Michele Anselmi per "il Secolo XIX"
boris il filmChi non è abbonato a Sky probabilmente poco o nulla sa di "Boris", la serie, giunta alla terza stagione, che si diverte a sfottere, con burlona crudeltà, i meccanismi dello showbiz televisivo italiano. Serie "di culto", come s'usa dire oggi, e certo ha rappresentato una boccata d'ossigeno nello stagnante panorama nazionale. Il 1° aprile, e chissà se sarà solo una coincidenza, "Boris" arriva nelle sale in 350 copie in forma di film.
Stessi registi, stesso cast, stessa comicità, ma con un altro obiettivo: mettere alla berlina il mondo del cinema, sia quello alto sia quello basso, insomma "Gomorra" e "Natale in Sudafrica". Funzionerà sul piano commerciale? Probabilmente sì, perché "Boris", dal nome del pesciolino rosso portafortuna così battezzato in onore del tennista Boris Becker, ha molte qualità per imporsi, anche per farsi amare.
boris il filmSuccede infatti che, di colpo, una certa cine-comicità abbia mostrato le rughe. Il cinepanettone, è parso improvvisamente vecchissimo, stantio, indigeribile. Pure i suoi derivati: dopo dieci giorni di programmazione, "Amici miei. Come tutto ebbe inizio" ha superato a stento i 3 milioni di incasso. Vale anche per altri. "Manuale d'amore 3" di Veronesi non arriverà a 7; e intanto i fratelli Vanzina registrano la batosta più bruciante: "Sotto il vestito niente. L'ultima sfilata" galleggia a 280 mila euro, un disastro.
boris il filmGli spettatori sembrano essere stufi di rifacimenti, antefatti, seguiti, numeri 2 e 3, dittici, omaggi, ripescaggi. Con il rischio, dopo l'exploit dei mesi scorsi di una certa commedia in buona misura sganciata dalla realtà, che una gran noia prenda il sopravvento.
"Boris. Il film" è un piccolo ma gustoso antidoto a questo senso di tedio.
Non il capolavoro di cui si parla, eppure sfodera una perfidia ben temperata, a tratti oltraggiosa, volendo anche un senso del tragico intonato ai tempi attuali. Di sicuro una novità salutare, condita da un marketing aggressivo e mirato, teso a creare l'evento. Resta la domanda. Nel passaggio dal piccolo al grande schermo, le platee risponderanno con curiosità?
Vero è che i tre autori-registi, cioè Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, sanno come rinnovare il teorema alzando il tiro. "Il cinema italiano è, forse, un'oasi di libertà. Ma riesce ancora a produrre un visione critica? Incombe la maledizione di un Paese chiamato Italia, che ama i furbi e i cialtroni e non premia certe malinconiche seriosità" scrivono sulle note di regia.
MATTEO GARRONELoro cercano "il senso del tragico dentro la risata", per questo "Boris" se la piglia, soprattutto, con l'estetica e la filosofia dei cinepanettoni. Il rischio è di arrivare fuori tempo massimo, adesso che le farsacce natalizie con De Sica e compagnia bella stanno boccheggiando, insidiate dai nuovi comici alla Checco Zalone e dalle rimasticature esangui di Fausto Brizzi. Il quale, pur non citato sui titoli di testa, partecipa idealmente al film prodotto dalla società Wildside fondata insieme a Lorenzo Mieli e Mario Gianani.
E tuttavia "Boris" fa ridere, in alcuni episodi anche parecchio. Sarà perché, recuperando l'intero cast della serie, a partire dal bisbetico regista René Ferretti incarnato da Francesco Pannofino (la voce di George Clooney) senza dimenticare la diva bizzosa Corinna Negri cesellata da Carolina Crescentini, il film si propone come un affresco feroce sul peggio dello spettacolo.
Margherita BuyMagari bisogna essere dell'ambiente per cogliere tutti i riferimenti cattivelli e le strizzatine d'occhio, le citazioni e i sarcasmi. Sicché se la parodia dei cinepanettoni, in un tripudio di peti, rutti e calci nei santissimi trasportati al Polo Nord o addirittura nello spazio, è abbastanza scontata, persino ripetuta nell'epilogo amarognolo, più spassoso è lo sfottò di un certo cinema "di sinistra", di impegno civile, da salotto democratico.
A finire nel tritacarne satirico sono, tra i tanti, Margherita Buy, Valeria Golino, Matteo Garrone, Mimmo Calopresti, Rulli & Petraglia, e poi certi produttori incolti, certi sceneggiatori sfaccendati e progressisti che sfruttano giovani colleghi pagati in nero, certi direttori della fotografia e scenografi così pieni di sé da risultare odiosi, certi attori di teatro che scoprono i vantaggi del nazionalpopolare.
Uno, chiaro riferimento al Massimo Ghini dei cinepanettoni, teorizza: "Ho fatto Ronconi, ho fatto Sorrentino. E mo' ho fatto i soldi".
Sandro PetragliaIn effetti, non ci sono sconti per nessuno. Nicola Piovani, prestandosi allo scherzo, fa se stesso che mette in palio l'Oscar per pagare i debiti di gioco. Fioccano battute pesanti nei confronti di Raicinema, che produce, soprattutto di Medusa, il cui numero 5 è rappresentato come una scimmietta. Il funzionario di viale Mazzini interpretato da Antonio Catania grida: "Questo Paese ce l'ha la concorrenza, la concorrenza siamo sempre noi".
MASSIMO GHINI - copyright PizziSi ironizza su Walter Veltroni e Gianfranco Fini. L'esegesi teorica del cinepanettone prende le mosse da una celebre frase di Berlusconi: "L'Italia è il Paese che amo". Nulla si salva. Neanche Papa Ratzinger da giovane ripreso al rallentatore in una fiction mentre ruzzola su un campo; o "La Casta", il fortunato libro-inchiesta che fungerà da spunto per un film engagé, di forte impatto sociale, destinato a decomporsi in farsa scorreggiona strada facendo. Frase-clou, che torna anche nella canzone di Elio e le Storie Tese "Pensiero stupesce": "La nostra casa è la tv. È come la mafia, non se ne esce se non da morti". Già.
2v09 christian desicaPer la cronaca, durante l'anteprima romana del film al cinema Adriano, un blitz dei giovani precari del comitato "Il nostro tempo adesso" ha ravvivato la conferenza stampa che sonnecchiava un po' per i troppi complimenti all'intero cast salito sul palco. I giovani hanno preso la parola a sorpresa, invitando tutti i presenti alla manifestazione nazionale del 9 aprile.
GIANFRANCO FINI WALTER VELTRONISembrava quasi una scena del film. "Siamo qui perché "Boris" rappresenta perfettamente la difficile condizione di tanti giovani precari, stagisti e ricercatori. Sostenete la nostra battaglia". Invito raccolti dagli autori che si sono prestati ad assecondare la protesta, raccogliendo i cartelli gialli dei precari. Uno dei quali recitava, prendendo spunto dal film: "Siamo tutti stagisti schiavi".