colloquio con Vittorio Cecchi Gori di Malcom Pagani per L'Espresso
net25 vitt cecchi goriEvoca i gulag, la Spectre e la P3. Lo fa con relativa calma, sfidando il ridicolo, perché gli eccessi sono un ricordo, la sobrietà un abito nuovo, gli anni quasi 69 e l'ultimo decennio ("Mi scopro un po' provato") un tunnel a luci spente tra galere, tribunali, perquisizioni e sequestri giudiziari. Vittorio Cecchi Gori ha occhi liquidi che quando il sole filtra dalle finestre protegge con grandi occhiali neri. I capelli ruggine di un'epoca lontana, fanno spazio al bianco dell'età. Beve acqua, indossa una tuta: "Gioco a tennis tutti i giorni sa?".
Ogni tanto, nel quadro di un'impeccabile gentilezza formale, si distrae e medita. Guarda nel vuoto, sorride, disegna smorfie. Sembra Bette Davis al tavolo da gioco di Comencini o il Dino Risi misantropo e novantenne, nell'autoesilio volontario di un residence romano con vista zoo. È un graffio antico, la smania di revanche, la sofferenza di una cattività forzata, l'astinenza da comando.
val10 vit cecchi goriProduttore, mecenate calcistico, politico e figlio d'arte ("I miei sono seppelliti a Firenze, ma lì non torno neanche in ceppi") Vittorio il fiorentino, ex playboy in spider rossa, è oggi un signore appesantito dalla monotonia. Da qualche parte, si giustifica, "il nervosismo doveva pur sfogarsi". Palazzo Borghese. Casa sua. Lusso estremo, rimpianti e ricordi. David di Donatello, candelabri, tapis roulant, cani, avvocati e filippini in livrea. Il remake di "Stanno tutti bene" con Robert De Niro, dopo anni, ha riportato il suo nome nei titoli di testa. La felicità non costa niente.
"È stata una soddisfazione relativa perché il film me l'ha scippato un mio ex collaboratore americano, Gianni Nunnari. Lo ha venduto alla Miramax che, casualmente, lo ha dato in distribuzione alla Medusa. Chissà perché, in questo Paese, ogni cosa finisce in mano a Silvio Berlusconi".
Gianni NunnariNelle stesse stanze che nel luglio 2001, prima dell'assoluzione, videro in prima pagina fidanzate in baby-doll, manette e "zafferano", Cecchi Gori parla di resurrezione. Tra pochi mesi, l'uomo che dissolse troppo e frantumò un patrimonio da un miliardo di euro, potrebbe riscrivere la storia. Recuperare il lieto fine, trasformare il tramonto in alba e le esequie in epifanìa. Giudici e curatori fallimentari che gli hanno aperto le porte del carcere sono indagati a Perugia.
Un'inchiesta lunga un anno, nata da una sua denuncia, che rivelando opachi intrecci d'interesse e ipotesi di malversazioni ai danni dell'imputato, ha ribaltato la prospettiva. L'obiettivo è ristrutturare l'impero. Sale, denaro, televisioni e beni immobili. Mentre scorge la rivincita, Cecchi Gori sogna l'onore smarrito: "Recuperare gli asset sarà la mia vendetta", e indica mandanti e colpevoli. "Mi hanno perseguitato. So chi mi ha fregato e perché".
silvio berlusconi profilo bianco neroCominciamo dal suo arresto nel 2008 per bancarotta.
"Mi hanno messo dentro per portarmi via tutto e il viaggio dal tappeto rosso di Los Angeles al bugliolo di Regina Coeli, le assicuro, è stato scomodo. In carcere, per incuria, mi han quasi ammazzato. Mi sono meravigliato della mia forza. Non mi conoscevo. Mi sono riscoperto duro, freddo, senza paura".
È amareggiato?
"Facevo lavorare tanta gente, avevo un'azienda ricchissima ma da nove anni e mezzo abito all'inferno. Mi commuovo e mi faccio qualche domanda. A chi davo fastidio? Mi hanno affossato solo perché desideravo competere ad armi pari con i diritti di calcio, cinema e tv?".
Non se la prenderà con i magistrati anche lei?
"La magistratura è la mia salvezza e, a differenza di altri, non ho mai tentato di ammorbidire un pubblico ufficiale per evitare noie. (Arrota il dialetto toscano, ndr). Gliela fò breve. Comprare Videomusic e Tmc fu il manifesto di una rivoluzione impossibile. Dopo quell'acquisto mi hanno picchiato, umiliato, ingannato".
Chi è stato?
"Il vasto movimento che vedeva nel terzo polo il diavolo. Io e Berlusconi eravamo amici, ma la sua lezione ha spinto quelli meno abili di lui a inseguire l'idea che tutto avesse un prezzo. Che il dissenso fosse plasmabile con regali e raccomandazioni. Della politica, Silvio se ne fotte. Per lui conta solo l'immagine. È quella a produrre voti e a trasformare gli spettatori in sudditi. Sa dove nasce il suo potere?".
Dica.
"Dalla sottovalutazione della legge Mammì. Sembrava un semplice scambio imprenditoriale e invece era un complotto epocale. Non ho dimenticato i dialoghi sul monopolio della comunicazione tra Berlusconi e Craxi nelle baite di Sankt Moritz. Avevano capito tutto e io li osservavo ingenuo. Un Peter Pan che non ha mai saputo diventare Capitan Uncino".
Non esageri.
"Quando ero ragazzino mi hanno insegnato la distinzione tra bene e male. E io, come un soldatino, ho tenuto presente questo precetto per tutta la vita. Se solo volessi, potrei raccontare molto sul Berlusconi privato. Ma le dico la verità, non me ne frega niente".
Al brivido della politica, comunque, non seppe resistere.
"Due legislature non proprio memorabili. A Nino Andreatta e a Mino Martinazzoli lo spiegai con largo anticipo, già nel '92: "Guardate che stanno facendo il partito di Publitalia, bisogna prepararsi". Tutti a guardarmi con gli occhi sbarrati, a trattarmi da matto. I democristiani sono un disastro. Parlano di valori etici e li calpestano. Salvo rare eccezioni, la doppia morale ha sempre confuso gli orientamenti".
Montecitorio, dicevamo.
"Cosa vuole che le dica? Tutti a candidarmi. "Vittorio di qua, Vittorio di là, Vittorio fallo per la democrazia" anche se a me, della politica, non importava nulla. Mi prestai e Franco Marini, che avevo contribuito a far diventare segretario dei popolari, per ringraziarmi mi sbattè ad Acireale. Una trappola".
In Sicilia, nel 2001, venne indagato per voto di scambio.
"Lasci perdere. Non venni eletto e l'Italia mi rise dietro. La politica è un buco nero e gli uomini tendono a ripetere i propri errori. Prenda Berlusconi".
Ancora lui?
"Ha esagerato. Non lo sento da anni, l'ultima volta mi ha svegliato alle sette di mattina: "Vorrei segnalarti una ragazza, si chiama Elena Russo". Poi il silenzio. Quando respiro il clima italiano, ho l'impressione che per lui stia per finire tragicamente. È una sensazione, non un augurio".
Naturalmente.
"Non covo rancori. Constato. E mi vengono in mente soddisfazioni quasi eversive. Comprai i diritti di Inghilterra-Italia e trascinai 13 milioni di persone davanti a Tmc. Si incazzarono in tanti, ma io sono testardo. Mentre si celebra il trionfo di La 7, non mi pare ozioso ricordare che l'emittente non mi è stata mai pagata e in fondo, dovrebbe essere mia".
Addirittura?
"Pende un ricorso in Cassazione, ma è grazie al decisivo ausilio di Merrill Lynch, che Enrico Mentana può esultare senza che a Cecchi Gori venga detto neanche grazie. Merrill mi prestò soldi per fare la controrivoluzione da dentro e regalare quote a Marco Tronchetti Provera. Un'ingiustizia pazzesca. Aspetto di riavere ciò che mi spetta".
Chi le è rimasto vicino?
"Nessuno. Parlavo con Ettore Scola e Federico Fellini, ora il tempo non passa mai. Mi mancano amici con cui discutere (gli si strozza la voce ndr), progetti, invenzione. Ho dato tutto, altrettanto si sono presi ma alla fine, sono rimasto solo".
Si sente depredato?
"Quasi uno sport nazionale. Ho sbagliato anche io, mi sono fidato di persone squallide, ho sposato la donna sbagliata".
Rita Rusic, ex modella dalmata di Postalmarket, conosciuta sul set di "Attila Flagello di dio". Suo padre Mario vi fotografò: "Quella, il mì figliolo se lo ficca in saccoccia".
"Mia madre era una maschilista di solare intelligenza: "Stai attento alle donne, sono le peggiori, ti rovineranno". Non le diedi retta. Perché il successo a volte, dà alla testa. Così superficiale e un po' coglione, impalmai Rita. La mia prima fidanzata, Maria Grazia Buccella, venne ad avvertirmi fin sul sagrato della Chiesa. "Non la sposare Vittorio, questa ti ammazza"".
Risultato?
"La portò via la forza pubblica".
Però il lavoro, Rusic lo sapeva fare.
"Una barzelletta. Diciamo che Rita fa quel che può. È un'ottima organizzatrice, ecco".
Avete due figli.
"Mario e Vittoria. Con lui ho un buon rapporto. Con lei no, ma spero di recuperarlo. Comunque sono un idealista e un monogamo. Sicuramente non un puttaniere. Ero nato per la famiglia. Avrò avuto sei o sette storie in settant'anni".
Come andò con Valeria Marini?
"Dopo cinque anni con lei, mi sento come un veterano del Vietnam. Ci hanno legato le esperienze comuni. Nel 2001, perquisirono l'appartamento di prima mattina. Con le pistole in mano. I poteri forti avevano deciso di buttarmi a mare e una manina, forse dei servizi, mise la polvere bianca in cassaforte. Valeria, comunque, è una brava ragazza. Difetta di humour. Se avessimo fatto insieme casa Valorio, una sit-com su noi stessi, avremmo avuto un successo enorme".
È legato sentimentalmente a qualcuno?
"No, però ho una tata".
Una tata?
"Ascolti, è una storia tanto bellina. Lei si chiama Filomena, vive con me da un anno e mezzo ed è la nipote di una cassiera del cinema Reale di Roma. Philly è una ballerina di burlesque. Si faceva chiamar golden ass (culo d'oro, ndr). Seppe farmi ridere. Mi è stata vicina durante la malattia".
Ha avuto problemi con la salute?
"Sono intervenuti sulla mia ernia polmonare. Un caso ogni due milioni di persone".
Dove si è operato?
"Nella clinica di Ciarrapico".
L'ha salutato.
"Scherza? Così mi levava anche l'altro polmone" (ride).
Se le hanno portato via tutto come si mantiene?
"Qualcosa avevo, qualcos'altro mi ha lasciato mia madre. Certo, la barca di 50 metri non l'affitto più. Non ho nulla da nascondere, anche se agli altri è sempre piaciuto ridere di me. Sono un nuotatore formidabile ma mi immortalavano sempre grasso, goffo, in difficoltà con le pinne. Che le devo dire? Ho un lato comico. La gente mi vuol bene".
Il futuro?
"Voglio recuperare. Ricominciare."
Cecchi Gori è tornato?
"La correggo. Vittorio Cecchi Gori non se ne è mai andato".
LA PARTITA DI PERUGIA
L'impero di Cecchi Gori eccitava i desideri delle persone chiamate a decretarne il fallimento. Sull'ex patrimonio sta per arrivare la rivoluzione. L'inchiesta di Perugia (5 mila pagine di intercettazioni) partita da una denuncia dello stesso produttore, rivela novità clamorose.
Indagati, con la concreta possibilità di essere rinviati a giudizio, l'ex presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Roma Giovanni Deodato e il curatore fallimentare Giovanbattista Sgromo, due delle persone che diedero il via al sequestro delle società del gruppo e all'arresto di Cecchi Gori.
Al telefono, gli interessi del gruppo di togati e di alcuni imprenditori romani, sembrano convergere. Obiettivo, depredare il produttore, messo in condizioni di impotenza. Così mentre Cecchi Gori si dice certo di rientrare in possesso del cinema Adriano: "L'acquirente non ha pagato" e degli asset del gruppo, nella rete rimangono impigliati i controllori del controllato. Se non fosse il plot di una tragedia, il produttore ci avrebbe fatto un film.