1 - DAGOREPORT
Ieri sera, mentre Sgarbi affondava andando sotto anche alla commedia "Principe azzurro cercasi", la Rai offriva su Raidue un'altra performance strepitosa: Gianni Minoli per "La Storia siamo noi" intervistava suo suocero, Ettore Bernabei, dandogli rigorosamente del Lei. Il tono della puntata è tutto nella prima "ferocissima" domanda: "Allora presidente, che effetto le fa essere così omaggiato dagli oppositori di un tempo?". Ovviamente non sono mancate le immagini della figlia di Bernabei, Matilde, che è anche moglie del conduttore Minoli. Non sono mancate citazioni per la Lux Vide, casa di produzione di Bernabei e famiglia, fornitrice Rai.
ETTORE BERNABEI CAMILLO RUINI fan18 ettore bernabei gianni giulia matilde minoliDa ritagliare e incorniciare la copertina in apertura del programma (riportata qui sotto), dove si sono alternati giudizi duri come "determinato e severo, dolce e risoluto" a veri e propri affondi quali "padre affettuoso, marito ideale, nonno tenerissimo".
2 - Da "La storia siamo noi", in onda ieri sera su Raidue, condotto da Gianni Minoli
Ettore Bernabei, 90 anni portati con stile, con eleganza, con giovanile irruenza, con caparbia determinazione.
Padre affettuoso, marito ideale, nonno tenerissimo.
Democristiano da subito, giornalista da prestissimo, cattolico da sempre.
Della prima Repubblica è stato protagonista e interprete, sceneggiatore e regista, ma anche costumista e direttore della fotografia. E oggi che della Repubblica siamo alla seconda rischia di essere il più lucido cameraman.
Ciak, si gira.
Determinato e severo, dolce e risoluto, caparbio e bonario.
Il Mattino a Firenze, il Popolo a Roma e la Rai in Italia per 14 anni.
E poi la Lux, nel mondo.
Parlando di ieri potremmo stare un giorno, parlando di oggi diverse ore, parlando di domani non ci basterebbe il weekend.
Perché Bernabei è così, come il cubo di Rubik, famoso negli anni Sessanta.
Per molti oggi è ancora un mistero. Giorgio Dell'Arti ha raccolto la sua testimonianza in un libro fiume, che costituisce la bibbia del dietro le quinte dell'Italia democristiana e della politica dei blocchi.
Un libro che fin dal titolo, L'uomo di fiducia, suona come un manifesto di una razza in via di estinzione, di una moda che sembra passata, di una lingua che sembra dispersa.
Eppure lui non è disperso, non è passato di moda e non è in via di estinzione.
Anzi sembra un ipad, touchscreen nel passato, in streaming nel presente, in rete con il futuro.
E poi non più tardi di tre settimane fa, l'antagonista di sempre, il settimanale l'espresso, non si converte ma si ravvede, e come folgorato sulla via di Damasco parla di lui come di un profeta ieratico e ascoltatissimo.