Quantcast
Channel: Articoli
Viewing all articles
Browse latest Browse all 340557

DOPO DI LUI, CHE FARE? - UNA VOLTA TERMINATE LE \"STANDING OVULATION\" PER LA VITTORIA DI PISAPIA (CERTA) E PER DE MAGISTRIS (PROBABILE), L’OPPOSIZIONE SUL POST-BANANA È INDECISA A TUTTO - I BERSANIANI MIRANO A UN ACCORDO CON LA LEGA, MANDARE TREMONTI A PALAZZO CHIGI E ANDARE AL VOTO - GLI ATTENDISTI (VELTRONI-CASINI-FINI) SOGNANO UN TREMONTI STILE ANDREOTTI III (CON L’ASTENSIONE DELL’OPPOSIZIONE) - MA PER OGNI COSA BISOGNERÀ FARE I CONTI CON UN CAINANO CHE VENDERÀ CARA LA PELLE…

$
0
0

Tommaso Labate per "Il Riformista"

VELTRONI E BERSANI

«Pisapia è avanti, lo score di de Magistris sorprenderà anche lui stesso...». Ai piani alti del Pd si ha la sensazione, come ripete Pier Luigi Bersani, di essere a un passo dal crollo del berlusconismo. E l'amara certezza che quel «passo», però, sarà molto tormentato.
Non c'è soltanto quella sconfitta a Milano e Napoli che persino il Cavaliere, come spiega il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando, «sembra ormai aver messo nel conto». Ma un clima che, anche nelle roccaforti pidielline del Nord-Est, sembra ormai cambiato.

Il deputato democratico porta come esempio «la cosa incredibile a cui ho assistito la settimana scorsa a Verona», durante un dibattito sul futuro della riforma costituzionale della giustizia a cui partecipava anche Pietro Longo, l'avvocato del Cavaliere. Nel bel mezzo del duello, di fronte a una platea di tecnici e a molti elettori del centrodestra, Longo attacca Orlando, che aveva tirato in ballo una legge elettorale che sforna «nominati, mica eletti dal popolo». «Scusi, ma lei da chi è stato nominato?», urla Longo. «Io sono stato nominato dal segretario del mio partito.

BERSANI E VELTRONI

Al contrario di lei, onorevole Longo, che invece è stato nominato da un suo cliente», è la replica velenosa del deputato del Pd. «A quel punto», raccontava ieri Orlando ad alcuni colleghi di partito, «io pensavo che la platea m'avrebbe azzannato. E invece è scattato un applauso liberatorio». Dettagli e ritagli da ultimi giorni di Pompei, insomma.

Berlusconi e Letizia Moratti

Ma la preoccupata certezza condivisa da tutto il gruppo dirigente del Pd è che, in ogni caso, Berlusconi proverà ad asserragliarsi in una sorta di bunker. Arrivando addirittura, come ha pronosticato dopo il primo turno Walter Veltroni con alcuni deputati amici, «a far finta di niente, a non commentare i risultati elettorali, a scaricare la colpa sui candidati sindaco» (l'ultima parte della profezia veltroniana s'è già avverata ieri, dopo i fendenti che il Cavaliere ha indirizzato a Letizia Moratti e Gianni Lettieri).

A quel punto, che fare? «A conti fatti, il 30 maggio capirete perché ho fatto la campagna elettorale attaccando il Carroccio», ripete ai suoi Bersani malcelando la propria soddisfazione. Significa che il grimaldello che il Pd ha intenzione di usare dopo i ballottaggi, riguarderà essenzialmente un'«offerta alla Lega».

pisapia

Quale? I boatos di Palazzo danno per già fissato un faccia a faccia tra il leader del Pd e Roberto Maroni all'indomani del secondo turno delle amministrative. È il segno evidente che, tra i democrat, c'è chi spera che sia proprio il titolare del Viminale ad aprire il fuoco amico nei confronti del Cavaliere. «La tregua siglata ieri (martedì, ndr) tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi non può reggere», ha spiegato ieri Bersani rispondendo alle domande dei cronisti. Perché, è l'analisi del leader democratico, tra quei due mondi «si è rotto qualcosa di profondo».

DE MAGISTRIS ESULTA DOPO IL PRIMO TURNO

La road map che sta in cima ai desiderata di Bersani (ma anche di Franceschini e Bindi) è quella che porta allo «scacco matto». Vincere Milano, insistere sui referendum («Mi auguro che la Cassazione non impedisca il referendum sul nucleare»), agevolare la nascita di un governo a guida Maroni per l'approvazione dei decreti rimanenti del federalismo fiscale e presentarsi alle urne quanto prima, al massimo a novembre.

CASINI E FINI

Dentro il Pd, però, c'è anche una linea più attendista. Sostenuta senz'altro da Walter Veltroni, che insieme a Beppe Pisanu aveva lanciato l'idea del «governo di decantazione» (dalle colonne del Corriere della sera). E caldeggiata, probabilmente, anche da Massimo D'Alema.

È la scuola di pensiero di chi vuole evitare il voto nel 2011, a cui hanno aderito sia Pier Ferdinando Casini che Gianfranco Fini. Il colonnello finiano Italo Bocchino l'ha detto chiaramente ieri: «Va bene governo di larghe intese, come dice D'Alema». Ma quest'operazione, ha aggiunto il braccio destro del presidente della Camera, «avrebbe senso solo con la disponibilità del Pdl».

TREMONTI CALDEROLI LA RUSSA MARONI

L'unico nome che sta nel borsino degli "attendisti" - da Veltroni a Fini, da Casini a D'Alema - è quello di Giulio Tremonti. Un esecutivo d'emergenza nazionale guidato dal titolare dell'Economia, sorretto anche dalle astensioni dell'opposizione. «Come l'Andreotti III del 1976», sorridono autorevoli ex diccì che oggi stanno nel Terzo Polo.

«Quelli del voto subito» contro gli «attendisti». Potrebbe essere proprio questo il dibattito che si aprirà dentro il Pd nella direzione nazionale convocata una settimana dopo i ballottaggi. Sempre che le urne di Milano e Napoli non riservino qualche sorpresa dell'ultim'ora, ovviamente.

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 340557

Trending Articles