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IL ‘’BERSANONI’’ C’È GIÀ, MA NON SI DICE

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a cura di Colin Ward e Critical Mess (Speciale guest: Pippo il Patriota)

BERLUSCONI AL SENATO CON GLI OCCHIALI

1 - SILENZIO, PARLA B.
Ansioso di far capire che è molto in partita, il Banana si fa intervistare da Claudio Tito di Repubblica e detta le sue condizioni. "Il salvacondotto non esiste, va bene un pd per il Colle, ma solo se si fanno le larghe intese'. Berlusconi: per i miei processi mi affido alla Cassazione. "Un democratico sul Colle? Siamo pronti a discuterne. A noi non hanno ufficializzato niente. Quando ci presenteranno la rosa di candidati, allora decideremo. Se concordiamo una strada per il Quirinale, si deve trovare un raccordo in un esecutivo di larghe intese. Altrimenti niente" (p. 3).

SILVIO BERLUSCONI

Piccolo particolare, il Pd ha praticamente i numeri per eleggersi da solo il sostituto di Re Giorgio. Ma è vero che poi bisogna fare un qualche governo e allora ecco che ci vuole l'accordo con il Cainano. E se l'accordo ci fosse già? La tranquillità e la lucidità con le quali il Banana ha parlato con Repubblica sono forse il segnale che ha già portato a casa qualcosa. Insomma, il Bersanoni c'è già, ma non si dice.

Claudio Tito

E un altro indizio di una trattativa già andata in porto è la prima pagina del Giornale di oggi: "Giochi sporchi sul Quirinale. Dopo i veleni del Corriere su D'Alema, Santoro ricicla le minorenni contro Berlusconi. Cosa c'è dietro?". Risponde Sallusti: la volontà di colpire un Berlusconi "al centro delle trattative con un ruolo decisivo, evidentemente troppo".

2 - QUIRINAL PARTY
E ora un po' di toto-Quirinale in ordine sparso, tanto per rendersi conto del casino in cui nuotano i giornaloni. "Bersani vede Maroni, vertice per il Quirinale. La Lega boccia Amato" (Corriere, p. 6). "Bersani, c'è il sì della Lega. ‘Io però non sono candidato, serve un altro po' di fantasia'. Doppia rosa di nomi. Finocchiaro in pole position" (Repubblica, p. 2). Sulla Stampa, "Cancellieri, la ‘ragazza di una volta'. Un nome bipartisan per la presidenza. Per la sua candidatura scende in campo Saviano: "Conosco la sua sensibilità antimafia" (p. 7). Ah, se scende in campo Saviano allora è fatta.

BERLU E BERSANI ARRIVO

3 - UN, DUE, TRE, GRILLINO!
Mentre giocano con le "Quirinarie" via web, gli adepti di Grillomao ci regalano sempre nuove emozioni. "Lombardi, nuova gaffe della ‘cittadina'. ‘Napolitano? Deve fare il nonno'. La temuta portavoce aveva detto di Grillo: ‘Il suo metodo mi fa schifo'. Audio della contestata capogruppo. Poi la smentita: ‘Colpa dei giornalisti'" (Corriere, p. 13).

ROBERTO MARONI CON LA SCOPA PADANA

4 - LA BELLA POLITICA
Il mago Dalemix prova a fare il pompiere e ieri, pur essendo un rottamato, si è recato in visita dal Rottamatore. "D'Alema, faccia a faccia con Renzi. ‘E' un leader del Pd, assurdo escluderlo, ma non c'è nessuna scissione". Il sindaco: "Io candidato segretario? Non dico niet" (Repubblica, p. 6). Sul Corriere, "Democratici, tutti contro tutti. Il sindaco: sperano che vada via. E non esclude di candidarsi alla segreteria pd" (p. 9). Sfogo di Matteuccio con la Stampa: "Stufo di prendere schiaffi, se servo mi chiamino loro" (p. 3). Intanto il giornale diretto da Mariopio Calabresi lancia Barca alla segreteria del Pd con due paginone sognanti ("Il progetto-Barca. ‘Il pd che ho in mente", pp. 4-5)

GIULIANO AMATO

5 - PIOVE SEMPRE SUL VERDINI
Uno dei grandi negoziatori dell'inciucio viene proditoriamente distratto dalle inchieste della magistratura. "Verdini, truffa nell'editoria'. Sequestrati 12 milioni. Il giudice: ‘Il coordinatore pdl ha agito da burattinaio'. L'accusa di fatturazioni false per ottenere finanziamenti illeciti. A bilancio figurano acquisti di foto e servizi che in realtà non sono mai stati effettuati" (Corriere, p. 20)

Massimo Dalema

6 - NON FA SOSTA LA SUPPOSTA
Come segnalato ieri da questa modesta rassegna, c'è un problemino di finanza pubblica. Oggi il Corriere spara in prima pagina: "Conti pubblici, rischio manovra. Spese non rinviabili per 6-8 miliardi. Cassa integrazione e missioni militari da rifinanziare. E se sparisce l'Imu, interventi triplicati". Intanto arrivano sempre nuove statistiche de paura: "Disoccupazione, allarme Bce.

matteo renzi

"Livelli senza precedenti". In Italia 5,8 milioni senza lavoro. Appello di Confindustria ai sindacati: insieme contro la crisi. Bankitalia: dal 2007 persi sette punti di Prodotto interno lordo e 600 mila occupati" (Repubblica, p. 10). Bella l'intervista di Federico Rampini a Joseph Stiglitz: "Più Europa o meno euro, se si resta in mezzo al guado l'Italia paga il prezzo più alto" (Repubblica, p. 13).

7 - TELEFONI A MANDORLA
Guerra sotterranea tra Bernabebè e i soci di Telco sul dossier H3g. "Telecom, Hutchison punta al controllo. Un comitato di cinque consiglieri valuterà la fattibilità dell'integrazione con 3 Italia. Dai soci spagnoli di Telefonica critiche aspre su gestione e risultati del gruppo" (Stampa, p. 31).

Cancellieri AnnaMaria

"Ma i soci di Telco restano freddi. ‘Operazione con tanti ostacoli'. Per gli azionisti della holding l'importante è la creazione di valore. I nodi delle reazioni del governo e di Telefonica. I consiglieri: ‘Verifichiamo di nuovo questo dossier, purchè si faccia in fretta" (Repubblica, p. 28). Anche sul Sole 24 Ore filtrano i malumori di Mediobanca e compagnia: "Soci Telco in campo per tutelarsi dalla carta cinese. Le posizioni degli azionisti sono sfumate, ma è opinione condivisa che la strada H3G sia una matassa difficile da gestire" (p. 27). Cercasi urgentemente ministero in governo tecnico per l'eterno ragazzo Bernabè.

Roberto Saviano

8 - BENEDETTA SANITA'
Guerra in Vaticano intorno al business ospedali e una nuova grana per papa Francesco. "Bertone e il sogno del Policlinico di Dio, così in Curia è scoppiata la guerra della sanità. Dal blitz sull'Idi ai segreti di padre Decaminada. E spunta una lettera al Papa. L'obiettivo del segretario di Stato è affiancare al Bambin Gesù altre strutture d'eccellenza. Ma il progetto non piace a Cei e Opus Dei. La congregazione che ha gestito finora l'Istituto dermopatico di Roma scrive a Francesco: siamo stati espropriati" (Repubblica, p. 21)

grillo e crimi lombardi

9 - LA POLIZIA DI ALE'-DANNO
Altro scoop del Cetriolo Quotidiano sulla storia del figlio di Alè-danno. "Così la polizia ha coperto il figlio di Alemanno. Indagati gli agenti che nel 2009 aiutarono il ragazzo a evitare conseguenze imbarazzanti dopo un pestaggio. Uno gli faceva anche da autista ‘nel tempo libero'. Il giovane Manfredi, oggi 18enne, è stato ascoltato dai magistrati. Non è indagato. Il fascicolo al Tribunale dei minori" (CQ, p. 8)

napolitano-grillo by benny.

10 - ULTIME DA UN POST-PAESE
"Bonifica fantasma a Bagnoli: disastro ambientale. Napoli, 21 indagati per l'area ex Italsider. ‘Spesi 107 milioni ma i veleni sono finiti sottoterra o in mare" (Repubblica, p. 19).

 

 


SANTA PRESCRIZIONE EVITA ALTRI GUAI A PENATI (E AL PD)

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Da "Il Corriere della Sera"

L'operazione Serravalle fu viziata nell'estate 2005 da un «falso ideologico in atto pubblico» del burocrate più vicino al presidente ds Filippo Penati, il segretario generale della Provincia di Milano, Antonino Princiotta, ma la Procura di Milano ha ora chiesto al gip l'archiviazione perché il reato è coperto dall'intervenuta prescrizione.

ANTONINO PRINCIOTTAFILIPPO PENATI

Anche questo fascicolo, però, come l'interrogatorio monzese del 4 febbraio in cui l'architetto Renato Sarno (ritenuto dai pm il collettore di finanziamenti illeciti di Penati) afferma che Penati gli confidò nel 2005 di aver dovuto strapagare le azioni perché l'operazione gli era stata comunque «imposta dai vertici del partito nella persona di Massimo D'Alema», è confluito nella procedura che la Procura regionale della Corte dei conti sta completando per decidere se con l'operazione gli amministratori della Provincia abbiano o meno procurato un danno all'erario.

arch. Renato Sarno

Gavio, infatti, che aveva comprato a 2,9 euro per azione e che in una intercettazione appariva augurarsi di riuscire a spuntare 4 euro, ottenne invece dalla Provincia 8,9 euro per azione: in totale 238 milioni di euro con una plusvalenza di 175 milioni, 50 dei quali utilizzati in quel periodo per appoggiare la scalata di Unipol a Bnl.

Le Procure di Monza e Milano ritengono di aver accertato che nell'estate 2005 la data di deposito della «valutazione di congruità» del prezzo, che la Provincia chiese alla «Vitale & Associati» in vista dell'acquisto firmato con Gavio il 29 luglio 2005, fu retrodatata, cioè fu fatta figurare come depositata quel giorno dalla merchant-bank di Guido Roberto Vitale, mentre fu invece fu redatta dallo studio solo a partire da agosto.

beniamino gavio

Il deposito il 29 luglio 2005 è attestato dagli «estremi di ricevuta apposti sulla copia depositata dal segretario generale della Provincia, Princiotta»: cioè dall'alto burocrate che il 13 maggio a Monza comparirà coimputato di Penati in uno dei filoni di presunta corruzione, quale «percettore di 100.000 mila euro» da Piero Di Caterina, l'imprenditore della finta caparra immobiliare da 2 milioni nel triangolo (per i pm) Penati-Di Caterina-Binasco (Gavio).

Ma la perizia Vitale - osserva la GdF -, apparentemente consegnata in Provincia il 29 luglio, «fa riferimento al contratto di compravendita e al contratto di finanziamento tra Asam e Intesa San Paolo sottoscritti sempre il 29 luglio sicuramente in orario successivo alla chiusura dell'assemblea ordinaria di Asam delle ore 13.40».

MARCELLINO E BENIAMINO GAVIO

«Presso "Vitale&Associati" - inoltre - è stata trovata una email inviata il 6 agosto 2005» (e cioè 8 giorni dopo il teorico deposito della relazione il 29 luglio) «da una dipendente dello studio a due soci dello studio, Orlando Barucci e Paola Tondelli, con in allegato due files denominati "Fairness Opinion due" e Fairness Opinion Penati", costituenti bozze non firmate della perizia Vitale».

Il testo della email diceva: «Queste sono le fairness opinion di Serravalle. Dopo conferma di Orlando Barucci, andrebbero stampate e fatte firmare da Alberto Gennarini», il managing partner che in effetti firmerà l'originale datato dalla Provincia 29 luglio.
Poco prima di Natale 2012 proprio Orlando Barucci, testimoniando ai pm monzesi Mapelli e Macchia, «dopo aver esaminato la documentazione in nostro possesso», rimarca di poter «escludere di aver consegnato la fairness opinion a Princiotta il 29 luglio 2005. È assolutamente certo che le bozze interne della fairness opinion siano state redatte all'interno di "Vitale & Associati" dopo il 1 agosto 2005».

MARCELLO GAVIO

Inoltre la GdF rileva che «la determinazione 35/2005 della direzione retta da Princiotta» in Provincia, relativa al compenso di «120.000 euro» all'advisor, è datata 8 agosto 2005 nonostante remuneri «la consulenza allo studio "Vitale & Associati" nella fase di determinazione del prezzo di acquisto» delle azioni, già definito il 29 luglio.

La conclusione è che «la retrodatazione del deposito della perizia Vitale sia avvenuta scientemente e al fine di consentire la spendibilità del documento». Ma questo falso ideologico in atto pubblico, constata il pm milanese Giovanni Polizzi nella archiviazione chiesta un mese fa dopo che Monza aveva trasmesso le carte nell'ottobre 2012, non è più perseguibile perché si sono già consumati i termini massimi di prescrizione di questo reato.

 

COME SCAMBIARE SANITÀ PER SANTITÀ: IL SOGNO DI BERTONE DEL “POLICLINICO DI DIO”

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Carlo Bonini e Carlo Picozza per "la Repubblica"

CARDINALE TARCISIO BERTONE

Quali segreti custodiscono l´Istituto Dermopatico dell´Immacolata e Franco Decaminada, il presule classe 1945 che ne è stato per tre lustri la guida e dalla vigilia di Pasqua confinato agli arresti domiciliari per appropriazione indebita e frode fiscale? E chi ne ha paura? Perché il dissesto (600 milioni di euro di debiti) e la spoliazione (14 milioni distratti) del polo sanitario romano "Monti di Creta", "San Carlo" e "Villa Paola" di proprietà della Congregazione dei Figli dell´Immacolata Concezione ha ossessionato il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, orientandone le mosse frenetiche proprio al ridosso del Conclave?

logo idi

Nell´agonia dell´Idi è un altro capitolo della lotta dentro la Curia intorno a interessi assai terreni, debolezze della carne e rapporti di mutuo soccorso tra le due sponde del Tevere. Ed è una storia che conviene prendere dalla coda. Il 15 febbraio scorso.

LA PRESA DELL´IDI
A meno di un mese dal Conclave, con Papa Benedetto dimissionario, Bertone muove sull´Idi con decisione. Quella mattina di febbraio, il Segretario di Stato firma il decreto con cui nomina il cardinale Giuseppe Versaldi delegato Pontificio con poteri di commissario straordinario sulla Congregazione dei Figli dell´Immacolata Concezione.

E quella stessa mattina - riferiscono due diverse fonti qualificate - a un´influente figura vaticana che prova a farlo desistere dall´idea di commissariare la Congregazione, lo stesso Segretario di Stato ribadisce la sua intenzione di "espropriare" i concezionisti delle loro "eccellenze".

PADRE FERDINANDO DECAMINADA

L´idea è di creare le condizioni perché in tempi brevi i "Monti di Creta" e il "San Carlo" vengano venduti a privati "vicini" alla Santa Sede con l´impegno tacito a conferirli poi a una nuova struttura - il Policlinico Vaticano - che, con il Bambin Gesù, dovrebbe diventare il nuovo polo sanitario vaticano. È un´ipotesi vista come fumo negli occhi dalla Cei (che possiede il Policlinico "Gemelli") e dall´Opus Dei (proprietaria del Campus biomedico). Ma è un´ipotesi che Bertone insegue da tempo. Da quando ha tentato, nel gennaio 2011 di rilevare per 200 milioni di euro il San Raffaele di don Verzé (l´offerta verrà "doppiata" da Rotelli).

SAN RAFFAELE

GLI UOMINI DEL CARDINALE
Con il mondo che ha lo sguardo rivolto alla Sistina, le mosse del Segretario di Stato si fanno fulminee. Il 19 febbraio, Versaldi nomina suo delegato vicario per l´Idi Giuseppe Profiti, presidente del Bambino Gesù che, a sua volta, il 22 febbraio, nomina quale suo sub-delegato Massimo Spina, direttore dell´ospedale pediatrico (in quel momento, Profiti è infatti "macchiato" da una doppia condanna per turbativa d´asta che la Cassazione trasformerà in assoluzione soltanto tre giorni fa). Profiti e Versaldi sono Bertone.

Don verze

Il primo ha diretto il "Galliera" di Genova quando il Segretario di Stato era arcivescovo della città. Il secondo ha un vincolo con Bertone che risale agli anni in cui era vescovo di Vercelli e che nel tempo è diventato indissolubile (Bertone lo ha chiamato in Curia a presiedere la Prefettura per gli affari economici). Per altro, Versaldi, in materia di malversazione e corruzione, è un teorico della "correzione fraterna", la dottrina con cui la Curia, per decenni, ha coperto la piaga della pedofilia.

«Nei casi di fondata cattiva amministrazione dei beni ecclesiali - spiega il 19 ottobre 2012 nel Sinodo dei Vescovi - deve valere la medicina evangelica della correzione fraterna. E solo in caso di mancato ravvedimento e conversione è necessaria la denuncia alle autorità competenti».

PAPA FRANCESCO - JORGE BERGOGLIO

LE OFFERTE RIFIUTATE
Versaldi e Profiti sono insomma gli uomini giusti per sigillare il pozzo nero dell´Idi e impedirne la tracimazione. Ma soprattutto hanno l´incarico di cancellare con un tratto di penna il concordato preventivo concesso dal Tribunale di Roma alla Congregazione. Una procedura con cui i "concezionisti" hanno ottenuto un margine di manovra per cercare acquirenti delle strutture sanitarie utili a ripianare il buco di 600 milioni.

Di proposte ne arrivano due. Una a firma della "Inter. Im", una s. r. l con sede a Salerno che si dice pronta a rilevare "per sé o per Ente da nominare", gli ospedali della Congregazione per 355 milioni di euro. La seconda dal Gruppo Acqua Acetosa (veicolo di un fondo di investimento tedesco) per 360 milioni.

Profiti e Versaldi tirano dritto e tra il 28 e il 29 marzo, con un ricorso diretto al ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera chiedono e ottengono che la Congregazione, di cui dichiarano l´insolvenza, venga ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria con la cessione delle attività e dei beni ospedalieri. Un passo decisivo per "vendere" a privati vicini alla Segreteria di Stato.

gianniletta

LA LETTERA AL PONTEFICE
La Congregazione si sente defraudata e invia una lettera al nuovo Papa Francesco stigmatizzando come l´amministrazione straordinaria significhi, di fatto, lo spossessamento dei suoi beni e della sua storia centenaria. Quella di cui, ancora nel 2007, si faceva vanto proprio Bertone nell´omelia pronunciata l´8 dicembre all´Idi.

La Congregazione e il suo polo dermatologico, a quei tempi, infatti, facevano comodo. E l´asse tra il Segretario di Stato e Franco Decaminada era d´acciaio. Perché oggetto di un patto con l´allora governo Berlusconi sul polo lombardo di "Nerviano", centro di ricerca che, nel 2004, la multinazionale farmaceutica Pfizer aveva deciso di chiudere, lasciando a piedi 800 dipendenti.

FORMIGONI E DON VERZE jpeg

IL PATTO DI PALAZZO CHIGI
Bertone, in quel dicembre del 2007 all´Idi, magnifica un´operazione di cui in realtà conosce il retroscena. Dice: «Con l´acquisizione del Nerviano Medical Science la Chiesa dispone del più grande polo privato di ricerca farmaceutica in Italia. Il fine, ambizioso, è quello di arrivare a produrre e vendere farmaci oncologici a prezzo di costo nel terzo mondo, rompendo il monopolio delle multinazionali».

La verità, per come la racconta Decaminada ai pm il 22 maggio scorso, è un´altra. Nel 2004, quando la Congregazione lo acquisisce alla cifra simbolica di 1 euro dalla Pfizer, Nerviano è infatti un ramo secco con scarse prospettive nella ricerca oncologica. E per giunta, l´Idi, di fatto, è già in stato di insolvenza, per quanto la circostanza sia ignorata fuori dalle mura Vaticane. E dunque le ragioni di assumersene il carico sono altre.

Roberto Formigoni

«Prima dell´acquisto - racconta Decaminada - a Palazzo Chigi, ci fu un incontro tra i componenti della Congregazione, tra cui io, Gianni Letta e Roberto Formigoni. Ci promisero un aiuto finanziario di 200 milioni di euro per acquistare Nerviano se avessimo mantenuto inalterati i livelli occupazionali per 5 anni. Un finanziamento mai erogato». Nerviano, nel 2011, sarà poi ceduto dall´Idi alla Regione Lombardia a titolo gratuito. Ma è proprio con Nerviano che la Congregazione entra in acque agitate.

CLIENTELE E SOSPETTI
Ci sono insomma ottimi motivi per la Segreteria di Stato per chiudere in fretta e senza strepiti la storia dell´Idi (è di 48 ore fa l´accordo sul congelamento degli annunciati 400 esuberi). E sono motivi che hanno a che fare con il business sanitario, certo. Ma non solo. Che nelle stanze della Congregazione avesse preso a fare il buono e il cattivo tempo il "laico" Antonio Nicolella, uomo con un passato nel Sismi, fa pensare. Così come la circostanza - secondo quanto riferiscono fonti qualificate vicine a padre Decaminada - che in questi anni, in almeno un caso l´Idi è stato il silenzioso teatro di "correzione fraterna" in episodi di accertata pedofilia, nonché rifugio discreto di giovani segnalati da influenti monsignori.

 

 

CARDINALE TARCISIO BERTONE

SI DIMETTE IL RABBINO CHE INGANNÒ ANCHE RATZINGER

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Stefano Montefiori per "Il Corriere della Sera"

IL GRAN RABBINO FRANCESE GILLES BERNHEIM

È uno choc per i 550 mila ebrei ma anche per gli altri francesi, perché Gilles Bernheim era l'uomo dell'apertura, dello sguardo rivolto a tutta la società, dell'autorevolezza morale che supera i confini della propria comunità tanto da venire riconosciuta pure dal Papa (venne lungamente citato da Benedetto XVI). Il Grande Rabbino di Francia si è dimesso, dopo quattro surreali settimane in cui la sua reputazione di intellettuale e guida spirituale è andata in frantumi.

RATZINGER PAPA BENEDETTO XVI

Come il ministro Jérôme Cahuzac combatteva l'evasione fiscale tenendo nascosto un conto in Svizzera, il gran rabbino Bernheim si poneva come esegeta dei testi sacri ma copiava i libri degli altri; interveniva con indiscusso prestigio nel dibattito pubblico, ma il dottorato di filosofia che adornava le sue biografie era tarocco; teneva lezioni di morale, ma al primo sospetto di plagio ha provato a difendersi accusando la vittima incapace di reagire (perché morta da anni). E come il ministro Cahuzac, il gran rabbino Bernheim non si voleva dimettere: c'è voluto l'intervento del Concistoro centrale, ieri, per convincerlo che non era proprio più il caso.

J R ME CAHUZAC

Tutto è cominciato quando il filosofo Jean-Clet Martin si è accorto, il 7 marzo scorso, che un lungo passaggio delle «Quarante méditations juives» (2011) di Gilles Bernheim era molto simile, insomma identico, a «Questions au Judaïsme, entretiens avec Elisabeth Weber» (1996) di Jean-François Lyotard, il pensatore del postmodernismo morto 15 anni fa. Martin lo ha scritto sul suo blog Strass de la philosophie senza enormi reazioni finché, il 23 marzo, un piccato Bernheim si è sentito in grado di rispondere con un comunicato pieno di date e dettagli.

Bernheim in sostanza suggeriva che fosse stato Lyotard a copiare da un suo vecchio corso tenuto decenni prima, ma «il gran rabbino non intende aprire una polemica sull'uso che è stato fatto di quel testo, a sua insaputa». Bontà sua. Il gran rabbino non poteva conoscere l'alone di leggenda che in Italia ormai accompagna l'espressione «a sua insaputa», ma in ogni caso quella formula non gli ha portato bene.

FRANCOIS HOLLANDE

Pochi giorni dopo, il 5 aprile, L'Express è uscito con la notizia che, a dispetto di numerose biografie, Bernheim non aveva mai ottenuto il dottorato in filosofia. Due giorni dopo il blog di Jean-Noël Darde Archéologie du copier-coller dedicato al copia-incolla ha scoperto altri due plagi, persino in quel documento di 25 pagine su «Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione» che era stato molto apprezzato da Benedetto XVI.

Ratzinger aveva citato e commentato lungamente le pacate ma ferme analisi del rabbino - non era mai successo prima - nel discorso del 21 dicembre 2012 alla curia romana. Solo che anche quel testo era macchiato dal plagio, stavolta ai danni del sacerdote cattolico Joseph-Marie Verlinde.

Bernheim non era stimato solo dai religiosi: aveva suscitato emozione il suo bellissimo discorso a Tolosa, per l'anniversario dei massacri di Mohammed Merah, in cui aveva saputo ricordare i bambini ebrei uccisi ma anche le altre vittime, tra le quali un parà musulmano.

Ma sono venuti fuori altri copia-incolla, «prestiti», li ha definiti Bernheim durante un accorato sfogo, martedì, a Radio Shalom. Il gran rabbino ha chiesto perdono, ha spiegato di essersi inventato il dottorato perché «un evento tragico della sua vita personale» gli aveva impedito di sostenere l'esame, e ha aggiunto di non volersi dimettere «perché sarebbe un atto di orgoglio».

Il Concistoro, istituzione creata nel 1808 da Napoleone per rappresentare ufficialmente gli ebrei francesi, ha pensato invece che atto di orgoglio sarebbe stato restare, e ha indotto Bernheim alle dimissioni. La Francia sotto choc per gli scandali dei politici perde un altro punto di riferimento.

 

UN DEBITO “COMUNISTA” DA 254 MILIONI PERSEGUITA UNICREDIT

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Da IlFattoQuotidiano.it

Bank Austria, unità austriaca di Unicredit, dovrà versare alla Germania circa 254 milioni per una causa ventennale legata a vicende avvenute nell'allora Ddr e arrivate ora a sentenza definitiva nella Corte Suprema Federale Svizzera. Lo annuncia l'istituto precisando che nel corso di questi anni sono già stati fatti accantonamenti e che l'impatto ulteriore sui conti 2013 è stimato in circa 70 milioni. La battaglia legale, annuncia Bank Austria, verrà ora portata avanti in Germania.

BANK AUSTRIA BANK AUSTRIA

Il caso è legato a una controversia iniziata nei primi anni Novanta su proprietà nell'allora Ddr, assegnate dopo un'altra lunga causa alla Germania. Entrato in possesso dei beni controversi il Paese non ha però più trovato in cassa i fondi, presentando quindi il conto all'allora Bank Austria Schweiz, unità svizzera dell'istituto, ritenendola responsabile di aver consentito nel 1991 di ritirare una somma dai conti in questione, 128 milioni di euro, più gli interessi.
Bank Austria ha nel frattempo venduto la filiale tedesca, oggi si chiama Akb Privatbank, mantenendone però gli obblighi legali.

FEDERICO GHIZZONI E GIUSEPPE VITA

La causa era state intentata in Svizzera dall'Istituto speciale per gli incarichi derivanti dalla riunificazione (Bvs), agenzia pubblica tedesca per la ricostruzione dei Land orientali. La sentenza che riguarda Bank Austria si inserisce nella lunga e faticosa ricerca da parte della Germania dei beni scomparsi della Sed, il partito socialista unificato tedesco che guidava la vecchia Germania comunista.

TORRE UNICREDIT

I soldi sui quali si presenta ora il conto alla controllata Unicredit erano infatti sui depositi bancari di una società per il commercio estero, la Novum, amministrata dall'imprenditrice austriaca Rudolfine Steindling, gran dama del comunismo austriaco e molto vicina all'ex leader della Repubblica democratica tedesca Erich Honecker. Novum, ha stabilito ormai dieci anni fa una Corte tedesca, era in realtà società di copertura della Sed, anche se Steindling - scomparsa a dicembre a Tel Aviv all'età di 80 anni -, sosteneva fosse del partito comunista austriaco. Avendo la Repubblica federale ereditato anche i beni della Ddr e quindi quelli, coincidenti, della Sed, Berlino si è messo alla ricerca dei fondi.

UNICREDIT

Una commissione indipendente tedesca ha ricostruito come dopo la riunificazione la Steindling abbia portato su altri conti ormai irrintracciabili un centinaio di milioni della Novum, probabile collettore di "commissioni" per quanti volevano fare affari con la Germania comunista. Altri 128 milioni della Novum, quelli della sentenza che riguarda Unicredit, sarebbero però passati da Bank Austria per tornare quindi alla sua controllata svizzera e quindi di nuovo a Vienna e diventare irrintracciabili nel 1992.

 

RITORNA IL GRANDE GATSBY, METAFORA DELL’AMERICA UBRIACA DI DENARO

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IL TRAILER DEL GRANDE GATSBY DI BAZ LUHRMANN CON LEO DI CAPRIO

Lorenzo Soria per "l'Espresso"

Come è accaduto a milioni di ragazzi americani prima e dopo di lui, Leonardo Di Caprio si è imbattuto ne "Il grande Gatsby" a 16 anni, quando era alle superiori. Il capolavoro di Francis Scott Fitzgerald ambientato nella New York ricca, spensierata e anche alquanto alcolizzata dei ruggenti anni Venti è più che un classico americano.

baz luhrmann dirige the great gatsby

«È diventato il documento che definisce la psiche nazionale, un mito della creazione, il simbolo del Sogno Americano», sostiene Jay McInerney, l'autore di "Le mille luci di New York". «E i vari tentativi di adattarlo per il teatro o per il cinema sono solo serviti a illustrarne i limiti e la fragilità».

Nel 1974 nemmeno Robert Redford al massimo del suo fascino che recitava una sceneggiatura scritta da Francis Ford Coppola bastarono a salvare l'ultima versione cinematografica ed è anche per questo che quando Baz Luhrmann lo ha chiamato proponendogli di essere il suo Jay Gatsby, Di Caprio sulle prime ha molto esitato.

great gatsby daisy w

Ha sempre avuto grande ammirazione per il regista di "Moulin Rouge", che subito prima di diventare famoso oltre ogni limite con "Titanic" lo aveva diretto nella trasformazione contemporanea di un gigante letterario ancora più riverito, "Romeo e Giulietta". Ma andare ad affidare a un australiano che non conosce né regole né canoni il più classico dei romanzi americani? E girandolo non a Long Island, tra quelle due penisole dove l'opulenta "mansion" di Gatsby fronteggiava quella di Daisy, ma in uno studio di Sydney e nei dintorni della metropoli australiana?

gatsby dicaprio x

Cinque anni dopo, il Gatsby di Baz Luhrmann si appresta a misurarsi col pubblico. Negli Usa esce il 10 maggio, in Italia il 16, il giorno dopo la serata di inaugurazione al festival di Cannes che per assicurarsi il film ha rotto 66 anni di tradizione aprendo con un titolo già uscito nelle sale. Sì, perché dopo quel suo primo colloquio alquanto scettico col regista australiano, Di Caprio ha ripreso in mano il testo di Fitzgerald ed è tornato sul personaggio di Gatsby, sulle sue umili origini nel Mid-West, sulla sua improvvisa e misteriosa ricchezza, sul suo amore - o era solo ossessione? - per la bellissima Daisy Buchanan la cui «voce era piena di denaro».

the great gatsby luhrmann di caprio

E poi ha analizzato Tom, il marito geloso, e Nick Caraway, l'alter ego dello scrittore che prende per caso una baracca vicino alla dimora di Gatsby e si ritrova risucchiato in quel suo mondo di fasti e di sprechi e frivolezze e illusioni e inganni. «Tornandoci sopra ho scoperto tanti strati diversi», dice a "l'Espresso" l'attore. «In realtà è un giallo, al cui centro c'è quest'uomo che puoi giudicare in mille modi e che più ne sai e più diventa misterioso».

Col suo nuovo film Luhrmann ha voluto tenersi fedele allo spirito e ai tempi di Fitzgerald, ma con grande scandalo di McInerney e altri intellettuali che hanno già annunciato che loro in sala non ci metteranno piede ha scelto di dare al suo Gatsby un tono più contemporaneo, usando il grande crollo del 1929 per parlare di quella crisi finanziaria del 2008 le cui conseguenze ancora aleggiano pesantemente tra di noi.

the great gatsby luhrmann di caprio

«Se mostri alla gente uno specchio che dice semplicemente "ti sei ubriacato di denaro", non lo vorrà vedere», sostiene Luhrmann. «Ma se quello specchio riflette i nostri tempi, lo spettatore diventa più disponibile. Anche perché stiamo ancora cercando di capire chi eravamo e chi siamo e "Gatsby" offre spiegazioni che valgono anche oggi».

Una ricerca che Luhrmann ha deciso di tratteggiare con i ritmi dello hip-hop. Era stato Fitzgerald a coniare l'espressione "Età del Jazz" e il jazz aveva infuso le sue parole e le sue pagine. Si era ispirato alla cultura popolare dei suoi giorni e Luhrmann ha fatto lo stesso: dopo un incontro favorito dallo stesso Di Caprio ha affidato la produzione della colonna sonora e delle canzoni del film a Jay-Z, che oltre che la moglie Beyoncé ha tirato dentro Kanye West, will.i.am, Jack White, Fergie e Florence and The Machine. «L'immediatezza dell'energia del jazz è stata sostituita da quella dello hip-hop», osserva il regista.

the great gatsby luhrmann tobey mcguire

Per rappresentare Daisy, Luhrmann aveva pensato, tra le altre, a Keira Knightley, a Scarlett Johansson e a Natalie Portman. Alla fine ha optato invece per Carey Mulligan, che aveva letto Gatsby solo due giorni prima del provino. «Mi sono innamorata del libro, del mio personaggio e di Baz, che ha più energia di qualunque altra persona io abbia mai incontrato», sostiene l'attrice britannica. «E che ti fa trovare dei set e dei costumi disegnati così splendidamente che gran parte del tuo lavoro è già fatto».

Un merito che Luhrmann condivide con la moglie Catherine Martin, che con "Moulin Rouge" ha vinto un Oscar per i costumi e un secondo per la scenografia. E che, questa volta, ha chiesto l'aiuto di Miuccia Prada, che ha disegnato per il film 40 vestiti da sera fatti di sete scintillanti, di velluto e anche di oro e ricamati con paillettes, cristalli, smeraldi e giade. Tornando al cast, Joel Edgerton ha rappresentato Tom, Isla Fisher and Jason Clarke sono Myrtle and George Wilson, Amitabh Bachchan è Meyer Wolfsheim, mentre Tobey Maguire ha recitato la parte di Carraway, il narratore. «Lavorare con Tobey è stata una delle gioie di questo film», dice DiCaprio. «È da quando avevamo 16 anni e abbiamo fatto assieme i provini per "This Boy's life" che vogliamo tornare a lavorare assieme».

Il regista Baz Luhrmann

Un'altra scelta di Luhrmann che ha generato scetticismo è quella di girare il suo Gatsby in 3D. «Conosciamo il 3D come quella cosa che fa esplodere gli oggetti davanti agli occhi, ma Baz viene dal teatro e il 3D per lui è uno strumento per creare tensione drammatica», lo difende DiCaprio. «Se hai un attore in primo piano e un altro 5 o 7 metri più indietro che reagisce e risponde in tempo reale non devi far passare lo sguardo da un volto all'altro perché hai la sensazione di essere nella stanza con loro. E tutto questo è molto simbolico, perché il Grande Gatsby è una storia voyeuristica, dove senti sempre di essere immerso nello stesso ambiente dei protagonisti».

 

 

LA PARTITA DEL COLLE SCATENA L’ARMAGEDDON NEL PD

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Claudio Cerasa per il Foglio

RENZI E BERSANI PD

Nella complicata e per molti versi indecifrabile partita a scacchi che il centrosinistra sta giocando in vista dell'elezione del prossimo presidente della Repubblica, le mosse di Pier Luigi Bersani saranno condizionate dalle varie microesplosioni che in questi giorni hanno rivoluzionato la geografia interna al Partito democratico.

BERSANI-RENZI

L'intervista, clamorosa, rilasciata ieri alla Stampa da Rosy Bindi, che da presidente del Pd ha bocciato la strategia del segretario con la quale si "rischierebbe di regalare a Berlusconi le chiavi del nostro cosiddetto governo del cambiamento", è solo l'ultimo dei numerosi segnali d'insofferenza arrivati all'orecchio di Bersani - che da tempo è ormai consapevole del fatto che sotto di lui esiste un partito che forse è esagerato definire sull'orlo di una scissione ma che giorno dopo giorno sta comunque assumendo sempre di più le sembianze di una grande e minacciosa pentola a pressione.

BERSANI E DALEMA SBIRCIATINA ALLUNITA

All'interno di questa pentola, Bersani sa che ogni corrente rappresenta un ingrediente con cui dovrà fare i conti per presentarsi il 18 aprile con in mano una scelta digeribile per la pancia del partito. E in questo senso, per orientarsi lungo il percorso, può essere utile andare a capire quali sono le posizioni dei vari azionisti del Pd. Dagli ex Ppi ai lettiani. Dai turchi ai bersaniani. Da Renzi a D'Alema (i due ieri si sono incontrati a Firenze a Palazzo Vecchio, e l'ex premier, oltre a parlare di Quirinale, ha dato a Renzi la garanzia che non farà battaglie scissioniste se dovesse essere il Rottamatore il prossimo leader).

CLAUDIO SARDO

Primo punto: qual è il piano dei bersaniani? Lo schema è semplice. Il segretario è convinto che la strada da seguire sia il modello Andreotti 1976 e crede che attraverso una condivisione del Quirinale con il centrodestra sia possibile far partire un governo di minoranza simile a quello costruito trentasette anni fa da Andreotti e Berlinguer. Un governo che vivrebbe dunque "forte" della non sfiducia di una coalizione. Ma di quale?

GIULIO ANDREOTTI SULLA SEDIA A ROTELLE

Come riconosciuto ieri a Radio 24 dal direttore dell'Unità Claudio Sardo, "vista la posizione assunta dai 5 stelle, è vero che l'atto di nascita di questo governo non sarebbe possibile se il Pdl non consentisse questo schema".

E dunque, nonostante Bersani appena un mese fa abbia promesso che non sarebbe stato "praticabile né credibile in nessuna forma un accordo di governo fra noi e la destra berlusconiana", alla fine potrebbe essere proprio l'"inciucio mascherato" con il Pdl a far partire un governo a guida Pd (considerando anche il fatto che, secondo i bersaniani, il prossimo capo dello stato, avendo il potere di sciogliere le Camere, potrà correre il rischio di far andare in Parlamento un presidente del Consiglio anche senza che questi gli offra la garanzia dei "numeri certi"). Questo pensa Bersani. Il resto del Pd però, sul tema, sembra avere idee leggermente diverse, diciamo.

Luigi Berlinguer

Il "modello Andreotti" evocato da Bersani - che prevede al Quirinale una figura neutrale che faccia da contrappeso al governo a guida Pd (schema da tempo suggerito al segretario da Enrico Letta) - non si può dire infatti che sia stato accolto con entusiasmo dal centrosinistra.

MATTEO ORFINI

E si spiegano anche così le scosse violenti registrate in questi giorni all'interno del Partito democratico. Da una parte, le scosse sono arrivate da un fronte nuovamente compatto, quello degli ex Popolari; che, seppure con diverse gradazioni (qualcuno vorrebbe Romano Prodi al Quirinale, qualcun altro vorrebbe Franco Marini), ha segnalato le fragilità presenti nel piano Bersani (ieri Bindi, mercoledì Franceschini, il giorno prima Fioroni) e ha scelto di scommettere, in caso di fallimento del segretario, su uno scenario che finora il leader del Pd ha sempre escluso: il governo del presidente (soluzione che tra l'altro permetterebbe alla vecchia nomenclatura Pd di concedersi un altro giro ed evitare l'eventuale rottamazione alle elezioni).

STEFANO FASSINA jpeg


Dall'altra parte, invece, chi in questi giorni ha criticato la formula dell'"inciucio mascherato" immaginato da Bersani, è stato il fronte dei renziani. E i sostenitori del sindaco giocano una partita che, per quanto i 51 parlamentari renziani potranno avere un peso sul Quirinale, avrà comunque un riflesso sulla battaglia per il post Napolitano.

ROMANO PRODI

I renziani - che senza poterlo dire apertamente sospettano che l'avvicinamento forzato di Bersani e Berlusconi sia stato condizionato anche dal terrore dei due Ber. di ritrovarsi improvvisamente alle elezioni con un Renzi più forte che mai - sono convinti che vada smascherato l'inciucio a bassa intensità che il segretario vorrebbe stringere con il Pdl ("Ma come diavolo si fa a fare un governo di cambiamento con un governo di minoranza che ogni giorno sarebbe ostaggio di Berlusconi"). Ed è anche per questo che in vista del voto per il Quirinale i renziani - al contrario di Bersani - hanno intenzione di schierarsi a favore di un profilo alla Romano Prodi (da sempre in buoni rapporti con il sindaco di Firenze).

Un profilo, questo, che darebbe la garanzia al sindaco di scongiurare un inciucio che gli sbarrerebbe la strada (con Prodi il centrodestra non darebbe il suo ok a un governo a guida Pd neanche sotto tortura); e che allo stesso tempo permetterebbe a Renzi di andare alle elezioni molto presto e con un presidente capace di esorcizzare in campagna elettorale il rischio che il centrosinistra possa essere accusato di aver fatto intrallazzi con il Caimano.

FINOCCHIARO CONTESTATA CORRIEREDELMEZZOGIORNO IT

Quella storia del segretario al Colle
Su una linea simile a quella di Renzi ci sono poi i Giovani turchi di Matteo Orfini, di Andrea Orlando e di Stefano Fassina, anche se in realtà bisogna dire che la gauche Pd sembra essere la corrente che più sta soffrendo questa fase post elettorale. Nonostante i turchi scommettano ancora sul governo Bersani e preferiscano un Giorgio Napolitano a un Romano Prodi (ieri Orfini lo ha detto esplicitamente), proprio come i renziani sono gli unici che in questi giorni, e a più riprese, hanno evocato con convinzione lo scenario delle elezioni subito in caso di flop di Bersani.

FRANCO MARINI

La ragione non è casuale ed è legata a una sorta di "patto generazionale" che gli Orfini e gli Orlando hanno stretto con i Rottamatori (chiedete per credere a Graziano Delrio) in vista delle elezioni. Senso del patto: se Bersani fallisce lavoriamo di sponda per andare al voto, spazziamo via i vecchi colonnelli del Pd, Bersani compreso, e dopo di che conquistiamo insieme il centrosinistra del futuro.

All'interno di questa pentola a pressione un ruolo importante lo giocheranno nei prossimi giorni, e forse prima di tutti gli altri, vecchi campioni del gruppo dirigente diessino come Massimo D'Alema, Piero Fassino, Anna Finocchiaro e Luciano Violante.

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Il gruppo ex Ds, come è noto, mostra da tempo segnali di insofferenza rispetto alla linea "testarda" del segretario e nelle ultime settimane ha criticato in varie forme le scelte compiute in questi giorni da Bersani e dal suo ristretto cerchio emiliano (da Migliavacca ad Errani), fino ad arrivare all'esplicita contestazione dell'idea di voler dar vita a un fragile governo di minoranza.

Risultato? Sia D'Alema, sia Fassino, sia Finocchiaro, sia Violante (tutti in qualche modo, tranne Fassino, coinvolti nella corsa al dopo Napolitano) si sono convinti che nelle prossime ore sia corretto prendere in considerazione l'ipotesi fatta circolare per il Quirinale dagli ambienti berlusconiani.

ROSY BINDI PIERLUIGI BERSANI EDARIO FRANCESCHINI

Un'idea che ieri sui giornali è stata presentata con la formula "Quirinale per Bersani" (idea che gira nel Pd da tempo, e persino l'Unità due settimane fa ha inserito tra i papabili per il Colle lo stesso segretario). Ma che in realtà è stata descritta ai vecchi diessini Pd anche in una versione diversa, che non necessariamente contempla il volto di Bersani.

Ce la sintetizza così un esponente del Pd di area lettiana: "Il Pdl voterebbe un ex Ds al posto di Napolitano, non per forza Pier Luigi, a condizione che poi le larghe intese vengano fatte al governo. Lo schema è complicato ma esiste. E se gli ex diessini dovessero capire che questo è l'unico modo per far partire un governo vedrete che una forzatura la faranno; eccome se la faranno".

Dunque, questi gli scenari. E anche se oggi è impossibile azzardare i nomi dei veri papabili in pista per il Quirinale, per capire dove andrà a finire il Pd non si potrà prescindere da tutte queste microesplosioni che hanno rivoluzionato la geografia interna al Partito democratico. E vedremo nelle prossime ore se Bersani riuscirà davvero a evitare che la sua pentola a pressione si trasformi improvvisamente in una bomba per il Pd.

 

 

SE BANKITALIA CONTROLLA TUTTO TRANNE LE BANCHE

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Luigi Zingales per "Il Sole 24 Ore"

zingales

Negli anni l'ufficio studi di Banca d'Italia ha prodotto pregevoli lavori sulla governance delle imprese, anche se l'argomento esulava dai compiti istituzionali della Banca. Perché l'ufficio studi non ha dedicato lo stesso fervore nello studio della governance delle banche, che Bankitalia ha il compito di regolare e vigilare? Come i casi di Banca Popolare di Milano e di Montepaschi dimostrano, la governance delle banche è una determinante fondamentale del loro stato di salute.

LUIGI ZINGALES

Bankitalia, quale supervisore del sistema bancario, deve quindi porre questo argomento al centro delle proprie indagini empiriche e delle proprie ispezioni di vigilanza. Il governatorato di Ignazio Visco era cominciato bene, con un convegno sul tema. Ma al convegno non sembrano essere seguiti i fatti.

Gli argomenti di governance bancaria su cui Bankitalia potrebbe intervenire, sia dal punto di vista regolatorio che da quello sanzionatorio, sono infiniti. Ma in questo momento, ce n'è uno che spicca: il conflitto di interesse tra società di gestione del risparmio (Sgr) e banche controllanti. Il problema è serio. Se le Sgr bancarie potessero votare a sostegno del management della banca controllante, si avrebbe la totale autoreferenzialità del management.

Luigi Zingales

Per questo il Testo Unico della Finanze e il regolamento congiunto Consob-Bankitalia prescrivono che le Sgr debbano esercitare i diritti di voto delle azioni gestite nell'interesse dei clienti e non nella controllante. Questo principio è riaffermato da Bankitalia nelle disposizioni di vigilanza del 23 ottobre 2009 (potere di direzione e coordinamento di una capogruppo sulle Sgr appartenenti al gruppo), in cui si richiede alla capogruppo di riconoscere l'indipendenza delle Sgr nella modalità dell'esercizio del diritto di voto. Purtroppo l'indipendenza nelle decisioni di voto è un principio difficile da verificare.

IGNAZIO VISCO

La sostanza può essere violata, pur rispettando perfettamente la forma. Proprio per questo, il regolatore deve intervenire in modo incisivo e severo quando la forma viene violata anche marginalmente. In questo campo, la più piccola infrazione della forma non deve essere vista come un errore veniale, ma come la punta di un iceberg. Un iceberg che, se non viene contenuto, rischia di affondare le principali banche del nostro Paese. L'occasione d'oro per applicare questi principi è stata fornita a Bankitalia da Eurizon.

Come ho scritto il 22 marzo, il professor Vincenzo Carriello, già indicato come candidato delle Sgr e degli altri investitori istituzionali esteri per il rinnovo del Consiglio di Sorveglianza di Intesa (controllante di Eurizon), è stato rimosso dalla lista per le obiezioni di alcuni gestori, tra cui Mauro Micillo di Eurizon. Queste obiezioni hanno riguardato il presunto conflitto di interessi di Carriello (lavora in uno studio legale che ha ricevuto in passato contratti da Intesa).

IGNAZIO VISCO

L'obiezione non aveva motivo di essere perché Egon Zehender, advisor indipendente dei gestori, aveva confermato la propria valutazione di indipendenza del candidato anche dopo le obiezioni sollevate da Micillo e comunque Carriello si era impegnato a dimettersi dallo studio legale. Non esisteva quindi nessun motivo per bloccarlo, se non il fatto che Carriello sembrerebbe inviso ai vertici di Intesa. Nonostante questo, Carriello è stato escluso dalla lista. Io non sono un giurista, ma questa presa di posizione mi sembra essere in palese violazione del "Protocollo di autonomia per la gestione dei conflitti d'interessi" che la stessa Eurizon si è data.

ignazio visco

(http://www.eurizoncapital.it/Eurizon%20Documentazione%20Statica/Corporate%20policies/ProtocolloAutonomia_EC_26maggio2011.pdf).


In questo regolamento la Sgr considera "situazione di conflitto d'interessi" l'esercizio del diritto di voto nella capogruppo. Eurizon non solo ha conferito le sue azioni Intesa per presentare la lista Assogestioni (secondo una prassi consolidata), ma è intervenuta sul contenuto di questa lista, quindi in una situazione definita come di conflitto di interessi dal regolamento della società stessa. La reazione degli investitori istituzionali esteri sembra confermare la serietà di questa violazione. Molti investitori esteri, per protesta, hanno ritirato il loro supporto alla lista.

In aggiunta, la lista Assogestioni in Intesa non ha ottenuto, a differenza di tutti gli altri casi, il supporto delle due principali agenzie di valutazione delle decisioni di voto (Institutional Shareholders Service, Iss, e Glass Lewis). Entrambe queste agenzie hanno motivato il voto contrario con le indebite interferenze di Eurizon, che avrebbe violato le regole interne di Assogestioni a protezione dell'indipendenza dei candidati. Di fronte a questa violenta reazione degli esteri, stupisce il silenzio di Intesa.

bankitalia big

Una banca seria, che rispetta le regole che si è data, non può non imporre una pesante sanzione a chi queste regole ha violato, pena il rischio di svuotare interamente il significato di tutte le regole interne. Non mi risulta che alcun provvedimento sia stato preso. Anzi, Micillo è stato rieletto vicepresidente di Assogestioni. Ma stupisce ancora di più il silenzio di Bankitalia.

Il problema trascende il fatto specifico, e assume una dimensione sistemica. Permettendo prima e non sanzionando poi l'intervento di Micillo, Intesa appare priva di presidi sufficienti per garantire l'indipendenza della Sgr dalla capogruppo. Questo è un problema di competenza di Bankitalia, che non può essere ignorato. Se no dobbiamo concludere che in Italia oltre al «too big to fail» sembra esserci anche il «too politically powerful to be sanctioned».

 


COME UN GRILLO QUALSIASI FACEBOOK-ZUCKERBERG FONDA IL SUO MOVIMENTO POLITICO

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ZUCKERBERG

1. FACEBOOK, ZUCKERBERG IN POLITICA
Repubblica.it


Senza giacca e cravatta, come nel mondo del business tecnologico, il numero uno di Facebook Mark Zuckerberg si lancia in politica. Anzi, si lancia "in avanti", tirando la volata a tutti gli Stati Uniti. In un un editoriale a sua forma comparso sul Washington Post, il giovane amministratore delegato lancia formalmente FWD.us, una nuova organizzazione fondata dai leader dell'industria tecnologica con l'intento di portare avanti una politica bipartisan per un'economia americana che cresca e crei lavoro:

GLAUCO BENIGNI jpeg

"Lavoreremo con i membri del Congresso di ambedue i partiti, con l'amministrazione e con gli stati e le autorità locali. Useremo strumenti online e offline per promuovere l'appoggio a cambiamenti politici", dice Zuckerberg. FWD.us si legge "Forward Us", "Avanti Stati Uniti", dove "us", suffissio di dominio per gli Usa, può anche significare "noi".

ritratto mark zuckemberg

Il gruppo avrà come primo obiettivo quello di spingere una riforma dell'immigrazione: "C'è bisogno di un nuovo approccio: c'è bisogno di una riforma dell'immigrazione ampia che inizi con un'efficace sicurezza dei confini, consenta di seguire una strada per ottenere la cittadinanza e ci consenta di attirare i maggiori talenti e i lavoratori, non importa dove si è nati" mette in evidenza Zuckerberg.

mark zuckerberg

Nell'editoriale, il numero uno di Facebook chiede maggiori standard di responsabilità nelle scuole e ulteriore impegno nell'informare gli studenti su scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Una riforma complessiva sull'immigrazione è uno dei punti principali dell'agenda del nuovo mandato di Barack Obama, allo studio in questi giorni di una commissione bipartisan di otto senatori.

LA CENA DEI POTENTI DI INTERNET OBAMA Schmidt D Levinson T Chambers Doerr Ellison Hastings L Hennessy Bartz Costolo Zuckerberg Obama Jobs Westly Doerr

Zuckerberg non è l'unico personaggio del mondo della Silicon Valley a far parte di Fwd.us: nel gruppo ci sono anche il ceo di LinkedIn, Reid Hoffman, i venture capitalist John Doerr e Jim Breyer, oltre che Ruchi Sanghvi di Dropbox, primo ingegnere donna a lavorare a Facebook.


2- IL NUOVO ORDINE MONDIALE
Glauco Benigni per Dagospia

mark zuckerberg


Facebook e Youtube , i 2 grandi Social Networks che "autodichiarano" di aver superato la mitica soglia del Miliardo di membri stanno, ovviamente, modificando alcuni aspetti della geopolitica mondiale e in particolare della Politica in Usa. Questi 2 giganti infatti non sono più definibili semplicemente Comunità Digitali perchè il comportamento dei loro membri, e soprattutto il comportamento dei loro Proprietari, li rende trasmutabili in altre macroentità. Stati transnazionali ? Religioni più o meno laiche? Modelli di comportamento e lifestyle globalizzati ? Lobbies di pressione ? Un mix di tutto ciò ? Certamente sì .

Reid Hoffman jpeg

Nel caso dei membri, l'ingresso in tali macroentità conferisce di fatto uno status che prima non esisteva. Aprire un account è come ottenere una Carta d'Identità, una sorta di Passaporto. E soprattutto aderire, quasi sempre beotamente, alla mappata di "Terms and Conditions" significa accettare una Costituzione che di democratico ha ben poco.

Ruchi Sanghvi

Nel caso dei proprietari invece, gli osservatori e gli analisti si cominciano a domandare, già da qualche tempo, quale sia la loro visione del Potere e del Futuro. Al di là del fatto che i Boss e i loro CdA sono diventati, per le industrie multinazionali e per il cartello delle Agenzie Pubblicitarie, i maggiori referenti utili al collocamento e alla promozione di merci e servizi. Al di là del fatto che è stata dimostrata una efficace e reiterata violazione della privacy dei membri. Al di là del fatto che finora i Poteri Digitali si sono messi al servizio più o meno indistintamente dei diversi partiti. La domanda che ci si pone è : può esistere una loro strategia politica ? E se (verosimilmente) sì, quale potrebbe essere?

chris christie oprah winfrey corey booker mark zuckerberg

E' in questa chiave che va letto il recente caso che ha visto Facebook, e il suo patron Mark Zuckerberg, in difficoltà. Dopo la presentazione del suo "graph search", un motore di ricerca interno a Facebook che lo mette, in qualche modo , in diretta competizione con Google e dopo il cinguettio con Apple, all'inizio di questa settimana il giovanotto miracolato si è espresso, ancorché vagamente, a proposito di raccolta fondi a favore del Governatore del New Jersey Chris Christie, un repubblicano. Ovviamente la cosa ha allertato i democratici i quali hanno alzato la sorveglianza.

joe green

Si sapeva già da tempo che Facebook- Zuckerberg stava per presentare pubblicamente un'operazione che ha precise connotazioni politiche. L'operazione aveva (e avrà) quali obiettivi : "comprehensive immigration reform and education reform". Secondo alcune fonti le riforme relative all'immigrazione sono da interpretare alla luce del fatto che nella Silicon Valley operano "cervelli digitali" arrivati da molte parti del mondo, alcune delle quali sono zone altamente strategiche, quali Cina, India e Russia.

Secondo altre fonti - decisamente più malevole - la visione di Facebook dell'immigrazione sarebbe "una captatio benevolentiae" nei confronti di tutti quei membri, non cittadini americani, che sognano di sbarcare prima o poi in USA. E sarebbe, in tale chiave, un'enorme opportunità per effettuare una macroscopica raccolta fondi, in arrivo da ogni angolo remoto del pianeta, a sostegno dell'operazione. Sta di fatto che il Senato americano, dopo la pausa pasquale, sta per mettere nuovamente mano all'argomento e quindi l'eventuale pressione da parte dell'operazione Facebook-Zuckerberg (per alcuni) è impropria.

Ruchi Sanghvi

La menzione relativa all'educazione poi appariva (e appare) piuttosto inquietante, nell'ipotesi che un colosso del web, unitamente ad altri colossi rilevanti, si dia come obiettivo quello di "educare" le nuove generazioni. Operazione che - va detto - è pienamente in corso, in deroga a qualsiasi progetto governativo. All'ONU poi , dopo decenni di attività, le organizzazioni internazionali preposte alla cosiddetta "educazione", temono una sovrapposizione di "linee guida" con la quale sarebbe difficile confrontarsi.

La "cosa" ancora priva di nome era stata definita un'Advocacy start up (l'inizio di un patrocinio) e rientrava dunque in quel grande solco tracciato dalla Cittadinanza Attiva . Fin qui (ufficialmente) tutto bene. Sennonché giovedì scorso, "Politico", una pubblicazione online Usa di tutto rispetto, "intercetta" una email .

zuckerberg surfing

E già qui l'affaire puzza di intelligence. Come si fa ad intercettare una email ? Fatevi una domanda , datevi la risposta. Tanto più che l'email , definita il "Prospectus", è inviata ai membri del "board e dello staff" da uno storico personaggio : Mr. Joe Green , ovvero uno dei compagni di stanza ad Harvard di Mark Zuckerberg. Cioè un uomo con il quale il Miracolato, ai tempi della Marcia sul Web, probabilmente si scambiava anche lo spazzolino da denti, i calzini sporchi e il mouse.

Il testo, una volta intercettato, appare ridondante di affermazioni incaute . Tra queste brillano le frasi secondo le quali i boss digitali Bill Gates di Microsoft e Marc Andreessen (co-autore di Mosaic e co-fondatore di Netscape), sarebbero entrati a tutto tondo nella partita . L'affermazione viene smentita - secondo Politico - da fonti vicine all'operazione. In realtà i portavoce, sia di Gates che di Andreessen, si limitano a non rilasciare commenti.

eric schmidt

Altra affermazione rilevante - e smentita - sembra essere il nome dell'operazione che secondo Joe Green doveva essere "Human capital". E che da giovedì non si sa più che nome avrà.

Il Gruppone degli aderenti all'operazione - scriveva inoltre Green - era composto da : il fondatore di Netflix Reed Hasting, il creatore di Twitter Jack Dorsey, il co-fondatore di Linkedin Reid Hoffman, più altri boss di Dropbox, Zynga, Instagram e alcuni venture capitalists, probabilmente pronti a sostenere l'operazione con bei soldini.

ERIC SCHMIDT DI GOOGLE

A proposito del Gruppone, il giornale online "Politico" ricordava che i semi dell'iniziativa sarebbero stati gettati la scorsa estate nel corso di un incontro dei boss della tech industry, durante il quale i presenti avrebbero invocato la formazione di una Rappresentanza, per difendere la loro visione sia industriale che politica , simile alla Motion Pictures Association of America ( il cartello delle Majors hollywoodiane) o addirittura simile al cartello delle farmaceutiche noto come Big Pharma.

BILL GATES jpeg

A questo punto c'è da dire che - nei confronti delle proposte Facebook per l'immigrazione - altri Boss digitali avrebbero piani diversi. Tra questi: Eric Schmidt di Google e i vertici di Intel, Oracle e Cisco. Esiste dunque un altro fronte che, al momento, non ha assunto posizione pubblica.

BILL GATES jpeg

In una sezione del "Prospectus", definita "il nostro assetto tattico", Green si concedeva infine toni da Big Brother, con diverse frasi che si possono leggere quali incitazioni ad assumere il controllo delle "avenues" della distribuzione. Tra queste : "il popolo della tecnologia può essere organizzato in una delle forze politiche più potenti" ... " "abbiamo visto la punta dell'iceberg al tempo di SOPA/PIPA" ( il più grande black out della Rete avvenuto il 21.2.2012 per protestare contro la votazione del Parlamento Usa sui provvedimenti a favore del copyright) ... " la nostra voce ha un gran peso perché siamo popolari " ... " tra noi c'è gente con un sacco di denaro ( qui non si capisce se allude agli organizzatori o alla Comunità ) e questo può avere una grande influenza nell'attuale campagna di finanziamento".

ZUCKERBERG OBAMA

Insomma, la faccenda sembra essere un bel campo di battaglia del futuro. Oltre al braccio di ferro con la Finanza e con le Banche, i Governi - primo fra tutti quello USA - dovranno fare i conti con i nuovi Poteri Digitali e con le loro (spesso) agguerrite comunità. Lo scontro non è più limitato al grande fronte "Copyright - No copyright" ma si estende alle migrazioni di individui e alla gestione delle menti (la cosiddetta educazione).

 

 

INGROIA FRIGNA: PERCHE’ CE L’HANNO TUTTI CON LUI?

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Francesco La Licata per "La Stampa"

Antonio Ingroia Antonio Ingroia

Dice, Antonio Ingroia, di non riuscire a trovare - nei suoi comportamenti recenti e passati - un solo motivo che giustifichi tanta aggressività manifestata nei suoi confronti. Ma non specifica, Ingroia, se è pentito o no di aver intrapreso la strada della politica. Già, perché è proprio questa la domanda alla quale il magistrato dovrebbe trovare risposta, tenendo conto di un bilancio che ormai dovrebbe poter calcolare con qualche facilità.

È stata la scelta giusta, quella di imbarcarsi in una competizione politica arroventata dal particolare momento di difficoltà, decidendo di vestire addirittura i panni di leader, di capo di un movimento che pretendeva di competere con la disinvolta aggressività del popolo dei grillini? È stata saggia la decisione di entrare in partita senza un gesto netto di separazione dalla sua precedente attività professionale? Chissà se rifarebbe le stesse cose, il «pubblico ministero per antonomasia».

ANTONIO INGROIA CON IL SIMBOLO DELLA SUA LISTA

È fatto così, Antonio Ingroia. Diciamo che gli accadimenti siciliani lo hanno sempre messo in condizione di trovarsi al centro dell'attenzione mediatica, alimentando un tantino la sua naturale attitudine all'egocentrismo. E alla conseguente «consapevolezza» di avere qualcosa in più rispetto alla norma.

Chi ha frequentato il Palazzo di giustizia di Palermo - per eccellenza sede di veleni di ogni tipo - ha avuto modo di ascoltare sfoghi, più o meno interessati, di magistrati impegnati nel lavoro sulla bassa manovalanza mafiosa, a differenza di Ingroia che si occupava soltanto dell'alta mafia, quella politica soprattutto. Era considerato il «pupillo» di Giancarlo Caselli, dopo essere entrato al «Palazzaccio» come il giudice ragazzino tanto amato da Paolo Borsellino.

Antonio Ingroia

Eppure sarebbe ingeneroso liquidare il lavoro di quella «squadra» in modo sbrigativo. Senza quel cambiamento la lotta alla mafia sarebbe ancora all'anno zero e il preziosissimo contributo di Falcone e Borsellino forse sarebbe andato irrimediabilmente disperso.

Ma era la toga da pubblico ministero la corazza che rendeva Ingroia una sorta di simbolo della resistenza alla mafia e al malaffare. Una difesa che poggiava anche sul cosiddetto «consenso popolare» verso un gruppo di magistrati sempre in prima fila. Ma anche sempre in prima pagina. E ogni giorno sempre più politicizzato dalla naturale spinta prodotta dall'eccesso mediatico.

giorgio napolitano

Così il giudice si è trasformato lentamente nel politico. Ma ciò che può essere consentito all'eroe con la toga non è detto sia «perdonato» al neo-rappresentante della casta che aveva combattuto fino a qualche settimana prima con le armi delle inchieste.

Forse si è fatto male i conti, Ingroia. Ha ecceduto nella sopravvalutazione di se stesso, probabilmente tratto in inganno anche dalla corte di amici e fan che gli han fatto credere di poter contare su forze maggiori di quelle che erano in realtà. Ed oggi si trova in palese difficoltà. Costretto a parlare di nuovo come magistrato, dopo la pausa elettorale, dove lo si è visto persino scherzare con Berlusconi e Dell'Utri, i protagonisti di uno dei suoi processi.

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO

Troppa commistione dei ruoli, forse, non aiuta nella comprensione l'elettorato. Non l'hanno aiutato neppure gli attacchi ai colleghi candidati in altri partiti, come se la demonizzazione dell'avversario potesse aprire la strada alla vittoria.

Ma quello di demolire «tutti gli altri» sembra essere un vizio antico dell'Antimafia: nelle polemiche siciliane non esiste chi la pensa in un modo e chi in un altro, esistono i buoni e i cattivi, gli eroi e gli amici del giaguaro. Persino chi ha avuto la fortuna di rimanere vivo, prima o poi, si trova nella posizione di dover giustificarsi per non essere stato ucciso.

SILVIO BERLUSCONI E DIETRO LA SCRITTA TASSE jpeg

In un certo senso, Ingroia perpetua un antico vizio: quello di poter fare ciò che ad altri non è consentito perché «se lo faccio io è sicuramente per il bene di tutti». Cosa ha risposto al Csm? «Preferiscono mandarmi ad Aosta a riscaldar la sedia, piuttosto che concedermi di svolgere un ruolo importantissimo nelle esattorie siciliane».

BERLUSCONI DELL UTRI

Non si capisce perché amministrare giustizia ad Aosta dovrebbe essere una «diminutio» per Ingroia (ma questo glielo faranno notare i colleghi valdostani), e un lavoro «alla sua altezza» fare l'esattore in Sicilia. A meno che non si voglia affermare la necessità, esclusivamente mediatica, di affidare all'antimafia quello che è stato gestito prima dai mafiosi Ignazio e Nino Salvo. Ma ciò sarebbe solo propaganda.

 

QUANDO RE GIORGIO VOLEVA ROTTAMARE IL PCI: QUELLA LETTERA DI FUOCO CONTRO MACALUSO E NATTA…

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"L'ultimo comunista. La presa del potere di Giorgio Napolitano", è il titolo del libro di Pasquale Chessa sul capo dello Stato che esce il 16 aprile per Chiare lettere (pagine 266, euro 13,90). Attraverso la biografia del presidente, Chessa punta a ricostruire molti aspetti inediti della politica italiana. Qui di seguito un brano sulla dialettica all'interno del Pci.

COPERTINA DEL LIBRO L'ULTIMO COMUNISTA - DI PASQUALE CHESSA


Pasquale Chessa - da "l'Espresso"

Giorgio Napolitano

La data fa paura: il 19 febbraio 1986, quando mancano pochi giorni al 24 febbraio, il giorno del disastro di Chernobyl, Napolitano scrive a Natta e a Macaluso per protestare contro le «posizioni antinucleari» che "l'Unità" ha espresso a dispetto delle scelte del partito. In Italia è in corso la campagna per il referendum contro il nucleare e la requisitoria è senza appello.

Macaluso viene accusato di aver cestinato un'intervista a Umberto Colombo, presidente dell'Enea, per spiegare le ragioni della scelta a favore del nucleare «mentre si è reclamizzato ampiamente il libro antinucleare di Collingridge (pubblicato dagli Editori Riuniti su consiglio non so di chi, ma fortemente contestato negli ambienti scientifici)».

Sospetta poi che il giornale abbia nascosto in rubrica "Dibattiti a p. 4 un eccellente articolo di Zorzoli, che è il responsabile del gruppo energia della direzione del Partito e che ribadiva non un'opinione personale ma la nostra linea di fronte al fatto nuovo della caduta del prezzo del petrolio: si è pubblicato nella stessa rubrica oggi l'articolo antinucleare di Bertinotti, che secondo le norme stabilite, andava tutt'al più pubblicato nella Tribuna congressuale costituendo evidentemente un intervento dei più tendenziosi e fanatici a sostegno di determinati emendamenti alle Tesi".

NAPOLITANO e EMANUELE MACALUSO napolitano e natta

C'è collera, stizza, indignazione nel tono delle parole che infiamma fatti e concetti. Insiste Napolitano: «Contesto questo modo di dirigere il giornale». E spiega a Natta di aver già chiesto conto a Macaluso, punto per punto, della sua condotta politica, ma confessa di aver ricevuto «una spiegazione risibile», e sospetta che dietro ci sia un piano ben congegnato, ordito da «compagni che contano», che «si muove consapevolmente contro posizioni che costituiscono almeno fino al congresso le posizioni ufficiali del partito».

Nell'archivio del Pci alla lettera dattiloscritta è accluso un biglietto scritto a mano di Macaluso a Natta, freddo sì, ma determinato nel mantenere il punto della questione politica, che si riassume tutta nella sua autonomia di giornalista. Non intende, infatti, restare alla direzione de "l'Unità", è pronto a dimettersi dopo il congresso. Propone intanto di lasciare il quotidiano per malattia, visto che le dimissioni causerebbero imbarazzo.

E infine ribadisce senza infingimenti: «La lettera di Giorgio Napolitano ha superato ogni limite e ha posto una questione di eccezionale gravità ... Puoi contare sulla mia totale disponibilità. Quel che non mi si può chiedere è di pensare a fare un giornale come lo pensa Napolitano e con lui altri autorevoli compagni».

 

FUGA DA LA7: SANTORO, GRUBER E CROZZA VERSO LA RAI?

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Maria Volpe per il "Corriere della Sera"

Tecnicamente Urbano Cairo, pur essendo proprietario de La7, non è ancora operativo. Lo sarà più o meno tra un mese. L'altro ieri è arrivata l'autorizzazione dell'Agcom. Tra poco Telecom diventerà ex proprietaria e lui scenderà in campo davvero. Tra poco cominceranno i lavori, le trattative, i progetti per creare i palinsesti della prossima stagione. Già girano voci: star che vanno, star che vengono. Piero Chiambretti, per esempio, amico di Urbano Cairo con cui condivide la passione per la squadra del Torino, si dice potrebbe tornare a La7.

urbano cairo santoro travaglio

Vero o falso? «Non ci siamo sentiti, ancora. Lui è molto bravo, ma è ancora legato a Canale 5 e poi bisognerebbe capire che programma fargli fare» spiega Cairo. Che si muove con cautela. Sa che i prossimi mesi saranno complicati: incastri, aspettative, decisioni da prendere. Ieri per esempio «il Fatto Quotidiano» ha parlato di fuga delle star da La7 verso la Rai. In particolare Lilli Gruber, a cui è da poco scaduto il contratto; Maurizio Crozza, «possessore» di una postilla: può lasciare l'azienda in caso di vendita; e pure Michele Santoro che avrebbe voglia di tornare in viale Mazzini.

ENRICO MENTANA NELLO STUDIO DEL TG jpeg

Il presidente del Torino sorride e commenta: «Non mi risulta questa fuga di star, sono in ottimi rapporti con tutti loro. So che sono dispiaciuti per queste notizie». Pare infatti che qualcuno l'abbia chiamato per ribadirgli stima, fiducia e voglia di lavorare insieme. Ma chi allora avrebbe interesse a mettere in giro queste voci di fuga?

Lilli Gruber

«Questa è una rete che perde un sacco di soldi e non so se sarà risanabile in tempi brevi, ma si può fare un buon lavoro. Qualcuno però forse ha paura, mette le mani avanti - commenta - Conosco il mondo dello spettacolo: gli agenti, quando devono negoziare o rinegoziare i contratti dei propri assistiti, usano varie tecniche...». Insomma gli agenti, prima di sedersi al tavolo delle trattative, fanno in modo che i propri assistiti appaiano «contesi» (alcuni magari lo sono davvero). Una sorta di negoziazione sotterranea prima che cominci quelle vera.

Myrta Merlino

Ma Cairo ha le idee chiare: rimettere a posto i conti e puntare sulla squadra esistente che intende «preservare e valorizzare». «Ho sentito Lilli Gruber per Pasqua - confida Cairo - ci siamo fatti gli auguri con grande serenità. Io ho progetti per lei. Quanto a Crozza non lo sento abitualmente, ma adoro lui e i suoi spettacoli. La parodia che mi fa più ridere? In passato è stata quella di Montezemolo, oggi trovo irresistibile Maroni. E pure Antonio Conte. L'ultima volta che ho parlato con Crozza mi ha detto: "Dimagrisco qualche chilo e poi vengo a fare un po' di allenamento al Torino"».

SANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpeg

Ma il palinsesto non è fatto solo di prime time. «Anche la mattina - sottolinea il patron de La7 - ci sono due conduttrici brave (Tiziana Panella con "Coffee break" e Myrta Merlino con "L'aria che tira", ndr) e penso siano da lanciare. Fanno ascolti tra il 7 e il 10 contro programmi consolidati di Rai e Mediaset».

Cori Rist da Chiambretti

Non andò bene invece Cristina Parodi con il suo programma giornalistico del pomeriggio. Tanto che l'ad, Marco Ghigliani, decise di chiuderlo (e non solo quel programma). Del resto, in questi primi tre mesi, l'amministratore delegato si è impegnato in un'azione di forte riduzione dei costi (si parla di circa 25 milioni di euro) e al contempo di potenziamento dell'informazione con buoni risultati d'ascolto.

 

SPEZZATINO TELECOM: I TELEFONINI AI CINESI, LA RETE ALLO STATO (CDP) - AZIONISTI FREDDI SU HUTCHINSON

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1. SOCI TELCO IN CAMPO PER TUTELARSI DALLA CARTA CINESE
Marigia Mangano per "Il Sole 24 Ore"

FRANCO BERNABE AD TELECOM

Si aspettava un mandato esplorativo per approfondire i contatti con i cinesi di Hutchinson Whampoa nel giro di 3-4 mesi. Ha dovuto incassare, a sorpresa, l'istituzione di un comitato tecnico che lo affiancherà in questi approfondimenti da chiudere in tempi molto più stretti, si parla di 2 o 3 settimane.

zingales

Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia - dicono - è rimasto spiazzato. Sarà infatti un comitato ristretto composto oltre che da due indipendenti (Luigi Zingales e Elio Catania), dai rappresentanti del primo azionista italiano di Telco, Generali (Gabriele Galateri di Genola), e dal primo socio straniero, Telefonica (Julio Linares) a dire l'ultima parola su un progetto che, allo stato attuale, sembra vedere Telco piuttosto fredda. All'interno le posizioni sono sfumate, con alcuni soci più possibilisti, ma è opinione condivisa che la strada H3g sia una matassa assai difficile da gestire.

Che la tensione tra i soci e il management fosse già particolarmente alta lo si era capito negli scorsi mesi. Non foss'altro perché nella riunione del cda che si è tenuta agli inizi di marzo i malumori sono filtrati, con una lettura critica dei risultati ottenuti dall'attuale management.

E non è un mistero che gli azionisti italiani di Telco, ovvero Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, siano insoddisfatti dei risultati e della strategia finora attuata dall'operatore tlc. Questo dopo aver visto in Borsa il titolo Telecom Italia scendere senza freni e i dividendi dimezzarsi con conseguenze importanti sugli equilibri finanziari del veicolo a cui fa capo il 22,4% di Telecom Italia.

LI KA SHING HUTCHINSON WHAMPOA

Criticità della gestione, si diceva. Ed è proprio questo il punto chiave su cui i soci Telco si sono più volte confrontati con un inevitabile aumento del pressing nei confronti di Bernabè. L'erosione della marginalità, la mancanza di un progetto industriale di ampio respiro e più proiettato fuori dai confini nazionali e le quotazioni di Borsa sono i tre elementi chiave che vengono sollevati all'attuale gestione.

Elio Catania

Per gli azionisti, è opinione unanime, serve un deciso cambio di passo in termini di strategia. Ma da qui a dire che H3g sia la soluzione, ce ne passa. Certo, vale la pena valutare in modo approfondito tutte le strade, ma la scelta è stata quella di seguire da vicino l'evoluzione di questa partita che, allo stato attuale - si osserva - presenta delle criticità. Tra queste il fatto, non secondario, che il gruppo di Li Ka Shing brucia cassa e non si vedono grandi margini di sviluppo, senza contare i rischi legati all'Antitrust.

GABRIELE GALATERI DI GENOLA

Negli ultimi giorni, inoltre, si sarebbe registrata una chiusura più esplicita da parte di Telefonica di fronte a tale ipotesi. Non a caso proprio ieri, secondo quanto si apprende, nel corso della riunione del consiglio di amministrazione di Telecom Italia gli spagnoli avrebbero fatto un intervento molto critico sull'andamento dell'azienda. Ora: proprio gli spagnoli rappresentano un tassello cruciale negli equilibri di Telco.

A loro spetta infatti il diritto di prelazione nel caso i soci italiani della scatola a cui fa capo il 22,4% di Telecom Italia decidesse di vendere i loro titoli. E i soci italiani, dunque, non possono non tenerne conto. Del resto Telefonica, in quanto partner industriale, rappresenta il socio più titolato a verificare le opportunità strategiche del gruppo Telecom, anche in termini di potenziali alleanze e percorsi di consolidamento a livello geografico. Ai partner italiani - Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca - che per forza di cose sono soci finanziari spetterebbe invece l'onere di trovare una quadra per il rinnovo del vertice.

JULIO LINARES


2. IMPOPOLARE SPEZZATINO BUONO SOLO PER LA BORSA
Antonella Olivieri per "Il Sole 24 Ore"

L'odore di spezzatino da sempre aguzza l'appetito della Borsa. E se la situazione è sufficientemente fluida e confusa per poter trarre conclusioni, le premesse per uno smembramento di Telecom ci sono tutte. Se l'ipotesi di integrazione con 3 Italia andasse avanti sul percorso delineato da Hutchinson Whampoa, non sarebbe Telecom a rilevare 3, bensì H3G a rilevare Telecom.

Il gruppo che fa capo al magnate Li Ka Shing ha confermato che il conferimento di 3 in Telecom si farà solo se Hong Kong entrerà nella stanza dei bottoni, quale nuovo azionista di riferimento dell'incumbent tricolore. Ben lontani i tempi della mamma di tutte le Opa, un'offerta da 100mila miliardi di vecchie lire.

Il controllo di Telecom è prezzato dai cinesi quanto il più piccolo degli operatori mobili del mercato (per di più in perdita dalla nascita) più quei 2 miliardi che servirebbero a rilevare le quote degli italiani di Telco al prezzo di carico che è il doppio delle quotazioni di Borsa.

VINCENZO NOVARI

Nelle casse della società, come al solito, non entrerebbe niente. Per i piccoli azionisti dell'Asati questa è una «provocazione», perchè «i soci di minoranza si sentirebbero tutelati solo da un'Opa». Ma questo non risolverebbe comunque tutti i problemi. Poichè non è plausibile - e nemmeno i cinesi se lo aspettavano - che la rete fissa, asset strategico, possa cambiare bandiera, Telecom ha accelerato infatti sulla procedura di scorporo dell'infrastruttura per la quale da un anno è in trattativa con Cdp.

Ma Cdp, che fa capo al Tesoro, difficilmente si troverebbe a suo agio in posizione di azionista di minoranza di una società controllata da un gruppo che risponde a Hong Kong. Così lo spezzatino, con lo sganciamento della rete che tornerebbe pubblica, diventerebbe lo scenario più probabile.

La rete allo Stato, i telefonini ai cinesi. Che fine farebbero le superstiti province dell'impero, Brasile e Argentina, non è chiaro. Che fine farebbe il patrimonio di competenze aziendali che aveva fatto di Telecom pioniere di successo proprio nella telefonia mobile è invece facilmente immaginabile. Senza contare le ricadute sul piano occupazionale di uno spezzatino di tal fatta.

Uno scenario impopolare, che farebbe felice solo la Borsa. Tanto impopolare che persino l'azionariato italiano di Telco, per sua natura finanziario, non se la sente di sostenerlo. Nemmeno se i cinesi staccassero l'assegno che consentisse loro di chiudere la partita senza ulteriori perdite.

 

INFLAZIONE E PERDIZIONE - IL RISCHIO CRAC AUMENTA INONDANDO IL SISTEMA FINANZIARIO GLOBALE DI MONETA

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DAGOREPORT

Ieri (11/04/2012) è stato pubblicato un rapporto da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sulla stabilità dei sistemi finanziari globali. Tra le altre cose si dice che "il debito sovrano detenuto dalle banche italiane e spagnole è relativamente elevato e la percentuale di detenzione notevolmente aumentata dall'inizio della crisi in corso". La stessa Banca d'Italia indica un enorme rischio di tasso di interesse in capo alle banche domestiche, con un costo stimato di capitale pari al 7,7% nel caso in cui i tassi di interesse salissero di 200 punti base.

INFLAZIONE MARIO DRAGHI

La situazione denunciata per i due paesi è praticamente la stessa in tutti i principali paesi per una serie di ragioni molto semplici da spiegare. All'inizio misurabile della crisi, che puó essere ascritto al fallimento di Northern Rock nel Regno Unito ad inizio 2007,per evitare il collasso del sistema bancario mondiale (cui si è andati molto vicino con il fallimento di Lehman Brothers ad ottobre 2008) le banche centrali hanno iniziato ad inondare il sistema finanziario mondiale con dosi massicce di liquidità, in Dollari Usa, Yen giapponesi, Sterline inglesi ed Euro a tassi prossimi allo zero.

OBAMA E BERNANKE

La liquidità ricevuta (tecnicamente inflazione monetaria) dalle banche è stata poi impiegata in investimenti "sicuri" nel senso del rendimento atteso da parte degli investitori (le banche commerciali) attraverso l'utilizzo di titoli di stato (Treasury, JGB, Gilt, BTP, Bund, Oat, ecc.), che sono stati oggetto di "sostegno" da parte delle stesse banche centrali, convinte cosi di permettere facili ricavi alle banche commerciali, fondamentali per ricostituire utili e riserve (e bonus ai manager).

BERNANKE jpeg

Questa strategia, che puó essere considerata una vera e propria forma di economia pianificata (socialismo) attraverso la moneta se da un lato ha fornito una parvenza di stabilità del mercato monetario e finanziario, ha dall'altro ottenuto l'effetto denunciato ieri dal FMI: aver aumentato il grado totale di rischio del sistema economico.

Haruhiko Kuroda governatore della banca centrale giapponese

La realtà dei bilanci delle banche, degli stati e delle banche centrali dimostra infatti che un possibile rialzo dei tassi di interesse genererebbe perdite in conto capitale tali nei bilanci delle tre entità, da mettere a rischio il sistema finanziario globale, con l'aggravante che oggi è sufficiente che uno dei tre attori salti (parliamo di default di una banca o di uno stato o della banca centrale) a causa di perdite sulla posizione titoli (banche centrali e banche commerciali) o di costo del debito non sostenibile (per gli stati), che a ruota fallirebbero gli altri due.

BANCA CENTRALE DEL GIAPPONE

L'unica alternativa a disposizione è continuare ad inflazionare, sapendo con ció di aumentare ancora di piú i rischi suddetti.

 

I GRILLINI SI OPPONGONO AL PASSO CARRABILE. A CASA DI GRILLO - NIENTE GOVERNO, NIENTE CONTROLLO SUI SERVIZI SEGRETI

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A cura di Gianluca Di Feo e Primo Di Nicola per "l'Espresso"

VILLA DI BEPPE GRILLO SANT ILARIO

1 - GIOVANNINI SOTTO ESAME
M.G. - In veste di "saggio" il Quirinale gli ha concesso appena una manciata di giorni per indicare al Paese la rotta delle riforme economico-sociali. Ma altre scadenze
molto più prosaiche incalzano il presidente dell'Istat Enrico Giovannini. Quelle che i Vigili del fuoco gli hanno consegnato il 13 febbraio scorso dopo l'ispezione nella sede centrale dell'Istituto in via Balbo, a pochi metri dal Viminale: «120 giorni per conferire ai vani scala le caratteristiche di scale a prova di fumo», «180 giorni per realizzare le protezioni, ai fini della resistenza al fuoco, delle strutture portanti della biblioteca», «120 giorni per rendere tutti i serramenti ubicati lungo i percorsi di esodo apribili a semplice spinta».

LA VILLA DI BEPPE GRILLO

A leggere il verbale, i Vigili hanno trovato parecchie cose fuori posto. La stessa biblioteca, dove sono conservati i censimenti dell'Italia post-unitaria, dovrà essere chiusa se il presidente Giovannini non troverà modo di metterla in sicurezza.
E dovranno essere «immediatamente interdetti all'uso» tutti i «corridoi ciechi» che in caso di incendio non offrono vie di fuga: ora ci lavorano più di cento persone. L'Istituto ha deciso di trasferirle in una «sede più adeguata»: l'ex mobilificio Mobilrama sulla via Tuscolana.

2 - TWITTER SERRA I RANGHI
C.S. - Davide Serra, numero uno di Algebris e finanziatore di Matteo Renzi, vive a Londra da anni e su Twitter fatica a trovare una lingua madre. In un cinguettio ha inveito contro la gerontocrazia nostrana, usando una commistione di inglese e italiano: «I 60/80 enni distrutto nostro paese perdono tempo pensando loro "ass" e non hai 20mn che devono competere globalmente (giovani/privati)». E siccome qualcuno deve averne criticato almeno la grammatica, Serra si è infuriato: «Non scrivo/vivo in ITA da 20 anni. Devo pensare in 3 lingue tutti i giorni per lavorare. Se qualcuno FOCUSED grammatica ITA non mi segua pls». Che abbia bisogno di sciacquare i panni in Arno?

3 - MELONI PRO BERSANI
M.Br. - «Nessun governo di inciucio nazionale: a differenza di Berlusconi e del Pdl avremmo appoggiato un esecutivo Bersani su singole iniziative, da parte nostra nessuna pregiudiziale». Giorgia Meloni ci tiene a distinguersi dal Pdl e si lamenta che il suo partito, Fratelli d'Italia, non sia stato sentito da Berlusconi prima dell'incontro con Pier Luigi Bersani. «Macché lista civetta, ci differenziamo talmente tanto che quelli del Pdl ci guardano con sospetto», spiega la Meloni. Ed esclude che il Cavaliere pensi a lei come candidata del centrodestra da contrapporre a Renzi e ne abbia discusso
in un vertice con Ignazio La Russa. «Fantapolitica», replica.

4 - SCHIFANI VOLA BASSO
L.A. - Renato Schifani, ex presidente del Senato, dopo anni di voli di Stato per la prima volta ha preso a Palermo un volo low cost, creando trambusto perché non c'erano posti riservati e al check in non esisteva una corsia preferenziale. I passeggeri abituati a viaggiare in aereo ormai conoscono le regole delle compagnie a basso prezzo.

Giorgia Meloni Renato Schifani

E anche alcuni politici siciliani che accompagnavano il senatore si sono messi in fila, attendendo il turno per il check in. Ma il comandante del Blu-express in servizio da Palermo a Roma è rimasto sbalordito quando gli è stato riferito che Schifani insisteva per avere un posto riservato nella prima fila.

All'ex presidente del Senato è stato spiegato che in questi voli non è prevista l'assegnazione dei posti a bordo perché vige il principio del "free seating", ovvero dalla libera scelta della poltrona: «Chi arriva prima si accomoda». E così l'ex seconda carica dello Stato è stato costretto a sedersi dove gli altri passeggeri imbarcati prima di lui gli hanno lasciato posto.

5 - DESTRA A 5 STELLE
P. Fa. - Schiacciato dal centralismo, lo staff di Casaleggio inizia a perdere colpi. Unica entità col diritto di "certificare" le liste Cinque Stelle, il gruppo fa sempre più difficoltà a controllare le candidature e a respingere infiltrati e riciclati. Con esiti infausti come ad Aprilia (Latina), dove alle politiche il M5S è arrivato primo col 34,5 per cento dei voti. Candidato sindaco, in vista delle elezioni di fine maggio, è stato scelto Andrea Ragusa, fino a pochi anni fa nel direttivo cittadino de La Destra di Storace. A nulla sono valse le proteste con l'invito a rimediare all'errore: «Nessuna retromarcia, si creerebbe un pericoloso precedente», la risposta giunta da Milano. E così fra gli attivisti, oltre al malumore, c'è chi mette in discussione la rigidità del sistema Casaleggio.

GV Ridotte Maria Grazia Cucinotta Giovannini Enrico Istat in collegamento video

6 - CUCINOTTA IN CROCETTA
P.M. - Soltanto lei è riuscita a superare indenne dodici anni di torrida politica siciliana. Da Totò Cuffaro a Rosario Crocetta, passando per Raffaele Lombardo, l'unica pedina intoccabile del potere in salsa sicula è Maria Grazia Cucinotta. Per ogni presidente che arriva sulla poltrona di Palazzo d'Orleans l'attrice, regista e produttrice siciliana è e resta un amuleto.

Il primo cimento della Cucinotta in veste di testimonial politico è stato la realizzazione di un calendario per il Parco delle Madonie. A seguire, nel periodo di governance di Cuffaro e Lombardo, alla Cucinotta sono stati commissionati spot per la tv (alcuni mai mandati in onda) e affidati contributi milionari per realizzare film in Sicilia e in Cina. Adesso il presidente Crocetta l'ha chiamata a far da testimone al Gay Pride di Palermo previsto a giugno, che si potrà svolgere grazie al patrocinio della regione.

7 - BOERI SBARCA A MARSIGLIA
M. S. - Si consola in Francia l'ex assessore Stefano Boeri. Dopo la rottura di un mese fa con il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e lo strascico di polemiche per
la sua cacciata, ritorna al vecchio amore mai abbandonato: l'architettura. Domenica 7 aprile ha inaugurato a Marsiglia insieme al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz "La Villa Méditerranée", un progetto visionario lungo le banchine del porto per il nuovissimo edificio da 7.000 metri quadri sede della regione Provence-Alpes-Côte d'Azur. Così se Milano non vuole Boeri paladino del rilancio della cultura, in Costa Azzurra le sue idee di architetto sono ben accette: Boeri studio ha vinto il concorso internazionale per la progettazione della sede regionale costata 20 milioni di euro.

8 - ALEMANNO HA I SUOI ANGELUCCI
Finanziamenti, accordi e strategie per la campagna elettorale a sindaco di Roma sono stati discussi due settimane fa da Gianni Alemanno, che si ricandida al Campidoglio, con uno dei pezzi grossi del Pdl, Denis Verdini e con l'imprenditore Giampaolo Angelucci. Lo hanno fatto durante una cena molto riservata che si è consumata nella saletta, a riparo da occhi indiscreti, del ristorante Assunta madre di Johnny Micalusi in via Giulia a Roma.

GIampaolo Angelucci Stefano Boeri Assessore cultura

Giampaolo Angelucci, editore, re delle cliniche private, immobiliarista e figlio di Antonio, deputato del Pdl, è molto amico di Verdini tanto che gli ha prestato diversi milioni di euro per salvare il suo patrimonio. Su Verdini sono in corso diverse inchieste da Firenze a Roma. Giampaolo Angelucci è stato condannato dal tribunale di Bari a tre anni e sei mesi di reclusione perché riconosciuto colpevole di corruzione e illecito finanziamento ai partiti, in concorso con l'ex ministro del Pdl Raffaele Fitto: è stato anche interdetto per cinque anni dai pubblici uffici. Sempre i giudici hanno anche disposto la confisca di beni per oltre 6 milioni di euro al gruppo Tosinvest di Angelucci. Che adesso sembra pronto ad appoggiare, anche economicamente, la candidatura di Alemanno.L.A.

9 - AMNESIE DA CARDINALE
B.C. - Il governo conferisce la massima onorificenza al merito per la Sanità pubblica a Paolo Giaccone, il medico legale palermitano assassinato dalla mafia nel 1982 per non aver voluto "coprire" le vere cause di un delitto. Peccato che i figli della vittima non ne sappiano niente, e ne siano venuti a conoscenza solo dai giornali.

La gaffe è del sottosegretario alla Salute, il radiologo palermitano Adelfio Elio Cardinale: secondo la figlia di Giaccone, Milly, il sottosegretario non avrebbe né informato i familiari del conferimento alla vittima di Cosa nostra della medaglia d'oro al merito alla memoria, né li ha invitati alla cerimonia di consegna. Alla quale la figlia di Giaccone non parteciperà: «A ritirare la medaglia andrà il preside della facoltà di Medicina di Palermo».

10 - SERVIZI SENZA CONTROLLO
C'è un baco nella legge del 2007 che ha riformato i servizi segreti, dal momento che, nel passaggio tra una legislatura e l'altra, non prevede alcuna proroga all'attività del Copasir, il comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti. Una falla emersa in tutta la sua evidenza proprio nel corso delle ultime settimane quando, nel pieno dell'imbarazzante scontro diplomatico con l'India per la vicenda dei due marò, il Parlamento ha potuto solo ascoltare le informative dei ministri Terzi e Di Paola (con le inattese dimissioni del titolare della Farnesina) senza poter in alcun modo audire i rappresentanti dell'intelligence.

DAVIDE SERRA gianni alemanno

Il Copasir non può essere composto se non si forma il governo e non si stabilisce chi farà parte dell'opposizione che dovrà esprimere il presidente. Ciò malgrado la legge preveda all'articolo 30 che «i membri del Copasir sono nominati entro venti giorni dall'inizio della legislatura dai presidenti delle Camere» e che lo stesso comitato «verifica, in modo sistematico e continuativo, che l'attività del Sistema di informazione per la sicurezza si svolga nel rispetto della Costituzione, delle leggi, nell'esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni». Una falla che il vicepresidente uscente dello stesso Copasir, il senatore del Pdl Giuseppe Esposito, intende ora colmare con un apposito disegno di legge.L.I.

11 - GRILLO A PASSO CARRABILE
V. C. - Nota per decenni solo ai cultori di Fabrizio De André, che la cita in Bocca di Rosa, improvvisamente il 25 febbraio Sant'Ilario è stata scoperta dai cronisti di mezzo mondo: la nuova Arcore della politica italiana rispetto all'originale ha il vantaggio di un'ineguagliabile bellezza, ma lo svantaggio della scomodità. L'estrema frazione del Levante genovese dove risiede Grillo, infatti, è abbarbicata su un impervio poggio Liguria style.

Per raggiungerla occorre avventurarsi lungo una strettissima salita, ma un buon numero di ville vip sono raggiungibili solo percorrendo creuze, ovvero mattonate pedonali. Nel 2011 la giunta Vincenzi ha esaudito i facoltosi residenti deliberando, in barba a una mezza dozzina di vincoli ambientali e paesaggistici, di tracciare una strada carrabile che taglierebbe in due il podere Costigliolo, ovvero le meravigliose terrazze ricche di essenze dove dal 1882 fanno pratica gli allievi dell'istituto agrario Marsano.

L'opposizione al progetto, partita da docenti, agronomi, ambientalisti e da alcuni residenti vip come il giornalista del "Fatto" Ferruccio Sansa, figlio dell'ex sindaco Adriano, è diventata una battaglia del M5S genovese. Grillo? Non pervenuto: forse per non macchiarsi dell'odiato conflitto di interessi.

 

 


IL CINEMA DEI GIUSTI: LA FANTA-COMMEDIA DI CORSICATO TRA ALMODOVAR E MARIA DE FILIPPI

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Marco Giusti per Dagospia

Boom! Quando un film inizia con cesso che vola in aria e finisce con un altro cesso che esplode facendo saltare la madre superiora Iaia Forte con una fuoriuscita di merda che si espande a una diretta tv non può essere del tutto sbagliato. Sia come sia.

LAURA CHIATTI CHIATTI

Fischiato o amato, raffinatissima parodia dell'arte estrema di una Orlane e delle dirette di una D'Urso o di una De Filippi, "Il volto dell'altra", la commedia fantasy firmata da Pappi Corsicato e prodotta da Tilde Corsi e Gianni Romoli è un gran divertimento camp con punte totalmente trash. Segnatevelo. Laura Chiatti ("ballerine? Mai, preferisco che mi tolgano un rene!") è Bella, una icona televisiva alla Simona Ventura che, d'accordo col marito chirurgo plastico, uno strepitoso Alessandro Preziosi biondo, cinico e vanesio, decide di fingere di aver perso il volto alla Franju-Almodovar per fregare l'assicurazione e proporre come show da prima serata tv la sua operazione plastica.

il volto di un altra di pappi corsicato il volto di un altra laura chiatti alessandro preziosi

In realtà, il cesso che per sbaglio le ha tirato addosso il bel Tru Tru, Lino Guanciale, non le ha fatto nulla. La obbligherà però a rimanere rinchiusa per giorni e giorni nella clinica del Trentino (sponsor... Sob) del marito assieme a una massa di vecchie pronte a farsi operare per sembrare più giovani e belle.

il volto di un altra pappi corsicato CHIATTI NEL NUOVO FILM DI PAPPI CORSICATO

Pappi non si fa mancare nulle. Balletti delle infermiere e numeri della squadra della manutenzione di Tru Tru, Rosalina Neri, la vecchia finta Marilyn milanese degli anni 60, Franco Giacobini e Angela Goodwin che vendono animali impagliati, un percorso musicale che recupera capolavori come le colonne sonore di "Per un pugno nell'occhio", "Totò e Cleopatra", "Sartana non perdona", effetti visivi da tv anni 80. Laura Chiatti è la sua star perfetta, bionda e bella, svalvolata e cheap quanto basta per farci esaltare. Ben vengano fischi, pernacchie e commenti tremendi, Pappi se la spassa. Un film di totale libertà creativa. Di questi tempi... In sala dall'11 aprile.

 

QUEL GOVERNO ANDREOTTI CHE NEL ’76 ANDÒ DI TRAVERSO AGLI USA

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Paolo Forcellini e Stefania Maurizi per "L'Espresso"

ALDO MORO E ENRICO BERLINGUER PROVE DI COMPROMESSO STORICO FOTO ANSA

Lo scorso 8 aprile, parlando della necessità di «larghe intese» per uscire dallo stallo politico, Giorgio Napolitano ha rievocato la strategia berlingueriana del compromesso storico tra Partito comunista e Democrazia cristiana negli anni Settanta. È una delle ironie della storia vedere come il tempo ha rovesciato le carte della politica italiana in una sorta di gioco di specchi.

berlinguer moro

Napolitano, il comunista a cui oltre trent'anni fa gli americani negarono il visto di ingresso negli Usa, per evitare di dare «un attestato di rispettabilità» al Pci, oggi non solo è l'italiano più amato dalla Casa Bianca, ma è anche il grande sponsor di un possibile compromesso, simile a quello inviso agli americani ai tempi di Richard Nixon, Gerald Ford e del potente segretario di Stato Henry Kissinger.

A confermare l'opposizione netta a un accordo tra la Dc e il partito di Berlinguer, rivelando anche i retroscena delle mosse diplomatiche americane, sono i "Kissinger Cables" di WikiLeaks , appena pubblicati dall'organizzazione di Julian Assange e ai quali "l'Espresso" ha avuto accesso esclusivo per l'Italia in collaborazione con "Repubblica".

ALDO MORO E GIULIO ANDREOTTI

DC MALE ORGANIZZATA
È il 5 dicembre 1973 e il segretario della Dc, Amintore Fanfani, si reca per una «lunga colazione di lavoro» alla residenza pariolina dell'ambasciatore americano, John Volpe, che il giorno successivo trasmette alla segreteria di Stato un resoconto del colloquio. Fanfani gli è apparso «ragionevolmente soddisfatto» riguardo alla compattezza della coalizione di centrosinistra guidata da Mariano Rumor, ma non fa mistero dello stato pietoso in cui si trova la Dc.

ffni50 andreotti colombo napolitano

«Fanfani ha descritto la disorganizzazione come incredibile», scrive Volpe, «ha parlato di "disintegrazione" dell'organizzazione, una cosa che lui trova patetica, considerato che stiamo parlando del più grande partito italiano». E gli americani sanno bene cosa intende dire Fanfani. I cablo di quegli anni registrano che la diplomazia Usa assiste preoccupata e a tratti spazientita alle lotte interne di quel partito che vorrebbe vedere rigenerato, attivo e dotato di iniziativa contro un Pci che s'ingrossa, cresce in voti, prestigio e legittimazione.

Henry Kissinger

Invece no, la Dc è dilaniata dai contrasti tra correnti e da un'incapacità di promuovere perfino le cose buone che ancora ha. Per esempio, un apparato meno elefantiaco del Pci, nonostante l'immagine pubblica di quest'ultimo sia nettamente migliore. La Dc, spiega Fanfani, dispone di un numero di funzionari di gran lunga inferiore a quello del Pci. Nella sola Emilia i comunisti hanno 250 dipendenti pagati contro i circa 500 della Dc nell'intera Italia. Eppure i democristiani arrancano rispetto a quel Pci vitale, proiettato in avanti. Troppo avanti per gli americani.

CASA BIANCA

Sono preoccupati, ma con Fanfani vanno sul sicuro. L'ambasciatore nota che «riguardo all'offerta del Pci di un "compromesso storico", come è chiamato il più recente tentativo dei comunisti di infilarsi nel governo, Fanfani ha detto che il suo partito rimarrà fermamente contrario. Ovviamente il Pci offrirà la "carota" della collaborazione, riservandosi il "bastone" di possibili pressioni da parte del sindacato». Ma il leader dc è netto, come piace agli americani: «In un futuro prevedibile, il partito non entrerà in nessun compromesso con i comunisti».

mo amintore fanfani 1964

SINDROME CILENA.
L'allarme americano per un possibile ingresso dei "rossi"nelle stanze dei bottoni si era intensificato enormemente subito dopo le famose tre articolesse pubblicate su "Rinascita" dal segretario di Botteghe Oscure. Il 28 settembre, il 5 e il 12 ottobre del '73, il già carismatico Berlinguer (di fatto aveva preso il posto dell'infermo Luigi Longo fin dal 1969) dà alle stampe, sul settimanale ideologico del Pci, le sue riflessioni sui "fatti cileni", vale a dire sul golpe con cui i militari del Paese latino-americano, con il decisivo contributo dei servizi segreti Usa, deposero il legittimo "compañero presidente" Salvador Allende, socialista-marxista, e lo indussero, probabilmente, a togliersi la vita.

Il segretario comunista conclude la sua analisi sostenendo che sarebbe stata temeraria la conquista del potere in Italia da parte della sinistra con il 51 per cento dei consensi elettorali. Una strategia del genere avrebbe esposto il Paese a rischi di tipo cileno: ingovernabilità, guerra civile, golpismo militare. La via maestra era invece quella della «collaborazione delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica». Per dirla con una sintesi più efficace il leader sardo coniò la formula del "compromesso storico".

L'uscita di Berlinguer su "Rinascita" viene prontamente riferita dall'ambasciata di Roma al Dipartimento di Stato, segnalando come il segretario abbia «inequivocabilmente rinunciato alla strategia dell'"unità della sinistra" in favore di una spinta molto più promettente nel lungo termine per un grande compromesso storico con la Dc».

Nel novembre del '74 Mariano Rumor lascia la poltrona di premier ad Aldo Moro, sostenuto da un monocolore dc. Gli americani si chiedono se il cambiamento rappresenti, almeno in prospettiva, un avvicinamento dei comunisti al governo. Volpe, con un cablo del 25 novembre spedito a Washington e a numerose sedi diplomatiche americane nel mondo, rassicura i suoi: «Il quarto governo Moro non rappresenta né uno scivolamento verso la sinistra né verso la destra».

È vero che nell'esecutivo figurano personaggi che non entusiasmano la Casa Bianca, come Donat Cattin «non ricettivo verso i bisogni delle compagnie petrolifere americane che operano in Italia, in tema di prezzi», ma complessivamente gli Usa sembrano rassicurati, anche perché «la squadra economica del governo promette bene», scrivono nei loro dispacci diplomatici.

Benigno Zaccagnini

Quest'ultima è una valutazione della massima importanza, considerata la situazione economica del momento. Proprio la crisi, in quegli anni, era tale da rendere l'ipotesi di un avvicinamento dei comunisti al governo ancora più credibile. La classe politica che era stata al potere da Alcide De Gasperi in poi non era più in grado di "governare" l'insoddisfazione sociale e le spinte "corporative", se non assecondandole con la dilatazione della spesa pubblica (fra il 1971 e il 1975 passata dal 41,2 al 61,3 per cento del Prodotto interno lordo che, proprio nel '75, per la prima volta dal dopoguerra registrava una variazione negativa) e lasciando briglia sciolta all'inflazione.

L'ONESTO ZAC FA PAURA
È con Moro al governo che le preoccupazioni degli Usa per l'ingresso dei comunisti nel governo crescono esponenzialmente, come i cablo di WikiLeaks documentano in modo puntuale. Aldo Moro? «È da tempo convinto che il Pci alla fine entrerà nella maggioranza», sussurra agli americani il compagno di partito Flaminio Piccoli, aggiungendo che Moro «crede che il suo ruolo sia quello di fare in modo che questo accada con il minor trauma possibile».

Quanto a Benigno Zaccagnini è sì un uomo onesto, che potrebbe rinnovare la Dc, ma è uno «che crede nel profondo del cuore che la Dc debba accettare il Pci nella maggioranza. Il segretario dello scudocrociato sta cercando di dare alla sinistra della Dc il controllo del partito», insiste Piccoli.

Un peccato per gli americani, perché di Zaccagnini dimostrano di avere una grande considerazione: «Una nota non ufficiale presente nei dossier di questa sede diplomatica», scrivono, «parla di lui come dell'italiano più profondamente integro che l'ambasciata abbia mai conosciuto». Sarebbe perfetto, dunque, per«cambiare l'immagine pubblica della Dc come partito di vecchi stanchi e (spesso) corrotti politici, incapaci di offrire un governo efficace all'Italia».

Il problema, però, è che Zaccagnini è «molto legato a Moro». Sono le elezioni regionali del 1975 a far scattare l'allarme rosso. La Dc perde una fetta consistente di voti, mentre il Pci balza a oltre il 33 per cento. Enrico Berlinguer e la sua strategia sono sempre più un problema. «Si prende il merito totale di aver dato vita e alimentato la linea politica del partito, ovvero la strategia del compromesso storico, che ha contribuito al più grande guadagno elettorale del Pci nel dopoguerra, attirando una massa di elettori per i quali nel passato sarebbe stato inconcepibile votare per il Pci», registrano gli americani.

Né li rassicurano le conversazioni confidenziali con le loro gole profonde nel mondo della politica italiana, dei giornali e degli affari. Nessuno mette in dubbio le credenziali democratiche del Pci. Neppure un anticomunista a 24 carati come Indro Montanelli. «I Berlinguer e gli Amendola sono sinceri nel volere evitare un comunismo di tipo sovietico in Italia», spiega il grande giornalista, «dopotutto loro ne sarebbero le prime vittime. E loro lo sanno. Ma una volta al potere, (i comunisti italiani) sarebbero impotenti», ragiona Montanelli, «Berlinguer non sarebbe più in grado di dire a Mosca e agli estremisti del suo stesso partito che lui deve attenersi alle regole democratiche».

IL SINCEROMETRO
Tanti contatti eminenti degli Usa in Italia credono nella «buona fede democratica di Berlinguer», ma fanno la stessa analisi. Anche Gioacchino Albanese, uomo vicinissimo al grande burattinaio della finanza italiana, Eugenio Cefis. Perfino i gesuiti di padre Bartolomeo Sorge.

Ma, più realista del re, il grande esponente della realpolitik americana, Kissinger, conclude: non ha senso chiedersi quanto i comunisti siano sinceri nella loro fede democratica, «non esiste il sincerometro diceva Lenin».

Né rassicurano il potente segretario di Stato americano le uscite di Berlinguer sulla Nato o il fatto che i comunisti procedano con un cammino graduale di avvicinamento al governo, anzi questa cautela allarma ancora di più Kissinger, convinto che «la reazione internazionale sarebbe probabilmente il mutismo se il Pci aumentasse il suo ruolo in maniera solo graduale e se la Dc rimanesse il leader nominale della coalizione».

È fondamentale per la diplomazia Usa che il Pci non ottenga «le tre benedizioni» che cerca disperatamente, come scrivono gli americani: quella del popolo italiano, che purtroppo sembra già avere incassato, perché «una larga fetta della popolazione accetta le affermazioni del Pci riguardo alle sue credenziali democratiche»; quella del Vaticano e quella degli Stati Uniti.

Benedizioni che gli americani sono determinati a evitare assolutamente, rassicurati dalla fermezza della Santa Sede che «di fronte all'avanzata dei comunisti, si è scossa dalla sua passività nei confronti del Pci». Di sicuro un baluardo fortemente anticomunista su cui puntano gli americani è Comunione e liberazione fondata da don Giussani. A lui il console Usa di Milano arriva a chiedere: «Come possiamo darvi una mano?». Risposta: «Aiutate il Movimento unitario popolare di Roberto Formigoni, don Angelo Scola e Santo Bagnoli della Jaca Book».

Tutto il lavorìo americano di quegli anni subirà però una pesante battuta d'arresto nell'estate del 1976 con il varo del monocolore Andreotti favorito dall'astensione determinante del Pci. Tanto da essere ribattezzato «il governo delle astensioni».

 

 

MARCO DE BENEDETTI TWEET: ‘È IL RISULTATO DI UNA GESTIONE FALLIMENTARE DI TELECOM ITALIA’’

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MARCO DE BENEDETTI TWEET
@debenedettimrco

itl14 marco de benedetti paola ferrari

Perchè nessuno dice la verità: è il risultato di una gestione fallimentare di Telecom Italia.

Consiglio un corso base di Governance!!!! Ridicoli Telecom, Un comitato al fianco di Bernabè

marco de benedetti e martina mondadori

La scellerata acquisizione delle minoranze TIM da parte di Telecom è all'origine dei problemi attuali


2. TELECOM, BERNABÈ PRENDE TEMPO SUL DOSSIER 3 ITALIA
Antonio Vanuzzo per www.linkiesta.it

Quinto Fabio Massimo, detto "temporeggiatore", intorno al 200 a.C. riuscì a sconfiggere Annibale sfiancandolo con repentini attacchi e lunghe attese. Chissà se Franco Bernabè, presidente di Telecom, ha mai pensato di emularne le gesta. Dopo sei ore di riunione dove, a detta del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, non c'è stata tensione, il cda dell'ex monopolista ha affiancato a Bernabè un comitato di quattro saggi: Julio Linares per conto di Telefonica, Elio Catania - presidente del comitato per il controllo e rischi vicino a Intesa Sanpaolo - il presidente di Generali, Gabriele Galateri di Genola, e infine l'indipendente Luigi Zingales, allo scopo di «verificare entro tempi ristretti l'interesse della Società alla prosecuzione del percorso» di integrazione con 3 Italia.

Franco Bernabè

Sfiduciato a mezzo stampa pure da Marco Fossati, primo azionista al 5% che sostiene Telecom «si meriti una gestione migliore», Bernabè - in scadenza di mandato l'anno prossimo - avrebbe tirato fuori dal cilindro l'amicizia con il 12mo uomo più ricco del pianeta, Li Ka Shing, per provare a riformulare l'azionariato della società. D'altronde tutti i soci di Telco (Telefonica, Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali) bramano dividendi cospicui per rientrare dell'investimento, del prestito soci, delle ricapitalizzazioni della holding. E le compagnie di Tlc necessitano di investimenti per decine di milioni di euro.

Ai prezzi correnti, per salire al 29,9% aggirando Telco e l'obbligo di Opa, l'esborso del gruppo Hutchinson Whampoa - che ha cassa per 12 miliardi - sarebbe di 2,3 miliardi. Al contrario, con il conferimento di 3 Italia, l'esborso sarebbe soltanto carta contro carta. Su quest'ultimo aspetto, nella nota diffusa a mercati chiusi la società ha spiegato che il percorso di integrazione avverrebbe «eventualmente mediante conferimento o fusione per incorporazione, che il gruppo Hutchison Whampoa ha condizionato, tra l'altro, all'acquisizione di un'ulteriore quota azionaria in Telecom Italia, tale da farne l'azionista di riferimento della Società».

GABRIELE GALATERI DI GENOLA AL NUOVO MESSAGGERO FOTO OLYCOM

Secondo quanto risulta a Linkiesta, ciò che fa gola ai cinesi sono gli asset italiani, e dunque l'infrastruttura di rete dell'ex monopolista. Non a caso, recita ancora il comunicato, «il Consiglio di Amministrazione ha altresì deliberato di dare mandato al management a definire il percorso operativo di fattibilità per la separazione della rete di accesso».

Un percorso già avviato nei mesi scorsi con la Cassa depositi e prestiti poi congelato dallo stallo politico e dal rinnovo dei vertici di via Goito, che però ora potrebbe subire un'accelerazione. Fonti vicine all'ente guidato da Franco Bassanini fanno sapere che sicuramente l'arrivo di un proprietario membro di un Paese non Ocse porrebbe due problemi: la strategicità e l'italianità dell'infrastruttura di rete, che Telecom valuta 13-15 miliardi di euro.

A intricare ulteriormente la matassa c'è un'altra questione: tramite il Fondo strategico italiano, la Cassa depositi e prestiti è azionista al 4,48% del Leone di Trieste, dopo il conferimento della quota di Banca d'Italia a seguito dell'incorporazione dell'Ivass, l'authority di vigilanza sulle assicurazioni, per evitare conflitti d'interesse. A sua volta, Generali è al 30,58% di Telco.

PATUANO

Teoricamente, pur iscrivendo a bilancio una minusvalenza - che il mercato già sconta - se il numero uno della compagnia assicurativa, Mario Greco, decidesse di vendere, il titolo potrebbe beneficiarne. E dunque fare il gioco di Fsi, che si è impegnata a dismettere la partecipazione entro il 2015 retrocedendo a Palazzo Koch, «sotto forma di dividendi delle azioni privilegiate, le eventuali plusvalenze calcolate come differenza tra il valore dell'azione a fine 2012 (ultimi 5 giorni di negoziazione) e il valore di conferimento». Certo, esprimendo il voto a favore della lista di minoranza presentata da Assogestioni, il Fondo strategico non dovrebbe influenzare le decisioni del management di Generali in merito a Telco.

Secondo alcune interpretazioni che circolano sul mercato, a differenza dell'interesse di Sawiris, respinto e utilizzato per far pressione sulla Cdp per lo scorporo, i soci che non hanno risorse (Mediobanca) e probabilmente interesse (Generali) per ricapitalizzare la società guarderebbero con attenzione all'integrazione con 3 Italia, anche alla luce del tesoretto fiscale che deriva dalla deducibilità degli 8,6 miliardi di perdite accumulate dalla società guidata da Vincenzo Novari. I nodi da sciogliere, regolatori e finanziari, sono pressoché insormontabili, a breve termine.

Da qui la strategia di Bernabè in versione temporeggiatore, sfumata l'ipotesi di essere chiamato da Bersani sulla poltrona di Corrado Passera allo Sviluppo Economico. Ricapitolando: i cinesi vogliono il controllo, e la marginalità di Telecom deriva ancora dalla rete. Difficile, dicono gli esperti, che diventino azionisti di minoranza di una società stile Openreach, così com'è difficile che un'infrastruttura strategica possa passare agevolmente di mano, tanto più in una fase d'incertezza politica. Vendere la rete abbatterebbe il debito, ma senza rete rimane l'elevata marginalità, anche se in calo sul 2011, di Brasile e Argentina. A dispetto dei mal di pancia, ai grandi soci Bernabè il temporeggiatore fa ancora comodo.

 

LA GRAZIA “POLITICA” DI NAPOLITANO AL COLONNELLO USA…

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Giorgio Napolitano

Marco Travaglio per L'Espresso

Mi chiama, con l'aria di Pierino che fa la spia, un notissimo costituzionalista stupefatto per la grazia concessa dal presidente Napolitano al colonnello Usa Joseph Romano (condannato nel settembre scorso dalla Cassazione a 7 anni per il sequestro Abu Omar). E mi mette una pulce nell'orecchio: «Si legga la sentenza della Consulta del 3 maggio 2006 sul conflitto Ciampi-Castelli a proposito della grazia a Bompressi, e ne tragga le conseguenze. Io non le dico altro».

Marco Travaglio

La sentenza, firmata da Alfonso Quaranta, contiene spunti interessanti. Soprattutto due aggettivi, ripetuti più volte, sulla grazia presidenziale: «umanitaria» ed «eccezionale» (trattandosi di una deroga al principio di uguaglianza, la prassi vuole che arrivi a debita distanza dalla sentenza, onde evitare che suoni come una sconfessione del lavoro dei giudici). E una chiara distinzione fra atto "politico" e gesto "umanitario".

ABU OMAR

Non è questione di lana caprina: il Presidente non ha alcun «potere personale», ma esercita ogni funzione «a nome dello Stato», dunque non è responsabile dei propri atti, che necessitano sempre della controfirma di un membro del governo. Nel 2005 il presidente Ciampi chiese al guardasigilli Castelli di istruire la pratica per la grazia a Bompressi (condannato a 22 anni per il delitto Calabresi e ammalatosi dopo aver scontato parte della pena), ma Castelli rifiutò.

Allora Ciampi sollevò conflitto di attribuzioni alla Consulta per dirimere una volta per tutte il dilemma del vero titolare del potere di grazia. La Consulta sorprese molti costituzionalisti e gli diede ragione. Ma, per farlo, circoscrisse la grazia nei limiti dettati dallo stesso ricorso di Ciampi: un atto ispirato a una «ratio umanitaria ed equitativa» volto ad «attenuare l'applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale».

NICOLO POLLARI NICOLO POLLARI

Se - riassumeva la Corte - la grazia «esula da ogni valutazione di "natura politica"», è «naturale» attribuirla «al Capo dello Stato "quale organo rappresentante l'unità nazionale", nonché "garante super partes della Costituzione"».

In definitiva, «il potere di grazia risponde a finalità essenzialmente umanitarie» per «attuare i valori costituzionali... garantendo soprattutto il "senso di umanità", cui devono ispirarsi tutte le pene... non senza trascurare il profilo di "rieducazione" proprio della pena». Il tutto, a patto che la grazia resti «contenuta entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria», per non violare «il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione».

Di qui la raccomandazione a non deragliare dalla «funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria». Meglio che a valutarle sia una figura terza come il Capo dello Stato, anziché un organo politico come il governo, che non deve impicciarsi nelle sentenze dei giudici.

Marco Mancini

Confrontiamo ora questi princìpi inderogabili con la grazia di Napolitano allo spione americano condannato per il sequestro e la deportazione di Abu Omar da Milano ad Aviano a Ramstein e infine al Cairo, dove lo sceicco fu torturato per mesi. Il colonnello Romano è latitante dal 2007, non ha mai fatto un giorno di galera né mai lo farà, perché ben sei ministri della Giustizia italiani, di destra, di sinistra e tecnici, hanno rifiutato di inoltrare i mandati di cattura internazionali per lui e i 27 uomini Cia che parteciparono al rapimento.

Dunque la grazia, oltre a suonare come un'aperta sconfessione della condanna (emessa appena sette mesi fa), non può avere alcuno scopo umanitario per lenire una pena detentiva (inesistente). E infatti il Quirinale, nel suo lungo comunicato, la spiega con la necessità di «ovviare a una situazione di evidente delicatezza con un Paese amico»: gli Stati Uniti. Motivi squisitamente diplomatici, dunque politici: proprio quelli che la Consulta, nella sentenza 2006, esclude a priori nell'attribuire al Capo dello Stato e non al ministro l'esclusiva sul potere di grazia.

 

UN CALCIO ALLA SERIE A: CINESI E ARABI NON INVESTONO DA NOI PER COLPA DEI BILANCI SEMPRE PIÙ IN ROSSO

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Gianfrancesco Turano per "l'Espresso"

MORATTI SVENTOLA L INTER

Come ogni anno di questi tempi, una valanga di dati economici si abbatte sui campi spelacchiati, sabbiosi e tinti di spray verde della serie A. Anche quest'anno lo spettacolo della devastazione finanziaria è contemporaneo alla rarefazione, se non alla scomparsa totale, dei club nazionali dalle competizioni europee.

Ma i presidenti della prima divisione, imprenditori dell'entertainment preferito dagli italiani, rimangono concentrati sul rigore che non c'era e sul fuorigioco non segnalato. La moviola, nuovo oppio dei popoli, è il diversivo perfetto.

adriano galliani milan

Eppure le elaborazioni del Report Calcio 2013 preparate dall'abbinata Arel-Price Waterhouse con il patrocinio della Federcalcio, insieme a quelle non meno precise della "Gazzetta dello Sport", dovrebbero provocare un'ondata di dimissioni tra i patroni dello sport più amato. Ma dopo Ratzinger i presidenti non vogliono destabilizzare un'altra area di culto e rimangono saldi al loro posto sulla plancia del Titanic.

La Federcalcio non è da meno avendo appena confermato Giancarlo Abete mentre la Lega calcio, l'assise milanese dove i proprietari possono menarsi e insultarsi senza tema di Daspo, ha ribadito Maurizio Beretta. Nel frattempo, un presidente è finito in galera, il cagliaritano Massimo Cellino, già responsabile del codice etico della Federcalcio.

Dopo avere seguito alcune partite alla radio con gli ultras sotto le mura del carcere di Buoncammino, Cellino, indagato per la gestione dello stadio di Is Arenas, è stato mandato ai domiciliari. Enrico Preziosi del Genoa, invece, il Daspo lo ha subito come pena accessoria per una vecchia condanna penale legata all'illecito con il Venezia del 2005.

DE MAGISTRIS ALLO STADIO CON DE LAURENTIIS

È rientrato allo stadio a febbraio, dopo avere approvato i conti in crisi di una Giochi Preziosi che perde 87 milioni di euro. A dispetto degli allarmi, il Titanic continua a navigare. Questo dimostra che con l'iceberg si può convivere. Basta dribblarlo in tempo. Se no, marcarlo a zona.

PROLOGO CONTABILE MINIMO
Gli ultimi bilanci dicono che la serie A ha 2,8 miliardi di euro di debiti e una posizione finanziaria netta negativa per 1,63 miliardi di euro. Metà di questa somma spetta alle banche.

Le perdite complessive del 2012 sono di 282 milioni (300 nel 2011) nonostante le plusvalenze siano tornate a livelli molto alti, sia quelle reali con esborso di denaro, sia quelle virtuali con passaggi di calciatori valutati «ad minchiam», per dirla con il compianto mister Franco Scoglio.

BALOTELLI milan resize

Il patrimonio netto dei club di prima serie è salito a 287 milioni dai 202 dell'anno precedente. Bisogna ricordarsi che il patrimonio della A è quanto mai volatile, essendo formato da pochi immobili di proprietà (centri sportivi più un solo stadio, quello della Juve) e da centinaia di calciatori che riportano alla questione plusvalenze-minusvalenze.
I soldi, insomma, sono scarsi, costantemente bruciati da perdite o interessi passivi, e le banche esibiscono un catenaccio furibondo per limitare il passivo.

ANDREA AGNELLI ANTONIO CONTE

ANDREA, AURELIO, ADRIANO SI PRENDONO LA A
Le tre squadre in testa al campionato 2012-2013 stanno provando ad abbinare la virtù sportiva a quella economica. La Juve ha accumulato 145 milioni di perdite nel biennio 2010-2012. Ha una semestrale in avanzo per 11 milioni di euro e si aspetta di chiudere l'anno 2012-2013 con una perdita ridotta. Miracoli dello stadio di proprietà? Miracoli dei risultati sportivi e dei ricavi della Champions, la seconda miniera d'oro del calcio dopo i diritti tv. Sul piano dell'immagine, chi perde è sempre antipatico.

Se veste in bianconero, di più, ma quanto meno il presidente Andrea Agnelli ha smesso di comportarsi come Gabriele d'Annunzio con i territori irredenti. Invece di ricorrere a qualunque tribunale per i due scudetti cancellati, vince sul campo e non si svena con il calciomercato. Ancora più ragionevole è il secondo in classifica, Aurelio De Laurentiis. Il suo Napoli ha già una cinquantina di milioni in cassa se, come sembra, venderà Cavani.

JUVENTUS STADIUM

Così potrà superare il suo migliore profitto calcistico (15 milioni di euro nel 2012). Il sacrificio del Matador aiuterà a tamponare la situazione generale della holding Filmauro che ha dovuto annunciare una perdita di 1,2 milioni il 24 dicembre 2012. Un brutto cinepanettone che conferma l'inversione dei pesi all'interno del gruppo De Laurentiis, con il pallone che ha soppiantato i film.

In via Turati, sede del Milan, una possibile perdita di soli 5 milioni di euro nel 2012 è stata salutata con lo stesso trionfalismo della moderata sconfitta di Silvio Berlusconi alle elezioni. L'entusiasmo ha portato la presidentessa in pectore Barbara, first daughter rossonera, a sperticarsi in complimenti per il reggente Adriano Galliani, l'uomo che ha rimpatriato Mario Balotelli. Non ci ha creduto nessuno ma si è capito che lo zio Fester, accolto al Franchi di Firenze domenica scorsa con foto del suo sosia e insulti, è sempre in sella dopo 27 anni.

JAMES PALLOTTA

NON PASSA LO STRANIERO
In Tototruffa Totò e Nino Taranto tentavano di vendere la Fontana di Trevi all'ingenuo italo-americano. All'As Roma un giordano-palestinese con il fratello che vende collanine a Nablus in Cisgiordania (è lui quello ricco) ha tentato di comprare un pezzo della squadra giallorossa da un italo-americano, James Pallotta, che tanto ingenuo non dovrebbe essere, visto che si occupa di hedge-fund. Ovvio che i 50 milioni di euro non c'erano.

Ma perché perdere una buona occasione di spedire sull'ottovolante i titoli di una società quotata? La Consob ha acceso un faro sull'operazione, il solito faro anabbagliante. Pallotta ha commentato: sarà per un'altra volta, e lunedì 8 aprile si è presentato al suo primo derby per sfatare la fama di portajella del suo predecessore Tom Di Benedetto con l'aiuto del romanista Giovanni Malagò, al debutto in tribuna autorità come presidente del Coni.

AL QADDUMI FELPA AS ROMA

Il pareggio con due reti, otto feriti e quattro arresti accontenta solo i delinquenti mentre il presidente laziale Claudio Lotito aggiunge alla vittoria mancata l'ennesima causa di lavoro con un suo dipendente, il fantasista Mauro Zarate.

Altri arabi, sauditi e non giordani, hanno piantato in asso una vecchia volpe degli affari come Maurizio Zamparini, l'uomo che ha assunto 36 allenatori, poi li ha cacciati e, a volte, li ha riassunti per cacciarli di nuovo. La trattativa con il padrone del Palermo non ha avuto seguito forse per timore della retrocessione in B. O forse gli sceicchi non si sono voluti intromettere in un one man show all'italiana. Stare dietro a Zamparini è impossibile.

Deve seguire il suo Movimento per la gente, una jacquerie anti-Equitalia. Deve tenere buoni gli esigenti vip palermitani, dal vicepresidente Guglielmo Micciché, fratello di Gianfranco (Grande Sud) e Gaetano (Intesa San Paolo), al neo-consigliere rosanero Roberto Schifani, figlio dell'ex presidente del Senato, per finire con il nuovo presidente del Senato Piero Grasso, testimone di nozze di Zamparini.

L'attesa di un salvatore straniero ha deluso anche i tifosi dell'Internazionale. In omaggio alla loro denominazione sociale, i nerazzurri avevano annunciato l'ingresso di un gruppo cinese nell'azionariato. Poi quel gruppo è svanito. «La linea è quella cinese», ha ribadito all'inizio di marzo il presidente Massimo Moratti.

«Cerco un socio per costruire lo stadio, al 30, al 40 percento. Io resto, minimo con il 51». Lo stadio nuovo costa 300 milioni di euro, oltre il doppio di quanto prevede di spendere Pallotta a Roma. Entrare nel capitale dell'Inter significa partecipare alla spartizione pro-quota delle più alte perdite finanziarie della serie A.

MAURIZIO ZAMPARINI jpeg

L'ultima semestrale del club milanese, chiusa a dicembre del 2012, fa segnare un rosso di quasi 60 milioni. Nel 2011-2012 le perdite consolidate sono state di 90 milioni e di 91,5 l'anno precedente. Il totale complessivo dell'era di Massimo Moratti, incominciata nel febbraio 1995, ha tagliato il traguardo di 1,5 miliardi di euro di perdite aggregate in poco più di 18 anni. Anche la Saras, le raffinerie quotate dei fratelli Massimo e Gianmarco Moratti, si è allineata alle perdite del club (-90 milioni di euro). Quindi, niente dividendo per rilanciare la squadra e per lo stadio nuovo. I cinesi non vedono l'ora di contribuire.

 

 

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