Simone Di Segni per "la Stampa"
Sceicco Al Mansour di Abu DhabiL' arroganza di certe offerte, con cui hanno spazzato la concorrenza una volta inquadrato l'obiettivo, rischia di innescare un dubbio: qual è la vera mission dei Paperoni arabi nello sport? Non si tratta di capricci, tantomeno dell'irragionevole necessità di mettere in mostra la loro ricchezza: quando hanno comprato una società, o costruito un circuito automobilistico, non erano mossi dal desiderio di esibire i loro soldi. Piuttosto di investirli. Vogliono farla da padroni, questo è vero, ma dal calcio ai motori, passando per i cavalli, il tennis e il ciclismo, non hanno mai perso di vista il ritorno dell'investimento.
La crescita delle operazioni è stata progressiva, il mondo del pallone è solo una delle tante voci che compongono il settore «entertainment», al quale il fondo Aabar di Abu Dhabi, tanto per fare un esempio, ha deciso di destinare tra il 5 e il 10% delle proprie risorse: sono gli arabi che supportano il Manchester City dello sceicco Mansour, gli stessi che posseggono con Daimler (di cui a loro volta sono azionisti per il 9,1%) il marchio Mercedes Grand Prix e che sarebbero disposti ad aiutare Bernie Ecclestone nell'impresa di riacquistare dalla Cvc le quote della Formula 1 cedute nel 2006.
PEP GUARDIOLA LANCIATO IN ARIA DAL BARCELLONA IN FESTAPrima dell'assegnazione dei Mondiali 2022 al Qatar il mondo arabo aveva già compiuto le sue mosse in fatto di infrastrutture e organizzazione: Abu Dhabi ha ospitato per due anni il Mondiale per club di calcio (16,5 milioni di dollari di montepremi); con il Gran Premio nell'isola di Yas e il Mubadala World Tennis Championship, altri ponti d'oro sono stati costruiti intorno allo sport.
Dal 1993 le racchette hanno preso casa anche a Doha, che negli ultimi tre anni ha ospitato il Master femminile. Sempre in Qatar, il volley è tornato a mettere in palio la Coppa del Mondo per società. A Dubai, invece, il primo generoso slancio all'intrattenimento sportivo lo diede lo sceicco Al Maktoum: la sua passione per i cavalli si è tradotta in un convegno che mette in palio 26,2 milioni di dollari.
Gli sfarzi calcistici sono quelli che balzano agli occhi con più facilità in Italia. L'immagine della potenza del petroldollaro è il Manchester City: il club, secondo l'ultima Money League stilata da Deloitte ha registrato un incremento dei guadagni senza precedenti, passando 100 a 150 milioni circa.
Le operazioni che hanno portato a parlare arabo Malaga, Racing Santander e Getafe raccontano la tendenza. Così come la maglia del Barcellona: la Qatar Foundation ha già anticipato agli azulgrana 16 milioni dei 166 spesi per macchiare la casacca con il proprio nome. Il passaggio del Paris St-Germain sotto l'egida di Tamim bin Hamad Al Thani, l'uomo a capo del Qatar Investments Authority, ha riacceso nella Penisola l'invidia di tanti tifosi: perché gli sceicchi non puntano sulla serie A?
La Premier League è un prodotto chiavi in mano, il nostro calcio non è una vetrina altrettanto appetitosa per i progetti arabi. Le problematiche legate agli stadi di proprietà sono una spada di Damocle per l'appeal dei club italiani. Il sistema fiscale e contributivo, fenomeno dibattuto anche a livello di Unione Europea, permette alle società inglesi di risparmiare fino al 50% rispetto alle nostre.
Giocano la loro parte anche l'assenza in Italia di una legge che tuteli in modo adeguato il merchandising e i tempi della giustizia che consentono ai falsari di muoversi spesso indisturbati. C'è poi un brand, quello della serie A nel suo insieme, per il quale latitano le iniziative. L'immagine di una Lega sempre più impegnata nelle lotte intestine non contribuisce a rendere la merce attraente. Senza dimenticare l'ultimo scandalo scommesse.
Altro tema scottante è quello della vendita dei diritti televisivi in campo internazionale: in Francia, Al Jazeera (sempre di Al Thani si parla) ha appena acquistato la sua fetta per 90 milioni di euro. Appena uno in meno di quelli che la Lega ha ottenuto dalla vendita complessiva all'estero, affidandosi ai brokers di MP & Silva per le stagioni 2010-11 e 2011-12.
La Premier utilizzava lo stesso meccanismo dieci anni fa (fatturando all'epoca quello che l'Italia incassa oggi). Dopo aver ingaggiato esperti del settore, ha puntato sulla vendita diretta. Risultato? Da 100 milioni, in quattro anni, si è passati a 500 (somma peraltro ripartita in parti uguali).