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GOSSIP DELLE MIE BRAME - DALLE SATIRE DI GIOVENALE FINO ALLE MALDICENZE DI DAGOSPIA: IL PETTEGOLEZZO SI FA COMPULSIVO, ONNIVORO, CAFONAL – PRIMA SI SPARLAVA DEI REGNANTI O DEI GRANDI MITI DI HOLLYWOOD, OGGI DI STARLETTINE, ZOCCOLETTE E ’MORTI DI FAMA’ – IL GOSSIP SOPRAVVIVE ALLA STORIA PERCHE’ E’ DISPREZZATO IN PUBBLICO E CONSUMATO CON AVIDITA’ IN PRIVATO. SOLO COSì LA chiacchiera DELLE COMARI, INVECCHIANDO, DIVENTA MITO…

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Fabiana Giacomotti per "Il Foglio"

slate.com home page

Con ogni probabilità non abbiamo ancora visto il meglio, ed è improbabile che siano le pretese festone di Arcore. Non abbiamo ancora visto il meglio, o il peggio a seconda della prospettiva da cui la si guarda, semplicemente perché non essendoci ormai un limite fisico, tecnico ed economico alla proliferazione dei media - chiunque può aprire un blog con cento euro e se sufficientemente abile e scafato contendere il podio a Slate, Drudge Report o Dagospia - la necessità di notizie, ma meglio ancora di retroscena piccanti, è diventata così prepotente da rendere chiunque, in ipotesi, personaggio notiziabile, juicy gossip, leccornia da guardiola.

DRUDGE REPORT

La regina Elisabetta II, l'unica che non legga mai gossip ma ne venda tantissimo come da detto popolare, continua appunto a venderne, ma non si può negare che anche i vincitori del Grande Fratello o delle Isole dei famosi segnino qualche punto, al momento dell'uscita dalla "Casa" o al ritorno dall'Isola: Belen, per esempio, ha iniziato da lì, e dovessi recuperare dalla memoria la prima immagine incamerata di lei sarebbe quella di un bikini succinto, visto di terga, che dà la scalata a un albero tropicale e qualche settimana dopo dello stesso bikini che sfila sulle passerelle milanesi, molto diverso da quello delle altre modelle ma comunque applauditissimo.

dagospia

E' un po' come i prati delle periferie di Celentano e quelli che ti dicono che "qui un tempo era tutta campagna". Dalle teste coronate dei tempi che furono siamo passati a Corona ma anche parecchio più giù: ci sono decine di migliaia di contenitori da riempire, e i contenitori, l'hardware, costano appunto ormai quasi niente.

Regina Elisabetta

Sono il software, i contenuti, la materia preziosa e ricercata di questi anni, come anche l'ultimo blogger sa perfettamente, ed essendo i nobilissimi che fino dal Settecento e dallo "Spectator" di Joseph Addison e sir Richard Steele hanno fatto la fortuna dell'informazione popolare una razza in estinzione, costosissima da monitorare e spesso poco interessante, ormai non c'è neanche più bisogno che una principessa monegasca si accompagni a un domatore di elefanti e che un paparazzo stia appollaiato su un albero tre giorni al fine di stanarla perché l'informazione entri nel circuito delle news riprese e commentate in tv e sui social network: basta appunto il vicino di casa e un buon numero di amici su Facebook.

Terza Serata Sanremo Belen

Il video che inchioda il già ex-direttore creativo di Dior, John Galliano, stravolto in un bar di Parigi sotto un improbabile colbacco mentre bofonchia a una coppia insulti antisemiti professando amore per Hitler, occupava il primo scroll del sito del quotidiano inglese The Sun di un paio di giorni fa, ed era stato acquistato attraverso il network Citizenside da un amico della stessa coppia, presente durante l'alterco e guarda caso dotato di smartphone.

galliano

Se vi capita, andate a leggere sulla parte bassa di quel filmato il numero delle visualizzazioni: al momento di chiudere questo articolo, poche ore dopo la messa on line, superavano le trecentomila. Dopo il licenziamento di Galliano "con effetto immediato", i clic sono raddoppiati.

Galliano è, o forse era, una star, la coppia vittima dei suoi déboires alcolici lo è comunque appena diventata, ma le cose non sarebbero andate diversamente ci fosse stato un tipo qualunque, appena appena eccentrico, al posto del genio sregolatissimo che neanche il patron Bernard Arnault se l'è sentita di sostenere sia per questioni di etica sia perché chez Dior vestono tutte le famiglie ebree più in vista di Francia.

arnault-galliano

Il Grande Fratello di cui il primo garante della privacy Stefano Rodotà stigmatizzava "la deriva tecnologica" solo dieci anni fa ha assunto le sembianze del Golem e, come lui incontrollabile, semina il terrore nei bar e negli uffici: fai due piegamenti di salute nei corridoi dell'azienda e mezz'ora dopo sei su youtube, signor nessuno alla berlina per pochi o zero euro.

Nemmeno il gusto di essere stati contesi per una grossa somma.
La stessa dinamica si è innescata sulle reti televisive con il digitale terrestre: infinite possibilità, canali potenzialmente e finalmente liberi, niente da mandare in onda.

2cor14 stefano rodota

Ti siedi a parlare con i vertici di un canale di opportunità e strategie e la prima cosa che ti viene domandata è se, per caso, "se ne potrebbe fare un format". Il format è il mantra, la panacea, il tranquillante che rasserena gli animi, così come un nutrito parco ospiti sotto contratto una garanzia.

Professione ospite televisivo: ci vivono in tanti dignitosamente, Alba Parietti per esempio a lungo prima di approdare appunto su uno dei nuovi canali de La7 con un suo programma, e tutti disquisiscono, strillano o inveiscono su argomenti disparati, spesso in contemporanea su differenti canali.

Di alcuni non si capisce affatto perché siano lì, a dirci cose di cui evidentemente nulla sanno e su cui non hanno avuto tempo, modo o interesse a prepararsi: occupano minuti, di solito sono esteticamente gradevoli, e tanto basta. E' un circolo virtuoso e vizioso al tempo stesso: compari in tv, diventi materia di gossip per i giornali e i siti web, le maison di moda affamatissime di apparizioni mediatiche delle loro collezioni ti offrono l'accesso ai loro guardaroba e ai loro stylist, i giornali femminili ancora più affamati di pubblicità dalla moltiplicazione dei media pubblicano la tua immagine in posa con l'abituccio addosso e le tue possibilità di rimanere in tv aumentano. Talenti riconosciuti, nessuno.

Andy Warhol

Anzi sì: stare in tv. Famous for being famous, come da conio di Daniel J. Boorstin in un saggio del 1962 che fece epoca, "The image: a guide to pseudo-events in America", anticipando la Factory di Andy Warhol con i filmati real life di Edie Sedgwick imbambolata di stupefacenti e tutte le derive che tanto avrebbero preoccupato Rodotà quarant'anni dopo. Sono i "morti di fama" che finiscono sulle gallerie fotografiche di Dagospia, interpreti Cafonal di una rappresentazione autoreferenziale e ridondante a cui sfuggono ormai in pochi.

Se ne parlava qualche giorno fa con Giovanni Terzi, prestante e attivissimo assessore alle attività produttive del Comune di Milano, che in queste settimane ha dato alle stampe per le edizioni Ares una lunga conversazione con il saggista Luciano Garibaldi su suo padre Antonio, raffinato romanziere di ispirazione cattolica, forse il più vicino a Georges Bernanos che l'Italia abbia prodotto negli ultimi quarant'anni e che fu vicedirettore del Corriere della Sera nel periodo immediatamente successivi alla P2, ma a lungo, e con grazia, sapienza e ironia, alla guida di rotocalchi familiari e popolari: "Novella", che proprio lui trasformò in un beneaugurante Novella 2000 ancora nel 1967, quindi "Gente" e "La Domenica del Corriere".

Max Mosley

"Vorrei essere mio padre" è una discussione per temi, come un essai philosophique classico, che si dipana sul filo dei ricordi e delle scelte professionali e personali di entrambi in relazione con il percorso di Antonio Terzi e che in quel titolo si conclude, svelandosi totalmente privo di retorica.

Definire adesso Terzi l'inventore del gossip, come ha fatto qualcuno, è certo un'esagerazione: altrettanto certamente, però, chi ricorda quell'uomo imponente, dai modi gentili e la battuta sempre pronta, "grande interprete della miglior tradizione italiana del rotocalco, non certo un disinvolto confezionatore di paccottiglia origliata o spiata dal buco della serratura", come ne scrive il direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli, nella prefazione, sa anche la sua fu "una certa idea di gossip" che oggi sarebbe impossibile.

Un gossip rispettoso, per usare un ossimoro che però rende l'idea. Erano gli anni in cui Nancy Ruspoli in attesa del primo figlio scriveva a Terzi una lettera a mano, ovviamente senza ritenere utile il consulto con un legale e forse neanche con un professore di italiano, lamentandosi per la pubblicazione di un presunto flirt del marito Dado con i toni che si userebbero con un amico ancora sconosciuto, ma da cui non ci si può attendere altro che un comportamento civile: "Senza dubbio le hanno mentito per vendere due foto al suo giornale.

oscar wilde

L'effetto prodotto dà l'impressione che l'Italia è un paese così arretrato che un uomo non si può fermare per strada a parlare con una ragazza (che poi è molto amica mia) senza che si parli subito di una rottura tra lui e la moglie. Le chiedo di lasciarmi avere il mio bambino in pace. Mi mancano solo quattro mesi. Spero che lei vorrà farmi questo piccolo piacere e spero che lei non sia completamente responsabile dell'accaduto, e non ci tenga ad essermi antipatico". Un come eravamo che intenerisce il cuore: negli ultimi anni si ricevono diffide persino per un commento negativo a un abito da sera da studi di avvocati che sembrano ignorare persino la Costituzione.

"Se ben ricordo", racconta Giovanni Terzi in queste giornate di sfilate e fiere milanesi della moda che da assessore ha voluto collegare a un programma di eventi collaterali raccolti sotto il marchio "Milano loves fashion", "mio padre ebbe una sola volta un confronto serio con un soggetto di cui aveva parlato sui giornali che dirigeva, e fu con la casa reale d'Inghilterra: commentando la notizia della principessa Anna disarcionata durante un concorso ippico, scrisse che non bastava assomigliare a un cavallo per saper montare".

OSCAR WILDE

L'ultimo gossip legato a un cavallo e all'Inghilterra che ricordi io risale a un paio di anni fa e sono le immagini del commissario della Fia Max Mosley a quattro zampe, travestito da recluso di un campo di concentramento, mentre una kapò posticcia dallo sguardo severo lo domina brandendo il frustino.

Senza alcun dubbio, dalla sgraziatissima Anna caduta da cavallo senza neanche un Ugo Foscolo pronto a metterne in rima le pene al figlio del torbido Oswald Mosley incapace di chiudere i conti con le storie di famiglia ce ne corre, anche in termini di standing per dire.

Ma non risulta che, oltre alle denunce di Mosley per violazione della privacy, trattandosi in effetti di un orrore ideologico e comportamentale ma allo stesso tempo di una messinscena privata e fra adulti consenzienti, un garante o un'associazione qualunque abbiano alzato la voce sul principio: erano tutti troppo intrigati e solleticati da quel video, peraltro tuttora scaricabile da Internet.

"Un tempo c'era la gogna, ora c'è la stampa", scriveva Oscar Wilde qualche anno prima che stampa e gogna gli si avventassero contro. E infatti non si potrebbe neanche sostenere che sia esistita una stagione dell'oro, un momento in cui il gossip sia stato affettuoso, caldo e famigliare come la sua etimologia che lo apparenta alla "comare" e alla levatrice suggerirebbe, o che il pettegolezzo, che se davvero è un derivato semantico della flatulenza come sostiene una certa filologia contiene già le peculiarità e le stigmate della propria funzione, abbia diffuso attorno a sé profumo di rose.

Nel gossip, il pettegolezzo che in pubblico tutti disprezzano e in privato consumano con avidità, secondo quanto osservava anche un moralista come Carlo Goldoni, si cerca lo zolfo. E non è un caso che uno dei suoi primi, maggior interpreti sia stato non tanto Daniel Defoe con il suo "Examiner", troppo arguto e raffinato, e soprattutto troppo vicino al giornalismo di denuncia sociale, la migliore deriva del gossip per creare fogli di vero successo popolare, e nemmeno lo Steele del "Tatler", in gergo "Chiacchiericcio", che un paio di anni fa ha festeggiato i trecento anni di vita, giornale più antico ancora esistente, spacciandosi per la rivista di moda d'alta classe che non è mai stata.

Il primo gossip popolare, puro e di stampo moderno, indossa le vesti di un reverendo, Henry Bate Dudley, direttore della "Morning Post": un tipo rubizzo e grossolano che, come racconta Horace Walpole, promuoveva il suo fascicolo per le strade di Londra in vesti militari, seguito da una banda musicale "tanto che l'avevo scambiato per un arruolatore".

Si era nel 1776 e i coloni d'oltremare avevano appena trasformato il porto di Boston in una immensa tazza di té, ma ai lettori di Bate venivano offerti succosi spaccati della vita famigliare della "Duchessa di D.", naturalmente lady Georgiana Spencer, antenata di Lady Diana irrequieta ed elegante molto più di lei, e delle nobildonne più in vista di Londra, tanto che prima di mettere la testa e il futuro a partito con una ricca signora ed essere finalmente presentato a corte, che è poi il sogno segreto di tutti i giornalisti di gossip, Bate dovette far ricorso alla propria abilità nell'uso della spada, della pistola e persino dei pugni per rispondere al guanto di sfida di mariti e amanti oltraggiati.

Con uno di loro, incontrato casualmente per strada, si vide costretto ad affittare impromptu una stanza al primo piano della taverna più alla moda del tempo, l'Adelphi dove si scaricarono addosso le pistole, per fortuna o per precisa volontà senza danni. Le risse di Corona hanno matrici antiche, e si sa come la prese l'imperatore Claudio per quella satira di Giovenale sulla moglie Valeria Messalina: a nessuno fa piacere sapersi sposo di una "meretrix", ancorché "augusta", e poi vai a sapere se davvero Messalina fosse l'insaziabile lussuriosa per cui è passata alla storia e non invece la giovanissima vittima di un intrigo come sostiene una non trascurabile storiografia.

Il giornalismo gossipparo attuale, a ben vedere, se la cava con guai minori rispetto a Bate o al primo giornalista ufficiale e riconosciuto della storia, Thomas Nashe. Morto a poco più di trent'anni anni in circostanze simili a quelle di un contemporaneo famosissimo, il Christopher "Kit" Marlowe grandioso drammaturgo del primo "Doctor Faustus" ma anche agente dei servizi segreti della Corona e notorio attaccabrighe e non si capisce come le due cose potessero convivere, Nashe era l'equivalente elisabettiano del "Private Eye" Anni Cinquanta. Il suo "Pierce Pennilesse", best seller del 1592, è una cronistoria appena velata da nomi fittizi degli scandali politici e di sesso dell'anno precedente, narrata in uno stile rutilante, ricco di neologismi evocatori e spiritosi.

Vendette, appunto, moltissimo, anche per l'epoca non troppo alfabetizzata, e non c'è da stupirsene. Il gossip è stato un mestiere redditizio prima ancora che la stampa si affermasse come un genere utile e, duole dirlo, un mestiere diffuso e sostenuto soprattutto per voce e braccia femminili: le Mercury women, lingua lunga e caviglie alate, che fanno capolino anche da una commedia di Ben Johnson, "The staple of news", avevano il compito di diffondere pamphlet politici nelle strade, in famiglia e nei pub. Durante la Guerra Civile inglese, Realisti e Teste Rotonde, i sostenitori di Thomas Cromwell, ricorsero entrambi ai loro servigi con soddisfazione (i Roundheads con soddisfazione presumibilmente maggiore).

Quando Eliza Heywood debuttò nel 1744 con il suo "Female Spectator", la strada era già ampiamente tracciata, arriva diritta fino ad Arianna Huffington (le italiane comprano gossip, ma raramente affermano con orgoglio di produrlo) e definirla una strada disseminata di soli retroscena sessuali sarebbe, ancora una volta, riduttivo: il gossip che funziona davvero combina letto e politica, denaro e un petit brin, un pizzico di violenza, meglio se in forma di ricatto.

Per dirla sempre con Wilde, c'è una sola componente bandita: il moralismo. "Il gossip è affascinante" esala Cecil nel "Ventaglio di Lady Windermere", "purché non si trasformi in scandalo. Lo scandalo è il gossip reso tedioso dal moralismo". Era il 1892. Lo scandalo Wilde sarebbe scoppiato tre anni dopo.

 


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