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CAMPANELLA D’ALLARME PER GRILLOMAO: “E’ UN ATTIVISTA COME NOI: ESPULSIONI E MINACCE NON FUNZIONANO”

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Emanuele Lauria per "la Repubblica"

GRILLO A MONTECITORIO INCONTRA I PARLAMENTARI CINQUE STELLE

Non gli va di passare per eroe. Ma Francesco Campanella, il senatore di 5 stelle che ha avuto il coraggio di alzarsi in piedi in assemblea e dire a Grillo «tu sbagli», ora chiede «un confronto paritario» dentro il movimento. Perché con la logica «o così o sei fuori», spiega, «non si va da nessuna parte». Campanella definisce «fantasiose» le voci che vogliono un nugolo di deputati pentastellati in uscita dai gruppi parlamentari: «Ma ora occorre subito un nuovo incontro fra Beppe e i parlamentari per trovare una sintesi sulla questione della diaria ».

francesco campanella senatore m s

Tutto nasce da un insulto.
«Sì, il famoso "pezzo di m..." rivolto da Grillo a Venturino (il vicepresidente dell'Ars espulso per non aver restituito l'indennità, ndr). Io conosco il destinatario dell'epiteto: non sono d'accordo con le sue valutazioni ma non meritava di essere apostrofato così. Ma il punto non è questo».

E qual è?
«Io ho criticato un modo di porsi da parte di Beppe Grillo, un approccio ai problemi che secondo me non aiuta a trovare le soluzioni. Sulla questione della diaria e non solo. Come pronta risposta, dopo la riunione, ci siamo trovati sul blog di Grillo l'accusa di volere fare la cresta».

Che non vi è piaciuta.
«Vede, la questione è semplice. Alcuni di noi hanno manifestato dubbi sulla modalità di restituzione degli emolumenti. E bisogna dire che nel regolamento questa parte è scritta in maniera non chiara. Potete verificare sul web: non si parla mai, chiaramente, di rimborso della quota della diaria non spesa. È questione di interpretazione. Io sono per la rendicontazione delle uscite e per la restituzione della parte eccedente. Ma bisogna ascoltare chi la pensa in modo diverso, non additarlo quale traditore o ladro».

Bertone Grillo

Al di là delle interpretazioni, Grillo dice che gli impegni vanno mantenuti.
«Ma qui, alla fine, siamo tutti d'accordo nella restituzione di una parte dei compensi. Solo che qualcuno ha spese maggiori di altri, penso alle mamme che devono pagare una baby-sitter, o magari difficili da rendicontare. Non si può dimenticare che noi, a differenza degli altri parlamentari, già rinunciamo a 3-4 mila euro al mese».

GRILLO A MONTECITORIO INCONTRA I PARLAMENTARI CINQUE STELLE

Giusto parlare di insofferenza crescente nei confronti del Capo?
«No, mi sembra un'espressione non fedele. Di certo, il ragionamento per cui "o si fa così o sei fuori" non funziona. Le espulsioni sono una sconfitta anzitutto per chi le decide. Servirebbe maggiore ascolto. Anche perché Grillo è un attivista, seppur autorevole, come tutti noi e la funzione di leader è estranea al movimento. Bisogna tornare a incontrarsi e sono certo che troveremo una sintesi».

beppe grillo

Quanto incide, sul malessere attuale di alcuni grillini, i dubbi legati al mancato accordo col Pd?
«Io ero a favore del dialogo con Bersani e come altri guardavo con speranza a un'accettazione da parte del Pd della candidatura di Rodotà al Quirinale. Ma Bersani non era in grado di governare un partito con troppe anime».

BEPPE GRILLO A MONTECITORIO SFERZA I GRILLINI

Nel frattempo altre incomprensioni fra Grillo e la base. Come sulla vicenda dello ius soli.
«Lo dico subito: io, a differenza di Beppe, sono d'accordo al principio dello ius soli. Ma non credo che Grillo abbia chiuso la saracinesca: lui pensa che una vicenda così delicata meriti un dibattito più approfondito».

Insomma, si prospetta una spaccatura nei gruppi di M5S?
«Non mi risulta che nessun collega stia passando al misto. Ripeto, dobbiamo tornare a incontrarci con Grillo e superare le incomprensioni».

Altrimenti?
«Amo troppo questo movimento per chiedermelo. Un mio amico oggi mi ha detto che con una rottura di 5 stelle la gente non andrebbe più al voto. E il risultato elettorale del Friuli, dove ha perso M5S e ha vinto l'astensionismo, è emblematico».

 


DEMOCRATS AMARI PER EPIFANI: IL PARTITO SI SPACCA SULLA SUA ELEZIONE

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Carlo Bertini per "la Stampa"

GUGLIEMO EPIFANI CON BERSANI ALLE SPALLE FOTO LAPRESSE

La prima a far capire quale sia la posta in gioco ora e che solo di tregua armata si tratta, è una senza peli sulla lingua come Rosy Bindi, che dal palco dice di vedere sulle agenzie che «già lanciano i nomi del coordinamento che affiancherà il segretario. Ma con me non ne ha parlato e spero che ancora non ne abbia parlato con nessuno...». Come a far intendere che se l'accordo c'è stato è perché a circondare il nuovo reggente dovranno essere tutte «le dodici tribù», come le chiama da giorni la Bindi.

Ma che Epifani resti solo un reggente buono a far da arbitro passivo fino alla resa dei conti congressuale è solo una pia illusione: tanto per cominciare, appena eletto, Epifani ha ricevuto una telefonata di Giorgio Napolitano che si è complimentato con lui e lo ha invitato al Quirinale per un incontro domani sera.

Bersani Montezemolo e Letta

Il capo dello Stato, preoccupato per la frammentazione e lo sfilacciamento della principale forza che sostiene il governo, ha incoraggiato il neo-segretario a lavorare per la tenuta del Pd e per cercare di uscire da questa fase di divisioni. E si può star certi che Epifani intenda assolvere tale compito con il massimo dell'energia: chi gli ha parlato si è fatto l'idea che intenda ricandidarsi eccome; lo stesso Letta gli dà un assist formidabile quando dice dal palco che «è una buona notizia l'elezione di Guglielmo a segretario e io non aggiungo aggettivi...».

E che a vincere questa partita sia l'asse governativo di Letta-Bersani-Franceschini lo ammettono in molti nei capannelli dei delegati dell'assemblea alla Fiera di Roma. Senza voler essere citato, uno dei sottosegretari di uno dei ministeri più di peso, che pure non fa capo a nessuna di quelle parrocchie, nota che «tutti qui fanno i conti senza l'oste, chi gli assicura che a ottobre Epifani si ritiri senza colpo ferire?».

PIETRO GRASSO TRA BERSANI ED ENRICO LETTAie13 fassino finocchiaro bersani letta

Ecco, come ovvio nel Pd già si litiga guardando avanti, si profilano scenari e si discetta su chi vince e chi perde. I più guardinghi sono i «giovani turchi» già lanciati nel sostenere Cuperlo. Ma anche se i tifosi dalemiani di Cuperlo intendono quel passaggio del documento che convoca il congresso sul segretario «garante» come la specifica limitazione ad una semplice «reggenza», non c'è nessun vincolo in tal senso che possa essere imposto al nuovo leader. «Noi Epifani lo interpretiamo come reggente - dice Matteo Orfini - se poi invece si vuole candidare a ottobre nessuno può impedirglielo, certo se vuole correre per perdere si accomodi...».

Battuta che la dice lunga sul clima di «astio malcelato», come lo descrive uno dei big in sala, «tra gli ex Ds, con Bersani e D'Alema che se ne vanno senza neanche salutarsi». Con i veltroniani in ordine sparso, tra chi fa sapere di aver messo la sua sigla sotto la candidatura di Epifani e chi lamenta che «la stessa maggioranza responsabile della sconfitta elettorale, si ricandida a fare la maggioranza del partito».

Ma se tutti danno per scontato che Epifani si candidi e che a quel punto saranno dolori, perché da qui a ottobre «chi lo dice che Renzi non possa decidere di appoggiarlo?», si domanda Marina Sereni. Il nodo è se si arriverà a separare la carica di segretario da quella di candidato premier cambiando lo statuto; in ballo c'è anche l'altra modifica per eliminare l'elezione del segretario con le primarie, questioni che richiedono un grande accordo tra le parti, perché andrebbero votate con una maggioranza di due terzi in un'altra assemblea entro un mese.

PIERLUIGI BERSANI MINISTRO DELLINDUSTRIA NEL GOVERNO DALEMA DALEMA - OCCHETTO - BERSANI - LA GIOIOSA MACCHINA DA GUERRA

Se tutto restasse così, non si può neanche escludere che Renzi scenda in campo. Altrimenti, una candidatura che potrebbe esser sostenuta da renziani e veltroniani, è quella di Chiamparino. Per ora si discute sulla segreteria: forse snella, con pochi incarichi, comunicazione, enti locali e organizzazione; per quest'ultima è in predicato il braccio destro di Renzi, Luca Lotti, ma anche se i «turchi» chiedono un ricambio completo, già si parla di una conferma di Stefano Ditraglia, portavoce di Bersani. E la gestione collegiale sarebbe garantita da un coordinamento con i membri di tutte le correnti.

 

 

RCS, L’ULTIMO FORTINO (INDEBITATO) DI POTERI STORTI, BANCHE SBANCATE E CAPITALISTI ALLE VONGOLE

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Alessandro Penati per Repubblica

RCS è il caso esemplare dei problemi che le strutture proprietarie bizantine e i conflitti di interesse delle banche creano alle aziende quando devono ristrutturare per sopravvivere alla crisi. Una gestione industriale poco attenta ai costi, il declino del settore provocato da Internet, e acquisti dissennati finanziati col debito, hanno portato Rcs al dissesto. Dal 2002, quando è nata dalle ceneri di HdP (altro disastro), Rcs ha perso un quarto del fatturato, e accumulato 1 miliardo di debiti per comprare attività che nel 2012 hanno prodotto una perdita complessiva di 510 milioni (dopo 322 nel 2011).

SEDE CORRIERE DELLA SERA

Il piano triennale per il rilancio è semplice: crescita zero del fatturato, con i ricavi digitali che compensano il declino di quelli tradizionali; e taglio dei costi per riportare il margine operativo a un livello accettabile. Venduto il facilmente vendibile (Dada e Flammarion), in futuro sono previste generiche dismissioni per 250 milioni, in gran parte destinati al rimborso del debito, come richiesto dall'accordo con le banche.

Fine del piano. Non si parla di cessione delle disastrate attività spagnole; né si ipotizza la strada delle fusioni, tipica dei settori con eccesso di capacità produttiva. O meglio, non se ne parla esplicitamente perché qui si tocca il primo conflitto di interessi: Fiat ha il 100% de La Stampa e sarebbe naturale se tentasse di usare la partecipazione al controllo di Rcs per studiare una possibile concentrazione dei propri investimenti nei media.

DELLA VALLE

Conflitti e problemi maggiori nascono però dalla ristrutturazione finanziaria. La situazione è di chiaro dissesto. Il debito attuale (circa 850 milioni) è insostenibile anche a piano di rilancio industriale realizzato: equivale a 5,5 volte il margine operativo previsto per il 2015, un livello che nessun finanziatore accetterebbe mai. In una ristrutturazione tradizionale, i creditori negozierebbero la conversione (volontaria o concorsuale) del debito in azioni, acquisendo il controllo della società, per poi vendere le attività poco redditizie, tagliare i costi e cederla rapidamente al miglior offerente. Credo sia questo che avesse in mente Della Valle.

Ma in Rcs non s'ha da fare: le banche dovrebbero contabilizzare
sofferenze; i soci del patto, responsabili del dissesto, perderebbero il premio di controllo; e la Fiat una possibile soluzione futura per La Stampa.

In Italia, però, le banche, grazie ai conflitti di interesse, possono trovare la quadratura del cerchio. Intesa e Mediobanca, sono grandi creditori di Rcs, ma anche azionisti del patto: una duplice veste che le ha messe al posto di guida della ristrutturazione del debito.

Alberto Nagel e Roberta

Così hanno imposto ai vecchi soci un aumento di capitale (400 milioni) che per metà serve a ridurre l'esposizione verso le banche (più il rimborso di altri 200 milioni fra tre anni garantito dalla cessione di attività), che pertanto non devono contabilizzare alcuna sofferenza. Per i soci del patto è l'obolo da pagare per preservare il valore del premio di controllo; e per la Fiat il modo di mantenere aperta l'opzione per i suoi media.

John Elkann

Ma il titolo Rcs non ha flottante e difficilmente il mercato può assorbire i 182 milioni non sottoscritti dal patto: necessario un consorzio di garanzia, inevitabilmente guidato da Intesa e Mediobanca (e remunerato profumatamente); in questo modo concedendo loro, di fatto, il potere di decidere il prezzo delle nuove azioni. Avranno tutto l'interesse a emetterle a forte sconto, per diluire chi è fuori dal patto, aumentando così il valore delle quote sindacate (comprese le loro).

Giuseppe Rotelli RENATO PAGLIARO E ALBERTO NAGEL DAL CORRIERE jpeg

Inoltre, nel caso probabile che il consorzio dovesse farsi carico delle azioni non collocate sul mercato, possono anche puntare a sfilare il controllo, per poi rivenderlo a chi offre di più o a chi fa loro comodo. Per esempio, ipotizzando un collocamento a sconto del 25% sul prezzo teorico post aumento, e l'intervento di Intesa e Mediobanca per la loro intera quota nel consorzio, le due banche insieme supererebbero il 30%.

Con Fiat arriverebbero quasi alla maggioranza, con gran parte del premio di controllo da incassare, avendo dimezzato la loro esposizione debitoria, e senza contabilizzare un euro di sofferenze. Meglio che Della Valle, Rotelli, Benetton non si lamentino di aver bruciato milioni per uno strapuntino al tavolo del potere: non si grida allo scandalo, uscendo da un cinema a luci rosse; basta non entrarci.

 

MARCHINI SI TOGLIE LA CALCE DALLE SCARPE: “PAGAVO I CONTI DEL PD, EPPURE ORA MI ATTACCANO”

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Luca De Carolis per il "Fatto quotidiano"

ALFIO MARCHINI

Mi criticano per i soldi investiti nel mio movimento. E allora mi chiedo: quelli dati alle loro campagne elettorali e per coprire i buchi delle loro società erano democratici, e quelli per la mia lista invece sono reazionari?". Alfio Marchini ci va giù duro, e l'obiettivo è dichiarato: Goffredo Bettini. Ieri in un'intervista al Corriere della Sera il demiurgo del Pd romano l'aveva punto così: "Mi pare che la strategia di Marchini sia finalizzata a mettere zizzania nel centrosinistra: lui, nonostante le risorse, le tante apparizioni tv e l'appoggio dei giornali, non arriverà al ballottaggio". Marchini non ha affatto gradito, e al Fatto dice: "Bettini è un amico, l'ho sentito per telefono anche 15 giorni fa.

IGNAZIO MARINO GIANNI ALEMANNO ALFIO MARCHINI A DOMENICA LIVE

Credo che il suo sia un tentativo goffo di scoraggiare il voto disgiunto a mio favore, facendo passare un distorto concetto di voto utile, fuori della realtà in un sistema a doppio turno. Questo è il classico doppiopesismo di quella sinistra che ha regalato l'Italia a Berlusconi negli ultimi vent'anni".

ALFIO MARCHINI CON LA REGINA ELISABETTA

È davvero forte l'irritazione dell'erede della dinastia di costruttori ‘rossi': "Per decenni io e la mia famiglia abbiamo sostenuto il principale partito d'opposizione alla luce del sole, sia nelle principali campagne elettorali, sia nelle emergenze come nel caso de l'Unità. Ho sempre ritenuto che un partito glorioso non potesse chiudere i battenti per la mancanza di risorse". Ora Marchini corre da solo per il Comune, e cresce nei sondaggi: "Il mio movimento è nato proprio per rompere il consociativismo che ha rovinato questo Paese".

LE PUBBLICITA ELETTORALI DI ALFIO MARCHINI

Naturale chiedersi: in un eventuale ballottaggio il suo appoggio a Marino, fortemente voluto da Bettini, è ancora possibile? L'imprenditore risponde così: "Vorrei comprendere in che veste parla Bettini: se come consulente di Marino (senatore dimissionario a seconda delle convenienze), se come dirigente del Pd, oppure a nome de 'Il Campo', il nuovo partito di cui ha annunciato la fondazione su La Stampa". C'è una frattura da ricomporre, insomma.

MARCHINI DA BAMBINO CON IL NONNO

E non pare semplice: "Quando annunciarono la candidatura di Marino, avevo detto che avrebbe resuscitato persino Alemanno: guardando gli ultimi sondaggi, ahimè, posso dire di essere stato un buon profeta". Intanto a Roma la campagna elettorale sta mostrando la sua faccia violenta e un po' oscura. Venerdì notte, ignoti hanno sbarrato con dei chiodi la porta del comitato elettorale di due candidati della Lista Marchini, Alessandro Onorato e Giovanna Marchese Bellaroto.

Ieri mattina, blitz contro i gazebo di Alemanno e Marino a piazza Bologna dei militanti del "Comitato elettorale Nessuno sindaco". Coperti da maschere bianche, hanno occupato per qualche minuto i due banchetti, disseminandoli di propri manifesti. Una candidata della lista civica Marino, Francesca Mal-vani, "è stata circondata, spintonata violentemente e insultata" come spiega in una nota lo stesso Marino, che parla "di clima di intimidazione".

IGNAZIO MARINO VOTA ALLE PRIMARIE

Sentito telefonicamente, un esponente anonimo del comitato "Nessuno" smentisce: "È stato un flash-mob goliardico, non ci sono state violenze o insulti, e lo dimostreremo con un video che diffonderemo nelle prossime ore". Chi siete? "Un aggregato di precari, studenti e lavoratori, un comitato comunista. Invitiamo al non voto perché nessuno rappresenta le nostre istanze". Farete altre azioni di queste tipo? "Sicuramente sì".

IGNAZIO MARINO NICOLA ZINGARETTI MASSIMO DALEMA CON IGNAZIO MARINO

Da partiti e candidati condanna unanime, con il comitato Alemanno che punta il dito contro "gli amici dei centri sociali e di tante sigle colorate di rosso". Il segretario del Pd Lazio, Enrico Gasbarra, parla di "un'escalation di violenze politiche e intimidazioni che hanno creato in città un clima pesante". E Marchini: "Non so se certe persone siano manovrate. Ma di certo c'è un'intelligenza dietro chi danneggia un nostro comitato elettorale la notte prima dell'apertura".

 

LA CRISI? PER MOLTI MA NON PER TUTTI: IN ITALIA CI SONO 259 MILA MILIONARI, METÀ DEI QUALI A ROMA

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Maurizio Ricci per "la Repubblica"

ANDY WARHOL PENSA DA RICCO VESTI DA POVERO

La notizia interessa le ragazze a caccia di marito e gli agenti del fisco, due categorie i cui bersagli - spesso - coincidono: se volete trovare un miliardario (in dollari o equivalenti) il posto giusto è ancora New York. Intesa come Manhattan, propriamente, data la scarsa attrattiva del Bronx e di Staten Island per gli straricchi: ci sono 70 miliardari, all'ultimo conto, che possono essere incrociati su Park Avenue e dintorni. Le alternative presentano qualche problema, soprattutto per le ragazze.

ct65 cane ricco

Ci sono, infatti, ben 64 miliardari anche a Mosca, dove, però, quei miliardi potrebbero essere fin troppo movimentati, fra mafia rampante e Cremlino ingombrante. E 54 anche a Londra, dove il rischio, piuttosto, è di finire nell'harem di qualche emiro arabo. Attenzione, però, perché la geografia cambia completamente, se ci si accontenta dei multimilionari (un patrimonio di almeno 30 milioni di dollari): nel radar, ad esempio, entra a buon diritto anche Roma, con quasi mille ricconi.

E ancor più muta se si scende al modesto livello dei milionari (patrimonio al netto dei debiti, prima casa esclusa), che si muovono in reggimenti di centinaia di migliaia, anche dove, come in Italia, le dichiarazioni dei redditi non farebbero sospettare tanta prosperità.

Il conto lo tiene, a livello mondiale, WealthInsight, una società specializzata nella gestione della ricchezza e che, per questo, ha messo insieme un esclusivo database che contiene, dichiarano i responsabili, acquartierati a Londra, ma con uffici sparsi fra Asia e Stati Uniti, dossiers su 60 mila straricchi globali. I dati, per farla breve, sono inverificabili. Però, proprio perché la fonte non è ufficiale ed è diversa dal fisco, la lettura non è affatto banale. Sia che si guardi all'aspetto glamour che interessa le ragazze in cerca di marito. Sia che si scruti, invece, il risvolto fiscale e tributario.

GRAFICO RAPPORTO MERRYLL LYNCH-CAP GEMINI SU RICCHEZZA - 2009

Si scopre, ad esempio, che a WealthInsight, dove, con ogni probabilità, non li conoscono neanche tutti, risultano in Italia 259 mila milionari (in euro), un numero che ci mette al decimo posto al mondo. Ma, soprattutto, un numero che praticamente coincide con quello degli italiani che dichiarano al fisco un reddito di almeno 100 mila euro (lorde) l'anno. Ora, per arrivare ad un patrimonio netto di almeno un milione di dollari, cioè 750
mila euro (prima casa esclusa) non basta una seconda casa a Cortina.

Ci vuole qualcosa di più sostanziale, a cui è difficile arrivare, anche accumulando i risparmi su incassi mensili di 5 mila euro (a tanto corrisponde un reddito annuo lordo di 100 mila euro). Le due categorie - i milionari e coloro che guadagnano più di 100 mila euro l'anno - insomma, non si sovrappongono.

Tanto più che i 260 mila censiti da WealthInsight non sono solo milionari, ma sono persone con un patrimonio fra 1 e 30 milioni di euro, quindi anche ben al di là dei limiti entro cui si muove, di solito, l'alta borghesia professionale. Chi sono, allora? WealthInsight, naturalmente, non lo dice, ma la risposta non è la più facile a venire in mente. Uno pensa che i 260 mila milionari e oltre siano concentrati fra i Brambilla, i piccoli imprenditori della Brianza o nei capannoni del Veneto profondo, fra Verona e Vicenza, più qualche cumenda milanese. E invece, no.

Metà dei milionari italiani sono a Roma, sparsi sui sette colli di una delle capitali considerate più pigre e neghittose in Europa, autentica zavorra sulle spalle della nazione, dove, però, a quanto pare, circolano assai più soldi che nelle province operose dell'Italia produttiva.

In un paese, dove, negli ultimi 18 mesi, si è parlato spesso di imposta patrimoniale sui superricchi, i dati del rapporto consentono anche di registrare, nell'esercito dei 127 mila milionari romani (più che a Los Angeles, per dire), una crema di quasi mille (esattamente 945) sicuri multimilionari, gente, cioè, solo nella capitale, con un patrimonio superiore ai 30 milioni di dollari.

Miliardari, invece, zero, almeno a Roma. La geografia della ricchezza, d'altra parte, cambia, quando cambia il livello di ricchezza. Probabilmente, perché cambia, a seconda dei posti, quello che la ricchezza può dare. In testa per numero di miliardari, New York scende rapidamente se si guarda ai multimilionari e ai semplici milionari. Non è un ghiribizzo statistico. Più semplicemente, ci vuole un miliardo di dollari per stare confortevolmente a Park Avenue.

Se vi fermate a 30 milioni, o tagliate senza remore sul numero di bagni e di stanze da letto, oppure, se volete vivere come non vi siete potuti permettere a Park Avenue, meglio spostarsi a Riverdale o Westchester, fuori Manhattan. Città con confini urbanistici più ampi, come Tokyo o Londra, salgono, quindi, in classifica.

L'urbanistica non entra per nulla, invece, nel caso di Mosca. Qui conta, al contrario, la storia recente e come ha forgiato la società russa, all'insegna di clamorose ineguaglianze. Anche all'interno dei ricchi. Categoria, peraltro, praticamente inesistente. Nel senso che esistono strasupermegaricchi (esattamente 64, miliardari) e poi il nulla. Mosca è seconda al mondo nella classifica dei miliardari, ma scompare in quella dei multimilionari e appare appena in quella dei milionari (che, comunque, in Russia, ove esistono, dice WealthInsight, stanno in ogni caso sulle rive della Moscova).

 

 

CASA BIANCA D’IMBARAZZO: IL MISTERO DEL RAPPORTO CIA “RITOCCATO” SULLA MORTE DELL’AMBASCIATORE A BENGASI

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Maurizio Molinari per "la Stampa"

Il portavoce del presidente balbetta, Barack Obama tace, Hillary prepara una nuova linea di difesa e l'unico ministro loquace è John Kerry che all'epoca dei fatti ricopriva altro incarico: è la tempesta del caso-Bengasi a mettere sulla difensiva la Casa Bianca, complicando anche la candidatura della Clinton al 2016.

HILLARY CLINTON BENGASI BENGASI

Il casus belli sono 43 pagine di email scambiate fra Dipartimento di Stato, Cia, direttore dell'intelligence e Casa Bianca, durante e dopo l'11 settembre 2012, sull'assalto al consolato Usa di Bengasi nel quale vennero uccisi quattro americani, incluso l'ambasciatore Christopher Stevens. La Casa Bianca consegna le email al Congresso ma arrivano ai media: il magazine conservatore «Weekly Standard» e la tv «Abc» ne svelano il contenuto.

BENGASI

L'imbarazzo per l'amministrazione nasce dal fatto che nel primo rapporto la Cia scrive «estremisti di Al Qaeda hanno partecipato all'attacco» precisando che alcuni «sono legati ad Ansar al Sharia» ma queste frasi spariscono nelle versioni successive - in totale sono 11 - su richiesta di Victoria Nuland, portavoce del Segretario di Stato Clinton. Nell'ultima, al posto di «attacco» c'è «violente dimostrazioni» e ogni riferimento ad Al Qaeda viene sostituito da un generico «estremisti».

BENGASI

Quando Susan Rice, ambasciatrice all'Onu, va in tv per dare la lettura dell'amministrazione su Bengasi riflette l'ultima versione. Per i repubblicani le email provano che la Casa Bianca ha voluto celare la matrice terrorista dell'assalto nel timore di conseguenze negative sulle presidenziali, che si sarebbero svolte 6 settimane dopo.

STEVENS

La Casa Bianca ha tentato di prevenire la tempesta convocando, venerdì mattina, un incontro off the record con i reporter accreditati ma è servito a poco: la conferenza stampa seguente si è trasformata in un processo a Jay Carney, portavoce di Obama. Anche Carney è nel mirino perché in novembre disse che «l'unico cambiamento apportato al rapporto Cia fu cambiare "consolato" con "posto diplomatico"».

Gli interrogativi dei media rimbalzano su prime pagine, Internet e tv: perché la Casa Bianca ha cambiato la versione della Cia? Che cosa tentavano di celare? Come se non bastasse le email svelano anche che l'ufficio sicurezza del Dipartimento di Stato, ad assalto in corso, disse subito che si trattava di jihadisti, ricordando cinque attacchi simili avvenuti contro stranieri a Bengasi. Si avvalora così la testimonianza al Congresso di Gregory Hicks, ex vice-ambasciatore a Tripoli, secondo cui Stevens poteva essere salvato ma Washington ignorò l'allarme e bloccò il blitz militare per soccorrere gli assediati.

BENGASI HILLARY CLINTON DONNA PIU POTENTE DELLA STORIA AMERICANA NEWSWEEK

Ce n'è abbastanza per convincere l'opposizione repubblicana che Bengasi può essere il cavallo di battaglia non solo nel 2014 per l'elezione del Congresso ma anche alle presidenziali del 2016. L'ex vicepresidente Dick Cheney suggerisce al Congresso di «tornare a sentire Clinton sotto giuramento» e Rand Paul, senatore del Kentucky, afferma che «in tali condizioni Hillary non può candidarsi alla presidenza».

STEVENS

La pressione è su Hillary perché i repubblicani sono convinti che, per salvare le speranze presidenziali, potrebbe chiamare in causa Obama. L'ex First Lady tace e prepara la nuova difesa. Ilmomento di difficoltà è descritto dal fatto che l'unico a difendere la Casa Bianca è il Segretario di Stato Kerry, che in settembre era al Senato. Con sullo sfondo l'ex capo della Cia David Petraeus che fa sapere al «Weekly Standard»: «Fui sorpreso dalle correzioni». Facendo capire che anche lui, defenestrato per una relazione extraconiugale, ha qualcosa da dire.

 

 

ISRAELE SCENDE IN PIAZZA CONTRO TAGLI E TASSE – LE SPESE PAZZE DI NETANYAHU

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1 - AUSTERITY PURE IN ISRAELE E LA GENTE SCENDE IN PIAZZA
Rolla Scolari per "il Giornale"

NETANYAHU

Sventolano bandiere della Grecia alla prima manifestazione in Israele contro quell'austerity che da mesi riempie le piazze europee. «Basta, abbassate le tasse», è uno dei cori scanditi sabato sera al corteo che per ore ha bloccato il cuore di Tel Aviv. Quasi diecimila persone hanno marciato nelle piazze e i boulevard chic del centro, quelli dei caffè e dei locali notturni, gli stessi che nell'estate 2011 sono stati teatro delle proteste sociali contro il carovita.

BENJAMIN NETANYAHU

La piazza protesta contro il piano di bilancio presentato la settimana scorsa e discusso oggi dal gabinetto del premier Benjamin Netanyahu. Le misure di austerity introdotte mirano a colmare un deficit di 850 milioni di euro, il 4,2% del Pil: il doppio rispetto alle aspettative degli economisti per l'anno. Il ministro delle Finanze Yair Lapid, ex giornalista televisivo e stella delle elezioni di gennaio, ha proposto tagli alla spesa pubblica da 538 milioni di euro: toccano educazione, sanità, welfare, trasporti e difesa.

Binyamin and Sara Netanyahu iIsraeli-prime-minister

Il piano prevede anche aumenti delle tasse senza precedenti: la tassa sul reddito aumenta del'1,5% per chi guadagna più di mille euro al mese e l'Iva sale dal 17 al 18%. Fa discutere poi quella che sui giornali è stata definita la «tassa sull'oltretomba»: il governo ha dovuto smentire che dall'anno prossimo gli eredi dovranno pagare una quota annuale municipale per ogni tomba o loculo nei cimiteri (anche se, per esempio, si tratta di una tomba di famiglia vecchia di anni).

YAIR LAPID

Le nuove misure costeranno in media alle famiglie israeliane 640 euro all'anno, secondo i primi calcoli. È un colpo per la classe media israeliana, che da anni lamenta il costo troppo alto della vita nel Paese. Ed è più duro perché in arrivo da quel politico sostenuto alle elezioni anche dal movimento che nel 2011 fu il motore delle proteste sociali. Alcuni manifestanti indossano maschere di cartone con la faccia telegenica del ministro delle Finanze.

Per molti di loro, Lapid ha tradito la sua base: «È diventato qualcuno attraverso questo movimento di protesta e ora ci sta fregando tutti», dice Karmit, 31 anni, studentessa di legge ma anche impiegata della compagnia aerea di bandiera El Al. «Le nuove misure mi toccano profondamente: pagherò troppo in tasse».

Il 62,5% della popolazione è contrario alle nuove misure e il 40,6% pensa che la propria situazione economica peggiorerà nei prossimi mesi, racconta un sondaggio pubblicato dal quotidiano Israel HaYom. La popolarità di Lapid intanto è in calo: il 53,9% degli israeliani dice di aver perso fiducia nell' eroe della classe media che aveva promesso in campagna elettorale di difendere la classe media.

YAIR LAPID

«Torna in tv», è scritto sul cartello di Adi Gotlib, manifestante e giovane attrice che si chiede perché l'ex giornalista Lapid non vada «a prendere i soldi dai tycoon e non da noi», come recita su Facebook lo slogan della protesta.

I leader dell'opposizione attaccano, ma il neo ministro non sembra farsi scalfire: ha definito il piano di bilancio «un male necessario» e critica i manifestanti che «protestano contro loro stessi»: «La classe media non può permettersi di lasciare che l'economia collassi», ha detto in tv.

In Israele, c'è chi pensa che la matricola della politica Lapid abbia sbagliato ad accettare un incarico così complicato come le Finanze in tempo di crisi. Dall'altra, c'è chi dice che le critiche fortifichino chi ambisce a diventare premier, spiega al Giornale Lilac Sigan, giornalista e per anni opinionista del Globes, giornale finanziario israeliano. Per l'avvenire politico di Lapid i prossimi mesi saranno cruciali: «Quello che non è chiaro - dice Sigan - è quale siano i progetti per il futuro. Questo piano è stato approvato in fretta. Ora servono riforme reali per risanare l'economia».


2 - QUEL LETTO SULL'AEREO E LE SPESE DI NETANYAHU
Dal "Corriere della Sera"

Valanga di critiche per le spese di Benjamin Netanyahu. In piena austerity, il premier israeliano ha chiesto che un letto matrimoniale per lui e la moglie venisse montato sull'aereo che il mese scorso lo ha portato ai funerali di Margaret Thatcher. Costo: 127 mila dollari, a cui se ne erano aggiunti altri 300 mila per il volo, durato 5 ore e mezzo. Già in febbraio la stampa aveva reso noto che ogni anno il governo spende quasi 3 mila dollari del budget in gelati per il premier.

Sprechi che fanno scalpore, specialmente adesso che il neoministro delle Finanze, Yair Lapid, ha proposto un piano di tagli e aumenti delle tasse per ridurre il deficit dello Stato. Una politica economica che combina una riduzione delle spese militari (quasi 800 milioni di euro in meno) all'innalzamento dell'1,5% (1% per le aziende) di imposte e Iva.

L'esercito teme che la sforbiciata multimilionaria possa compromettere l'efficienza delle sue forze, impegnate sul fronte siriano, nella lotta agli Hezbollah e in allarme per la minaccia nucleare di Teheran. A soffrire di più per il programma Lapid sarà però la classe media, che, delusa, ha già manifestato sabato scorso per le strade di Tel Aviv. A protestare erano in 10 mila. Il malcontento riguarda soprattutto gli elettori «traditi» di Lapid, che confidavano in un piano di austerità punitivo solo nei confronti dei più ricchi.

 

TALK-TORTURA 7 GIORNI SU 7 – ZUPPA DI PORRO SU RAI2 E LA VENIER TORNA “SIGNORA” DELLA DOMENICA

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1 - TALK SHOW SETTE GIORNI SU SETTE I NUOVI VOLTI DELLA TV POLITICA
Laura Rio per "il Giornale"

nicola porro luca telese in onda

Neanche una serata di svago. Tutta la settimana, dal lunedì alla domenica compresa, avremo in onda un talk, un programma di approfondimento, un salotto di interviste. Eh sì, l'informazione costa poco e rende bene in termini di spettatori. E negli ultimi mesi, con la devastante crisi seguita alle elezioni, se ne è avuta ulteriore prova. Indici di ascolto altissimi e anchormen schierati a tutte le ore, Mentana in testa.

Nicola Porro

Così, se le decisioni che si stanno prendendo in questi giorni di preparazione dei palinsesti ( che dovranno essere pronti entro giugno), si dovessero tutte tradurre in atti concreti, nella prossima stagione avremmo un'overdose di trasmissioni politiche e di cronaca. In prima linea La7 e la Rai, ma anche Mediaset non si tira indietro.

In aggiunta ai programmi collaudati, nella tv di stato arriveranno nuove trasmissioni, alcune delle quali saranno testate già nelle prossime settimane e durante l'estate. Partiamo da Raiuno: qui era in discussione un nuovo appuntamento con Massimo Giletti, uomo che sa parlare al grande pubblico come dimostra all' Arena domenicale, ma pare che il primo canale non sia ancora pronto a proporre approfondimenti aggiuntivi a Porta a Porta che manterrà la possibilità di sbarcare in prima serata in caso di grandi eventi.

MARA VENIER E PIERO SANSONETTI

Su Raidue in preparazione tre nuovi prodotti, che partiranno tra maggio e giugno e che se avranno esiti positivi continueranno in autunno. La prima operazione, la più delicata, è la trasmissione di prima serata, appuntamento che manca da anni sul secondo canale dopo l'addio di Santoro. Il progetto allo studio si pone l'obbiettivo di superare il concetto del consueto talk show: tenterà di mixare reportage, interviste e talk medesimo, ma in uno spazio temporale contenuto. In pole position per la conduzione il vicedirettore del Giornale Nicola Porro, che si è televisivamente rodato a In onda su La7.

Antonella Gorret e Massimo Giletti

Dovrebbe andare in onda al mercoledì. In seconda serata partirà invece dal 22 maggio un appuntamento sull'economia spiegata con linguaggio semplice e rivolta al nostro futuro come si evince dal titolo: alla conduzione Annalisa Bruchi, che viene dalla scuola di Minoli. A giugno partirà anche un approfondimento quotidiano nel primo pomeriggio dal titolo Divieto di sosta in cui il tema del giorno sarà trattato con le due visuali Nord- Sud con inviati nelle piazze italiane. Alla conduzione Chiara Lico, volto del Tg2.

formigli interna

Invece, su Raitre, si sta pensando di invertire Report con Che tempo che fa : obiettivo è schierare la più aggressiva Gabanelli al lunedì a combattere con Formigli su La7 e Del Debbio su Rete4. E magari, salvaguardare gli ascolti del salotto di Fazio, che andrà in onda nella versione lunga di prime time la domenica sera. Intanto David Parenzo, il sodale di Giuseppe Cruciani alla Zanzara di Radio24 darà vita da giugno in seconda serata a un talk «generazionale », in sostanza uno «scontro » tra giovani e vecchi.

Renzo Arbore Gubitosi e Minoli

Per quanto riguarda La7, il neo padrone Urbano Cairo ha più volte detto di non voler cambiare né linea editoriale né volti. Quindi, nonostante indiscrezioni che ipotizzano una fuga di Santoro, Gruber e Crozza che mediterebbero un rientro in Rai in caso di frizione col nuovo editore, allo stato attuale l'unico pronto a migrare sarebbe Porro. Pare dunque che i nomi di punta dell'informazione restino nelle attuali collocazioni, a meno di colpi di scena.

SANTORO DELLA VALLE E ROSSELLA SULLO YACHT

Mediaset invece continua a spingere nella direzione di una Rete4 dedita all'approfondimento: oltre a Quinta colonna serale e quotidiano, Quarto grado e Terra , in progetto un'altra trasmissione ancora tutta da studiare. Su Canale 5 continueranno gli speciali del Tg5.

Ecco quindi come sarà la serata d'approfondimento della prossima stagione. Lunedì: Report su Raitre, Piazza pulita su La7, Quinta colonna su Rete4. Martedì: Ballarò su Raitre. Mercoledì: nuovo programma di Raidue, Le invasioni barbariche (a primavera) su La7. Giovedì: Servizio pubblico su La7. Venerdì: L'ultima parola su Raidue, Zeta su La7 e Quarto grado su Rete4. Sabato: Che tempo che fa su Raitre, In onda su La7. Domenica: Che tempo che fa in versione lunga su Raitre, In onda su La7.

BERLU E GRUBER

2 - E LA VENIER TORNA «SIGNORA» DELLA DOMENICA
Laura Rio per "il Giornale"

Sarà di nuovo «la signora della domenica ». Mara Venier tornerà al suo antico amore, il pomeriggio festivo. Pare proprio che i vertici di Raiuno stiano meditando un valzer di conduttrici per ridisegnare il day time della prossima stagione. Proprio in questi giorni si stanno mettendo a punto le decisioni, in vista della presentazione dei palinsesti agli inserzionisti pubblicitari a giugno. Il posto della Venier, alla conduzione della Vita in diretta, dovrebbe passare a Paola Perego, mentre Lorella Cuccarini, lasciata la domenica, è destinata a qualche nuovo programma di intrattenimento di prime time.

CROZZA IMITA BERSANI A BALLAROurbano cairo

Insomma, se tutto andasse in porto, sarebbero accolte in toto le proposte di Lucio Presta, manager di tutte e tre le conduttrici nonché marito della Perego, alla faccia di coloro che lo avevano dato professionalmente finito (insieme alla squadra di presentatori che rappresenta) dopo l'esclusione dall'organizzazione del Festival di Sanremo.
In effetti, il valzer avrebbe una sua logica.

La Venier, stanca del peso quotidiano della diretta e degli argomenti trattati tra cronaca nera e storie di vita drammatiche, si ritroverebbe a casa: ha condotto Domenica In per molti anni, dal '93 al '97 e dal 2001 al 2006. E la Perego, dopo alcune trasmissioni di prime time di poche puntate ma buoni ascolti, otterrebbe una collocazione continuativa. Pare che, per ora, Marco Liorni rimanga nel programma.

Ma, a proposito di Festival, in questi giorni arriverà al dunque anche la deci­sione sulla prossima conduzione di Sanremo che, tradizionalmente, viene annunciata agli inserzionisti a giugno. Non ci dovrebbero essere sorprese: Fabio Fazio che l'anno scorso ha sbancato in quantità di ascolti e qualità della kermesse, dovrebbe a breve trovare un nuovo accordo con la Tv di Stato. Ma con la Littizzetto o senza? Questo è il dilemma.

 


ATTACCO DALL’ORIENTE PER LUCA GIURATO: INVESTITO DA UN RISCIO’!

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Claudia Alì per Il Messaggero

DANIELA VERGARA LUCA GIURATO

Investito da un risciò a Villa Borghese. Povero Luca Giurato. È accaduto ieri intorno alle 19,00 e alle 20,30 il combattivo giornalista, arrabbiato e al tempo stesso ancora incredulo, parla dal pronto soccorso del Policlinico Umberto I, in attesa di fare la lastra:

LUCA GIURATO

«Ero con mio figlio Furio e il mio nipotino di otto anni Diego. Per fortuna loro li ho lasciati alle giostre e mi sono messo in marcia, come faccio tutti i giorni a Villa Borghese, verso il museo, quando, ad un certo punto, ho sentito alle mie spalle un botto e un urto incredibile che mi ha letteralmente scaraventato un metro più avanti».

Giurato dolorante al pronto soccorso racconta: «Sono caduto a terra, investito da due ragazzi alla guida del risciò. Per fortuna i soccorsi sono arrivati immediatamente, perché non riuscivo ad alzarmi per il forte dolore alle due anche, al gomito sinistro e al piede destro».

LUCA GIURATO

Al Policlinico Umberto I medici lo hanno subito visitato. «Mi hanno detto che sono stato molto fortunato a non aver battuto la testa». E poi ricorda: «I due ragazzi che mi hanno investito, li ho poi persi di vista, lui con i tratti asiatici e una ragazza. La polizia che è venuta sul posto mi ha detto di rivolgermi al commissariato di viale Parioli per la denuncia».

LUCA GIURATO

E poi, come a voler sottolineare il paradosso dell'incidente riflette: «E dire che proprio mezz'ora prima sempre a Villa Borghese avevo visto un altro risciò finire contro un albero... Ma sono proprio pericolosi questi risciò, ho pensato. Poi m'hanno investito».

Giurato, un pochino sollevato dalle cure della moglie Daniela Vergara, conclude sorridendoci su: «Mio nipote Diego mi continuava a dire: nonno rimani qui con me a giocare a calcio, e io gli rispondevo, non ti posso sfidare, sei troppo forte... mannaggia, gli avessi dato retta. I bambini hanno sempre ragione».

 

 

IGNAZIO DETTO IL TORCHIO, IL SOTTO-MARINO CHE PUO’ AFFONDARE ROMA

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Giancarlo Perna per "il Giornale"

IGNAZIO MARINO

Considerandosi un compendio di virtù, Ignazio Marino dolorosamente stupito ogni volta che gli si rinfaccia qualche magagna. Ormai gli capita spesso negli sgoccioli di campagna elettorale (si vota il 26-27 maggio) con la quale contende a Gianni Alemanno la guida del Campidoglio. Ultimi a mettersi di traverso gli animalisti. Com'è noto, Marino, senatore del Pd, è un illustre chirurgo del fegato, con settecento trapianti e molte vite salvate.

IGNAZIO MARINO

Perciò è vivisezionista convinto, a tratti un po' fanatico come quando nel 1992 uccise un babbuino per trapiantarne il fegato su un malato che sopravvisse sì e no un paio di mesi alla mostruosa commistione. Impresa che ripeté, previo scannamento di un secondo babbuino, ma stavolta del tutto inutilmente poiché il paziente morì senza riprendere conoscenza. Oggi, Marino riconosce che uomini e babbuini sono cose diverse, ma per saperlo bisognava sperimentarlo.

Ignazio Marino

Si può dunque capire, con tutto il rispetto per il suo punto di vista, che gli animalisti romani lo abbiano sul gozzo. Ovunque vada, Ignazio è circondato da gruppetti che urlano: «Marino, Marino sei tu il babbuino». Il senatore, che si sente vittima, ripete inutilmente di amare gli animali. Forse per questa coda di paglia ha impostato la campagna elettorale sulla serena convivenza di animali e uomo, adulti e bambini. Con lo slogan Roma è vita ha affidato il programma a un fumetto di venti pagine che annuncia «una città a misura di bambino», con aree pedonali, biciclette, bebè e cani a spasso. Il solito quadretto preelettorale.

Ignazio Marino

Quando il senatore proclama il proprio affetto per gli animali, parla dei suoi gatti, Napoleone e Paolina, e più ancora di Annibale che teneva con sé negli States, dove ha vissuto quindici anni, tanto da avere oggi la doppia cittadinanza. Il fatto che dia nomi di condottieri ai mici maschi è segno di lieve megalomania.

Nulla di grave. Inquietante invece l'ammirazione per Annibale, nome non casuale del gatto americano,poiché in un'intervista rivelò che il suo libro preferito era la biografia del generale cartaginese di Gianni Granzotto. Ora, essendo Annibale il nemico più feroce che Roma abbia avuto, ci si chiede con quali intenzioni Marino si candidi ad amministrarla.

Nato cinquantotto anni fa a Genova, Ignazio si trasferì nella Capitale a quattordici anni. Qui si immerse nel cattolicesimo romano. Si iscrisse agli scout, frequentò il liceo dai Fratelli delle Scuole Cristiane, si laureò in Medicina all'Università Cattolica.

Francesco Gaetano Caltagirone

Per ascendenze siciliane, è lontano cugino dell'attuale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, mentre il predecessore, Salvatore Pappalardo, fu suo padre spirituale e i due sono legatissimi. Insomma, un vero figlio di Maria, sposato da un quarto di secolo con Rossana, ex infermiera del Policlinico Gemelli, il nosocomio dei Papi. Questi legami beghini non gli hanno impedito, però, di infischiarsene della dottrina della Chiesa sul fine vita ed essere tra gli alfieri del testamento biologico, ossia per l'autodeterminazione del malato sul proprio trapasso.

Marino lasciò l'Italia nel 1980 per estirpare organi tra gli anglosassoni. Prima a Cambridge in Inghilterra, poi a Pittsburgh in Pennsylvania. Negli Usa fece un sacco di pratica, compresa quella sui babbuini. Fu così che nel 1997 diventò il trait d'union tra l'Università di Pittsburgh e la Regione Sicilia per la nascita a Palermo dell'Ismett,un supercentro per trapianti. Tornò in Italia e ne fu il mattatore, accentrando le cariche.

Nonostante la bravura trapiantologica, si fece fama di arrogante, più autoritario che autorevole, incapace di lavorare in èquipe e motivare i collaboratori. Inoltre, mentre si diceva contrario alle raccomandazioni era spalleggiato da mezza Sicilia, dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, al già citato cardinale Pappalardo. Quando Salvatore Cuffaro divenne governatore si fece quattro conti e scoprì che l'Ismett era un pozzo senza fondo. Ogni posto letto costava alla Regione, 1,7 milioni l'anno, contro una media della sanità siciliana di 200mila euro letto.

Massimo Dalema

Marino capì che per lui non era più aria e col tono di chi dice ingrata patria ruppe nel 2002 con Cuffaro, l'Ismett, l'Università di Pittsburgh e tornò negli Usa in un'altra struttura sanitaria. Fu a questo punto che nacque l'incresciosa vicenda dei rimborsi spese fasulli. Nel fare i conteggi della liquidazione, il capo del centro medico di Pittsburgh, Jeffrey A. Romoff, scoprì che Ignazio si era fatto rimborsare due volte le stesse spese, una dall'Ateneo di Pittsburgh, l'altra dall'Ismett.

Crudelmente, Romoff precisò che ciò era avvenuto «intenzionalmente» e non per errore, per un totale di ottomila dollari. Quando la storia emerse nel 2009, Marino- già in politica da anni- farfugliò scuse ma non dette una spiegazione vera che manca tuttora. Solo una volta disse, infelicemente, che all'epoca maneggiava milioni e che «se un controllo contabile trova una discrepanza per ottomila dollari, beh, che volete che vi dica...». Insomma, se la cosa riguarda lui, che agli altri non perdona nulla, è tutta una quisquilia.

IGNAZIO MARINO

Marino l'americano si riaffaccia sulle nostre coste nel 2006. Vuole dare una sterzata alla sua vita e si rivolge a Max D'Alema, suo amico per ragioni mediche e di cui era collaboratore nella Fondazione Italianieuropei. Detto fatto. Max lo affida a Goffredo Bettini, il king maker del Pd - che pare sia dietro di lui anche in questa campagna per il Campidoglio- e Ignazio è eletto senatore. Il giorno dopo, cosa inaudita per un pivello, diventa presidente della commissione Sanità.

Nonostante favoritismi e creste, Marino continua a considerarsi immacolato e a fare le bucce al prossimo. L'aria di superiorità lo ha reso odioso a molti, tanto che piace solo a Nichi Vendola e ai giustizialisti. Nel 2009 litigò perfino con D'Alema perché volle candidarsi per la segreteria, terzo incomodo tra Bersani e Franceschini. Max, che sosteneva Bersani, lo pregò di non farlo per non disperdere voti, ma l'altro rifiutò.

D'Alema urlò e Marino disse: «Ho passato la vita tra fegati e sangue, figurati se posso avere paura». A Baffino fu chiaro che si era messa una serpe in casa com'era già accaduto con Di Pietro un decennio prima. Nelle stesse ore, innervosì pure a Rosy Bindi, nonostante li leghi l'incenso.

C'era stato un mezzo matto, iscritto al Pd, che aveva commesso stupro. Ignazio sentenziò: «Nel Pd c'è una questione morale enorme». Indignata perché si colpevolizzava l'intero partito per un maniaco, Rosy disse: «Marino non ha né il cuore, né l'intelligenza per dirigere il Pd». Ma se non ce l'ha per il partito, perché volete rifilarlo per governare Roma?

 

MEZZI PUBBLICI O SERVIZI PUBBLICI? LE METRO-SCHIFEZZE PIÙ ASSURDE DI NEW YORK

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DAGOREPORT

Dal "Daily Mail"
http://bit.ly/15D33Uu

LE STRANEZZE DELLA METRO DI NEW YORK

Se esiste una verità universale è che sui mezzi pubblici se ne vedono di tutti i colori.
Ognuno di noi ha una sua storia particolarmente curiosa o peggio, disgustosa da raccontare vista o vissuta a bordo di un autobus o in metropolitana.

LE STRANEZZE DELLA METRO DI NEW YORK

Per cui siti come "SubwayCouture.com", "SubwayDouchery.com" e "GoingWithEddie.com", che si ripropongono di raccogliere immagini riprese direttamente dai mezzi pubblici sui passeggeri più strani o i loro comportamenti più assurdi attingono da un bacino pressoché inesauribile.

Basta dare un'occhiata a questa fotogallery, che racchiude alcune delle foto più incredibili scattate nella metropolitana di New York. C'è chi occupa un intero sedile per mettere la borsa, chi si taglia le unghie, chi mangia cibi dall'odore disgustoso, chi indossa abiti molto "casual" e chi, addirittura, defeca sui sedili.

LE STRANEZZE DELLA METRO DI NEW YORK LE STRANEZZE DELLA METRO DI NEW YORK

Insomma, ce n'è davvero per tutti i dis-gusti.

 

BANDI MESSI AL BANDO: BUTTATA AL CESSO LA CONSULENZA DA 200 MILA € CHIESTA DAL MIBAC PER I SERVIZI NEI MUSEI

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Antonello Cherchi per "Il Sole 24 Ore"

Galan

«Cosa sono 200mila euro di fronte alla prospettiva di avere musei competitivi, dove la gente si emoziona?». A parlare così nella primavera 2010 era Mario Resca, allora a capo della direzione della valorizzazione del ministero dei Beni culturali.

Quei 200mila euro ai quali si riferiva il manager prestato alla cultura per volere di Silvio Berlusconi era la cifra che il ministero aveva versato a una società di consulenza per scrivere le linee guida che avrebbero dovuto aiutare le direzioni regionali a bandire le gare per la concessione dei servizi aggiuntivi - biglietterie, caffetterie, bookshop, strutture di accoglienza - di musei e siti archeologici. Quelle linee guida pagate profumatamente, tanto più in un periodo di crisi, si sono sbriciolate di fronte ai ripetuti affondi dei giudici amministrativi.

Mario Resca

L'ultimo verdetto è arrivato di recente per mano del Tar Lazio e dice che la gara per l'assegnazione dei servizi del Vittoriano è da rifare. Giudizio analogo, sebbene su altre gare, lo avevano già pronunciato i magistrati dei tribunali amministrativi di Puglia, Calabria, Toscana e Campania, oltre che gli stessi giudici del Tar della capitale. Dal 2010 - anno in cui i Beni culturali hanno bandito, sulla base delle nuove linee guida, diverse gare - a oggi è stato un susseguirsi di bocciature.

A dire la verità, in qualche caso il ministero è riuscito ad avere ragione in appello, di fronte al Consiglio di Stato. Ma le vittorie di via del Collegio Romano non riescono a tenere il passo delle sconfitte inflitte a seguito dei ricorsi da parte delle aziende escluse dalle gare o prive dei requisiti contenuti nel bando e spesso ritenuti dai giudici immotivati.

Così che ora la situazione delle concessioni dei servizi aggiuntivi - molte delle quali in prorogatio da anni - è nel più completo stallo. Anche perché, di fronte alla malaparata delle tante gare censurate dai Tar, alcune soprintendenze hanno preferito non dar corso a nuovi bandi o ritirare quelli già predisposti.

PALAZZO COLLEGIO ROMANO SEDE DEL MINISTERO BENI CULTURALI

C'è, dunque, più di un motivo per dire che quei 200mila euro - di cui già all'epoca non si capiva la ragione - sono stati spesi male. E se fino all'altro ieri ci poteva ancora essere qualche dubbio, a fugarlo è intervenuta la delibera dell'Autorità sui contratti pubblici, chiamata in causa da Confcultura, l'associazione che raggruppa diverse imprese private che gestiscono i servizi nei musei.

Anna Maria Buzzi direttore mibac

A inizio marzo, l'Authority ha censurato in diversi punti le gare finora bandite dalle direzioni regionali del ministero, che funzionano da stazioni appaltanti. E ha sollecitato i Beni culturali a uscire al più presto dalla situazione di impasse che si è venuta a creare da tre anni a questa parte, con solo tre concessioni rinnovate relative a tre siti "minori" (Cerveteri, Paestum e Ravenna).

Le altre gestioni continuano, dunque, a rimanere in regime di prorogatio, «proroghe - scrive l'Autorità - non più sostenibili a livello normativo e, dunque, foriere anche di possibili profili di danno erariale».

Ancora prima che l'Authority scendesse in campo, al ministero si erano resi conto che la situazione era ormai diventata insostenibile, tanto che a novembre il neo-direttore della valorizzazione, Anna Maria Buzzi, aveva avviato un giro di consultazioni con le imprese per capire il da farsi. Progetto che ha subìto un'accelerata dopo l'intervento dell'Autorità dei contratti pubblici. «Stiamo scrivendo le nuove linee guida - afferma Buzzi - che entro un mese vedranno la luce. Dopodiché avvieremo una consultazione pubblica».

ANNA MARIA BUZZI

Questa volta niente consulenti esterni. Il lavoro si fa in casa, all'interno di una commissione che, oltre ai funzionari del ministero, raccoglie magistrati e altre figure dell'amministrazione. Va da sé che, in vista delle nuove linee guida, le gare si intendono bloccate. «Per quanto le stazioni appaltanti siano autonome - aggiunge la responsabile della valorizzazione - l'indicazione che abbiamo dato è di non procedere a nuovi bandi, anche perché farli sulla base delle vecchie linee guida è inutile, visto il contenzioso che si è innescato e che ci ha dato torto».

PALAZZO COLLEGIO ROMANO SEDE DEL MINISTERO BENI CULTURALI

Un cambio di rotta che non può che piacere ai concessionari dei servizi aggiuntivi. Patrizia Asproni, presidente di Confcultura, saluta con soddisfazione il nuovo corso del ministero: «Si è instaurato - afferma - uno spirito di collaborazione e confidiamo che le nuove linee guida diano spazio alla progettualità per la valorizzazione dei monumenti da parte dei privati. Obiettivo che si può realizzare soprattutto attraverso gare che prevedano un'integrazione dei siti e dei servizi, accompagnata da una reale sostenibilità economica del l'operazione».

 

L’OMBRA DELLO IOR SULLO SCANDALO LA MOTTA, TRA SERVIZI, CAMORRA E MILIONI

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Dichiarazione di Massimo Teodori, autore di "Vaticano rapace" (Marsilio, 2013) in cui sono analizzate le vicende dello IOR e dei Gentiluomini di sua Santità".

la motta francesco prefetto


Franco La Motta, ex vice capo dell'Aisi, il servizio segreto civile, e capo tra il 2003 e il 2006 della Direzione del Fondo edifici di culto del Viminale è un potentissimo "Gentiluomo di sua santità" con il privilegio di un conto allo IOR in cui si possono effettuare ogni genere di operazioni finanziarie senza controllo.

Massimo Teodori

Ancora una volta è probabile che lo IOR sia al centro dei milioni di euro spariti dal Viminale, lo scandalo per cui è indagato per peculato e corruzione Franco La Motta e sono incarcerati Eduardo Tartaglia, cugino di La Motta, e il broker Rocco Zullino accusati di riciclaggio di denaro camorristico.

BASTIONE NICCOLO' V - SEDE DELLO IOR

Lo IOR, banca offshore di Roma-vaticana, ha una lunga tradizione di malaffare finanziario, di riciclaggio e di corruzione i cui protagonisti sono stati spesso gratificati dell'onorificenza di "Gentiluomo di Sua Santità" con licenza di operare nella banca occulta.

Questo è il caso di Franco La Motta, come in passato è stato il caso di Umberto Ortolani e Angelo Balducci, anch'essi "Gentiluomini" pregiudicati.

 

 

 

DISASTRO DI GENOVA: IL VIDEO DELLA “JOLLY NERO” CHE ABBATTE LA TORRE - ANCORA DISPERSA L’ULTIMA VITTIMA, SLITTANO I FUNE

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1 - IL VIDEO DEL TGR LIGURIA CON LA NAVE "JOLLY NERO" CHE ABBATTE LA TORRE PILOTI DEL MOLO GIANO, NEL PORTO DI GENOVA

 


2 - INCIDENTE GENOVA: IN UN VIDEO LE IMMAGINI DEL DISASTRO

(ANSA) - La torre prima oscilla leggermente poi si abbatte: rasa al suolo dalla Jolly Nero che di poppa la colpisce in pieno. Sono le immagini di un video dell'incidente in porto a Genova riprese da una videocamera collocata in un punto alto sul porto, probabilmente da via Aurelio Saffi. Il filmato è stato trasmesso in esclusiva da Rai Tre Liguria: 15 secondi in cui si vede chiaramente la portacontainer travolgere la torre di controllo della Capitaneria.

video tgr liguria jolly nero abbatte torre porto genova PORTO GENOVA LA TORRE DISTRUTTA


3 - INCIDENTE GENOVA: CONTINUANO RICERCHE, SLITTANO I FUNERALI
(ANSA) - Continuano in porto a Genova le ricerche dell'ultimo disperso dell'incidente del 7 maggio. Divisi in 4 squadre, i palombari si calano senza sosta sul fondo del molo Giano, con turni di un'ora di lavoro ciascuno, per trovare il sergente di Guardia Costiera Gianni Jacoviello, di 33 anni. Finora senza esito. Proprio per questo, è stata fatta slittare la data dei funerali. Familiari e Capitaneria vorrebbero esequie comuni. Ma difficilmente l'attesa potrà protrarsi oltre mercoledì 15 maggio.

torre genova PORTO DI GENOVA LA TORRE DISTRUTTA

4 - INCIDENTE GENOVA: FAMIGLIA DISPERSO, RIVOGLIAMO CORPO GIANNI
(ANSA) - I familiari di Gianni Jacoviello, il sergente della Capitaneria di porto ancora disperso tra i detriti della Torre Piloti crollata sotto l'urto della nave portacontainer Jolly Nero, si trovano nella sede della Guardia costiera dove è stata allestita la camera ardente. "Il loro desiderio - ha detto il sindaco di Carrara, Angelo Zubbano, che stamani si è recato alla camera ardente - è che il corpo di Gianni venga ritrovato al più presto". "Gianni - ha aggiunto - è vittima del suo lavoro e della sua grande professionalità quindi per me è stato doveroso portare la vicinanza mia e della città di Carrara, di cui è originaria la famiglia, ai suoi parenti".

CROLLO DI UNA TORRE AL PORTO DI GENOVA PORTO GENOVA LA TORRE DISTRUTTA

 

CHI FA LE LEGGI IN ITALIA? IL PARLAMENTO? NO, I BUROCRATI CHE LAVORANO NEI GABINETTI DEI MINISTERI

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Sergio Rizzo per "Il Corriere della Sera"

VINCENZO FORTUNATO

I ministri cambiano e i burocrati restano? Una volta tanto questa regola sclerotica della nostra pubblica amministrazione è stata violata. Dopo 12 anni trascorsi senza soluzione di continuità come capo di gabinetto dei ministeri mentre gli inquilini si avvicendavano fra destra e sinistra e governi tecnici, Vincenzo Fortunato ha lasciato.

La successione è cominciata nel 2001: Giulio Tremonti, Domenico Siniscalco, Tremonti, Antonio Di Pietro, Tremonti, Mario Monti, Vittorio Grilli. Magistrato ordinario, amministrativo e tributario, rettore della scuola superiore delle Finanze, membro del consiglio di giustizia amministrativa... Nessuno può vantare un cursus honorum così scintillante.

tremonti - grilli

Resta comunque nei paraggi con un incarico statale rilevantissimo. Lui, che era a capo dell'Economia all'epoca delle controverse cartolarizzazioni è stato nominato presidente della società per la cessione del patrimonio pubblico. Nei ritagli di tempo potrà dedicarsi a Studiare sviluppo, una curiosa società interamente posseduta dal ministero dell'Economia, del cui collegio sindacale è presidente da settembre 2012.

Ed è inevitabile, vista la sua esperienza, che siano circolate anche fantasiose voci di altre prestigiose incombenze, quale quella di commissario della Stretto di Messina spa. In ogni caso al ministero dell'Economia si è chiusa un'epoca. Il ministro Fabrizio Saccomanni ha deciso di dare il suo posto a un dirigente della Camera: Daniele Cabras, figlio di Paolo Cabras, ex parlamentare Dc di lungo corso.

ANTONIO DI PIETRO - ITALIA DEI VALORI

A via XX Settembre lo presentano come un elemento di forte rinnovamento. Ma chi lo interpreta come un segnale d'indebolimento di quella burocrazia che ha nelle mani da decenni le nostre amministrazioni, si sbaglia di grosso.

Filippo Patroni Griffi

Non è solo il caso dei direttori generali dei ministeri, la cui inamovibilità è stata giustamente identificata su queste colonne da Francesco Giavazzi come uno dei freni più grossi ai cambiamenti. E che potrebbe essere intaccata in uno dei suoi pilastri, se sulla poltrona di Ragioniere generale dello Stato arrivasse ora dalla Banca d'Italia Daniele Franco.

Parliamo soprattutto di quegli «esterni», quasi sempre gli stessi, che rappresentano ormai il vero cuore del potere governativo: i capi dei gabinetti e degli uffici legislativi, ruoli tradizionalmente occupati da magistrati amministrativi, giudici contabili, avvocati dello Stato. Spesso esponenti di circuiti relazionali solidissimi e autoreferenziali, così potenti da sovrapporsi talvolta alla stessa politica.

Fino a qualche settimana fa sottosegretario alla presidenza del Consiglio era Antonio Catricalà, consigliere di Stato, ex segretario generale di Palazzo Chigi e per quasi sette anni capo dell'Antitrust: ora è viceministro allo Sviluppo economico. Il suo posto al fianco del premier Enrico Letta è stato preso da un altro consigliere di Stato, Filippo Patroni Griffi, ex ministro della Funzione pubblica.

DONATO MARRA

Che ha collocato sulla delicata poltrona di segretario generale della presidenza il proprio ex capo di gabinetto ministeriale Roberto Garofoli. Consigliere di Stato anch'egli, come del resto Carlo Deodato, nominato responsabile dell'ufficio legislativo di palazzo Chigi al posto di un altro consigliere di Stato, Carlo Zucchelli.

E consiglieri di Stato sono pure Donato Marra e Giancarlo Montedoro, confermati rispettivamente segretario generale e consigliere giuridico del Quirinale. I gabinetti dei ministeri, poi, continuano a essere la destinazione naturale dei magistrati amministrativi.

Allo Sviluppo economico di Flavio Zanonato è tornato Goffredo Zaccardi, attuale presidente del Tar Molise che già aveva ricoperto lo stesso incarico con Pier Luigi Bersani. Mentre perfino una marziana qual è la campionessa mondiale e olimpica di kayak Josefa Idem, ministro dello Sport, si è dovuta affidare a un giudice del Tar: Germana Panzironi.

Dov'è il problema, vi chiederete? E' un lavoro difficile, meglio affidarlo a persone esperte e capaci. E queste certamente lo sono. La prospettiva però cambia decisamente osservando il modo in cui si fanno le leggi. Un esempio? Per attivare il decreto sviluppo servivano 71 fra decreti, regolamenti e provvedimenti amministrativi vari. Leggi come questa, approvate dal Parlamento, sarebbero dunque cornici vuote se non venissero poi riempite da norme successive.

E quelle norme, solo apparentemente tecniche, vengono definite dagli «esterni inamovibili» attraverso gli uffici legislativi ministeriali. Si è arrivati al punto, come ha sottolineato in un recente articolo il Giornale di Diritto amministrativo, che l'azione pubblica non dipende più tanto dal Parlamento quanto dai burocrati, dato che la messa in pratica delle sue decisioni viene sempre più frequentemente rimandata a provvedimenti elaborati in seguito dai gabinetti dei ministeri. Diranno che l'inflazione dei decreti attuativi, caratteristica tutta italiana, dipende dalla qualità scadente e approssimativa delle leggi.

C'è anche questo. Ma il risultato è che pezzi importanti del potere decisionale si sono trasferiti dalle Camere democraticamente elette alle burocrazie cui si affidano i ministri.

 


I VERI PADRONI DELLA POLITICA NON SONO I PARTITI MA I PAPERONI CHE LI FINANZIANO

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Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce per "Il Fatto Quotidiano"

Anche nel passaggio dalla lira all'euro lo scalino è stato ammortizzato. Tanto era allora, il doppio dopo. Anzi, i benefattori della politica sono stati al passo con gli appetiti crescenti: bonifici con zeri abbondanti a coprire una perenne campagna elettorale.

Francesco Gaetano Caltagirone

I nomi sono quasi sempre gli stessi: presunti capitani d'industria come la famiglia Riva, imprenditori dall'aspetto illuminato tipo la famiglia Benetton. O Diego Della Valle, sempre presente negli ultimi vent'anni. I più generosi e attenti? Tutte le realtà legate al mondo della sanità e dell'edilizia. Destra, sinistra, centro. Questo ballo coinvolge tutto il Parlamento.

Pierferdinando Casini

SULLA VIA EMILIA
Metodici. Puntuali. Con cifre crescenti. Sono i Merloni, proprietari dell'omonima azienda legata al mondo degli elettrodomestici e della termoidraulica. Nel 1994 intervengono con un assegno da dieci milioni a favore di Beniamino Andreatta, uno da 30 per Gerardo Bianco, 60 al Partito Popolare e 80 per la neonata Forza Italia. Ma la generosità non finisce qui: ecco 270 milioni al Patto Segni, sotto la formula del "deposito fruttifero a garanzia di scopertura bancaria" e altri 20 per il suo leader Mariotto.

Cambia stagione, non la generosità. Nel 1999: 50 milioni ai Ds, altrettanti al Ccd. Occhio alla data: 2001. È l'anno della chance per Francesco Rutelli come leader del centrosinistra, l'anno della frase "mangio pane e cicoria". Per rendere più sfizioso il companatico, i Merloni si presentano con 100 mila euro; al Patto Segni e all'Udeur appena 10 mila. Finisce la disponibilità.

Berlusconi

Nel 2008 l'azienda entra in crisi: chiusi due stabilimenti, amministrazione straordinaria e debiti per 543,3 milioni di euro. Parentesi "alimentare" sulla via Emilia: nel 1994 Parmacotto si presenta con 100 milioni per Forza Italia e altrettanti per il candidato locale, Elio Massimo Palmizio. Non meno generoso è mister Idrolitina, alias Giuseppe Gazzoni Frascara, candidato nel 1995 a sindaco di Bologna. Tra il 1994 e il 1996 si presenta con oltre 300 milioni tra Forza Italia e il Ccd.

A CHI FA LE SCARPE?
19 marzo 2006. Vicenza. Silvio Berlusconi attacca violentemente Diego Della Valle. Il signor Tod's replica dalla platea. Sembrano lontani umanamente e politicamente, almeno lì. Eppure qualche anno prima la storia era tutt'altra. Nel 1994 il proprietario della Fiorentina si presenta da Forza Italia con 100 milioni, mentre sono 135 per il Patto Segni, sempre con la formula del "deposito fruttifero".

Diego della valle

Ma la vera amicizia è quella con Clemente Mastella: nel 1998 dà 50 milioni ai Cristiano Democratici per la Repubblica e 150 mila all'Udeur per la campagna del 2006, a firma di Andrea (altri 100 mila per la Margherita, da parte di Diego, maggiore dei fratelli). Parallelamente alla passione politica, cresce anche il pacchetto aziende, tanto da entrare, nel 2011, nella classifica di Forbes dedicata agli uomini più ricchi al mondo; al marzo del 2013 egli è al 965° posto (20° italiano), con un patrimonio di 1,5 miliardi di dollari.

Clemente Mastella

FATTORE DI "MERCATO"
Coerente. Munifico e coerente. È Maurizio Zamparini, spesso in tv o sui giornali, perché proprietario del Palermo calcio. È un uomo di destra, e quella parte finanzia. Nel 1994 batte ogni record con due "assegni" da 250 milioni l'uno, a favore del defunto Msi, in procinto di trasformarsi in Alleanza nazionale. Nel 2001 diventano 200 mila euro; 103 nel 2006 al Ccd, mentre nel 2008 seduce l'Mpa di Lombardo con altri 100.

FRECCIA A DESTRA
Qualche dubbio, un'unica certezza: un misterioso benefattore spedisce nel 1994 97 milioni di lire all'Msi, da poco al governo con Silvio Berlusconi. Sono tre bonifici provenienti dal Lussemburgo, una situazione talmente ingarbugliata da costringere Gianfranco Fini a scrivere: "La vostra somma non è stata ancora utilizzata. Vi preghiamo di volerci segnalare la causale di tale versamento".

ALFREDO ROMEO

Il titolare della società non sa cosa rispondere, ma si rifugia in un diplomatico "sostegno e stima da italiani residenti all'estero". Peccato che dietro ci fosse il banchiere italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia, poi condannato a sei anni di carcere per appropriazione indebita nell'inchiesta di Mani Pulite.

IL "RE" TRASVERSALE
Per Alfredo Romeo una condanna a quattro anni in primo grado, due e mezzo in appello e la prescrizione in Cassazione, a causa di Tangentopoli. Definiva i politici come "della cavallette! Anzi, delle iene".

Ma per lui una seconda opportunità, con un patrimonio immobiliare di 48 miliardi di lire da gestire e 160 milioni di incassi. E la capacità di intervenire, dove utile, con finanziamenti trasversali: 27.900 euro nel 2002 ai Ds di Roma, 12 a Forza Italia. Altri 20, sempre al partito di Fassino, per il 2005. E ancora 30 mila nel 2013 a Nicola Latorre, 25 al Centro Democratico. Oppure a Torino nel 2001: 30 mila per il sindaco Sergio Chiamparino, 40 a Forza Italia.

FASSINO

Infine ha dato 60 mila euro a Renzi per le primarie. Attenzione: il business di Alfredo Romeo è di servizi offerti agli enti pubblici. Il 13 aprile di quest'anno la terza sezione della Corte d'appello di Napoli, lo ha condannato a tre anni per corruzione. Poche settimane prima aveva vinto una gara bandita dall'Anci per diventare partner della società che si occuperà della riscossione dei tributi.

MATTEO RENZI IN BICI

LA FAMIGLIA RIVA
Tutti e tre schierati. Il padre Emilio Riva, assieme ai figli Nicola e Fabio: sono i proprietari dell'Ilva di Taranto, ora agli arresti domiciliari. Nel 2006 finanziarono la campagna elettorale di Pier Luigi Bersani con 98 mila euro. L'ex leader del Pd diventò ministro dello Sviluppo economico. Ma due anni prima, i tre uomini Riva, avevano elargito 330 mila euro a Forza Italia attraverso tre bonifici. Più altri "spicci", ai berlusconiani di Bari, Taranto e Milano.

chiamparino

42 MILIARDI IN SEI ANNI
Nessuno ha mai negato che Forza Italia fosse la struttura politica di Publitalia 80, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, la più potente d'Italia ancora oggi. E nessuno ha creduto a Silvio Berlusconi quando si lamentava per i soldi spesi in campagna elettorale. Publitalia ha pompato denaro dal '94 al 2000 a Forza Italia e ai propri alleati fra cui Alleanza nazionale, Lega Nord e Udc, ma anche la lista Pannella e Bonino Presidente: spesso si trattava di sconti sugli spazi pubblicitari oppure sconti "praticati secondo generali orientamenti di strategia commerciale". Qualsiasi fosse la definizione giusta, il passaggio di favore e l'esborso di Cologno Monzese, la cifra ufficiale è spaventosa: circa 42 miliardi di lire in sei anni. Ma per confermare la generosità di Berlusconi va fatto notare un assegno di Forza Italia ai leghisti di Bossi e Maroni nel 2003, e non c'è scritto che si trattasse di divisione dei rimborsi pubblici: 300.000 euro.

BERSANI luigi

SERGIO SCARPELLINI
Il re del mattone di lusso, soprattutto romano, Sergio Scarpellini ebbe i contratti per gli affitti di Montecitorio nel 1997. Qualche anno dopo, l'imprenditore donò 50 milioni di lire ai Ds calabresi e poi 48 mila euro ai Ds romani. Ma ha sempre contribuito alle spese dei partiti con le sue società, Milano 90 e Progetto 90. Sempre attento ai Ds prima e Pd poi: 200 mila euro in totale, 20 mila euro diretti a Michele Meta.

MAURIZIO ZAMPARINI jpeg

Non manca il fronte centrodestra: 100 mila euro all'Udc, 50 mila al Pdl, 35 ai Cristiano Popolari di Baccini e 25 ai leghisti. Ma chiunque spende con speranza. Come Giuseppe Grossi, morto un paio di anni fa, vicino a Comunione e Liberazione, che aveva monopolizzato le bonifiche in Lombardia: per caso, prima dell'arresto, qualche anno addietro (2001 e 2004), diede 450 mila euro a Forza Italia. Funziona molto la tecnica della presenza costante con l'associazione Federfarma che pensa a tutti, proprio a tutti i partiti e ai tanti candidati.

GIULIO TERZI E GIANFRANCO FINI

PICCONATORE IN AEREO
L'aneddoto su Francesco Cossiga, allora presidente emerito, merita un racconto. Il picconatore viaggiava tanto e spesso a spese altrui: nel 1999, la Eliar lo portò tra la Spagna e l'Italia; nel 2000, Silvio Berlusconi in persona gli regalò un volo privato Roma-Nizza; poi la Joint Oriented pagò un Roma-Nizza.

Ma chi si spese di più fu la Tiscali del conterraneo Soru che gli garantì un trasporto annuale gratuito - era il 2003 - da Cagliari a Roma e da Cagliari a Milano, andata e ritorno ovviamente. Questo introduce gli oltre 420 mila euro che la Energex diede al Ccd di Casini prima che diventasse Udc: la società anonima, sede in Lussemburgo, si occupa di noleggio aereo e la Camera non sa spiegare questi soldi di "capitale straniero".

FABIO ED EMILIO RIVA

RE DEL MATTONE
Il costruttore romano Domenico Bonifaci, per la campagna elettorale fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, la sfida numero uno, diede in prestito 3 miliardi di lire al Pds. Ma è soltanto un esempio di quanto, in questi anni, abbiano speso costruttori e immobiliaristi per sostenere i partiti: non mancano i Gavio o Toto.

Da quando Pier Ferdinando Casini ha sposato la figlia Azzurra, Gaetano Francesco Caltagirone, attraverso le varie società di famiglia o in prima persona, non si è risparmiato: ha donato 2 milioni di euro in poco tempo. Anche se, dieci anni fa, diede un piccolo contributo di 20.000 euro ai Democratici di sinistra romani.

fratelli benetton

I Ds in giro per l'Italia, e in particolare nella Capitale, hanno sempre potuto contare sui signori del mattone. Salini non si è sprecata, scarsi 100.000 divisi fra le varie sezioni rosse, stessa cifra per Italiana Costruzioni che, però, ne ha dati 25mila all'Udc, più 120 milioni del '96 al Pds. I Ds di Roma, a colpi di 10 milioni di lire poi diventati 20mila euro, sono stati finanziati tanto dai potenziali o reali clienti come Romeo di Global Service o come Mondialpol che ha creduto anche nei progetti di Marrazzo presidente del Lazio o dell'Udc del munifico Casini. La bolognese Astaldi, che realizza grandi opere, ha sempre preferito la destra come testimoniano i 100 mila euro a Forza Italia che mal si sposano con i 70 mila ai Ds di qualche anno prima.

Domenico Bonifaci

I Cantieri Italiani di Pescara, anche con piccole somme di 5 mila euro, hanno cercato di tenere in piedi il centrosinistra italiano in Abruzzo: dai Democratici di Sinistra al Partito popolare hanno effettuato più di 30 donazioni. Tra i grandi finanziatori va ricordato Giannino Marzotto, amico di Enzo Ferrari, scomparso qualche anno fa, che in un colpo solo diede un milione di euro ciascuno a Forza Italia e Lega Nord.

SUPERMERCATI
Il patrón di Esselunga, Bernardo Caprotti, non ha mai nascosto le sue preferenze politiche. E i supermercati enormi, che puntellano soprattutto la Lombardia, sono merito di sapienza imprenditoriale e di un buon affiatamento con gli amministratori locali.

Esselunga ha sempre finanziato i candidati di Forza Italia con bonifici di 20 milioni di lire, stiamo parlando degli anni che vanno dal 1996 al 2000, e tra i benificiari si trovano anche l'allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini e l'attuale ministro Mario Mauro: entrambi, però, hanno mollato il Cavaliere per il professor Monti.

ROMANO PRODI

Una volta sola, nel 2002, Caprotti stacca un assegno a suo nome di 200 milioni di lire per Forza Italia: l'anno prima la controllata Orofin ne aveva dati 500. Anche i centristi di Casini (Ccd) sono nelle grazie di Caprotti, che contribuisce con 210 milioni di lire in due rate.

Sergio Scarpellini

IL COLORE DEI SOLDI
La famiglia Benetton ha sempre fatto i propri (lauti) affari con debita distanza dai palazzi romani, ma accade qualcosa di strano nel 2006. Quando si comincia a parlare di una fusione tra Autostrade per l'Italia e la spagnola Albertis, un'operazione internazionale, e dunque anche politica. Prima di conoscere l'inquilino di Palazzo Chigi, se ci sarà la conferma di Silvio Berlusconi o il ritorno di Prodi, la società investe 1,1 milioni di euro e li distribuisce, sotto forma di donazioni, ai partiti.

Bernardo Caprotti

Un assegno di 150 mila euro ciascuno per la coalizione di centrodestra, Alleanza nazionale, Forza Italia, Lega Nord e Udc; stessa cifra per la coalizione di centrosinistra, Comitato per Prodi, Democratici di Sinistra, La Margherita e soltanto 50 mila euro per la piccola Udeur di Clemente Mastella. Il governo di Prodi avrà l'onore di battezzare lo scambio imprenditoriale con lo spagnolo Zapatero, ma Antonio Di Pietro, allora ministro per le Infrastrutture, si oppone con durezza. Finché il progetto non va malamente in archivio.

 

 

RETI RAI SENZA SPOT? CI SIAMO ARRIVATI: RACCOLTA PUBBLICITARIA AL MINIMO STORICO!

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1 - PREVISIONI NERE PER LA RAI: CROLLA LA PUBBLICITA' E CALA ANCHE IL CANONE
Da "La Repubblica" - «Al mio segnale scatenate l'inferno». Luigi Gubitosi mostra un film di battaglia ("Il gladiatore") ai direttori editoriali e di corporate che riunisce a Viale Mazzini per esporre il nuovo Piano industriale Rai. Il direttore generale - che carica così i top manager - assicura che la Sipra saprà fare meglio del mercato nella raccolta pubblicitaria 2013 e che le entrate da canone saranno stabili.

LOGO SIPRA Gubitosi Luigi

Pessimista è invece il deputato del Pd Michele Anzaldi. Nelle sue stime, le entrate da canone scenderanno di 15 milioni (primo calo dal 1999), la raccolta pubblicitaria si fermerà a 665 milioni (era a 1136 nel 2007) e l'indebitamento finanziario si aggraverà «seriamente». (a.fon.)

2 - RAI: IN CDA FOCUS SU RADIO, PIANO INDUSTRIALE E CONTRATTO SERVIZIO RAI WORLD

(Adnkronos) - Domani pomeriggio, a quanto si apprende, il Cda della Rai convocato per le 14.30 affrontera' molte questioni, tanto che e' gia' in programma la sua prosecuzione mercoledi' 15 alle ore 10. Sul tavolo del Consiglio l'implementazione dei 'cantieri di lavoro' del piano industriale (in sostanza si tratta di andare a individuare e approfondire le singole azioni che daranno attuazione al piano); il contratto di servizio tra Rai e Rai World; la nomina del collegio sindacale di AudiRadio (societa' di rilevazione degli ascolti radio gia' in liquidazione dal 2011); audizione della direzione della Radio ed infine ordini e contratti. Per quest'ultimo punto si tratterebbe delle forniture dei gettoni d'oro per i giochi a premio e di varianti al contratto di locazione (tra Rai e Coni) dell'auditorium del Foro Italico da dove vanno in onda diversi programmi di Rai e dove tornera' in autunno anche 'Ballando con le stelle'.

 

Rai

INVECE DI DARE GRATIS IL NOSTRO CERVELLO A TWITTER, FACEBOOK E GOOGLE RENDIAMO “SOCIAL” ANCHE I PROFITTI

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Maria Teresa Cometto per "CorrierEconomia - Corriere della Sera"

La terra promessa per diventare famosi e ricchi in fretta. L'arma per abbattere dittature ed espandere la democrazia. Il serbatoio di dati per risolvere i più complessi problemi. Internet è questo e altro per certi fanatici dell'high-tech. Ma ad abbattere le visioni utopiche del web arrivano dall'America le provocazioni di alcuni protagonisti di primo piano del mondo tecnologico.

Lo scienziato Jaron Lanier, pioniere della «realtà virtuale», nel libro Who owns the future? («Chi possiede il futuro?», uscito la settimana scorsa negli Usa) denuncia i social media - da Facebook a Twitter - come sfruttatori delle informazioni ricevute gratis dai loro utenti con un modello di business che sta distruggendo la classe media e la stessa democrazia.

LANIER MOROZOV E SCHMIDT

In un altro nuovo libro - The New digital age («La nuova era digitale») - il presidente di Google Eric Schmidt e il responsabile del pensatoio Google Ideas Jared Cohen sottolineano che i social media da soli, senza una leadership umana, non possono rivoluzionare i governi e Internet può anzi essere usato per rafforzare i regimi totalitari.

Mentre l'esperto di media Evgeny Morozov nella sua ultima opera To Save Everything, Click Here («Per salvare tutto, clicca qui») argomenta che il «soluzionismo» - l'ideologia per cui tutti i problemi, anche quelli sociali complessi, possono essere risolti con l'algoritmo giusto - può avere conseguenze inattese peggiori dei problemi che cerca di risolvere.

JARON LANIER

CONDIVISIONE
L'atto di accusa di Lanier è il più polemico ed è anche una sorta di atto di contrizione. «Sono stato uno dei primi partecipanti nel processo (che ci ha portato a questo punto, ndr) e ho aiutato a formulare molte delle idee che critico in questo libro», ha spiegato Lanier, che già negli Anni '80 aveva creato apparecchi per sperimentare la virtual reality, compresi degli occhiali antenati degli attuali Google Glasses, e che oggi lavora a progetti «speciali» per Microsoft research.

LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARI

«L'idea originale della condivisione digitale - ricorda Lanier - risale a Ted Nelson negli Anni '60: lui sapeva che la computerizzazione avrebbe minato la proprietà dei contenuti e il suo piano originale prevedeva che ognuno avrebbe ricevuto micro pagamenti per le cose di valore messe online». Non è andata così e oggi «noi diamo gratis il nostro cervello a Twitter, Facebook, Instagram, Google, loro ci fanno i profitti», sottolinea Lanier. Che lancia un appello ai giovani: alzate la testa dagli smartphone, tablet, laptop su cui state aggiornando il vostro «status» e chiedetevi perché la vostra situazione non migliora.

logo twitter

Secondo lui è perché la nuova generazione ha di fronte solo due vie. Una porta alla ricchezza e al successo ma pochissimi ci arrivano, «stando vicini a uno dei grandi computer che gestiscono tutto, magari trovando un lavoro a Google o Facebook o anche in una banca di Wall Street che fa lo stesso gioco: raccogliere le informazioni di tutti per calcolare come guadagnar soldi e potere».

Google

L'altra via è partecipare a «una sorta di casinò: mettere online i tuoi video, tweet, foto, promuovendo te stesso nella speranza di diventare uno dei pochissimi che ce la fanno, ma dentro di te sai che vince sempre il banco». La terza via, quella che una volta portava alla vita «ragionevolmente sicura» della classe media, non esiste più.

GIOVANI
Per spiegare come mai Lanier cita l'esempio dell'impatto della tecnologia digitale sulla fotografia: quando si usava la pellicola, Kodak guadagna sui prodotti che creava e vendeva, impiegando 140mila lavoratori e mantenendo altrettante famiglie della classe media; oggi Instagram, il marchio più popolare delle foto condivise online, impiega 13 persone e fa soldi sui contenuti creati da altri, da tutti noi.

INSTAGRAM

Lanier non ha soluzioni pronte ma spera nella nascita di un movimento per una «dignità di massa» nell'era di Internet, animato da una futura generazione di americani capaci di «farsi pagare per quello che aggiungono a Facebook/Instagram/Twitter e tutto il resto».

Schmidt e Cohen credono ancora che «il futuro digitale possa essere radioso», ma mettono in guardia contro «il suo lato oscuro»: «La tecnologia non solo aiuta i "buoni" a spingere per le riforme democratiche, può anche fornire nuovi strumenti potenti ai dittatori per sopprimere il dissenso».

TED NELSON

Succede da Teheran a Pechino, dove gli autocrati stanno costruendo sistemi per monitorare e contenere l'opposizione, spesso con l'aiuto di aziende occidentali - documentano i due autori di Google -: il traffico di software per analizzare le miniere di dati online a fini repressivi e di altri prodotti come quelli per raccogliere e immagazzinare informazioni biometriche dei cittadini, è la versione digitale del traffico di armi.

E contro questo organizzarsi con i social media per scendere in piazza non basta: ci vogliono leader con un programma democratico credibile, altrimenti le proteste fanno la fine della Primavera araba.

Anche Morozov smitizza l'idea di rendere più trasparente il modo di far politica solo con l'uso di Internet e avverte che stiamo rischiando di finire in balia di tecnologie intelligenti sempre più invadenti e disegnate in modo da «minare la nostra autonomia e sopprimere comportamenti che qualcuno da qualche parte ha deciso essere non desiderabili».

 

LA BOCCASSINI SBUCCIA IL BANANA: 6 ANNI E INTERDIZIONE PERPETUA DAI PUBBLICI UFFICI

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1 - RUBY:CHIESTA PER BERLUSCONI INTERDIZIONE PERPETUA
(ANSA) - Il pm Ilda Boccassini ha anche chiesto per Berlusconi l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

BERLUSCONI AL SENATO CON GLI OCCHIALI

2 - RUBY: PM, CONDANNATE BERLUSCONI A 6 ANNI
(ANSA) - Il pm Ilda Boccassini, al termine della requisitoria, ha chiesto 6 anni di reclusione per l'ex premier Silvio Berlusconi, imputato di concussione e prostituzione minorile nel processo Ruby.

SILVIO BERLUSCONI

3 - RUBY: PM, DA BERLUSCONI OLTRE 4,5 MLN A RAGAZZA
(ANSA) - Silvio Berlusconi avrebbe versato oltre 4,5 mln di euro a Ruby come dimostrano le intercettazioni telefoniche, un biglietto sequestrato alla giovane marocchina e i prelievi fatti dall'ex premier su uno dei suoi conti. Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini.

Berlusconi

Il procuratore Ilda Boccassini, nel corso della sua requisitoria iniziata stamattina, ha sottolineato da un conto del leader del Pdl tra l'ottobre e il dicembre 2010 sarebbero state prelevate somme per oltre 4,5 mln che "coprono abbondantemente" la cifra di cui parla Ruby in un biglietto e in alcune telefonate.

SILVIO BERLUSCONI

4 - BOCCASSINI, BERLUSCONI HA MENTITO IN AULA
(ANSA) - Silvio Berlusconi "con le sue dichiarazioni" spontanee, rese nel corso del processo sul caso Ruby, "ha mentito, ma può farlo perché è un suo diritto di imputato". Lo ha spiegato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini nel passaggio della requisitoria in cui ha fatto riferimento ad alcuni testimoni che, secondo il pm, hanno detto il falso in Aula.

presidio pro boccassini palazzo di giustizia ruby

5 - RUBY: BOCCASSINI, DA BERLUSCONI SOLDI PER VIVERE
(ANSA) - Ruby "aveva da Berlusconi direttamente quello che le serviva per vivere in cambio delle serate ad Arcore". Lo ha detto il procuratore aggiunto Ilda Boccassini in un passaggio della requisitoria al processo Ruby a carico di Silvio Berlusconi. Il pm ha sostenuto inoltre che ad Arcore c'era un "sistema prostitutivo".

6 - RUBY: PM, NESSUN DUBBIO SU SESSO CON BERLUSCONI
(ANSA) - "Non vi è dubbio che Karima El Maroud aveva fatto sesso con Berlusconi e ne aveva ricevuto dei benefici" lo ha detto il pm nella sua requisitoria aggiungendo che l'ex premier "sapeva che la ragazza era minorenne".

ruby

7 - RUBY: BOCCASSINI,NON CI SONO DUBBI CHE SI PROSTITUISSE
(ANSA) - "Non abbiamo dubbi che Ruby si prostituisse"

8 - RUBY: PM, IN QUESTURA SAPEVANO CHE NIPOTE MUBARAK ERA BALLA
(ANSA) - Quando il capo di gabinetto della questura di Milano Pietro Ostuni chiamò il questore per avvertirlo della telefonata di Silvio Berlusconi sapeva "benissimo che la vicenda della nipote di Mubarak era una balla colossale e sapeva benissimo che la ragazza era minorenne, marocchina e scappata da una comunità e che interessava all' allora presidente del consigliò'".

ruby

E' un passaggio della requisitoria di Ilda Boccassini a processo sul caso Ruby a carico di Berlusconi. Il Pm, nella ricostruzione di quel che accadde nella notte tra il 27 e 28 maggio 2010, ha definito più volte la "storia" della nipote dell'ex rais "una bufala" e "una scusa grossolana" inventata dall'ex premier.

Bocassini Berlusconi Ruby

9 - RUBY:BOCCASSINI,LEI NEGA PERCHE' AVUTO TORNACONTO MILIONARIO
(ANSA) - Ruby "mente e nega di avere avuto rapporti sessuali" con Berlusconi, perché ha avuto "un tornaconto personale quantificato in milioni di euro". Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, in uno dei passaggi della requisitoria. Secondo il pm, "l'interesse" dell'ex premier per il rilascio della giovane marocchina dalla Questura nel maggio del 2010 si basava sul suo "timore" che "si potesse disvelare che quella minorenne avesse fatto sesso con lui" e ciò che "accadeva ad Arcore".

berlu bocca

10 - BOCCASSINI, MINETTI AVEVA 'DOPPIO LAVORO'
(ANSA) - Nicole Minetti aveva "questo doppio lavoro", ossia "gestiva le case di via Olgettina dove vivevano le ragazze che si prostituivano" e "era un rappresentante delle istituzioni nel Consiglio regionale, pagata dai contribuenti". Così il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, ha descritto, nel corso della requisitoria al processo sul caso Ruby a carico di Berlusconi, la figura dell'ex consigliere regionale, la quale, secondo il pm, distribuiva il suo tempo tra queste due 'occupazioni'.

berlusconi-boccassini-stretta-di-mano

Anche Minetti, così come Emilio Fede e Lele Mora, secondo il pm Boccassini, era consapevole che Ruby fosse minorenne quando frequentava Arcore. Così come lo sapevano, sempre secondo il pm, diverse persone che frequentavano la ragazza, come Caterina Pasquino e Michelle Conceicao, le quali inoltre erano a conoscenza "che Ruby si prostituiva".

Ruby, sempre secondo la requisitoria, ha dormito diverse notti ad Arcore tra il febbraio e il marzo del 2010 ed era diventata "la preferita, la più gettonata delle ragazze" in quel contesto di "prostituzione ad Arcore" che, secondo l'accusa, "é stato dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio".

berlusconi bocca

11 - BOCCASSINI, ALCUNI TESTIMONI COSTRETTI A MENTIRE - ANCHE VALENTINI HA DETTO IL FALSO
(ANSA) - Nel corso del processo Ruby alcuni testimoni "sono stati costretti a mentire". Lo ha affermato il procuratore aggiunto, Ilda Boccassini, nella requisitoria. Un passaggio dell'intervento del pm che ha fatto 'infuriare' l'avvocato Piero Longo, uno dei difensori dell'ex premier, che per alcuni istanti ha interrotto la requisitoria. Boccassini, in particolare, ha citato due testi che, a suo dire, avrebbero detto il falso: la showgirl Miriam Loddo e l'ex consigliere per le relazioni estere di Berlusconi, Valentino Valentini.

Ilda Boccassini dal Corriere

12 - C'ERA APPARATO MILITARE PER PROTEGGERLA
(ANSA) - "C'era una batteria, quasi un apparato militare per proteggerla". Lo ha detto Ilda Boccasini nella sua requsitoria al processo sul caso Ruby a carico di Berlusconi riferendosi ai funzionari di ps intervenuti, dopo la telefonata dell'ex premier, per rilasciare la giovane. Il pm rivolgendosi al Tribunale ha proseguito: "Possiamo credere a queste risibili dichiarazioni che tutto ciò è stato fatto per proteggere una povera ragazza?"

ILDA BOCCASSINI IN VERSIONE TOTAL ORANGE

13 - RUBY:BOCCASSINI,AVEVA FURBIZIA ORIENTALE SFRUTTAVA AVVENENZA
(ANSA) - Ruby "aveva una furbizia orientale, i genitori non riuscivano a tenerla a freno e lei sfruttava a proprio vantaggio l'avvenenza fisica e il fatto di raccontare la storia della povera musulmana scappata da un padre-padrone". Così il procuratore aggiunto, Ilda Boccassini, ha descritto Karima El Mahroug nel corso della requisitoria al processo a carico di Silvio Berlusconi. La famiglia della marocchina, invece, a differenza della ragazza "attratta dai soldi facili", si "spaccava la schiena lavorando".

berlusconi ruby

 

ROVINATI DALLA “PRIMINA”: CHI VA ALLE ELEMENTARI IN ANTICIPO E’ FREGATO PER TUTTA LA VITA

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Enrico Franceschini per "La Repubblica"

SCUOLA ELEMENTARE

Siete andati a scuola troppo presto, o ci sono andati troppo presto i vostri figli? Avete la giustificazione, o perlomeno una scusa "scientifica", per i brutti voti che vi davano maestri e professori.

Una ricerca di un autorevole think tank britannico ha scoperto, statistiche alla mano, che bambini e ragazzi che cominciano la scolarizzazione a poco meno o poco più di 6 anni sono svantaggiati per tutto il corso delle elementari, delle medie inferiori e in misura minore ma tangibile anche delle superiori rispetto agli alunni che iniziano a studiare a 6 anni e mezzo o 6 anni e tre quarti.

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In pratica, chi parte da un grado di minore maturità e sviluppo, dettato dall'età, è mediamente svantaggiato per tutta l'infanzia e l'adolescenza. A tale punto che i ricercatori inglesi consigliano alla scuola di cambiare sistema di giudizio, pretendendo di meno, all'interno di una stessa classe, dagli allievi più giovani: il 6 o il 7 di un remigino che ha 6 anni e tre mesi, per esempio, dovrebbe valere come l'8 o il 9 di uno che ha 6 anni e nove mesi, e così via per tutto il tempo che si va a scuola.

È un rapporto dell'Institute for Fiscal Studies, una società di analisi economiche, ad annunciare i risultati dello studio, condotto principalmente su bambini di 11 anni dell'anno scolastico 2008-2009. I dati sembrano inequivocabili. Chi a settembre, quando comincia la scuola, ha 6 anni, diciamo i nati nel mese di agosto, non solo ottiene mediamente voti peggiori di chi la comincia a 6 anni e 4 mesi e più di età, ma si trascina questo handicap fino agli esami di maturità, o all'equivalente livello nei paesi anglosassoni.

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Tanto è vero che ha il 6,4 di probabilità in meno (rispetto alla media) di ottenere, alla fine degli studi superiori, i voti necessari ad accedere alle università migliori del Regno Unito, come Oxford e Cambridge, o equivalenti in altri paesi. Chi la comincia a 6 anni e 4 mesi ha il 15 per cento di probabilità in più di avere i voti per entrare a Oxford e Cambridge; chi la comincia a 6 anni e 7 mesi ha il 17 per cento di probabilità in più di entrarvi; e chi la comincia a 6 anni e 9 mesi ha addirittura il 25 per cento di probabilità in più. Una differenza sostanziale, se non abissale.

Come mai? La risposta degli esperti consultati dal think tank per il suo rapporto è semplice: chi inizia a studiare quando ha un grado di maturità e di sviluppo superiore gode di un vantaggio accademico che si trascinerà negli anni. Più sei piccolo, insomma, più fai fatica a stare al passo con quelli un po' più grandicelli.

Certo, tre mesi o sei mesi di differenza di età non sembrano un grande divario, nell'arco di una vita: ma per un bambino di 6 anni rappresentano percentualmente un divario di età consistente.

Questo non significa, naturalmente, che i remigini più piccoli di età siano destinati a una vita di insuccessi e delusioni: Barack Obama, nato in agosto, è andato a scuola a poco più di 6 anni. Ma nella sua autobiografia, Dreams of my father, il presidente degli Stati Uniti ricorda che da ragazzo era uno studente svogliato e prendeva pessimi voti; soltanto più tardi, quando è maturato, è diventato il primo della classe alla Harvard University, per tacere del fatto che è poi finito alla Casa Bianca.

E a 6 anni appena compiuti sono andati a scuola anche Bill Clinton, Margaret Thatcher, T.S. Eliot e, per andare un po' più indietro, Napoleone Bonaparte. Come che sia, se il vostro bambino nato in agosto porta a casa brutti voti, potrà prendersela con voi: papà e mamma, potrebbe dirvi, perché non mi avete fatto nascere in gennaio?

 

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