Luca Piana per L'Espresso, in edicola domani
petr kellner
Petr Kellner, il miliardario ceco che con i suoi affari sta mettendo in subbuglio il vertice delle Generali, ha già incassato fin dal 2008 la cifra di 2,5 miliardi di euro che la compagnia triestina dice di dovergli dare solo in un lontano futuro, nel luglio 2014.
È questo il dettaglio più sorprendente che emerge da una serie di documenti interni che "l'Espresso" ha potuto consultare. La cifra, anticipata a Kellner dalla banca francese Crédit Agricole, è stata messa nero su bianco in un'informativa illustrata dall'amministratore delegato del gruppo, Giovanni Perissinotto, durante una delicata riunione del consiglio di amministrazione.
Era il 16 dicembre scorso e le Generali avevano dovuto rispondere a un'indagine sempre più insistente condotta dall'Isvap, l'authority che vigila sulle assicurazioni, proprio sui rapporti con il tycoon di Praga. Tra le altre raccomandazioni, l'Isvap aveva chiesto a Perissinotto di «aggiornare e sottoporre al consiglio» la stima di quanto potrebbero costare in futuro gli impegni con il gruppo Ppf di Kellner, che le Generali hanno sempre rifiutato di considerare un obbligo, non segnalandoli in bilancio fino a quest'anno.
giovanni perissinotto 03 lapDi qui l'informativa, dalla quale si deduce che non solo il gruppo era a conoscenza del finanziamento del Crédit Agricole ottenuto dall'imprenditore ceco. Ma che gli interessi pagati da Kellner alla banca francese sul prestito rientrano nel calcolo di quanto il gruppo triestino si è impegnato a pagargli nel 2014.
E che, se a quel punto i rapporti fra i due verranno prorogati, evitando alle Generali di liquidare la cifra miliardaria, la compagnia si è impegnata «a discutere il rifinanziamento del gruppo Ppf sia in relazione al finanziamento concesso dal Crédit Agricole sia in relazione al prestito obbligazionario (diverso dal primo, ndr) nei confronti di Ppf sottoscritto da Generali nel 2009».
Ma chi è Kellner? E perché ha scatenato un putiferio mai visto a Trieste? Tutto parte nel 2007 quando Generali e Ppf mettono insieme le attività nell'Est Europa, dando vita alla joint venture Generali Ppf Holding. Il gruppo italiano versa al partner 1,1 miliardi di euro, si garantisce il 51 per cento della società e un solido trampolino di lancio per conquistare gli emergenti mercati dell'ex blocco sovietico.
DIEGO DELLA VALLECome spesso avviene in questi casi, il restante 49 per cento della joint venture è sottoposto ad accordi che potranno, in futuro, dare alle Generali la totalità della società. I dettagli, però, non vengono mai rivelati.
Il caso esplode in pubblico il 16 marzo scorso, quando il finanziere francese Vincent Bolloré, da un anno vice-presidente delle Generali, si rifiuta di approvare il bilancio che, nella versione uscita da quella riunione del consiglio, rivela per la prima volta che i patti con Kellner possono - a certe condizioni - obbligare le Generali a acquistare nel 2014 il 49 per cento che le manca nella joint venture, sborsando tra i 2,5 e i 3 miliardi.
Le polemiche che sono emerse in seguito allo scontro con Bolloré (riassunte nella scheda della pagina a fianco), riflettono un clima che, durante le riunioni del consiglio, sembra piuttosto battagliero.
Lo racconta il verbale (nella versione non ancora rettificata da ogni consigliere) di una riunione precedente, quella del 23 febbraio, dove viene affrontato un altro discusso investimento: i 300 milioni di dollari spesi per acquistare una piccola partecipazione nella banca russa Vtb.
bollore articleBolloré è critico e trova una sponda nel costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, anche lui consigliere. Alberto Nagel, l'uomo forte della controllante Mediobanca, difende però l'operato di Perissinotto a spada tratta: dice di aver seguito «l'operazione fin dall'inizio» e che «l'iniziativa presuppone una valutazione positiva circa l'ingresso delle Generali in un mercato particolarmente importante per il futuro del gruppo».
Caltagirone però pare irremovibile. Spiega che Vtb è «sopravvalutata» e cita due punti critici: la mancanza di accordi industriali che accompagnino l'investimento e il fatto che Generali, nell'Est Europeo, abbia «già assunto con Ppf l'impegno a operare in esclusiva».
Durante la riunione si arriva anche a una specie di conta, sollecitata da Angelo Miglietta, rappresentante dell'azionista Fondazione Crt. Scontati i no di Bolloré e Caltagirone, a favore di Vtb si esprime nettamente Diego Della Valle, proprietario della Tod's, mentre gli uomini di Mediobanca, Nagel e Francesco Saverio Vinci, tendono a ribadire che gli organi che dovevano decidere sulla questione l'hanno già fatto. Tutta da decifrare la posizione del presidente Cesare Geronzi, che sembra non voler entrare nel merito: «Rispetto la decisione adottata, che rientra nella competenza di Perissinotto».
GERONZISe dietro queste discussioni ci sia semplice dialettica oppure la tentazione di ogni consigliere di difendere i propri interessi, è difficile dirlo. È chiaro che, in un centro di potere come le Generali, c'è sempre il rischio che qualcuno possa lavorare nell'ombra per chi, all'interno o all'esterno, ha interesse a minare l'autonomia del maggior gruppo finanziario italiano.
ALBERTO NAGEL - copyright PizziStando ai documenti, tuttavia, resta il fatto che la più discussa delle operazioni, quella con Kellner, rappresenta per il vertice della compagnia un nervo scoperto. Il primo a muoversi su questo fronte è stato, infatti, l'Isvap.
A partire dallo scorso luglio, le Generali hanno dovuto fornire in sei diverse occasioni la relativa documentazione all'istituto guidato da Giancarlo Giannini. Il 4 novembre scorso, poi, Giannini firma una lettera di 6 pagine dove si tirano le fila dell'indagine, riassumendo le «anomalie» e le «criticità» rilevate sia nelle procedure di approvazione che nell'informativa ai soci, e concentrando in particolare l'attenzione sulla revisione degli accordi con Ppf, avvenuta nel 2009.
Quell'anno, come spiega l'informativa esposta nel consiglio di amministrazione del 16 dicembre scorso, le Generali ottengono che il socio di Praga rinvii al 2014 l'esercizio della sua opzione di vendita nella joint venture, evitando di versargli «un minimo di 2,6 miliardi di euro». Questa concessione, però, l'imprenditore ceco la monetizza alla grande.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONEIn primo luogo Generali sottoscrive un prestito obbligazionario di Ppf da 400 milioni. Poi Kellner ridiscute il valore della sua opzione: se nel 2014 vorrà vendere, al prezzo base di 2,5 miliardi di euro da incassare potrà aggiungere «gli interessi pagati da Ppf sulle obbligazioni sottoscritte da Generali e sul prestito ottenuto da Calyon», la banca del gruppo Crédit Agricole che gli ha già anticipato i 2,5 miliardi, probabilmente mettendo a garanzia il contratto di vendita a Generali.
È così che, nello scenario peggiore prospettato nell'ultimo bilancio, si arriva a un esborso di 3 miliardi.
Da notare, però, che il gruppo triestino non uscirà indenne nemmeno se, nel 2014, Kellner non uscisse dalla joint venture. Nel ridiscutere i patti, le Generali dovrebbero comunque considerare «il rifinanziamento del gruppo Ppf»: è come se l'imprenditore ceco si fosse garantito una sorta di paracadute che gli permetterà di conservare la sua posizione di forza.
Una condizione, questa, che Bolloré critica. Lo dimostra una lettera inviata a Trieste dai suoi uffici di Puteaux, in Francia, nella quale chiede di rettificare il verbale della riunione del consiglio del 23 febbraio, quello dove si è parlato anche di Vtb. A suo dire, Generali ha fornito una vera e propria «garanzia» ai 2,5 miliardi anticipati da Calyon a Kellner. Era il giorno prima del consiglio del 16 marzo. Quello dove il dissenso è venuto allo scoperto.