La "Guerra di Segrate" è alle battute finali. La sensazione, però, è che neppure l'appello metterà fine alla controversia legale che da vent'anni vede l'un contro l'altro armati Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti. E se sul piano giudiziario l'orientamento che prevale in ambo le parti sembra quello di ricorrere in Cassazione, le diplomazie sono al lavoro per tentare di chiudere, fuori dalle aule dei tribunali, la tormentata vicenda che nel 1991 portò alla spartizione della casa editrice Mondadori e all'inizio della feroce contesa a colpi di carte bollate.
Berlusconi con Carlo DebenedettiIl primo grado si è concluso con una vittoria schiacciante per l'Ingegnere che ha ottenuto per la sua Cir il riconoscimento del danno patrimoniale da «perdita di chance» di un giudizio imparziale e la conseguente condanna di Finivest a un risarcimento di 750 milioni di euro (749.955.611,93, per l'esattezza). Il cosiddetto Lodo Mondadori si incentrava su presunte sentenze comprate che avevano assegnato il gruppo editoriale di Segrate al gruppo del Biscione.
Mondadori a SegrateNei giorni scorsi gli avvocati (il professor Enzo Roppo ed Elisabetta per Cir; Romano Vaccarellla e Giuseppe Lombardi, più i consulenti Ernesto Poli e Paolo Andrea Colombo per Fininvest) hanno presentato le rispettive memorie per l'appello. Al massimo entro l'estate è attesa la sentenza e al momento nessuno azzarda una previsione.
Raimondo Mesiano "pedinato" dal Tg5Per questa ragione voci che rimbalzano tra Roma e Milano assicurano che sono in corse discrete trattative tra i due contendenti per risolvere in via extragiudiziale l'annosa questione. Il Cavaliere riconoscerebbe il risarcimento, previo un forte sconto (si parla della metà della somma stabilita dal giudice Raimondo Mesiano) che conferirebbe all'acerrimo nemico parte in moneta sonante e parte in asset societari.
logo EinaudiUno di questi, il più prestigioso, sarebbe proprio l'Einaudi. Un boccone prelibato per De Benedetti che, se l'accordo andasse in porto, si ritaglierebbe l'abito del salvatore delle sorti democratiche dell'editoria italiana, sottraendo dalla grinfie del Berlusca lo Struzzo, emblema della cultura comunista e azionista di rito sabaudo.
Una soluzione che, in fondo, non dispiacerebbe troppo neppure al premier che si libererebbe così di un'azienda del tutto marginale rispetto al giro d'affari mondadoriano e mai amata, nonostante nel 1994 l'abbia salvata dal fallimento.