DAGOREPORT
Aridaje con la "macchina del fango".
Stavolta è l'improvvido Massimo Giannini, vice direttore de "la Repubblica", a chiamare in causa Dagospia a proposito della Grande Guerra che si sta combattendo a Trieste sulla pelle del Leone delle "Generali".
Eccoci, dunque, ancora una volta accusati (a sproposito e senza prova alcuna, ovviamente) di roteare nell'orbita delle varie P4. Al solo scopo di compiacere, a quanto pare, il solito Gerovital Geronzi. E chissà quale altro Potere Marcio. Almeno questo si legge in un passaggio della sconcertante artico(lessa) di Giannini. Due paginate apparse sabato 26 marzo sul quotidiano diretto da Ezio Mauro.
MASSIMO GIANNINI EUGENIO SCALFARIStavolta, però, non ce la sentiamo d'infierire più di tanto sul povero Max Giannini. Innanzitutto per una sorta di rispetto (professionale) nei confronti del padre fondatore del giornale, Eugenio Scalfari. Per anni, prima al glorioso settimanale l'Espresso poi a "Repubblica", non c'era inchiesta della gagliarda equipe giornalistica guidata da Barbapapà che non fosse accompagnata dal sospetto (errato), da parte dei patiti di governo e dei padroni del vapore, che dietro ci fosse una qualche Spectre. O un gruppo occulto di potere. Della serie, insomma, chi li paga e chi li imbecca.
EZIO MAUROGià, ancora non era stata inventata la meravigliosa "macchina del fango" cara a Max Giannini. E a tanti altri giornalisti della sua tempra(dura). I quali, forse, ancora non si sono resi conto che nell'era di Internet il privilegio della "libertà di stampa non può essere garantito solo da coloro che la possiedono". Come già aveva osservato profeticamente il grande giornalista americano, Abbot J.Liebling.
La libertà di stampa (sempre se esista con i suoi limiti e difetti), insomma - Max Giannini se ne faccia una ragione - non è appannaggio esclusivo dei dipendenti di Carlo De Benedetti (Espresso-Repubblica) o di Silvio Berlusconi (Mondadori-Mediaset); degli "arzilli vecchietti" Geronzi e Bazoli (Rcs) o di Bebè Bernabè (La7-Telecom).
Ma torniamo alle turbe (e ai tormenti) del vice direttore di Ezio Mauro. A Max Giannini ci permettiamo di ricordare, per dirla con le parole dello scrittore Fernando Pessoa, che quando si sale in cattedra per mostrarsi superiori agli altri non ci si "maschera da pagliacci", ma ci si veste "di rinuncia e di silenzio". Tant'è.
MASSIMO GIANNINI ALESSANDRO PROFUMODa un po' di tempo a questa parte, l'Uomo Qualunque Giannini sembra essere caduto in quella perniciosa sindrome italiota chiamata "dietrologia". Malattia (non rara) che, - ha spiegato l'ottimo Filippo Ceccarelli a proposito del "complottismo" -, colpisce tutte quelle persone che si "muovono sulla scena come robot". Alla fine, la loro "umanità e le loro pulsioni individuali sono azzerate. Gli imprevisti non esistono. Mentre le coincidenze, le combinazioni (...) - aggiunge Ceccarelli - hanno un ruolo fondamentale" nella loro mente complottarda.
Ma, come detto, non vogliamo incrudelirci sul Max in retromarcia. Anche per altre ragioni (umanitarie).
de bortoliIl ragazzo di Largo Fochetti, raccontano infatti i suoi colleghi, è depresso. Dal giorno che è deflagrata la Grande Guerra sulle "Generali" il quotidiano diretto da Ezio Mauro ha inanellato una serie di "buchi" impressionanti. E a guidare la "macchina del tango" (professionale) è stato il diretto concorrente "Corriere della Sera". Nonostante la metà dei suoi editori di riferimento siano coinvolti nello scuoiamento del Leone (assicurativo). Chapeau al redivivo Flebuccio de Bortoli, che al più ci ha sempre considerato una carriola onesta dell'altra metà dell'informazione.
PERISSINOTTO E GERONZICosì, mentre il Corrierone metteva in pagina notizie puntuali, analisi ragionate (Massimo Mucchetti) e appiccava pure il fuoco tra le trincee nemiche (le interviste esclusive a Vincente Bolloré, Tarak Ben Ammar, Fabrizio Palenzona, etc), il Pitagora (da riporto) Max Giannini lavorava invece nelle salmerie di largo Fochetti per capire come funzionava la famigerata "macchina del fango".
E a scoprire il mistero della composizione del sistema occulto P4. Sul "tritacarne mediatico", da lui evocato contro Dagospia, non aveva bisogno di alcun approfondimento. I migliori esperti su come si sputtana il prossimo ancora prima di uno straccio di processo (ultimo il caso Papi-Ruby) i migliori specialisti agiscono a tempo pieno nella premiata macelleria "la Repubblica" (giudiziaria).
bollore articleUn lavoro d'intelligence, quello svolto da Max, che sabato mattina, finalmente, l'ha portato - una volta individuata la formula matematica della P4: P2 x 2 = P4 -, alla più clamorosa delle scoperte. Signori, si è stropicciato le mani dalla felicità Eureka-Max, altro che scontro tra Poteri Marci a Trieste in vista di nuovi scenari politici! Come vanno raccontando quei fessacchiotti di commentatori (da Lerner a Mucchetti; da Penati a Guido Rossi).
Sciocchini, che insistono con certi teoremi sui colpi di coda verso una lunga transizione dei Poteri Marci. E poi, cosa vanno a raccontare al Corrierone i vari (e avariati) Della Valle, Geronzi, Perissinotto e Bolloré sui presunti bilanci "taroccati" a Trieste! Quando soltanto lui, SuperMaxmaggiore, conosce la vera origine del reale conflitto esploso a Generali!
Ebbene, rivelava sabato Eureka Giannini, la scintilla (ultima) che ha fatto scoppiare la Grande Guerra del Leone è stata - Udite! Udite! Gente! - il rifiuto, da parte dell'economato delle Generali, di acquistare il nuovo I Pad per il sommo presidente Cesare Geronzi. Il più amato da Dagospia (a sua insaputa).
gdnmir003 debenedetti geronzi marrazzoEcco, finalmente mostrata finalmente la "pistola fumante" del pasticciaccio brutto delle Generali! Anche se ha la forma, ahimè innocua, di un tablet Apple da 600 miseri euro. Ecco la prova regina che i ragazzi di via Solferino non erano riusciti fin qui a produrre sul "giallo" delle Generali.
Da sinistra Giovanni Perissinotto Cesare Geronzi e Sergio BalbinotA pensare, avrà commentato SuperMax (con spocchia incorporata), che i cugini dell'Espresso, ora guidati dal tosto Bruno Manfellotto, avevano perso tempo nel raccontare ai loro lettori (lo "scoop" è nel numero in edicola) che il socio ceco, Petr Kellner, si era già incassato 2,5 miliardi di euro mentre la compagnia Generali assicurava (gli azionisti) che li avrebbe ricevuti soltanto nel 2014.
Fregandosene, gli sprovveduti "cuginetti" editoriali (della porta accanto), d'ingegnarsi di fino, come aveva fatto lui, sulla storia (svelata) del tablet negato a Cesare Gerovital. E chis-se-ne-frega se il presunto "fanghista" Dagospia l'11 novembre dello scorso anno aveva divulgato per primo la notizia (poche righe) della missiva spedita dal presidente dell'Isvap, ancora un Giannini (Giancarlo), che faceva le bucce ai bilanci delle Generali di Perissinotto. Rilievi che, grazie alla complicità silenziosa di MaxEureka&C non sono finite - come mai? - nel famigerato "tritacarne mediatico"?
gdnmir001 debenedetti geronzi marrazzoDavvero aveva ragione quel grande statista della Prima Repubblica che amava ripetere: "Quando i politici o gli imprenditori finalmente si mettono a parlare, i cronisti diventano reticenti dopo aver raccontato prima un sacco di fregnacce". Eppure bastava telefonare all'ufficio stampa dell'authority interessata per avere conferma dell'intervento (o meno) dell'Isvap sulla compagnia di Trieste. Senza scomodare Luigi I (Bisignani) e Luigi II (Vianello) che, messi insieme, non arrivano a fare la impalpabile P4. E neanche Gianni Letta. A quanto sembra sospettato da alcuni magistrati napoletani - almeno a leggere certe imbarazzanti cronache giornalistiche -, di occuparsi a Palazzo Chigi di nomine pubbliche...
GIANNI LETTANell'Italia di "Casablanca": "fermate i soliti noti", dice soave l'ispettore francese mentre Bogart saluta Ingrid Bergmann nello struggente addio all'aeroporto, basterebbe il grande Giovenale a rimettere le cose a posto sui segreti e misteri (inesistenti) di un Paese-giornale in cui i vari (e avariati) Giannini-Coridone dimenticano qualcosa di semplice e banale: anche il più autonomo dei cronisti (non è il suo caso) ha bisogno di un padrone che lo paghi. Al quale, spesso, tocca anche l'ultima parola sul leggendario (solo nei film) "visto si stampi".
Ammoniva nelle sue Satire il grande retore romano a proposito dei segreti di Palazzo:
"O Coridone, o Coridone, e credi
che per i ricchi esistano segreti?
Anche se i servi tacciono, i cavalli
parlano, il cane, le colonne, gli usci"