Michela Auriti per "Oggi"
serena dandiniGianni Boncompagni, maestro di spensieratezza televisiva e cinico provocatore; socio di Arbore nelle goliardate radiofoniche di Alto gradimento; ex compagno di vita e lavoro della Carrà; talent scout, ci accoglie nel suo attico pieno di luce e colore. Il pianoforte, le sedie di design, il terrazzo e quei buffi fiori finti: è subito chiaro che qui, la tristezza, rimane fuori dalla porta. «Vuole un caffè?». Sì, grazie. Ed eccoci a chiacchierare senza censure (e molta ironia) di una vecchia compagna in crisi: la televisione.
Boncompagni, che fine farà la tv?
«Una brutta fine. Ormai i programmi li fanno i politici, che spingono i loro protetti, e gli agenti. Non quelli di pubblica sicurezza, eh, ma i procuratori dei personaggi televisivi: più questi lavorano, più loro guadagnano. E sono talmente bravi da decidere tutto: cachet, durata degli show, palinsesti. Se potessero anche l'Auditel, e infatti io all'Auditel non ci credo come non credo in Dio. Ma così non va, i palinsesti devono farli quelli della Rai. Risultato: ascolti medi crollati e abbonati in via di estinzione. Non so come facciano, ma quelli che il canone non lo pagano sono sempre di più».
Mediaset invece?
«Peggio. La Rai non è mai stata altrettanto volgare. Mediaset ha imposto format da denuncia penale come il Grande Fratello, diseducativo e col cattivo gusto berlusconiano, lombardo, che arriva dal Drive in. I ragazzi si rifanno a quei modelli, infarciti di ignoranza crassa e gossip morboso. Ma per fortuna sono rimasti in pochi a guardare la tv, io ho quattro nipoti...».
... che guardano il Grande Fratello?
«Nooo, sono stati educati come "odiatori del Grande Fratello"! Loro la tv non la guardano proprio, come la stragrande maggioranza dei ventenni. Il mezzo è vecchio, passato di moda. Sostituito da quel veicolo sorprendente che è Internet, dunque questo è il vero nodo della crisi. La tv generalista ha un pubblico affezionato che invecchia sempre di più, perché la vita dura di più. Telespettatori che compiono 70-80 anni e sono ancora lì. Io li chiamo i tele-morenti».
Lei vuol rimanere fedele alla sua reputazione di cinico.
«L'anziano non trova i canali. Li ha memorizzati sulla tv fino al 6, a La7 neanche ci arriva: è difficile anche per me, figuriamoci! Poi vuole quella tal trasmissione sul digitale, al canale 128 o 505, e chiama il nipote per farselo cercare. Il nipote molla un attimo Facebook o YouTube, ma neanche lui lo trova perché la tv non la guarda».
E lei la guarda?
«Poca. Sono uno di quelli che, la sera, ancora preferisce leggere. La tv è noiosa, vecchia, ripetitiva. Fatta con la carta carbone: stessi programmi, stessi titoli, stesse facce. I bravi professionisti, da Frizzi in poi, che non lasciano spazio al nuovo. E Vespa con la criminologa. E sempre quelle povere bambine morte, e i processi. E Sabrina, Cosima e lo zio Michele. Melania e Amanda, che almeno è tornata in America e speriamo non se ne parli più. Ma confesso: sono attratto dal trash e ogni tanto Vespa lo guardo. Come se non bastasse, continuiamo a celebrare i riti di Sanremo e Miss Italia. Il giorno dopo, però, nessuno ricorda chi abbia vinto».
Il rimedio?
«Un virus che attacchi gli studi televisivi, generi una morìa dei soliti noti e costringa a trovare facce nuove e giuste».
Ci sarà pur qualcosa da salvare.
«I documentari di History Channel su Sky. E poi... Qualche sera fa, perché sono appassionato d'opera, mi sono fermato sulla Violetta di Rai 1, riedizione della Traviata. Era fatta proprio bene».
Si sforzi ancora un po'.
«Seguo il tg di Mentana, l'unico, che non è invadente e conosce il mestiere. Il Tg 1 di Minzolini? Per carità, lo posso guardare solo con un'ordinanza del pretore! Mi piace Lilli Gruber: tutti la prendono in giro, ma ha ospiti importanti e non sbaglia. E Fazio, ormai un'istituzione come la santa messa».
Veniamo all'intrattenimento, lei è il maestro della leggerezza.
«Fiorello è bravissimo, per carità! Anche più estroso di Walter Chiari. Una buona mossa quella della Rai: riprendere in prima serata Fiorello, che è caro ma buono. Poi mi piace Crozza. Su La7 fa ottimi ascolti e perché? Perché è nuovo. L'Eredità di Carlo Conti la guardo mentre sto sul tapis roulant: indovino quasi sempre, lo sa?».
E le donne? La Cabello, per esempio, a Quelli che il calcio.
«Cabello, Cabello... no, non mi fa ridere, non so perché. Ma è un mondo che non mi appartiene, mi sembra che al Nord si prendano troppo sul serio. Non mi entusiama neanche la ragazza che viene prima di Mentana, come si chiama... Geppy Cucciari, ecco. Ma con le donne è difficile: la Dandini e il suo gruppo devono averlo scritto sul loro statuto, "vietato far ridere"».
La Marcuzzi?
«Superflua o irrilevante, faccia lei. Una di quelle che non lascia tracce».
Maria De Filippi.
«Siamo nati nello stesso millennio, non posso parlare di una coetanea».
So che sbircia, con tenerezza, i bambini di Ti lascio una canzone: la Clerici.
«I ragazzini sono bravissimi. E lei va bene, fa quei programmi lì... non è grave».
Baudo è amareggiato per l'indifferenza della Rai. Ha un contratto e non lavora.
«Io, Arbore e Baudo abbiamo iniziato insieme. È un professionista appassionato e ignora l'avidità di alcuni colleghi. Sa tutto, ha fatto tutto. Non ce ne sono tanti come lui e l'età conta poco. C'è chi pensa che dovrebbe lasciare spazio. Ma dopo 50 anni, il video diventa una specie di malattia».
Su Dagospia, lei ha massacrato Bonolis e il suo Avanti un altro.
«Più che un presentatore, Bonolis è un aggettivatore. E poi urla di continuo, insopportabile. Andrebbe mandato a Guantanamo ma con il 41 bis, in isolamento».
Star Academy, il clone di X Factor, ha chiuso dopo sole tre puntate. Su Dagospia lei è stato cattivissimo con Facchinetti.
«Da fucilazione. Del tutto privo di talento».
A proposito di tv tutta uguale. È una vittoria di Milly Carlucci aver difeso in tribunale il suo Ballando con le stelle contro Baila. Un precedente importante?
«Mah... La Carlucci è una professionista seria, parla le lingue, il suo è un bel format. Ma la Rai, con tutte le strutture e i mezzi di cui dispone, dovrebbe mostrare fantasia e osare l'originalità. Ripeto, però: nonostante la vasta offerta del satellite e del digitale, la tv è un mezzo superato. Tanto che la pubblicità ora investe su Internet».
Il suo Non è la Rai, sulla Fininvest di Berlusconi dal 1991 al 1995, è considerato l'antesignano del velinismo. Ambra con l'auricolare aveva 15 anni, il programma era attaccatissimo.
«E noi ci siamo tanto divertiti! Ambra era sveglia già allora. Io le suggerivo cose indicibili, lei ridacchiava ma in diretta non si tradiva. Era un'altra epoca, pulita. La mia amica e autrice Irene Ghergo, una specie di kapò, metteva in riga le ragazze: chi aveva il rossetto, veniva cacciata via. C'era un grande stanzone, per i genitori che accompagnavano le minori. Andavano a scuola e poi in tv si divertivano, come fosse la ricreazione».
Dopo vent'anni, sarebbero arrivate schiere di olgettine.
«Non l'avrei potuto neanche immaginare».
Mai ricevuto o raccolto raccomandazioni?
«Robetta, magari qualche ragazza in qualche coro. Sono noto per non essere uno yesman, ma un rompicoglioni. Le sceglievo per la simpatia e l'allegria. Grimaudo, Impacciatore, Gerini, Ocone vengono da Non è la Rai. Mosetti, Quaranta e Merz sono poi state scelte come veline. Molte si sono sposate, hanno avuto una vita normale. Ai provini intuivo subito chi aveva un atteggiamento arrivistico, e passavo oltre».
Ha citato Claudia Gerini, che con Isabella Ferrari fu una delle sue giovani fidanzate. L'accusavano anche di amare, spesso, donne molto più giovani di lei.
«Be', le mie coetanee o sono morte o parlano di bombardamenti, partigiani e malanni, che dovevo fare? Sono rimasto amico di entrambe. Claudia porta spesso le sue figlie in piscina da me ed è una donna molto divertente, una comica nata. Isabella è diventata colta, ora va in tournée con Travaglio».
Con la Carrà, che per dieci anni fu la sua compagna, portò in tv quello che oggi sarebbe un format: Pronto, Raffaella?
«Una cosa idiota, ma funzionò come poche al mondo. Con Raffaella abbiamo diviso un pezzo di vita e di carriera insieme; quando finì, mi trasferii in questa palazzina che è di fronte alla sua. Più Rai della Carrà non c'è. Ma una volta esisteva un rapporto diretto con i dirigenti, oggi mancano gli interlocutori e non si capisce chi fa cosa».
Disse una volta che è più difficile fare la tv stupida.
«Farla intelligente è facile: basta parlare di cose incomprensibili. Anch'io ne ho firmate di cosacce, ma avevo dei pregi: in tre giorni, realizzavo quello che agli altri costava tre mesi. E portavo grandi ascolti a costi bassi. Per le mie quattro Domenica In, ho usato sempre lo stesso fondale con le palme. Per me non era mai questione di soldi, tanto che l'impiegato alle scritture Rai una volta mi disse: "Dottore, perché lei non chiede mai un aumento?". Avevo altre occupazioni e risposi: "Dovrei pagare io, per fare questo mestiere". Comunque... ci illudiamo che la tv di una volta fosse migliore, ma era brutta anche quella. Con la differenza che allora la gente la guardava, oggi no».
Lei lo ha conosciuto. Cosa ricorda di Berlusconi?
«Quando iniziai Non è la Rai, faceva ancora l'imprenditore. Mi ha sempre trattato più che bene, con compensi che ancora oggi non ci credo. Venne al Palatino e, in mezzo a quel centinaio di ragazze, esclamò beato: "Io il paradiso terrestre me lo immagino così". Era spiritoso, allora».