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1- ABOLIRE LE PROVINCE, INUTILE E COSTOSISSIMO DUPLICATO DELLE REGIONI? NO, TROPPI INTERESSI IN BALLO, TROPPI QUATTRINI IN CASSA, TROPPI POSTI IN REGALO: MEJO TAGLIARE LE PENSIONI, TASSARE I BOT, AUMENTARE LA BENZINA, PRENDERE PER IL CULO TUTTI 2- MA IL PEGGIO ARRIVA DAL PD DI CULATELLO BERSANI: SENZA L’ASTENSIONE DEL MAGGIOR PARTITO DELLA SINISTRA LA MAGGIORANZA SAREBBE FINITA SOTTA E LE PROVINCE CASSATE 3- DI PIETRO: \" C’È UNA “MAGGIORANZA DELLA CASTA” TIPICA DELLA PRIMA REPUBBLICA\" 4- QUELLE EPOCALI RIFORME CHE DOVEVANO RESTITUIRE AL PAESE LA FORZA, LA STIMA IN UN CLASSE DIRIGENTE CREDIBILE, TUTTE COSE NECESSARIE PER AFFRONTARE QUESTI TEMPI BUI, DOVE SONO? SEMPRE LÌ TORNIAMO: TAGLIA TAGLIA, HANNO TAGLIATO I TAGLI

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1 - LE PROVINCE RESISTONO LA CAMERA BOCCIA L'IDV
PDL CONTRARIO, IL PD DIVISO SI ASTIENE. DI PIETRO ATTACCA: TRADITORI
Francesca Schianchi per "la Stampa"

antonio di pietro idv

Le Province restano dove sono: la proposta di soppressione presentata dall'Idv è stata bocciata ieri alla Camera dai voti contrari della maggioranza. Non sono stati sufficienti i sì di Idv e Terzo Polo, visto che il Pd ha deciso di astenersi. «C'è una "maggioranza della casta" tipica della Prima Repubblica», tuona il leader del Gabbiano, Antonio Di Pietro, all'uscita dall'Aula, deluso dalla scelta del Pd; «Noi abbiamo le nostre proposte, non ci facciano tirate demagogiche», risponde piccato il segretario Pd Bersani.

Ieri mattina, prima della riunione di gruppo dei democratici, la posizione del partito era anche più netta: votare no al provvedimento insieme a Pdl e Lega. Ma un incontro-fiume di quattro ore, dopo che già un paio di settimane fa era stato chiesto e ottenuto un rinvio del voto in Aula, è servito a sfumare la posizione in un'astensione, motivata dal capogruppo Franceschini perché «questa proposta di legge propone solo la cancellazione della parola province e non dice nulla per il dopo».

Molti però erano i deputati Pd che avrebbero votato "sì" insieme a Idv, Udc e Fli, cosa che, dati i numeri (225 contrari, 83 a favore e 240 astenuti di cui 43 del Pdl sul primo articolo, il più importante) avrebbe mandato sotto la maggioranza. Capofila della posizione del voto per abolire le province è stato, in riunione di gruppo, l'ex segretario Walter Veltroni: sarebbe stato un errore politico votare insieme a Pdl e Lega, ha fatto notare, soprattutto su un tema come quello dei costi della politica su cui è importante mandare un messaggio ai cittadini.

Antonio Di Pietro

Alla fine delle votazioni, quando l'intero testo è respinto, il Pd non sfugge alle critiche del resto dell'opposizione. Non solo da parte di Di Pietro, che attacca: «Oggi si è verificato il tradimento generalizzato degli impegni e dei programmi elettorali da sinistra a destra. Tutti hanno fatto a gara nel far sognare in campagna elettorale gli italiani sul fatto che si sarebbe tagliata la casta eliminando le province e poi oggi non hanno mantenuto gli impegni. E' stato patetico che anche nella coalizione di centrosinistra si sia chiesto un rinvio dopo che da 51 anni si rinvia».

Ma anche il leader dell'Udc Casini si dispiace «che il Pd abbia perso l'occasione di fare una cosa saggia e di mandare il governo in minoranza. Avremmo dato un segnale». «Ogni giorno si promettono tagli che regolarmente saltano», aggiunge il leader dell'Api Francesco Rutelli.

Il Pd ha un suo testo, e «prevede certi meccanismi per ridurre e accorpare le province perché bisogna anche dire come si fa», si difende Bersani. «Perchè le Province gestiscono un certo numero di cose importanti».

Intanto il ministro Calderoli fa sapere che la Lega, ieri contraria all'abolizione delle province, ha presentato un nuovo testo per dimezzare il numero dei parlamentari e creare il Senato Federale. «Vedremo chi lo vota».

Pier Luigi Bersani

2 - LE PROVINCE DEGLI IPOCRITI
Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"

Sibari, che chiede di diventare capoluogo vantandosi di produrre «l'agrume migliore del mondo, le clementine» , può tornare a sperare. E così Breno, 5.014 abitanti, capitale dei Camuni e della Valcamonica. E con loro Cassino e Guidonia, Busto Arsizio e Nola, Pinerolo e Melfi e tutte le altre aspiranti metropoli che sognano di avere finalmente lo status: cos'hanno meno di Tortolì e Lanusei, che capoluoghi già sono? La bocciatura alla Camera della proposta di legge costituzionale per sopprimere le Province è il via libera ai cattivi pensieri e alle piccole megalomanie coltivate dai notabili locali.

CASINI E FINI

E a un nuovo incremento di quegli enti che già un secolo fa l'allora sindaco di Milano Emilio Caldara bollava come «buoni solo per i manicomi e per le strade» , ma che da 59 che erano nel 1861 (il criterio era semplice: ciascuna doveva poter essere attraversata in una giornata di cavallo) sono via via saliti a 110. Garantendo oggi 40 poltrone presidenziali al Pd, 36 al Pdl, 13 alla Lega, 5 all'Udc, 2 a Mpa e Margherita e così via.

Dicono oggi quanti hanno votato contro la proposta dipietrista (leghisti e pidiellini, con molte dissociazioni) o l'hanno affossata astenendosi (i democratici, nonostante i «malpancisti» ) che non si possono affrontare questi temi con l'accetta, che occorre riflettere sui vuoti che si creerebbero, che è necessario stare alla larga dalle «tirate demagogiche» e così via... Insomma: pazienza.

Tutti argomenti seri se questi pensosi statisti non li avessero già svuotati in decennali bla-bla. Soppresse già alla Costituente dalla Commissione dei 75, ma resuscitate dall'Assemblea in attesa delle Regioni, le Province avevano quella data di scadenza: il 1970. Ma quando le Regioni arrivarono, Ugo La Malfa invocò inutilmente la soppressione dei «doppioni» : il Parlamento decise di aspettare il consolidamento dei nuovi enti. Campa cavallo... Quarant'anni dopo, non c'è occasione in cui il problema non sia affrontato con il rinvio a un «ridisegno complessivo» , a una «riscrittura delle competenze» , a una «grande riforma» che tenga dentro tutto.

WALTER VELTRONI

Basti rileggere quanto decise la Camera il 12 ottobre 2009 quando finalmente, per la cocciutaggine di Massimo Donadi e dell'Italia dei Valori, l'abolizione delle Province, sventolata in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e, sia pure con accenti diversi, da Walter Veltroni, arrivò finalmente in Aula.

lapresse massimo donadi

La delibera di Montecitorio diceva che la riforma degli enti locali era «urgente e necessaria al fine di rimuovere la giungla amministrativa e di ridurre i costi della politica» , denunciava la «proliferazione di innumerevoli enti» e «un intreccio inestricabile di funzioni che genera inefficienza e rende difficile la decisione amministrativa» e rinviava tutto al sorgere del mitico sole dell'avvenire berlusconian federalista.

E cioè alla «imminente presentazione di un disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali» . Da allora sono passati, inutilmente, altri due lunghi anni e mentre la crisi azzannava i cittadini, gli artigiani, le piccole e grandi imprese causando crolli apocalittici, disperazione e suicidi, i palazzi del potere davano qui una sforbiciatina del tre per cento, lì del tre per mille.

E quelle epocali riforme che dovevano ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l'efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui, dove sono? Sempre lì torniamo: taglia taglia, hanno tagliato i tagli.

 


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