge Valter Veltroni, che celebrò il suo matrimonio con la moglie Anna. ''Ha vissuto circondato da donne - ricorda - perché sapeva la profondità delle radici che le donne trasmettono agli uomini che sanno ascoltare. Con lui se ne va un pezzo di memoria del paese''.

ORSETTA E ANNA FOA AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

E poi, tra la lista infinita di registi e titoli delle sua carriera, dalla Freccia nera alla Bibbia, passando per Ronconi, Visconti, Welles, la sua dote forse più spiccata: la libertà. ''Era un uomo totalmente libero, di testa e di pensiero - commenta Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane - E ha saputo conciliare questa caratteristica di essere un ebreo laico con un profondo legame alla comunità ebraica italiana e allo Stato d'Israele''.

Intanto tra la folla si riconoscono volti della scena italiana, come Renzo Arbore, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Mariano Rigillo, Alessandro D'Alatri, Pierferdinando Casini, Ida Di Benedetto e, nella mattinata, Erminia Manfredi, Giorgio Soldati e Gianni Letta, che spera, dice ''da Foà in tanti prendano lezione di come si fa teatro per servire la società''. Una corona di fiori porta la stima del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed ecco Anna, l'amore della maturità.

IL CORO CANTA IL GOSPEL THIS LITTLE LIGHT OF MINE AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

''Il mio grazie personale - dice - va ad Arnoldo. E' stato un privilegio stare accanto a te''. Lui, Foa', se ne va sulle parole della sua poesia ''La vita è bella'' letta dalla figlia Orsetta e, chissà, magari battendo il tempo con il piede nella sua giacca cammello, mentre, ancora insolitamente, tutta la Protomoteca batte le mani sulle note di un ''Let it shine'' dal vivo, versione gospel.


2. FOÀ, UNO DEI GRANDI DELLA TV DEL DOPOGUERRA, ATTORE TEATRALE, VOCE DA KOLOSSAL
Marco Giusti per Dagospia

I TRE SINDACI RUTELLI VELTRONI MARINO AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Più di cento film, non sappiamo quanti spettacoli teatrali, quanti doppiaggi e, soprattutto, quanta televisione avesse fatto nella sua lunghissima carriera Arnoldo Foà, che si è spento a 98 anni dopo una vita piena vissuta pienamente che gli ha dato tante soddisfazioni. Per chi è cresciuto nel dopoguerra Foà è stato uno dei più grandi volti della prima televisione grazie agli sceneggiati che hanno fatto la storia della Rai: "L'isola del tesoro", "David Copperfield", "Capitan Fracassa", "Piccole donne", "Le mie prigioni", "La freccia d'oro", "Marcovaldo".

Ma è stato anche la grande voce che ci ha accompagnato in decine di kolossal, il narratore di "La Bibbia" di John Huston, la voce di Peter Ustinov in "Quo vadis?", quella di Anthony Quinn nel capolavoro di Federico Fellini "La strada" e in "Barabba" di Richard Fleischer, ma anche la voce di Broderick Crawford in "Il bidone" di fellini, oltre che di Jean Gabin, Louis Jouvet, Lionel Barrymore, Ward Bond, Kirk Douglas e decine di altri attori americani.

GIANNI LETTA CON ANNA FOA AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Doppiò anche il Lupo Cattivo nel cartoon di Walt Disney "I tre porcellini". Ma è stato anche grande attore a teatro per Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Luigi Squarzina, lavorando per le grandi compagnie italiani del '900, grande attore italiano per il cinema internazionale, che molto lo ha valorizzato anche rispetto al nostro, se pensiamo alle sue apparizioni nei film di Orson Welles, "Il processo", Joseph Losey, "Fuga a mezzanotte", Daniel Mann, "Judith", Jacques Deray, "Borsalino", Michael Anderson, "L'uomo del Kremlino", Nunnally Johnson, "La sposa bella", Tony Richardson, "Il marinaio di Gibilterra", Vincente Minnelli, "Nina", ma anche con Maurice Labro e André Hunnebelle in Francia.

GIANNI LETTA AL FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Nato nel 1916 a Ferrara, figlio di Valentino e Dirce Levi, dopo gli studi di economia a Firenze, si trasferì a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia per studiare recitazione diplomandosi nel 1938, anno in cui lo troviamo in due film, "Crispino e la comare" di Vincenzo Sorelli e nel meraviglioso "Ettore Fieramosca" di Alessandro Blasetti. Sempre nel 1938 debutta a teatro in "La dodicesima notte" di Shakespeare con la regia di Anton Giulio Bragaglia, che lo porta a lavorare nelle più grandi compagnie del tempo, la Capodaglio-Di Luca, la Cervi-Pagnani-Morelli-Stoppa, la Ninchi-Barnabò, la Adani-Cimara.

FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Incappò presto nelle leggi razziali. Ebreo, dovette non solo cambiar nome, diventando "Puccio Gamma", ma subì l'umiliazione di ottenere ruoli a teatro solo come sostituto degli attori malati. Da subito notato per la sua bellissima voce, lo troviamo a Napoli come voce della Radio degli Alleati al tempo della Liberazione.

FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Nel dopoguerra ottiene immediatamente la giusta considerazione sia dal teatro che dal cinema. Lavorò nelle compagnie Ferrati-Cortese-Scelzo, alla Compagnia del Teatro Nazionale di Guido Salvini, al Piccolo di Milano, fino a mettere in piedi la sua stessa compagnia con Andreina Pagnani, Olga Villi e Gabriele Ferzetti nella stagione 1956-57.

Nel cinema lo ritroviamo nel 1945 nel rarissimo "O sole mio" di Giacomo Gentilomo, una specie di "Roma città aperta" napoletana, ma lavorò con tanti registi, con Pietro Germi in "Il testimone", con Raffaello Matarazzo in "La fumeria d'oppio", con Duilio Coletti in "Il grido della terra", uno dei pochi film italiani sul problema ebraico dopo la guerra. Fece molti film con Totò, da "Yvonne la nuit" a "Totò sceicco" al censuratissimo "Totò e Carolina" di Mario Monicelli, dove intrepreta il commissario che l'agente Totò venera al punto di farne una statua di mollichella di pane.

Ma lo troviamo anche in "Adamo ed Eva" e in "I cadetti di Guascogna" di Mario Mattoli, in "Un giorno nella vita" e "Altri tempi" di Alessandro Blasetti, in "Il tradimento" di Riccard Freda. Ebbe un bellissimo rapporto di lavoro con Vittorio Cottafavi che lo volle in "Avanzi di galera", "I cento cavalieri" e nella sua serie tv "I racconti di padre Brown" nel 1971.

FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Con l'arrivo dei peplum e dei kolossal ebbe molte opportunità in film come "Cartagine in fiamme" di Carmine Gallonem "Salambò" di Sergio Grieco, "I tartari" di Ferdinando Baldi, oltre a ottenere molti ruoli in film americani e inglesi girati in Italia, come "Il processo" di Orson Welles. Negli anni '60 fu una delle colonne del nostro teatro e della nostra tv in tanti sceneggiati popolari che ne fecero uno degli attori più amati dal nostro pubblico.

FUNERALE LAICO DI ARNOLDO FOA FOTO LAPRESSE

Negli ultimi vent'anni fu salutato come un sopravvissuto di un mondo culturale ormai lontano. Ebbe modo di lavorare in film del tutto diversi, da "La puttana del re" di Axel Corti a "Ardena" di Luca Barbareschi, dal comico "Il 7 e l'8" con Ficarra e Picone a "Gente di Roma" di Ettore Scola a "Le ombre rosse" di Citto Maselli. Fu anche molto attivo in politica, schierandosi con il Partito Radicale negli anni '80 e scrisse un'autobiografia, "Recitare".

 

 

 

BOLLE CHE CRESCONO - BORSA USA SUI MASSIMI? GOLDMAN SACHS SE NE FREGA E CONTINUA A INVESTIRCI

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Carlotta Scozzari per Dagospia

toro wall street

La Borsa americana ha da poco raggiunto nuovi massimi? Qualcuno agita già lo spettro di una bolla che sta prendendo forma? E chi se ne importa. Potrebbero quasi rispondere così alla spinosa questione sull'azionario statunitense (uno dei temi del momento sui mercati finanziari) gli esperti di Goldman Sachs Sharmin Mossavar-Rahmani e Brett Nelson.

GOLDMAN SACHS

I due, infatti, hanno appena raccomandato ai clienti facoltosi della propria divisione di "private wealth" (bisogna avere almeno 10 milioni di dollari da affidare alla gestione), che hanno un approccio orientato al lungo termine, di mantenere il proprio investimento in azioni del mercato a stelle e strisce. Di vendere, insomma, non si parla minimamente.

E ciò per più di una ragione. Ad esempio, secondo i due esperti di Goldman Sachs "l'attuale contesto di politica monetaria caratterizzato da tassi di interesse nulli rende la liquidità e il reddito fisso in generale molto meno interessanti di quanto lo siano stati negli ultimi anni; cosa che, di converso, aumenta l'interesse verso le azioni".

Senza contare, poi, che "il rischio di sbagliare quando si sottopesano le azioni americane è molto elevato". E per non parlare del fatto che per fare scattare le vendite sull'azionario serve un fattore scatenante, di cui al momento, a detta di Mossavar-Rahmani e Nelson, non c'è traccia.

Logo " Goldman Sachs "

Certo, questo non significa che continuare a puntare sulla Borsa a stelle e strisce non comporti alcun rischio. Innanzi tutto, c'è il problema dell'economia americana, in fase di stagnazione e a rischio recessione. Poi, mettono in guardia i due esperti finanziari, c'è la questione della banca centrale americana, la Fed, il cui "tapering", vale a dire l'uscita dalle politiche che hanno inondato i mercati di liquidità, sembra essere "di disturbo più di quanto avremmo anticipato".

GOLDMAN SACHS

Non va poi dimenticata la crisi del debito sovrano dei paesi più deboli dell'Eurozona, ancora in corso. Ciononostante, però, è il senso del discorso, è più pericoloso stare fuori dall'azionario statunitense che non mantenere l'investimento.

 

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VITA, OPERE E POLTRONE DEL CHIAMPA, CHE TUTTI VOGLIONO ALLA GUIDA DEL PIEMONTE

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Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano"

Dunque, sempreché il centrodestra non riesca a resuscitare Cavour o Giolitti o Einaudi (che peraltro difficilmente accetterebbero di mischiarsi a questa banda), Sergio Chiamparino sarà il prossimo presidente della Regione Piemonte. Le elezioni saranno una pura formalità, così come le eventuali primarie del Pd (che probabilmente non si faranno, in barba allo statuto): nessun rivale interno può vantare la sua notorietà, la sua rete di potere e la stampa genuflessa ai suoi piedi.

travaglio, santoro

Il Reuccio della Mole ha già ricevuto l'investitura del segretario Matteo Renzi, che lo volle accanto a sé due anni fa alla Leopolda e l'anno scorso lo fece votare dai suoi nei primi scrutini delle presidenziali contro Marini. E questa è la prima stranezza: ma come, il Rottamatore che ha liquidato D'Alema e Veltroni vuole rifilare ai piemontesi questo vecchio dinosauro, più anziano sia di D'Alema sia di Veltroni, che oltretutto da due anni fa il banchiere come presidente della Compagnia di San Paolo, cioè della fondazione che controlla Intesa, il primo gruppo bancario italiano?

D'Alema è nato nel 1949, Veltroni nel '55, Chiamparino nel '48. Tutti e tre hanno iniziato a fare politica nel Pci nei primi anni 70 come consiglieri comunali: Max nel '71 a Genova, Uòlter nel '76 a Roma, Chiampa nel '75 a Moncalieri. Chiamparino Settepoltrone ha poi collezionato quelle di: segretario regionale della Cgil, segretario provinciale del Pds, consigliere comunale a Torino, deputato del Pds (dal 1996, dopo l'umiliante trombatura del '94 a Mirafiori contro il berluschino Meluzzi), sindaco dal 2001 al 2011 e, appunto, banchiere elegantemente nominato da Piero Fassino, suo successore a Palazzo di Città.

MARCO TRAVAGLIO MICHELE SANTORO

È stato dalemiano, poi veltroniano (responsabile Riforme della segreteria Veltroni e ministro del suo "governo-ombra"), poi franceschiniano, infine renziano. Immunizzandosi dalla rottamazione. E così, se il Piemonte voterà a maggio - cioè se il Consiglio di Stato non sospenderà né annullerà la sentenza del Tar che ha mandato a casa Roberto Cota detto "Mutande Verdi" ed eletto con firme false - Torino completerà il suo tragicomico ritorno al passato.

LUCA REMMERT E SERGIO CHIAMPARINO

Cioè sarà l'unica metropoli d'Italia dove il tempo non passa mai, comandata dalla stessa classe dirigente di 30 anni fa. Mentre il resto del Paese si prepara alla Terza Repubblica, Torino è ancora impigliata nella Prima. Nel 1984, mentre lo scandalo Zampini (una delle prime Tangentopoli) terremotava la giunta rossa Pci-Psi, coinvolgendo anche il capogruppo del Pci Giancarlo Quagliotti e il ras del Psi Giusy La Ganga, Fassino era consigliere comunale e Chiamparino capo del dipartimento economico del partito. Nel '93 i loro nomi fecero capolino nella Tangentopoli doc, per l'appalto del nuovo ipermercato LeGru nella rossissima Grugliasco (mirabile inciucio fra coop rosse e Standa berlusconiana), accanto a quelli del compagno Primo Greganti e del manager Fininvest Aldo Brancher.

fassino dalema

Sia Sergio sia Piero furono interrogati come testimoni. Non è dato sapere a che titolo si occupassero di centri commerciali. Ma, nonostante i sospetti e qualche accusa non riscontrata, non risultarono aver intascato soldi. Chiamparino, che aveva accettato in dono un telefonino da un faccendiere, mise la mano sul fuoco sul compagno Domenico Bernardi, sindaco di Grugliasco: "Se ha preso tangenti, sono un cretino".

Un mese dopo Bernardi fu arrestato e confessò una mazzetta di 65 milioni di lire. Intanto Quagliotti e La Ganga venivano condannati per le tangenti Fiat. Ora Quagliotti è il braccio destro di Fassino e La Ganga è un suo fedelissimo in consiglio comunale. Tutti convertiti al renzismo.

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Tra un po', dopo essersi scambiati la carica di sindaco, Sergio & Piero siederanno sulle due poltrone più alte di una città che pare irrimediabilmente ibernata agli anni 80. Condannata a rivivere continuamente un passato che non passa, anche grazie al centrodestra più ridicolo mai visto persino in Italia. Chiamparino è come il diamante: è per sempre.

 

VELTRONI E DALEMA RENZI dalema

FLASH! - HOLLANDE IN CONFERENZA STAMPA NON RISPONDE ALLE DOMANDE SULLA SUA RELAZIONE CON L'ATTRICE JULIE GAYET: "VALERIE

DALLE DOCCE BOLLENTI DI WOODY ALLEN AL NUOTO DI UMBERTO ECO: QUANDO ARTISTI E SCRITTORI SONO PIÙ ABITUDINARI DI UN IMPIE

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Simonetta Fiori per ‘La Repubblica'

WOODY ALLEN PER WALL STREET JOURNAL MAGAZINE FOTO BY TERRY RICHARDSON

Genio e sregolatezza? Niente di più sbagliato. Il cliché romantico dell'artista incline all'accensione creativa solo nel caos è destinato a essere smentito da un libretto uscito in Gran Bretagna. Si intitola Daily Rituals (Picador), ma avrebbe dovuto chiamarsi Routines.

Se c'è un tratto che accomuna i grandi talenti degli ultimi secoli - pittori, musicisti, romanzieri, registi, architetti, critici, filosofi e psicoanalisti - questo è proprio la ripetitività dei gesti quotidiani, l'alzataccia al mattino, la colazione sobria, le ore passate al tavolino, la vita sociale sapientemente calibrata. Lavoro, e poi lavoro, e ancora lavoro.

Il genio nasce da qui, da una regolatezza che sconfina nell'ossessione, da una scorbutica ostinazione nel rispetto di orari e programmi di lavoro. Con qualche eccentricità, naturalmente. Se Stravinskij riposa la mente facendo una verticale, Beethoven non disdegna abluzioni gelide. Così Kierkegaard riesce a meditare sull'angoscia solo con una tazzina di caffè.

WOODY ALLEN FOTO BY TERRY RICHARDSON

E la testa di Benjamin Franklin funziona meglio dopo un «bagno d'aria», nella sua camera da letto: seduto a scrivere o a leggere, completamente nudo. Sì, stravaganze, piccoli slittamenti rispetto all'ordinarietà di vite regolate solo dalle esigenze della produzione intellettuale. «Dopotutto lavorare», commenta Flaubert, altro celebre secchione «è il modo migliore per ripararsi dalla vita».

L'idea di Daily Rituals è venuta a Mason Currey, un newyorchese sveglio con problemi di concentrazione sul lavoro. Grazie a una sterminata documentazione raccolta in rete e in svariate biblioteche, è entrato nello studio di oltre centocinquanta geni. La morale? Non c'è. Se non che abitudine e creatività non sono affatto incompatibili, anzi è vero il contrario. L'autodisciplina ti protegge dagli agguati dell'umore. In qualche caso dalla depressione.

WOODY ALLEN FOTO BY TERRY RICHARDSON

L'incompatibilità è semmai con una normale vita sentimentale. Spesso infatti la monomaniacalità comporta solitudine, autismo del cuore. «Mi sento come un medico al pronto soccorso», dice Philip Roth, felice di vivere senza una moglie. «Con una differenza: sono io stesso l'emergenza di cui mi prendo cura». Quasi una conferma della saggia regola secondo cui i geni è meglio ammirarli nelle opere. Rigorosamente a distanza.

Woody Allen: L'ha sperimentato nel corso degli anni: anche i piccoli spostamenti provocano una ventata di energia mentale. Cambiare stanza, uscire per strada, affacciarsi in terrazza. Ma niente è più prezioso di una doccia bollente. I suoi film sono nati sotto uno scroscio d'acqua

Martin Amis: A differenza del padre Kingsley, davanti alla pagina bianca non è mosso da sentimento di terrore. «La gente crede che appartenga al genere dello sgobbone. In realtà lavoro sì ogni giorno, ma soltanto poche ore. E se riesco a scrivere dalle undici all'una, mi posso ritenere soddisfatto».

Elizabeth Jane howard

Wystan Hugh Auden: «La routine, in un uomo intelligente, è segno di ambizione », scrisse nel 1958. Sveglia all'alba, caffè, un rapido passaggio sulle parole crociate, e poi avanti con il lavoro fino alle 11,30 sulle ali di una mente fulgida. Di notte, mai. «Perché solo gli Hitler della terra lavorano di notte ». Tutto perfetto? Anche la normalità ha i suoi lati oscuri, considerando la dose quotidiana di anfetamine che Auden doveva ingoiare per mantenersi in forma. Routiniero anche nella "vita chimica".

Francis-Bacon

Jane Austen: Era capace di scrivere ovunque, nella casa di Chawton. Anche nel salotto, in compagnia della madre e delle sorelle, mai urtata dalle loro chiacchiere. Non ebbe mai una stanza tutta per sé, ma questo non le impedì di portare a termine capolavori come Orgoglio e Pregiudizio ed Emma. L'unica condizione richiesta è che non la coinvolgessero nelle cose di casa. «Mi è impossibile lavorare con la testa piena di carne di montone & dosi di rabarbaro».

Francis Bacon: È il classico esempio del bohémien disciplinato, in altre parole un ossimoro vivente. Disordinatissimo - basti guardare il suo atelier londinese. Dedito a ogni genere di eccessi. Ma nella pittura non perde un colpo. Sveglia alle prime luci del giorno e intenso lavoro fino a mezzogiorno. E i postumi della sbornia? «Mi piace dipingere anche dopo una sbronza. La mia mente crepita con energia e il pensiero si rischiara»

Saul Bellow: Qualcuno mi ha definito un burocrate della letteratura, per la mia autodisciplina giudicata eccessiva». La scrittura era la sua vita. «Mi sveglio presto al mattino e lavoro tutto il giorno. Leggo di notte. Come Abe Lincoln».

Simone De BEAUVOIR

Simone de Beauvoir: Un'esistenza ridotta all'essenziale, un po' noiosa. Mattina: colazione, lavoro, pranzo con Sartre. Pomeriggio: lavoro e cena con Sartre, con riepilogo delle cose scritte e pensate in giornata. Il ritratto un po' caricaturale arriva dal regista
Claude Lanzmann, che fu per sette anni il suo amante. Forse non le ha mai perdonato l'ossessiva presenza del rivale. O quel comando imperioso con cui Simone, il primo mattino della loro convivenza, divise i rispettivi pensatoi: «Tu lavori a letto, io al mio tavolo». Poi non una parola fino al pranzo, naturalmente condiviso con Jean-Paul.

Umberto Eco: È tra i pochi che non segue una regola precisa, lavorando praticamente ogni momento. «Ma quando nuoto mi vengono le idee migliori. Soprattutto in mare».

Jonathan Franzen: La sua officina di lavoro assomiglia a una trincea. Non fu facile agli inizi, quando neosposo andò a vivere con la giovane moglie in un piccolissimo appartamento fuori Boston, faticosamente diviso tra le ambizioni letterarie di entrambi. Lui ebbe successo, lei no. E il matrimonio ebbe fine.

Ma neppure dopo la grande fama il lavoro sarebbe stato semplice. Per scrivere dovette chiudersi nello studio di Harlem, con le imposte tirate e le luci spente. L'unica cosa accesa era lo schermo del computer. Gli ci vollero quattro anni e migliaia di pagine scartate per portare a termine il libro. «Mi sono detestato tutto il tempo»

umberto eco

Sigmund Freud: La sua devozione alla psicoanalisi fu favorita dall'accudente moglie Martha, che provvedeva a ogni cosa, dalla scelta degli abiti al dentifricio spalmato sullo spazzolino. La celebre barba veniva rifinita ogni mattina da un solerte barbiere chiamato a casa.

Alle otto l'inizio delle sedute analitiche, che si chiudevano a mezzogiorno. Il pasto principale veniva servito all'una, ma Freud non aveva gusti da grand gourmet, inclinando ai piatti della classe media come il bollito o il roast-beef. Mangiava con quieta concentrazione. Talvolta era talmente assorto nei suoi pensieri da risultare imbarazzante per gli ospiti. Poi usciva a spasso per Vienna, attraversando la Ringstrasse «con una velocità di marcia stupefacente», come annotò il figlio Martin.

UMBERTO ECO SCACCOLATORE

Patricia Highsmith: «Non c'è vita al di fuori del lavoro, che è poi scavare nell'immaginazione». Eccoci davanti a un'altra solitaria e misantropa come molti dei suoi personaggi. Nella scrittura procede come un panzer: non meno di quattro ore al giorno, e almeno duemila parole. Sdraiata a letto, in compagnia di Gauloises, portacenere, cerini, caffè caldo e frittelle dolci. Qualche volta ci scappa anche un drink robusto, «per arginare i soprassalti di energia»

Carl Jung: Negli anni Trenta, nel pieno di un'attività frenetica tra pazienti e seminari, trovava riparo in una torre di pietra a Bollingen, vicino al Lago di Zurigo. Niente luce né telefono, uno stile di vita molto primitivo. L'unico bagliore artificiale proveniva dalle lampade a olio, in una gran confusione di pentole, casseruole e salami. Qui scrisse alcuni suoi lavori importanti. «A Bollingen ero finalmente me stesso. Vivevo senza elettricità e curavo la cucina da solo. Questi gesti semplici mi rendevano semplice. E come è difficile essere semplici!»

Gustav Mahler: Le sinfonie ne restituiscono una vita interiore fiammeggiante, ma le sue abitudini nella villa sul lago a Maiernigg, in Carinzia, erano piuttosto noiose. Una vita «quasi disumana nella sua purezza», annotò la giovane e infelice moglie Alma. Sveglio all'alba, prima di comporre non sopportava la vista di umani.

2 profumo sigmund freud

Così il povero cuoco, per portargli nel bosco la colazione senza essere visto, doveva imboccare sentieri scoscesi e solitari. E la moglie, per convincere i vicini a tenere i cani con la museruola, distribuiva per l'Opera biglietti gratis. Si può capire perché Alma perse la testa per Walter Gropius. Dolente e stupefatto, Mahler finì a consulto con Freud, che avrebbe poi commentato: «Era come scavare con un bastoncino in un edificio misterioso».

Thomas Mann: Un altro campione di routine, temuto e rispettato dai suoi cari. Dalle nove fino a mezzogiorno, lo studio era considerato un bunker inviolabile. Ai bambini era proibito far rumore. A mente ancora fresca, il grande romanziere si sforzava di buttare giù i suoi appunti, in una pianificazione meticolosa del lavoro. Tutto quello che non arrivava entro le dodici doveva essere rimandato al giorno successivo, perché il pomeriggio era dedicato ad attività meno impegnative. Anche il vizio del fumo era pignolescamente ammini-strato: non più di due sigari al giorno, e al massimo sette sigarette»

Joan Mirò: Per lui una rigorosa routine significava un argine alla depressione, a quella vena malinconica che l'aveva afflitto da giovane, prima di scoprire i colori. Ma ai pennelli associava una vigorosa cura del fisico. A Parigi tirava di boxe, a Barcellona saltava con la corda e a Mont-roig alternava nuoto e corse sulla spiaggia. Detestava la vita mondana. «Merda! Odio le feste. Sono fiere mercantili. E la gente parla troppo».

Carl Gustav Jung

Toni Morrison: Non ha mai scritto in modo regolare, ma l'avrebbe tanto desiderato. «Ho sempre avuto un lavoro dalle nove alle cinque. E potevo dedicarmi alla scrittura solo all'alba o nei weeek end». Oltre a essere stata impegnata per vent'anni alla Random House, Toni è stata una single mother. «Quando mi siedo a scrivere, non ho ripensamenti. Ho talmente tante altre cose da fare, che rimuginare è un lusso che non mi posso permettere».

Alice Munro: Letteratura e fatiche domestiche non vanno d'accordo. Negli anni Cinquanta, dovendosi dividere tra i lavori di casa e la cura delle figlie, l'ultimo premio Nobel riusciva a scrivere solo nei ritagli di tempo, spesso il pomeriggio in camera da letto. Poi prese in affitto anche un piccolo ufficio sopra la drogheria. Ma il logorroico proprietario le impediva di concentrarsi.

Haruki Murakami: Quando lavora ai suoi romanzi, si sveglia alle quattro e va a dormire non più tardi delle nove. Un'agenda ripetuta senza varianti. «Solo così riesco a raggiungere un più profondo stato mentale », ha dichiarato alla Mens sana in corpore sano. Per questo Murakami ha cambiato stile di vita: se prima era sedentario, dunque incline a pinguedine, ora vive in campagna, corre ogni giorno e ha smesso di fumare (la sua dose era di tre pacchetti al giorno). Non ha vita sociale. «Le mie uniche relazioni sono con i lettori»

Oliver Sacks: Routiniero anche il celebre neurologo, ma come può esserlo un tipo come lui. In una giornata regolare, che comincia alle cinque del mattino e prosegue con una nuotata e due volte alla settimana con la visita dall'analista, è il pomeriggio che può accadere qualcosa d'imprevisto: un abbandono totale alla fantasia, pensieri e immagini che sfrecciano ovunque. «Se sono fortunato esco fuori da questo stato di alterazione con un'energia rinnovata e la mente limpida». Può anche capitare che Oliver parta per un viaggio creativo, fuori da ogni regola. «Posso scrivere anche trentasei ore di seguito, finché l'ispirazione non si esaurisce»

Thomas Mann

Voltaire: Soprattutto negli ultimi anni della sua vita, gli piaceva lavorare a letto. Sistemato tra comodi cuscini, leggeva e dettava i suoi appunti a una delle segretarie. La sera, verso le otto, raggiungeva la nipote rimasta vedova, Madame Denis, per lungo tempo sua amante, ma la giornata di studio continuava dopo cena. Secondo Jean-Louis Wagnière, il prediletto tra i segretari, poteva lavorare anche venti ore al giorno. Per Voltaire, una vita perfetta.

Frank Lloyd Wright: Non fu mai visto seduto al tavolo da disegno. Un po' perché lavorava tra le 4 e le 7 del mattino; un po' perché non buttava giù il progetto finché non lo maturava interamente nella sua testa. Per la casa sulla cascata, una delle più famose del Ventesimo secolo, cominciò a disegnare solo quando il committente telefonò per dirgli che tempo due ore sarebbe arrivato per la firma del contratto. Anche in questi frangenti, non appariva mai affannato.

 

QUELLE SCIMMIE COSI’ SIMILI A NOI: GIOCANO, MANGIANO, POSANO E SI FANNO L’AUTOSCATTO.

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da www.dailymail.co.uk

Le scimmie impertinenti posano per il fotografo romano Simone Sbaraglia e sembrano un'allegra famiglia in vacanza. Le buffe scene di questi macachi neri sono state immortalate nell'isola di Salawesi, in Indonesia, dove vivono ma rischiano di sparire a causa del bracconaggio.

Il fotografo dice che le scimmie erano molto felici di posare mentre si appendevano agli alberi e mangiavano frutta. Hanno anche aggiustato l'obiettivo per inquadrarsi bene.

Le scimmie scendevano dagli alberi per salutare Simone

Quando ha lasciato Sulawesi, le scimmie sono scese a salutarlo con un abbraccio:
«All'inizio erano molto timide, e non amavano essere avvicinate. Quando ti accettano, cominciano a interagire, poiché sono estremamente curiose. I macachi sono divertenti e in poche settimane ho imparato a distinguere ognuno di loro e a capire i diversi caratteri».

Le scimmie danno il benvenuto al fotografo

Sbaraglia è riuscito a fare simili scatti dopo aver conquistato la loro fiducia e spera che le foto aiutino a tutelare di più questi primati.

Il fotografo spera che gli scatti servano a far conoscere la situazione di queste scimmie

CHI E'
www.simonesbaraglia.com
Simone Sbaraglia è un fotografo naturalista, inviato delle riviste Oasis e Natura, ed ha realizzato reportage negli angoli più sperduti del pianeta.Romano, con una formazione da matematico, dopo aver lasciato un prestigioso lavoro di ricerca negli USA, Simone rientra in Italia nel 2005 per dedicarsi alla fotografia.

Da allora viaggia costantemente nei cinque continenti per documentare la bellezza, l'armonia e la fragilità del nostro pianeta, nella speranza che possa essere preservato per le generazioni future, ed ha realizzato reportage sulle specie ed ecosistemi a rischio in Nord e Sud America, Europa, Canada, Alaska, Africa ed Asia. Le fotografie di Simone Sbaraglia hanno ricevuto i più importanti riconoscimenti internazionali e sono state esposte in Italia, Francia, USA e Canada.

Il fotografo romano ama andare vicino al soggetto

 

 

 

Bisogna guadagnarsi la fiducia delle scimmie per avvicinarsi

LA LOBBY EATALYANA - LA CONCESSIONE DATA AL COMPAGNO FARINETTI DAL SINDACO CHIAMPARINO

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Giacomo Amadori per ‘Libero Quotidiano'

«Esageruma nen». Non esageriamo, in dialetto sabaudo. Sono queste le parole con cui l'ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino avrebbe stoppato le richieste eccessive del suo amico Natale Oscar Farinetti, l'imprenditore albese che gli chiedeva la concessione gratuita per 99 anni dei capannoni della Carpano, storica fabbrica di vermouth torinese, per aprire il suo primo supermercato degli «alti cibi», meglio conosciuto come Eataly.

RENZI FARINETTI

Lo si apprende sfogliando la biografia (autorizzata) di Farinetti, «Il mercante di utopie». «Esageruma nen» dunque. Siamo nel 2004, in piena euforia da Olimpiadi invernali (Torino 2006) e Chiamparino al vecchio compagno di mangiate affidò l'area per «soli» 60 anni. Ma le modalità lasciarono perplesso più d'uno. Dieci anni dopo, i due sono ancora in pista e lanciati più che mai.

Chiamparino, nei giorni scorsi, in vista di prossime elezioni, si è candidato a governare il Piemonte. Subito sostenuto da Oscar, oggi spin doctor per il settore imprenditoriale di Matteo Renzi e ministro in pectore di un suo eventuale governo. Farinetti ha dettato ai giornali: «Primarie inutili. La sinistra punti su Chiamparino. Un uomo del fare e io resto a disposizione per dirgli come la penso, ma come amico». Con Libero Farinetti aggiunge: «Secondo me Chiamparino è perfetto per fare il governatore, è un uomo altruista e sono contento che si sia candidato». Per scoprire dove nasca il loro legame speciale basta continuare a compulsare «Il mercante di utopie».

RENZI FARINETTI

Un capitolo è dedicato proprio al «Chiampa» (ai tempi del libro, il 2008, Renzi, l'ultima sbandata di Farinetti, era ancora semisconosciuto) e alla «complicità delle acciughe». Al lettore tutto si fa chiaro: una sera del 2004 i due erano seduti allo stesso tavolo a Ca' del re (un nome, un programma) a Verduno (Cuneo) «con l'oste che appoggiava sulla tovaglia bianca e gialla piatti vari di peperoni agrodolci, tomini al verde, pomodori ripieni. E acciughe,appunto. Acciughe buonissime. Oscar era lì perché voleva il suo opificio (la fabbrica Carpano ndr). Chiamparino perché amava le Langhe».

La storia della scalata di Farinetti al sindaco è pura poesia: «La cena era cominciata bene, intercalando frasi in dialetto, cosa che per una certa generazione è già prova di riconoscimento. Di fronte aun sindaco di centrosinistra Oscar aveva subito chiarito la sua posizione - di sinistra e non tiepidamente».

renzi e farinetti

A questo punto scopriamo che Farinetti per due anni è stato segretario cittadino del Psi craxiano nella sua Alba, dal 1980 al 1982. Per quanto «di sinistra e non tiepidamente ». «Viveva l'azienda come un piccolo Paese da governare. Ci portava i valori in cui credeva: meritocrazia, stato sociale, libertà di pensiero e di epressione». La biografa (ricordiamo che il libro è in bella mostra sugli scaffali di Eataly) a questo punto ci informa che «Sergio Chiamparino si mise nel piatto altro acciughe e annuì: "Raccontami meglio questa Eataly"».

Farinetti rispose: «Guarda un po' qui Sergio. Ecco che cosa voglio fare». Il sindaco concluse: «Mi piace. Porterà ricchezza alla città e cultura». E il libro ci spiega che «in quel modo si sancì l'amicizia, con la complicità delle acciughe». Con Libero Farinetti conferma che Chiamparino fu il primo a cui presentò il progetto, perché «volevo fare Eataly a Torino».

Patrizia Prestipino e Oscar Farinetti

Licenze poetiche a parte, il quadretto a qualcuno potrebbe risultare indigesto: una coppia di potenti, politicamente affini, che decidono in solitudine, davanti a una tavola imbandita, la destinazione di un'importante struttura, senza gare o concorsi di idee. Come fa un re con un suo vassallo. Ferdinando Ventriglia, all'epoca consigliere comunale di Alleanza nazionale si battè contro il progetto Eataly al Lingotto: «Allora si poteva. In quegli anni Farinetti era considerato ancora solo un imprenditore abile nel far valere le amicizie politiche giuste e non un maitre-à-penser cui chiedere soluzioni per i problemi del Paese».

Per questo lui e il suo gruppo presentarono in consiglio comunale un'interpellanza intitolata: «Eataly, un grande grosso gambero rosso che si mangia la piccola e media impresa?». Per loro era impossibile che piccoli produttori di nicchia potessero avventurarsi in qualcosa di più di un consorzio di tutela e chiedevano lumi al sindaco, temendo «l'ennesima operazione Coop su Torino», visto che «la nuova società, Eataly Distribuzione, è partecipata al 60 per cento da Oscar Farinetti - ex Unieuro - e per il restante 40 per cento da Coop Liguria, Coop Piemonte e Coop Adriatica».

Oscar Farinetti premiato da Patrizia Prestipino

Gli aennini paventavano il rischio di «una grande operazione finanziaria-industriale, tesa a far assorbire imprese medio-piccole dalle Coop» e stigmatizzarono «le generiche dichiarazioni sulla vocazione enogastronomica di Torino» rilasciate da un Chiamparino «forse colpito da una sindrome di Trimalcione». Anche il capogruppo di Forza Italia dell'epoca, Luigi Tealdi, attualmente sostenitore della maggioranza di centro-sinistra del sindaco Piero Fassino, espresse un voto negativo alla variante sulla destinazione d'uso della zona: «L'area ceduta alla città, cui spetterebbero 8827 metri quadrati, si è ridotta a 5100, con un cospicuo regalo a qualche privato». Le delibere più importanti videro la luce in piena estate.

LUCA REMMERT E SERGIO CHIAMPARINO

Nel luglio del 2003, per esempio, si approvò la variante contestata dalla minoranza e, di fronte alle obiezioni della provincia sul piano viario, la giunta rispose che «il nuovo servizio pubblico previsto (il cosiddetto Parco gastronomico) è una struttura particolare riconducibile più a un servizio di livello locale (centro commerciale pubblico a carattere tematico) che ad una attrezzatura di interesse generale e che quindi il problema dei servizi non si pone». Sul punto Ventriglia rincara: «La viabilità legata all'attività di Eataly (esplicitamente in violazione della convenzione) veniva accettata e sostenuta, come fatto compiuto, dall'amministrazione».

Un anno dopo il supermercato per gourmet divenne ufficialmente un progetto della giunta, la quale, per mettersi al riparo da eventuali contestazioni, si premurò di verificare se esistessero idee alternative per quell'area di fronte al nuovo Lingotto, zona divenuta strategica anche grazie alla fermata della metropolitana, posta proprio davanti all'ingresso della fabbrica. Ma la pubblicizzazione del bando non fu esattamente eclatante.

L'amministrazione scelse di pubblicare un piccolo francobollo, stampato in un corpo minuscolo, sull'edizione di Repubblica del 12 settembre del 2004, quindi in un periodo di vacanze estive. Era scritto nel riquadro: «È giunta alla città di Torino la proposta di un Parco Enogastronomico conforme alla destinazione d'uso. Con deliberazione del 6 luglio 2004 si è preso atto della proposta e dell'interesse pubblico della stessa. Nel termine di trenta giorni decorrenti dalla pubblicazione della presente chiunque fosse interessato può presentare progetti conformi alla destinazione d'uso».

Forse anche per il taglio singolarmente vago delbando nessuno presentò un progetto alternativo a quello covato e coccolato da Farinetti e Chiamparino, tra una cena e l'altra, nei mesi precedenti. «Il mercante di utopie» ci spiega, però, l'utilità di quel passaggio sul giornale: «Fu indetto il bando, è chiaro, che mai nessuno sospettasse accordi clandestini».

CHIAMPARINO AL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Giammai. L'aggiudicazione avvenne nel modo più limpido, è sottolineato nell'agiografia: «Poiché l'unico disposto a lanciarsi nell'affare fu Farinetti (venne calcolato che la ristrutturazione non sarebbe costata meno di 22 milioni di euro) il vecchio opificio se lo aggiudicò lui: suo per i successivi 60 anni, con l'obbligo di rimetterlo a nuovo, di pagarci l'Ici».

Assodato che Oscar non avrebbe voluto pagare nemmeno la tassa sugli immobili, alla fine la ristrutturazione richiese non più di 6-7 milioni e quindi oggi i 2.500 metri quadrati di Eataly dedicati alla vendita e alla ristorazione (considerando la concessione per 60 anni) costano come l'affitto di un bar o poco più. Andrea Tronzano, attuale capogruppo di Forza Italia in Comune non si stupisce per questo trattamento,ma avverte: «A Torino rapidità amministrativa e limitazioni dei vincoli burocratici sono una chimera per gli imprenditori non legati alla filiera della sinistra. Questa è la ragione del declino di questa città».

ANTONIO MARIA MAROCCO E SERGIO CHIAMPARINO

A sentir parlare di favoritismi nei suoi confronti Farinetti, però, si spazientisce: «C'era una fabbrica chiusa dal '95, il Comune non ha speso un soldo, abbiamo dato l'idea, hanno fatto il bandoe nessuno si è presentato. Punto». Gli stessi concetti espressi dal «Chiampa», nel gennaio 2007, all'inaugurazione di Eataly, quando raccontò che quel progetto «era nato davanti a un piatto di acciughe e lui era ben lieto di dirsi amico personale di Oscar Farinetti, perché quel giorno, in quel luogo, si inaugurava un nuovo tipo di rapporto tra politica e imprenditoria e che fosse ben chiaro che lui - la Città che rappresentava- non aveva dato a Eataly nemmeno un soldo, e viceversa». Prendete nota: piatti di pesce azzurro e decennali concessioni gratuite, questo è il nuovo patto tra impresa e politica nell'Italia renziana che ci attende.

 

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