Francesco Manacorda per "La Stampa"
GHEDDAFI IN TVI soldi del petrolio libico? Sono finiti in parte nelle scommesse a perdere proposte a Gheddafi da banche europee ed americane, in parte a finanziare gli stessi Stati Uniti che adesso partecipano ai bombardamenti su Tripoli e in qualche misura anche in investimenti azionari di dubbio successo.
Un documento solitamente assai riservato - si tratta del rapporto sugli investimenti al 30 giugno dello scorso anno della Libyan Investment Authority, ossia il principale fondo sovrano di Tripoli, socio tra l'altro con il 2,6% di Unicredit, il 2% di Eni e l'1% circa di Finmeccanica comparso sul sito dell'organizzazione anti-corruzione Globalwitness - apre panorami del tutto inaspettati sulla capacità del governo libico di gestire i proventi dei suoi pozzi.
Soc GenSpesso considerati investitori di elevata professionalità, come del resto sono di norma i fondi sovrani, i gestori della Lia escono invece a pezzi dalle 20 pagine del loro rapporto interno. Tengono oltre un terzo dei loro beni - circa 19 miliardi su conti bancari, come farebbe un risparmiatore indeciso, e prendono tranvate clamorose su investimenti rischiosi. Investimenti che adesso, in ogni caso, sono stati «congelati» in tutto il mondo sulla base di una risoluzione dell'Onu.
Nel trimestre aprile-giugno 2010, un periodo nel quale i mercati borsistici internazionali erano generalmente scesi, i conti della Lia non brillano, portando gli asset totali da 55,8 a 53,3 miliardi di dollari, con un calo del 4,53%. Il risultato non è dei migliori, ma ad incrinare l'immagine dei tecnocrati del fondo sovrano di Tripoli sono soprattutto alcune perdite colossali legate a prodotti strutturati proposti da primarie banche, nonché a una serie di opzioni su titoli che al 30 giugno scorso valgono complessivamente poco meno di 20 milioni di dollari contro 1,24 miliardi investiti inizialmente: una perdita di oltre il 98% che pare da Guinnes dei primati.
Logo "Citigroup"Tra i prodotti strutturati il record negativo va a quello creato per la Lia dalla francese Société Generale: il valore a cui è stato acquistato, non si sa quando, è di un miliardo di dollari, ma a fine giugno scorso i gestori del Colonnello si ritrovano in mano solo 284 milioni. La vera débâcle è però sui contratti di opzione e derivati legati ad alcuni titoli, anche italiani. Una scommessa sull'Eni perde il 99% del proprio valore, una sull'Unicredit addirittura il 99,5%.
Federico Ghizzoni UNICREDITUn contratto «put» su Citigroup costato 100 milioni di dollari finisce per valerne 500 mila, una perdita anche in questo caso vicina all'intero capitale. I rapporti - ormai archiviati di buon vicinato con l'Italia si notano comunque anche nel portafoglio azionario del fondo sovrano. Le aziende tricolori pesano infatti per ben il 24% sul totale degli investimenti in azioni della Lia, che vedono in seconda posizione la Germania, seguita poi da Stati Uniti e Gran Bretagna.
GOLDMAN SACHSAl grido di «pecunia non olet», i soldi di Gheddafi sono ricercatissimi da tutti i maggiori gestori internazionali: gli investimenti della Lia vanno da prodotti strutturati di Hsbc, Commerzbank e Paribas fino ai fondi di private equity di Carlyle, Rbs e Goldman Sachs. E paradossalmente - da buoni gestori ma forse da pessimi politici - i libici finanziano allegramente Washington: sui 3,4 miliardi di obbligazioni che hanno in portafoglio i due terzi circa sono investiti in titoli a reddito fisso - la maggior parte emessi dal Tesoro - dello zio Sam.