DAGO-CANNES
E' andata cosi'. Gli italiani non vincono nulla. "Habemus Papam" e "This Must Be The Place" magari non sono "Gomorra" e "Il divo". Palma d'Oro a "The Tree of Life" di Terrence Malick (che non lo ritira). Premio alla miglior regia al danese Nicholas Winding Renf per "Drive".

Gran Premio della Giuria al belga "Le gamin ai velo" dei Dardenne e al turco "Once Upon a Time in Anatolia" di Nure Bilge Ceylan. Premio per il miglior attore a Jean Dujardin per "The
Artist". Premio alla miglior attrice a Kirsten Dunst per "Melancholia" di Lars Von Trier. Premio alla migliore sceneggiatura a "Hearat Shulayim" di Joseph Cedar.

Premi un po' ecumenici, molto attenti a non scontentare nessuno, ma anche a segnalare qualche novita' ("Drive"), recuperano il pasticcio Von Trier premiando la Dunst, lanciano il cinema popolare francese ("The Artist") e finiscono per inchinarsi a Hollywood col premio maggiore al Malick.
Finale un po' trombone per un festival interessante e con molte opere al femminile che avrebbero meritato di più. Poi i conti si fanno a casa, con il film di Malick pronto a essere distrutto da noi dai ''Pirati'' di Johnny Depp e in patria da "Kung Fu Panda 2".

Per Lars Von Trier si riaprono i giochi, il premio alla sua protagonista, Kirsten Dunst, riapre il discorso su un film più serio e importante di quanto sembrasse nei giorni della sua presentazione. Per noi, domani su ''Repubblica'',
sara' stata colpa degli arbitri, della lobby francese, della giuria. Mai nostra.