1- LE TATTICHE MA-ANCHISTE DI "COOL" OBAMA...
Lucia Annunziata per "la Stampa"
Alla fine ce l'hanno fatta. «Cool» Obama ha dovuto prendere atto e scendere ai piani che non ama: downstairs, direbbero i sofisticati, in cucina diremmo noi. Cioè nei luoghi dove si litiga, si grida, si tira (e si prende) un po' di fango. Durante l'ultimo scalo in America Latina, in un Paese - il Salvador - dove Washington negli Anni 80 fomentò uno dei più grandi massacri, il Presidente si è finalmente difeso. Dalla più cattiva delle molte critiche: quella di non meritare più il Nobel per la Pace.
GHEDDAFI E OBAMALa sua difesa è stata un po' ondivaga, come spesso appare lui. «Quando ho ricevuto quel premio sono stato il primo a dire che nella scelta c'era una certa ironia, dal momento che avevo per le mani già due guerre. Sono abituato a essere sia il comandante supremo dell'esercito sia un uomo che vuole la pace».
Ma se l'autodenuncia ironica è un tocco da maestro, più debole è la conclusione: «Non credo che gli americani vedano una contraddizione in qualcuno che crede nella pace ma vuole anche che un popolo non sia massacrato da un dittatore». Avrete notato: il «ma anche» compare in tutte le lingue e a tutte le latitudini politiche.
OBAMA
2- CHE SUCCEDE IN UN MONDO CON MENO AMERICA...
Massimo Gaggi per "il Corriere della Sera"
Un presidente il cui stile di comando è quello di un «capo del cerimoniale del Pianeta» , accusa un ex consigliere per la sicurezza nazionale nella Casa Bianca di Bill Clinton. E mentre lo storico Niall Ferguson scomoda Shakespeare per dipingere un Barack Obama metà Amleto, metà Macbeth- dilaniato dai dubbi, spinto all'azione da cattivi consiglieri - l'Economist sostiene che il leader americano brilla per prudenza, ma non ha mai un guizzo di coraggio politico.
obama clintonQuel coraggio politico che fa grande un presidente e gli assicura il rispetto del mondo. Personalizzare la questione, insistere sulle incertezze del «guerriero riluttante», può essere legittimo, ma serve a poco: meglio prendere atto che quello che sta scorrendo sotto i nostri occhi è solo un assaggio di ciò che avverrà col declino della leadership americana. Un evento evocato da anni e che era atteso da molti con malcelata impazienza.
Obama si inchina a Hu JintaoCerto, ci sono i conflitti interni di un uomo che cerca di conciliare le nobili aspirazioni di un Nobel per la Pace con le responsabilità del commander-in-chief delle forze armate Usa, in questi giorni all'attacco in Libia. Ma queste sono tensioni che il presidente ha imparato ad amministrare, come ha spiegato ancora ieri in un'intervista televisiva. Lo ha dimostrato, ad esempio, ordinando raid degli aerei senza pilota della Cia contro le basi della guerriglia talebana in Afghanistan e Pakistan molto più numerosi e devastanti rispetto a quelli dell'era Bush.
Veltroni incontra Obama Aprile 2005In questi giorni stiamo assistendo soprattutto al parziale sfarinamento della leadership di un Paese sfiancato da quasi un decennio di combattimenti in Afghanistan e Iraq - lo «stato di guerra» più lungo della storia americana - e da una gravissima crisi economico-finanziaria. Tutto ciò sta facendo perdere poco a poco agli Stati Uniti la saldezza psicologica, la volontà politica, l'energia economica e anche la disponibilità di un dispositivo militare un tempo virtualmente illimitato: i fattori che hanno fin qui consentito a questo Paese di esercitare il ruolo di «gendarme del mondo».
Bush Clinton ObamaNulla di rovinoso, se il mondo si fosse preparato a entrare in quella epoca del nuovo equilibrio multipolare che lo stesso Obama ha più volte invocato contrapponendo, almeno a parole, la sua visione di «presidente del dialogo» all'unipolarismo dell'era Bush. Quello che è accaduto in questi giorni rende purtroppo evidente che non solo i leader mondiali- a partire da quelli europei - sono tutt'altro che pronti ad entrare in questa nuova era, ma che in pochi sembrano alla ricerca degli attrezzi necessari per affrontare i problemi nuovi e formidabili che derivano dall'incrocio tra il declino della leadership Usa e la crescente complessità delle mappe geopolitiche.
Clinton, Donilon, James, Biden e ObamaMappe nelle quali non solo si sono moltiplicati i focolai di tensione e sono emerse nuove, spregiudicate potenze regionali, ma costellate anche da dittatori - ora sfidati da forze ribelli - che non sono più i capi delle povere tribù di un tempo: spesso sono «raìs» che hanno accumulato miliardi spesi per acquistare armi sofisticate, per dotarsi di eserciti di mercenari e, magari - com'è avvenuto nel caso della Libia - anche per procurarsi i giudizi generosi di centri studi e di intellettuali autorevoli, disposti a «certificare» il ravvedimento di un colonnello fin lì considerato il capo di uno «Stato canaglia» .
Obama e ClintonLe dispute di questi giorni, è vero, hanno fatto improvvisamente emergere il vuoto di autorità che rischia di essere lasciato dagli Stati Uniti, ma questo è solo il primo di una serie di problemi. Entrando in una nuova realtà multipolare i leader della comunità internazionale dovranno affrontare almeno tre ordini di sfide: chi comanda, chi paga, come si costruisce il consenso di popoli con interessi e sensibilità diverse su una specifica azione di «polizia internazionale» .
soldati in afghanistanPer ora ci si sta concentrando sulla soluzione del primo nodo: bisogna tranquillizzare l'Onu e la Lega Araba, conciliare nel cuore dell'Europa l'interventismo francese col «neutralismo» tedesco ed evitare che si ripeta lo spettacolo inquietante di una disputa tra Londra e Washington sulla legittimità di un attacco mirato alla persona di Gheddafi. Però in prospettiva le altre due questioni diventeranno altrettanto importanti.
afghanistan01g_0Già oggi, nell'America attanagliata da una crisi di bilancio senza precedenti, è cominciata la contabilità del costo di ogni missile Tomahawk lanciato sulla Libia, di ogni missione di sorvolo della Cirenaica. Appena atterrato a Washington, di rientro dalla sua prima missione nell'America latina, Obama ha trovato la richiesta del capo della maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner, di andare a riferire al Congresso sull'attacco in Libia.
Attacchi a convogli NATO in PakistanMolti leader conservatori sono favorevoli all'intervento, ma cresce - a destra come a sinistra - l'opposizione di chi non vuole, invece, che i soldi dei contribuenti siano spesi per sostenere un nuovo conflitto nel quale non sono in gioco interessi vitali degli Usa. Insomma, prima o poi gli altri protagonisti del mondo multipolare dovranno assumersi non solo più responsabilità politiche ma anche una quota maggiore degli oneri che tuttora gravano in massima parte sul dispositivo bellico Usa.
John BoehnerInfine la costruzione del consenso: forse la sfida più difficile di tutte perché mentre un dittatore riesce comunque a galvanizzare i suoi con poche parole d'ordine- combattere per la terra, la casa, il proprio dio- l'esperienza dimostra che è assai più arduo dare morale, motivazioni forti, a una coalizione di Paesi con storie, culture e interessi diversi.