Giovanni Cerruti per "la Stampa"
STRISCIONE PER MARONIL' ha visto, eccome se l'ha visto. «Era lunghissimo, ma proprio non so chi l'abbia portato», dice Roberto Maroni. Se c'è una prima volta in questa Pontida, è la prima volta di uno striscione che dice «Maroni presidente del Consiglio». E c'erano pure i volantini fotocopiati, «Maroni presidente del Consiglio subito». Mai successo. Bossi e solo Bossi, sul prato di Pontida, non nominare un altro leghista invano. E invece, da ieri, non è più un peccato leghista. Con Maroni si può. E se la domanda, con le troppe voci sul dopo Berlusconi, era volete Tremonti o Maroni, il prato verde ha dato la sua risposta, affatto scontata. Maroni.
MARONI RISCHIA DI CADERE DAL PALCOLui dice che non se l'aspettava, quello striscione. Ma forse si aspettava di essere chiamato da Bossi sul palco e al microfono, come è avvenuto anche con Calderoli, però per chiarimenti sulle rogne degli allevatori e delle quote latte. La chiamata di Bobo come un'investitura, vissuta tutta in chiave interna, con messaggi piuttosto chiari ai militanti e ai dirigenti della Lega. Maroni ha citato Scipio Slataper e si è rivolto ai suoi «barbari sognanti», a chi vede nel ministro dell'Interno, più che il premier di un governo che verrà, il futuro della Lega: «I nostri messaggi sono chiari e forti, chi ha orecchie per intendere ha già inteso».
COLONNELLI PADANI A PONTIDASul palco, quando a Bossi si sono presentati ministri e governatori e maggiorenti, Maroni era l'unico con giacca e cravatta (verde, s'intende). Ed era l'unico, per i leghisti arrivati sul parto, ad aver alzato la voce negli ultimi tempi, a essersi smarcato sulla guerra in Libia, all'aver protestato per le distrazioni di Berlusconi a proposito di immigrazione. Forse per questo, adesso, è il più acclamato. E dal palco ricambia, rivendicando l'identità leghista: «Noi abbiamo un grande sogno, una Padania libera e indipendente. E voglio ringraziarvi tutti, in barba ai gufi romani guardate quanti siamo, guardateci!».
IL TROTA IN BICINella Lega, anche se Bossi dice che queste «sono le st... dei giornalisti», sono note e per nulla misteriose le differenze tra i berlusconiani e non, tra il «Cerchio Magico» e i «Maroniani». Lui ha risposto, per quel che lo riguarda, «che i maroniani' non esistono, al massimo sono una sottocategoria dell'amicizia». Sarebbero tutti i leghisti che non riescono più a fingere entusiasmo per un'alleanza considerata esaurita. Quelli che, magari, avrebbero voluto che Bossi osasse di più, che non si limitasse a lasciare palco e microfono a Bobo, che aggiungesse il suo viatico, come aveva anticipato a un amico ex deputato.
BOSSI COTA CALDEROLIMaroni non si sente premier o candidato premier. Dicono che abbia ben chiara la differenza che passa tra un leghista e un primo ministro, e che la discriminante sarebbero le mediazioni, troppe per uno che la Lega l'ha fondata. Bossi, ieri, ha parlato delle prossime elezioni senza mettere una data, e nemmeno la certezza nell'alleanza con il centrodestra ora guidato dal Cavaliere. Potrebbe accadere, anche la primavera prossima, che la Lega di Bossi e Maroni, con una nuova legge elettorale, si presenti da sola, per poi contrattare e allearsi con chi vince le elezioni nazionali. Come, in Germania, la Csu bavarese.
Più che Maroni premier un Maroni leader, sempre quando e se Bossi vorrà. E se questo era messaggio per il prato, la risposta è negli applausi a Maroni. Uno che in queste settimane ha parlato di «coraggio», e l'ha invocato da Tremonti e Berlusconi. Uno che ai suoi di Pontida promette che non mollerà mai, né sulla guerra in Libia che deve finire né sull'immigrazione: «Abbiamo contro tutta la magistratura, che è a favore dei clandestini». Uno che però non si eccita per i ministeri al Nord: «Non mi occupo di queste cose...». Bossi, ieri, gli ha chiesto di trasferire a Monza pure il Viminale. Bobo ha sorriso e non ha risposto. Lui può.
BOSSI CON IL POLLICE VERSO
2 - ENRICO LETTA: "IL PD NON APPOGGEREBBE MAI UN GOVERNO MARONI"
Carlo Bertini per "la Stampa"
Questa è la fotografia del crepuscolo di un leader che, dopo aver contribuito a far cadere la Prima Repubblica, ora ricorda l'Andreotti del tirare a campare. Anzi questo finale doroteo di un leader che ricorre al catenaccio lo fa assomigliare più a Forlani e a Trapattoni»: per il vicesegretario del Pd Enrico Letta, «questa giornata è finita nel peggiore dei modi per gli italiani e questo governo o fa subito la manovra oppure se ne vada».
Quindi le minacce del Senatùr non sono l'antipasto di una crisi.
«Da questa pagina triste emerge la completa inadeguatezza di Bossi a guidare un movimento come la Lega. Ha contribuito ad alimentare questo clima infame gonfiando le illusioni che si possano ridurre le tasse, con l'Italia sotto tiro delle istituzioni internazionali. Il secondo messaggio è: stiamo con Berlusconi ma anche lui è alla fine e quindi galleggiamo; terzo, l'avvertimento a Tremonti, basta sacrifici, certifica che l'asse si è incrinato».
Il quarto messaggio sono gli striscioni su Maroni premier. Voi lo appoggereste un governo a guida leghista?
«No, assolutamente. E comunque da Pontida arriva la conferma che non ci sarà un governo Maroni, ma il tentativo di andare avanti ancora un po'. Penso che ormai bisogna andare al voto, non mi pare ci siano alternative sotto mano. Ma la cosa pesante è che questo governo ha negoziato 40 miliardi di manovra con Bruxelles e quindi o la fa o si dimette. E invece Bossi sostiene l'opposto, mentre ieri il presidente dell'Eurogruppo ha detto che dopo la Grecia c'è l'Italia. E lo ricordo perché qui è passata l'idea che noi siamo quelli usciti meglio dalla crisi...».
Non è che sta lanciando un segnale anche alla sinistra che non gradisce fare manovre lacrime e sangue?
«Lo dico con nettezza anche rispetto al centrosinistra: non c'è da scherzare. Interessi di bottega e giochi tattici non hanno diritto di cittadinanza: la priorità è voltare pagina. Ci toccherà fare di nuovo la "protezione civile" come nel '96 e nel 2006? Ci accolleremo questa responsabilità, ma andare avanti sulla linea di Bossi ci avvicina ad Atene e non alla Baviera».
La battuta su Bersani e lo spadone di Giussano non aiuta il dialogo con la Lega. Dopo Pontida è tramontato il progetto di cambiare insieme la legge elettorale?
«Noi sfidiamo la Lega e parliamo al suo popolo, che a Gallarate ha votato per noi. Parliamo a quella base e a quelle piccole imprese prese in giro per anni. Non è tattica e ciò che manca nell'analisi di Bossi è un dato semplice: dopo tre anni di governo con Berlusconi, il Carroccio si trova nella condizione in cui il primo capoluogo di regione che il centrodestra amministra, partendo dalla Svizzera in giù, è Roma. E questo vuol dire che oggi gli interessano più i ministeri che i Comuni. Per il resto, ho sempre creduto poco che si riesca a cambiare la legge elettorale in questo Parlamento, ma se c'è la volontà di provarci noi siamo sempre lì con le nostre proposte».
Un'ultima cosa: lei per mesi ha sostenuto che il Pd doveva mollare Di Pietro e ora dopo la tripletta alle urne teorizza l'attacco a tre punte. Come mai?
«La novità principale è che tutto l'elettorato ci chiede unità. Poi l'Idv, che prima puntava a sostituirci, ora gioca un ruolo da alleato e può stare in squadra come fece Di Pietro con Prodi nel 2008, quando fece la sua parte senza provocare mai crisi. E comunque, dopo tutto quello che ha detto Bossi, si avvicina ancor di più la possibilità di un'alleanza col Terzo Polo».