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1- BREVE RESOCONTO DEL DIVINO QUIRINO CONTI DI COME L’INDUSTRIA DELLA MODA, CON PINAULT E PRADA, TRUSSARDI E DELLA VALLE, è RIUSCITA A CIUCCIARE LA SCENA DELL’ARTE 2- PRIMA, PER POMPARE PROMOTION & CELEBRATION, CI FURONI I CANTANTI E LE CANZONI, VERSACE-VANONI E A SEGUIRE, ELTON JOHN, PRINCE, STING ETC.) POI, EVOLVENDO, ANCHE IN DENARO, GLI ATTORI E IL CINEMA. CHI PUÒ DIMENTICARE DA ARMANI IL TRAVOLTA DEL SABATO SERA O LA SHARON STONE DI \"BASIC INSTINCT\" AL DEFILé DI VALENTINO? 3- TUTTO SAZIA. TUTTO PASSA. DOVE CONTINUARE AD ATTINGERE ENERGIE FRESCHE COSÌ DA POTER NUOVAMENTE GENERARE MERAVIGLIA E DUNQUE MERCATO? ALL’ARTE, ALL’ARTE! ECCO LE ACCADEMIE E PERSINO MUSEI E BIENNALI. E FU SUBITO RIDICOLO SUPREMO

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Quirino Conti per Dagospia

QUIRINO CONTI- GIARDINO BOBOLI (PF. VIGO)VANONI VERSACE

All'inizio, quando Milano cominciava a sfornare intelligenze stilistiche quali non si erano mai viste da noi, e in così gran numero - quasi la città fosse stata fecondata insieme da Minerva e da Mercurio -, e da ogni parte si guardava a quella strana metropoli come a un Centauro, un Tritone o un Fauno, insomma come a una di quelle mirabili creature per metà istinto per l'altra razionalità pura, a quel tempo (più o meno attorno alla seconda metà degli anni Settanta), per mostrarsi e farsi vedere la Moda e i suoi astutissimi artefici riuscirono a escogitare attorno alla musica popolare - quella cosiddetta "leggera" o "pop" -, in breve attorno alle canzoni, un qualche loro utile strumento di amplificazione e di risonanza promozionale.

PATTI PRAVO VERSACE 84

Popolarissimo, appunto, ed efficace. E poiché fin da allora - con diabolica preveggenza - la Moda aveva preso ad ambire nell'ombra al popolare e al semi-plebeo, anche se nel ricordo, a posteriori, tutto ciò potrebbe apparire persino un po' grossolano, a quel tempo non lo era affatto. Tanto che i maggiori quotidiani spedivano a San Remo, sì, proprio a San Remo, gli stessi inviati che già, a poco a poco, stavano costruendo attorno a quei nuovi, stupefacenti eroi - sconosciuti e dunque anche per questo, al loro apparire, carichi di leggenda e di appeal - un abbozzo di linguaggio critico organico.

CLAUDIA KOLL VERSACE 95

Cosicché, assieme a tutto il resto, si poteva anche leggere, con foto acclusa e non poca curiosità, di quello o di quell'altro con indosso, in una particolare serata, quel certo stilista o quell'altro. Ed era un preciso segno di distinzione e di potere partecipare a un tale show - come a qualsiasi altro del genere - con qualcosa di proprio "addossato" al divo del momento.

Ma loro, gli autori, nessuno ancora li vedeva: se non per qualche foto benevola e ben organizzata. Essendo il backstage e le loro dimore luoghi interdetti e impenetrabili. Persino per qualche residua diffidenza.

Come infinite altre volte, toccò ad Armani aprire la strada, infrangendo quell'ingenuo, timido e zigzagante promuoversi canterino; e come al solito, grandiosamente e senza badare a spese, con una diretta televisiva (la prima in assoluto), in un pomeriggio di domenica, e con un illustre presentatore lusingato padrone di casa.

LOREDANA BERTE - VERSACE, 1986

Dentro quel deflagrante, nuovo mezzo comunicativo - altro che i mensili patinati! - con tutta intera la baldanzosa gloria di allora in una collezione che non portava neppure il suo nome.

VERSACE, ELTON JOHN, RU PAUL

Fu un successo senza precedenti. Un tumulto come mai prima: con ascolti vertiginosi, dicerie come al solito di ogni genere, ma, quel che più conta, la consapevolezza che, d'ora in poi, Loro sarebbero stati gli eroi; e che con quel genere di spettacolo totalmente inedito, con quei personaggi all'altezza del loro mito, no, proprio non si poteva scherzare.

E così lo schermo televisivo divenne un approdo prezioso e rilevantissimo - dunque, particolarmente concupito - per il nascente successo dello Stile. E le croniste di quei pochi secondi concessi dai telegiornali - in fondo in fondo, dopo lo sport e qualsiasi altra notizia fosse anche l'avventuroso ritrovamento di un gattino, scomparso da anni -, creature improvvisamente notevolissime e da adulare: in ogni modo.

KRISTY, ELTON JOHN, NADIA AUERMANN

Poi venne il Cinema. Naturalmente, con una progressione sostitutiva non del tutto lineare. E gli stilisti scoprirono che le star del grande schermo - certo molto più esigenti e meno raggiungibili dei cantanti - erano tuttavia, come ulteriore novità, molto più adatte e redditizie per i loro scopi; e soprattutto, immensamente più fotogeniche dentro le loro invenzioni.

bellucci versace, 93

Dunque, Cinema fino alla nausea. In una gara senza regole per strapparsi di mano star di ogni genere e calibro nelle loro più sfolgoranti occasioni di vanagloria. Chi può infatti dimenticare, ancora da Armani (lui, il vero apripista), il re Mida degli sculettamenti di allora, il tumultuoso e ceruleo Travolta del Sabato sera, in prima fila, a una sua presentazione uomo? E attorno a lui, il mondo: a lui che, ai piedi di quella impareggiabile pedana, nel suo sguardo rapito rifletteva con il trionfo di Armani anche quello di Milano e di tutto l'Italian Style.

Quindi, un viavai di superstar - talora anche appassite - e persino d'incarichi per i costumi - o meglio, per gli abiti - di film sofisticati e che giravano il mondo. Scoprendo, neppure troppo lentamente, che a questo punto non era più il Cinema a essere utile alla Moda, ma decisamente il contrario. Va ricordato infatti che, in quelli che, grosso modo, passano come gli anni Ottanta - ma evidentemente con sfumature già nei settanta e conseguenze ancora nei primi novanta -, lo Stile italiano era quanto di più desiderabile al mondo. E incredibilmente, con esso, anche la malinconica Milano e dunque l'Italia. Persino Sophia Loren, in verità così poco bête-de-mode, divenne una carta importante da contendersi; persino la povera Liz Taylor, già aggravata dalla vita.

madonna versace, 95 LIZ HURLEY IN VERSACE

Dunque: prima i cantanti e le canzoni - Versace-Vanoni (e a seguire, Elton John, Prince, Sting e molti altri) fu un binomio da far torcere d'invidia gli altri studi. Poi, evolvendo - anche in denaro -, gli attori e il Cinema. Basic Instinct, ad esempio, offrì a Valentino un'occasione davvero fatale per tracimare sui media di mezzo mondo: da Parigi, con Sharon Stone al suo apice in un'uscita finale confezionata appositamente per lei. Con altrettanti livori, certo, ma anche con un indiscutibile "ritorno": come dicono gli addetti al momento di presentare il conto.

Intanto, però, un tarlo crudele aveva iniziato a rovinare la festa; con il suo rosicchiante lavorio nelle menti più accorte e con un malevolo, terribile ma inesorabile: "Fino a quando?".

Sì, già allora; per qualcuno che aveva conosciuto da vicino altre vicende ed epopee similari. Tanto che, quel rosicchiare, iniziarono a percepirlo e a distinguerlo anche al di fuori di quel circuito così protettivo.

E non tanto, e non solo, a causa di testimonial (che nome atterrente) quali che fossero, già in via d'inesorabile opacizzazione e di progressiva inefficacia: perché intercambiabili, abusati e talora persino sconosciuti ai più; oltre che screditati dalle loro pubbliche, a questo punto esosissime, richieste.

Liz Hurley con un amico in Versace

Quanto piuttosto, nonostante guadagni e investimenti ancora rilevanti, per un'ineludibile usura dell'argomento stesso; oltre che per qualche inevitabile incertezza, ormai, su come e dove continuare ad attingere energie fresche così da poter nuovamente generare meraviglia, stupore, attenzione e dunque mercato.

MIA MARTINI - ARMANI

Oltre il puro e semplice voyeurismo, come si temeva stesse già accadendo; già molto prima del mercato degli accessori e del dettaglio stilistico (occhiali, borse, scarpe, cinture ecc.). Anche a causa di una piccola assuefazione all'argomento e alla notizia. Così che, tra un sospiro e uno sguardo circospetto, tra espertissimi si iniziò persino a sussurrare che per la Couture il processo era stato esattamente quello, identico: seppure a Parigi, con altri nomi, altre forme e un crollo inesorabile.

E che forse non c'era neppure più una via d'uscita. Dal momento che, a quella che era stata un'autentica voracità di firme, inevitabilmente sarebbero seguite sazietà e sonnolenza; se non disgusto. Mentre i nostri eroi - anch'essi sazi, ma bramosi di qualunque riconoscimento -, dopo il successo e la celebrità, ora pretendevano addirittura la fama. E il museo.

Purtroppo, è doloroso ricordarlo, con la tremenda, buia uscita di scena di Gianni Versace tutto, da un giorno all'altro, sembrò mutare. E un vento avverso, contrito e moralizzante, parve convincere i più dell'opportunità di una minimale ritirata e di una atterrita retromarcia.

Tanto che - un po' come pare avesse detto dell'Ancien Régime Talleyrand, che cioè chi non l'aveva goduto non poteva neppure immaginare cosa fosse la gioia di vivere - dunque, ciò che era stato prima, in quell'euforico irragionevole, orgiastico e sconsiderato caos autopromozionale, sembrò all'improvviso solo un pericoloso, vergognoso e incolto inciampo, per tutti.

ARMANI FRONT ROWARMANI SOPHIA LOREN

Troppo raffazzonato, mondano e per nulla selettivo, trash e del tutto contrario ai sofisticati enigmi (i Giapponesi, Calvin Klein, Jil Sander e una Prada agli esordi) che la Moda iniziava a inventare.

E in questo eterno, dialettico altalenare tra ultra-pop e super-chic, quale migliore via d'uscita, allora, se non il vero difficile, l'autentico ermetico, il quasi espiativo, il faticoso, il distante: in sintesi, quello che sembra essere unicamente della Cultura, dell'Ufficialità e del riconosciuto dalle élite intellettuali; dunque le Accademie e persino i Musei.

ARMANI AGLI UFFIZI, BIENNALE DELLA MODA

Mentre - sempre più arditamente e anche (mea culpa) a opera di chi scrive - a termini quali Stile e Moda, Stilisti e Couturier si andavano intrecciando termini sacri e fino ad allora inattingibili quali arte, artista, intellettualità, intelletto, genio e genialità. O, al peggio, creatività, creativo e creazione. Iniziando un po' tutti a dubitare che qualcuno tra questi Centauri non fosse, o non fosse stato, molto più di un sensibilissimo énervé.

LOREN CON VALENTINO

E giacché si erano spese cifre esorbitanti anche per cose più o meno d'arte, dopo le fastose dimore e gli arredi d'autore e, dopo "i Picassi", persino per artisti determinatamente moderni, anzi contemporanei, preziosissimi, scostanti e conosciuti unicamente da pochi iniziati - poiché, come sempre, Dio li fa e poi li accoppia -, a qualcuno venne in mente (ancora, ma in piccolissima parte, mea culpa) che, forse, un futuro era persino ancora possibile dentro quel misterioso Limbo: sussiegoso, settario, minimale e criptico.

Con un nuovo, strepitoso binomio - avendo forse rimosso qualche rozzezza in casa propria -, nuovo e arditissimo; ora che gli stilisti si erano fatti potenti e popolari come pochi altri e gli artisti, stanchi del loro Gotha talora tanto distante, troppo assatanati invece di denaro e successo per schermirsi ancora di fronte a quella mésalliance e a quella partnership inusitata; ora che l'Arte, o ciò che si chiama ancora a quel modo - in verità, poco più di un paradosso o di un gioco d'abilità intellettuale -, era divenuta irredimibilmente ludica, giocherellona, abbordabile, povera e astuta.

LIZ TAYLOR - VALENTINO

In sintesi, debole anche se complessissima. Dunque perfetta per gli snobismi dello Stile, colma di indisponibile spocchia come appariva. E quel connubio si fece. In tutto simile a quello tra l'indimenticabile Madame Verdurin e il vedovo principe di Guermantes.

TRAVOLTA, 78

Fu a Firenze (1996), in occasione della prima Biennale della Moda. Che, per la prima volta, ufficialmente raccordò il lavoro dello Stile a quello degli artisti. Con qualche occhiata supponente e un'aria di reciproca tolleranza. Ma intanto, da una parte ci si stava convincendo di non essere più solo artigianato d'arte; dall'altra si stava spericolatamente cedendo al mercato e alla showroom.

Davvero ormai commercialmente prossimi, a un passo l'uno dall'altra. E Milano, per non morire, cercò di trasformarsi in un cenacolo di connoîsseur e di complicati ermeneuti. Per disperazione forse, ma anche per orgoglio. Purtroppo, non più per convinzione, come era stato agli esordi e come sarebbe stato più che naturale.

SHARON STONE IN VALENTINO, VOGUE 1996

E sembrò davvero fatta: intanto che il Mercato cercava di rianimarsi. A forza di archistar e, dopo San Remo, Venezia, Cannes e Hollywood, con le biennali e le triennali e tutto il loro mercato, critici ed esperti compresi. Ma per un eccesso di consulenti - e di ingenuità - forse con troppo entusiasmo e troppa fretta. Appunto, un po' à la Madame Verdurin.

VALENTINO, MICHELANGELO, BIENNALE DELA MODA

Nessuno li aveva infatti informati che per collezionare e accumulare tante anomalie estetiche bastavano certo i loro denari; purtroppo, oltre i conformismi, non per distinguere e distinguersi. E che, a forza di ricercare gruppi di appartenenza e di legittimazione per un rapido passaggio verso la notizia - sempre più selettivi, questi, e schizzinosi -, si sarebbe prima o poi tutti precipitati in quanto di più anticomunicativo e impopolare c'è al mondo. Nel ridicolo.

MODA E ARTE, INSTALLAZIONE AUSTRALIA

Poiché, si sa, tutto può ingurgitare la Moda e tutto trasformare in Stile, finanche la barbarie - è già accaduto -, fatta eccezione per il ridicolo e per la malafede. Per questo, nella storia del gusto e delle forme, se l'eccesso ha avuto sempre un posto di rilievo, mai il Kitsch. Del quale sembrano oggi folli gli artisti, ma, Dio ne scampi, mai lo Stile.

 


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